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    Introduzione a: Gruppi ecclesiali a fine-corsa?



    (NPG 1978-09-19)

    Questo è un dossier particolarmente interlocutorio, perché affronta un argomento sul quale, oggi, sembra difficile ragionare a punti fermi, con schemi troppo sicuri. Qualche anno fa, sembrava conclusa la stagione dell'associazionismo giovanile. E ci troviamo oggi di fronte ad una rifioritura imprevista.
    Qualche associazione ha toccato livelli mai raggiunti neppure nei tempi più rosei. Certo, molte cose sono tramontate e la ripresa è legata a modelli che non ripetono tranquillamente il passato. Ma è una novità segnata da molta continuità. Anche molti gruppi informali stanno ponendosi il problema del controllo e del contatto con altri gruppi.
    Oggi, per esempio, si parla, in molti contesti, di «collegamenti», di «movimento», per suggerire l'opportunità di spezzare quell'isolamento tra gruppo e gruppo che sembrava qualche anno fa, invece, l'ultimo ponte della liberazione.
    Emergono, in questi ultimi mesi, modelli culturali che fanno largo spazio a esperienze e modi di fare un po' svalutati dalla bandiera della politica: lo stare assieme, la festa e il gioco, i rapporti primari... Il dialogo tra quelli del '68 e gli adolescenti è difficile, proprio all'interno dei gruppi. Esistono fratture di stile, quasi si parlassero linguaggi diversi.
    Qualche educatore è preoccupato: in questi gruppi l'impegno sembra scarso, nelle forme tradizionali con cui lo si era definito in questi ultimi anni... Dove stiamo andando?
    Dove vanno i gruppi giovanili ecclesiali?
    Ce lo siamo chiesto in redazione. E questo dossier è la nostra risposta:
    un dialogo aperto, una rassegna di nuovi interrogativi. Perché ci siamo trovati con più domande che risposte.
    Una conclusione ci pare però errata: quella di chi arrivasse, affrettatamente, a dire: siamo tornati indietro... bisogna tener duro e presto o tardi tutti ritornano a casa!
    Chi pensa così, secondo noi legge in modo scorretto la realtà.
    Per aiutarci – tutti: chi corre e chi aspetta al varco – a comprendere bene i fatti, questo dossier studia i gruppi giovanili ecclesiali, soprattutto tentando di evidenziare il «nuovo» che oggi li attraversa.

    FATTI

    Per capire dove stanno andando i gruppi giovanili, uno strumento privilegiato è sicuramente l'ascolto dei protagonisti. Esso permette un primo approccio
    al problema, stimolante perché vivo. Le analisi sociologiche offrono indispensabili chiavi interpretative di questo materiale grezzo; lo valutano, suggerendo la convergenza o la distanza di questo spaccato della condizione giovanile con l'universo del campione.
    Per questo motivo, prima di lasciare la parola agli studiosi dei problemi associativi, abbiamo voluto ascoltare alcuni testimoni.
    La scelta non ha nessuna pretesa di significatività. I giovani e gli educatori che parlano qui, rappresentano soltanto se stessi e la loro esperienza.
    Le cose che ci dicono, però, possono aiutarci a leggere meglio quello che ciascuno di noi vive e quello che i sociologi scrivono a proposito della condizione giovanile. Un'ultima annotazione. In questo contesto ci preme soltanto cogliere e descrivere fenomeni e problemi. Non vogliamo avanzare nessuna valutazione né suggerire processi di intervento. Anche se, evidentemente, la raffigurazione di ogni realtà contiene già una grossa carica provocatoria, capace di evocare precisi progetti operativi.

    PROSPETTIVE

    Quando si ripensa all'avventura dei gruppi giovanili ecclesiali in questi ultimi dieci anni, può capitare che non solo si avanzino riserve ma soprattutto
    che si utilizzino alcuni fatti per mettere in discussione l'opportunità stessa del gruppo giovanile.
    La letteratura, in questo senso, non manca. E, del resto, basta raccogliere commenti e battute, in circolazione a vari livelli.
    In questo contesto non vogliamo tentare un bilancio dell'associazionismo giovanile ecclesiale, ma solo suggerire alcune prospettive di confronto, per riaffermarne la validità «a condizione di...».
    Per un bilancio, rimandiamo ad uno studio, pregevole e documentato: F. GARELLI, «Gruppi giovanili ecclesiali: tra personale e politico, tra funzione educativa e azione sociale», in «Quaderni di sociologia» 26 (1977) 275-320.

    1. Sì ai gruppi

    Siamo convinti che il «gruppo» sia un'esigenza educativa e pastorale ancora pienamente e profondamente valida. Crediamo che non sia possibile operare una incisiva educazione dei giovani alla fede, se non «mediante» e «all'interno» di una profonda esperienza di gruppo.
    Questa affermazione ha un tono preciso, che vogliamo sottolineare.
    Non mettiamo l'accento, prima di tutto, sulla comunità cristiana come luogo di esperienza di crescita umana e religiosa. Questo fatto è scontato. Ma non è sufficiente, per gli adolescenti e i giovani d'oggi. Non basta, in altre parole, costruire «comunità» per concludere che in esse i giovani troveranno quello spazio di vita di cui hanno bisogno. I problemi tipici dell'età evolutiva richiedono interventi adeguati, specifici. La risposta a questi problemi non rappresenta un settore chiuso e impenetrabile rispetto all'andamento di tutta la comunità. È però un servizio specializzato della comunità, nei confronti del mondo giovanile.
    Come si vede, rifiutiamo l'idea di una pastorale «unica» (quella della Chiesa degli adulti), che si adatta deduttivamente ai giovani, per riaffermare l'urgenza di una vera e impegnativa «pastorale giovanile» come servizio di tutta la Chiesa nei confronti dei giovani. Il «gruppo» è il luogo privilegiato in cui si realizza questo servizio specializzato.

    2. Gruppi sulla misura dei giovani di oggi

    Si può discutere all'infinito per decidere se esista o meno una «cultura» giovanile. È problema interessante, ma teorico, ritagliato sull'equivocità del termine «cultura».
    Se ci guardiamo d'attorno, scopriamo facilmente la presenza, nella condizione giovanile, di una serie di istanze tipiche, spesso confuse, irriflesse, contraddittorie... ma non per questo meno vivaci e consistenti.
    Queste «emergenze culturali» sono molto mobili, anche perché rappresentano prevalentemente intuizioni e reazioni. Forse è proprio per questo che riesce difficile parlare di cultura.
    Tutti coloro che operano con i giovani e cercano un dialogo reale con essi, sanno che solo parlando questo «linguaggio», ci si può intendere. Al di fuori di questi segni, il colloquio è difficile oppure rischia di avere
    come interlocutori solo quei pochi giovani che sono più buoni e bravi o più sensibili; o, forse, maggiormente alla ricerca di una tavola di ancoraggio, qualsiasi purché rassicurante.
    Questa premessa porta alla conclusione: l'azione educativa e pastorale nei gruppi giovanili deve possedere lo stile dell'oggi. Non basta il gruppo. Si richiede un gruppo in cui si respiri il clima dell'oggi, in cui le proposte educative e pastorali siano costruite nello stile di presa dei giovani d'oggi. Dal '68 ad oggi, ne è passata di acqua sotto il ponte.

    3. Gruppi educativi

    Il gruppo non è fine a se stesso. È «mediazione»: luogo di crescita, di maturazione, di esperienza nuova per le persone che lo compongono. Per questo non può essere lasciato al suo sviluppo spontaneo.
    Deve diventare «educativo»: capace cioè di aprirsi e di sostenere uri reale cammino in avanti.
    L'affermazione precedente non è contraddittoria rispetto a questa esigenza. Noi crediamo alla necessità di inserirsi nel reale linguaggio giovanile, nelle attese e domande spontanee, per farle evolvere, per far emergere interrogativi sempre più a misura d'uomo e di cristiano, per rendere capaci di accogliere le «risposte» che ci sono donate.
    In questo contesto è importante precisare bene le mete dell'educazione dei giovani alla fede. Certamente il superamento del giovanilismo, del soggettivismo e dello spontaneismo rientrano tra queste mete: l'obiettivo è l'unica fondamentale esperienza cristiana, l'accettazione del confronto normativo con l'evento di Gesù Cristo e con la sua Parola di verità, l'espressione della propria fede nella Chiesa.
    Abbiamo descritto un'esigenza. Prese così le cose, il discorso può diventare generico e inconcludente, perché tutti coloro che operano nei gruppi sono preoccupati di farne luogo di educazione...
    Le scelte operative sono diverse, perché non c'è convergenza pratica su come intendere «educazione» e «educazione alla fede».
    Non vogliamo ripetere cose già scritte altre volte sulla rivista.
    Le riflessioni con cui andiamo sviluppando il progetto redazionale di quest'anno, negli «studi», possono dire cose intendiamo concretamente per «gruppo educativo».
    Per aiutare ulteriormente i gruppi ad interrogarsi sulla loro capacità formativa reale, il dossier si chiude con una «griglia» di verifica, costruita attorno
    Abbiamo accennato ad alcuni temi. Da questa chiave interpretativa vanno letti i tre studi che seguono. Essi cercano di evidenziare gli aspetti nuovi di un processo di «vita di gruppo ecclesiale», su cui tante volte abbiamo insistito.
    a sette punti critici (quelli, appunto, sui quali, secondo noi, si gioca la funzione educativa del gruppo).
    Le domande prospettate e la bibliografia di approfondimento possono aiutare i singoli gruppi a concretizzare meglio questa irrinunciabile esigenza.

    4. Giovani e adulti per essere Chiesa

    Un aspetto interessante di questa crescita educativa è dato da quello che sta capitando in molti gruppi giovanili. Il desiderio di realizzare più intensamente l'esperienza di Chiesa li spinge a superare le sole presenze giovanili per allargare a tutte le componenti reali del popolo di Dio. Si tratta di «comunità» che realizzano concretamente l'evento ecclesiale.
    Le esperienze più mature fanno vedere che si tratta però ancora di gruppi «educativi», centrati cioè sulla crescita dei giovani, al servizio della loro maturazione. Questo dinamismo è realizzato nel fatto di essere Chiesa: vivendo e dialogando con tutti, accogliendo i valori e le proposte sulla forza dei modelli, facendo esperienza di vita nuova.
    Molti gruppi si rendono conto, così, che l'obiettivo non è solo il punto conclusivo della ricerca, ma è già costatazione e realizzazione al primo passo del cammino, anche se in modo germinale: un seme che cresce in albero grande, lentamente.
    Forse non tutti i gruppi sono pronti e capaci di questo salto qualitativo.
    Il rispetto al loro ritmo di sviluppo chiede di non forzare eccessivamente i tempi. Sono possibili alcune realizzazioni di anticipo, funzionali a preparare il terreno:
    il collegamento tra gruppo e gruppo, all'interno della stessa istituzione ecclesiale o in un cerchio più vasto, sulla condivisione dei valori; la ricerca appassionata del dialogo e del confronto anche con gli adulti, nella stessa comune esperienza ecclesiale; il superamento di ogni chiusura e della tentazione di assolutizzare la propria esperienza; la consapevolezza che non possono esistere «chiese parallele», nell'unica Chiesa di Gesù Cristo; la costruzione di un reale clima di ecclesialità.

    PER L'AZIONE

    Le note che hanno aperto questo dossier, hanno sottolineato il suo carattere interlocutorio. Questo vale anche per le conclusioni: ci sembra molto difficile suggerire prospettive concrete di azione, con la pretesa che siano immediatamente praticabili da tutti.
    Per questo serio motivo, anche «per l'azioni'» sceglie la strada del concreto, della testimonianza.
    Come lavorare nei gruppi giovanili ecclesiali? Soprattutto in quelli formati da «adolescenti», da coloro cioè che più di tutti sono nell'occhio del ciclone dei cambi culturali?
    Rispondiamo, «raccontando» quello che l'Azione cattolica di Brescia ha fatto (nel testo di D. Sigalini). Si tratta di una serie interessante di realizzazioni e di prospettive di intervento: un quadro concreto, capace di stimolare l'inventiva di tutti gli operatori pastorali.
    Ci si accorge subito che non può essere riportato alla lettera nelle proprie situazioni.
    Troppi particolari sono «locali». Ma con un pizzico di creatività pastorale, il discorso tiene, dovunque. Esso traduce molto bene le istanze educative e pastorali su cui abbiamo riflettuto nelle pagine precedenti.
    Per facilitare questo lavoro di trasposizione operativa, offriamo anche una
    «griglia di confronto». Essa rappresenta i nodi sui quali ogni gruppo dovrebbe confrontarsi: quei punti caldi che vanno risolti in modo riflesso e consapevole, per evitare che travolgano l'esperienza, trascinandola verso le secche dell'involuzione o della stanchezza.
    Sono un «esame di coscienza» per i gruppi che desiderano restare «vivi». Quando i problemi non sono chiari o gli sbocchi sono diversi, il gruppo può allargare la sua riflessione, mettendosi a studiare. Le pagine di questo dossier e la bibliografia che accompagna la «griglia», suggeriscono riferimenti seri e accessibili.


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