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    Una nuova morale per una società erotizzata?



    Intervista con Leandro Rossi

    (NPG 1971-08/09-89)

    Anche la «morale» oggi è in crisi. Sta facendosi strada una «nuova morale», soprattutto in campo sessuale.
    I giovani, che hanno le antenne tese per tutto ciò che è nuovo, immediatamente hanno colto queste istanze: le inchieste documentano il passaggio da una concezione individuale del peccato ad una dimensione più sociale, con conseguente capovolgimento di molti valori tradizionali.
    Che ne pensa il moralista, di tutto ciò? Come può assumere concretezza una educazione all'amore, nel contesto di una società sempre più permissiva e di un rovesciamento di molti dati fino a poco fa intangibili?

    LA «NUOVA» MORALE DEI GIOVANI

    D. Da tante parti, oggi si afferma che i giovani hanno una «loro» morale, soprattutto in campo sessuale. E ci vuole poco a costatarlo.
    Per qualcuno sta crollando un mondo di valori e si cercano gli aggettivi più deprecativi per dipingere questa situazione. Altri, invece, sono ottimisti ad oltranza.
    Che ne pensa il moralista, di tutto ciò?

    R. Molte cose sono cambiate in fatto di morale sessuale, soprattutto per quanto riguarda gli atteggiamenti pratici dei giovani di oggi. Darne un giudizio globale non è facile.
    Ci sono disvalori e aspetti positivi. Prima di tutto, mi chiedo: cosa abbiamo fatto noi per dialogare seriamente con i giovani, per aiutarli a conservare quei valori di cui noi eravamo pienamente convinti? Essi vanno un po' per la loro strada. D'accordo. Ma noi... cosa abbiamo fatto per camminare assieme a loro, o per far camminare loro assieme a noi; o meglio: per trovare assieme una strada giusta?
    Oggi, noi costatiamo un certo cambio di rotta.
    Bisogna affermare che non tutto è negativo: non ci sono solo disvalori. Quando io penso che una certa impostazione morale poneva sullo stesso piano di peccato mortale un gesto di stupro ed un rapporto prematrimoniale d'amore e li condannava con la stessa intensità e senza ulteriori distinzioni, avverto che una reazione a quel livellamento degli elementi umani è certamente un fatto positivo. Si intuisce ciò che il vangelo già diceva: il vero peccato sta nel cuore più che nel comportamento e che un determinato comportamento può rivelare una gravità molto superiore a quella di un altro fenomenologicamente simile.
    Un aspetto positivo sottolineato fortemente dai giovani oggi è la percezione che la sessualità deve essere un gesto libero.
    Anche in questo campo tanto conclamato, restano però forti preoccupazioni. I giovani d'oggi affermano: «Ciò che noi vogliamo liberamente, è sempre bene!»; ma questa libertà affermata è spesso solo apparente. Credono di scegliere liberamente ciò che è pura coincidenza di un interesse momentaneo, che non corrisponde all'interesse profondo. In ogni caso, affermare: «È tutto bene quello che a noi piace; quello che noi liberamente scegliamo», significa sottolineare solo la dimensione individualistica dell'amore e non collocarlo nel contesto di altri valori sociali. Quando però si avverte che la sessualità ha anche il compito di causare la gioia nel cuore umano, ancora si intuisce un valore (al cui interno è incombente il pericolo di ridurre la sessualità alla pura dimensione ludica: e siamo nel disvalore). La sessualità è destinata a causare gioia non soltanto a due sposi che si vogliono bene, che si interrogano continuamente per costruire assieme la vita, ma anche a due fidanzati o, addirittura, a due persone di sesso diverso: il fatto che il loro incontro – affettuoso, onesto – avvenga in un clima di tensione gioiosa, questo non è ancora un disvalore. A volte, lo si vedeva come un disvalore. Se noi lo predichiamo come un disvalore, giustamente i ragazzi reagiscono andando oltre l'obiettivo e legittimando tutto: e questo sarebbe certamente sbagliato.

    SOCIETÀ E MORALE

    D. Nel giudizio che ha espresso ha fatto frequenti richiami ad una prassi tradizionale. Potrebbe darci ulteriori dettagli? Gli aspetti positivi e quelli negativi della «nuova» morale dei giovani sono in rapporto, secondo lei, con la nostra attuale società?

    R. Per me la società è ancora pienamente farisaica: si scandalizza per una ragazza-madre e non si scandalizza per tutti gli altri che hanno compiuto sfruttamento premunendosi contro questo evento.
    Il peccato sarebbe nel puro accadimento fisico, nel puro sbaglio della gravidanza: e questo è fariseismo!
    La società è inoltre responsabile del fatto che continua a bombardare sessualmente i giovani, ad impartire lezioni di edonismo in tutti i campi, mentre si scandalizza perché il giovane ha imparato la lezione che essa quotidianamente gli ha impartito. In sostanza: vuole la causa, l'ingigantisce, la perpetua, e non vuole l'effetto che da quella causa promana.

    D. A proposito del rapporto causa-effetto tra il clima di erotizzazione della nostra società e gli innegabili comportamenti devianti di molti giovani, da qualche parte si afferma che una certa letteratura (fílms, libri, riviste...) hanno invece una funzione immunizzante, quasi liberante. Mentre... i soliti censori ci vedono un influsso negativo deterministico.
    In quali termini lei vede il problema?

    R. Io non credo all'immunizzazione, almeno ad un'immunizzazione facile. Ma respingo anche l'altra posizione pessimistica e fatalistica, perché deriva da una matrice non cristiana: il credere che il male sia in un comportamento e non nell'atteggiamento del cuore. Ci si può trovare nella situazione umanamente più difficile: ma, anche in quel momento, il peccato resta «scelta libera».
    Il problema io lo vedo in questi termini: cosa è possibile fare per rompere un condizionamento così forte, proprio per essere di fatto più liberi noi, che parliamo continuamente di alienazioni, che rivendichiamo la libertà. Reagire vuol dire andare contro un clima, un «ambiente», per rendere migliori, più uomini, più liberi, i nostri fratelli.

    IL RUOLO DELL'EDUCATORE

    D. Ha parlato di reazione contro un certo ambiente: quindi di educazione e di autoeducazione.
    Qual è, secondo lei, il ruolo dell'educatore, in questo processo?

    R. Più che un discorso contenutistico, difficile oggi, farei un discorso metodologico. Ha poco senso dire: io mi ritengo studioso del problema, quindi devi credermi. Piuttosto direi: cerchiamo assieme.
    Riflettendo con i giovani a proposito, per esempio, dei rapporti prematrimoniali, mi pare opportuno centrare l'attenzione sulle giustificazioni addotte: sono vere giustificazioni o pseudo-giustificazioni? La risposta nasce dopo essersi, tutti, messi in quell'atteggiamento dì autenticità, così caro ai giovani. La mia esperienza mi dice che, 999 casi su 1000, i giovani hanno sinceramente ammesso che scambiavano per amore quello che era egoismo, almeno in parte.
    Quando invece ho preteso di portare io dimostrazioni apodittiche, sono stato sempre contestato, mi sono sempre trovato alle corde.
    Riflettendo su questo dato di esperienza, mi pare si possa affermare che compito dell'educatore non è quello di dare norme precettistiche ma di aiutare a fare un serio esame di coscienza: in coscienza ciascuno è chiamato a fare le sue scelte. E se qualcuno sceglierà male, saprà di aver sbagliato e sarà disponibile al pentimento.
    Una cosa poi è urgente: guidare a rompere il cerchio dell'egoismo, in tutti i modi (e i giovani ne stanno inventando tanti). Nella sessualità deviata, noi incontriamo il vizio dell'egoismo. Quindi, quando ci battiamo per potenziare l'oblatività, soprattutto l'oblatività giovanile, noi camminiamo nella direzione giusta. Non diminuiranno subito automaticamente gli atti di masturbazione. Ma si aiuta veramente il ragazzo a «uscire da sé», a superare gradualmente l'atteggiamento edonista che ha dentro, che la società continuamente gli offre. L'unica cosa da pretendere è la gradualità. Sarebbe assurdo che, mentre rivendichiamo una gradualità nel compimento del bene per noi adulti, non accettassimo poi questa possibilità di sbagliare, di fermarsi, di ritornare, di riprendersi, di retrocedere, nei giovani stessi.

    D. Concretamente, come può il pastore portare il giovane ad una visione liberatrice della morale, anche in contesto di morale sessuale?
    Come è possibile educare a passare da una concezione negativa-proibizionista ad una prospettiva gioiosa, pasquale?

    R. Una sola cosa: non essere portatori di ricette pronte. Lasciarsi invece coinvolgere dall'altro: ascoltare il giovane che pone il suo problema, entrare nella sua pelle, soffrire con lui. Il giovane deve sentire di parlare non con un robot che darà delle sentenze fatte ma con una persona che condividerà e sarà disponibile per cercare insieme con lui una soluzione. È diseducativo guardare le cose dal di fuori, con la compiacenza di chi dice: «Io il problema l'ho risolto, e quindi se credi devi accettare questa soluzione». È una conversione questa a cui siamo chiamati, difficile, ma fondamentale. Troppo spesso noi eravamo dei registratori: avevamo registrato le risposte giuste su tutti i problemi. La «consultazione» significava schiacciare il bottone per sentire la risposta. Il discorso non era personalizzato.
    Con un altro pasticcio grave: il discorso era molto presto esaurito, perché essi sapevano i tipi di risposte che noi avevamo registrato e al limite non si vedeva perchè dovevano ancora venire a consultarci, quando ciò che avremmo risposto lo sapevano già. Ogni risposta significa condividere la situazione drammatica dell'interlocutore, cercare con lui, per trovare, assieme, una via d'uscita.

    D. Tutto questo è molto bello. Ma c'è una difficoltà: il tempo. Per un po', forse, avremo... i confessionali più vuoti.
    Che ne pensa?

    R. Più di una volta, parlando a sacerdoti, ho avuto occasione di dire: perché siete contenti quando i vostri ragazzi sono venuti nelle tre sere a confessarsi e comunicarsi? Potrebbero averlo fatto semplicemente perché stanchi della continua insistenza dei genitori, o perché non volevano vedere la brutta faccia che, dopo, voi avreste fatto... Insomma, potrebbero essere venuti per nulla liberamente: e allora quel gesto per loro non è meritorio, non ha significato, è un puro gesto formalistico.
    Viceversa possono restare lontani semplicemente perché hanno bisogno di maturare una decisione; e allora è giusto che li aiutiate a maturare questa decisione, rispettando i tempi, i momenti nei quali loro sentono di dover compiere il gesto sacramentale.
    Ogni sacramento esige la fede: o la fede è il motivo determinante o il gesto sacramentale è privo di significato. Senza libertà non c'è fede.

    LA MESSA COME COLLABORAZIONE A CRISTO
    «A FAR NUOVE TUTTE LE COSE»

    Dio è all'opera per fare nuove tutte le cose. Il cristiano è chiamato a scoprire la propria vocazione ad essere collaboratore attivo di Dio, protagonista già all'opera. L'impegno ad «intervenire», a «farci qualcosa», è prima di tutto «fedeltà» a Dio, in febbrile azione per far passare tutte le cose da morte a vita: «l'incontro con il mistero trinitario avviene, allora, mediante il riconoscimento del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, viventi in perfettissima comunione di amore e protagonisti di quel piano di salvezza che trova il suo momento culminante nella morte e risurrezione di Cristo» (RdC, 83).
    Dio è in azione oggi: la messa è il «luogo» in cui l'azione divina diventa attuale, contemporanea ad ogni persona.
    È perciò, nella sua verità, il luogo di verifica, di ricarica, di condensazione dell'interventismo cristiano.
    In questo senso, davvero momento centrale della nostra fede (RdC, 72/73) «manifestante il mistero di Cristo come realtà salvifica che opera nel presente» (RdC, 73).
    Le linee per una educazione vera alla partecipazione all'eucaristia possono essere così sintetizzate:
    • la vita verso la messa (la percezione che la giornata è materia della eucaristia, con tutti i valori di cui è carica)
    • la messa verso la vita (la messa come «forma» della vita quotidiana di un giovane cristiano)
    • la «verità» della messa: educazione, attraverso una continua esperienza d'appoggio (comunità, «dare la vita per gli altri», attività umana nel mistero pasquale, ecc.) alla verità della messa cui si partecipa.


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