Pastorale Giovanile

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    Quale Centro Giovanile



    Marco Finoglietti

    (NPG 1978-06-45)


    Oggi è facilmente rilevabile nell'area giovanile la spinta a creare e a cercare spazi di aggregazione sempre più numerosi che offrano all'individuo la possibilità di vincere l'anonimato e di giungere ad un tentativo di definizione della propria identità e del proprio ruolo in rapporto all'identità e ai fini del gruppo. In questi ambiti, spesso costruiti spontaneamente, il giovane va alla ricerca di quegli strumenti che gli permettano una socializzazione più adeguata e rispondente alle sue reali necessità rispetto alla socializzazione offerta dalle tradizionali istituzioni educative che in questo ultimo decennio stanno palesando una profonda crisi e non costituiscono più, per la maggior parte dei giovani, il terreno efficace di integrazione al sistema di valori della cultura dominante.
    A riguardo, uno dei fenomeni più significativi è costituito dalla proliferazione dei circoli giovanili e dalla sempre più frequente presenza dei giovani nei locali di ritrovo esistenti nel quartiere, quali il bar e la sede del comitato di quartiere come occasione di aggregazione e incontro al di là del momento specifico di lotta politica. La musica, un concerto diventano spazio aggregante.
    Le manifestazioni rivendicative, le assemblee studentesche hanno perso i connotati tipici dell'epoca che le ha viste nascere e si sono rivestite di una serie di istanze proprie dei momenti aggregativi a carattere ludico che spesso stravolgono, almeno per chi le osserva dall'esterno, il loro significato originario. Oggi si occupano le scuole per «stare con gli altri», «per fare della musica», per «discutere del caos della propria esistenza».
    A fianco di questa realtà assistiamo al moltiplicarsi di piccoli gruppi di amici che spesso sosti-
    tuiscono il ruolo socializzante della famiglia e della scuola e che offrono la possibilità di realizzare in concreto i bisogni individuali senza però incentivare l'ingresso impegnato nella società civile. Si prefigurano perciò, soprattutto come soddisfazione immediata dei problemi di gestione del tempo libero, rischiando fortemente l'abilitazione all'individualismo e al disimpegno nel quotidiano. Ancora possiamo verificare, anche alla luce di recenti indagini sociologiche, il ritorno massiccio di giovani alla presenza nei gruppi ecclesiali, senza poter attribuire al fenomeno dei significati univoci.
    Si tratta di un risveglio della coscienza religiosa o piuttosto di un bisogno di protezione o di una fuga dal mondo?
    Questa situazione unita ad un rapido evolversi delle istanze culturali ha determinato un lento ma continuo ripensamento delle tradizionali concezioni di «istituzione».
    A partire dai reali bisogni del giovane e dalle recenti riflessioni teologico-pastorali occorre dunque in concreto ripensare il ruolo degli oratori e dei centri giovanili gravitanti nell'area cattolica.

    IL CENTRO GIOVANILE NEL NUOVO RAPPORTO CHIESA-MONDO

    In ogni onesto progetto pastorale devono essere molto chiari due presupposti: quale rapporto chiesa/mondo è sotteso al progetto e, di conseguenza, la consapevolezza che ogni azione educativa contiene una concezione politica della realtà.
    Mi riferisco, addentrandomi nel campo educativo, al tipo di rapporto tra fede e vita che sorregge l'impegno pastorale della realtà «Centro Giovanile» che tentiamo di definire. L'obiettivo è quello di raggiungere una profonda «integrazione» tra i due elementi, evitando da un lato di confonderli arbitrariamente e dall'altro di tenerli separati a tal punto da renderli estranei l'uno all'altro.
    Se esiste tra fede e vita una distinzione, questa sussiste in vista di una autentica «integrazione». Significa, in altre parole, riconoscere al «profano» una sua serietà ed autonomia che va a trovare nella fede una radicale autenticità. La palese conseguenza è che la fede gioca tutte le sue carte nel quotidiano con la preoccupazione di non strumentalizzare la vita. In questa scelta è ripudiato ogni dualismo (fede contrapposta a vita, Chiesa a mondo) e ogni utilizzazione strumentale (il mondo per la Chiesa). La Chiesa è nel mondo per rendergli un servizio che è costituito dall'annuncio dell'evento salvifico dí Gesù Cristo.
    Questo servizio avviene nella logica dell'Incarnazione.
    Crediamo infatti nell'intrinseca dignità, aldilà di ogni sostegno «religioso», della «mondanità» e vogliamo annunciare Gesù Cristo «dentro» la vita quotidiana e gli interessi umani, perché egli è autenticazione dell'umanità e rivelazione del significato vero dell'umanità.
    La situazione che si era venuta creando aveva messo in crisi il rapporto tra «area religiosa» e «area ricreativa» dell'oratorio, causando un progressivo spostamento verso la concezione, da parte del giovane, dell'istituzione oratoriana come semplice ricreatorio. Vuoi perché la proposta di fede assumeva il sapore di tassa da pagare per ottenere la soddisfazione dell'esigenza di divertirsi; vuoi perché le «forme religiose» nelle quali veniva convogliata la proposta di fede erano qualche volta disincarnate e distanti dalla vita quotidiana del giovane.
    Quindi, da una parte la nuova condizione giovanile e la sua forte domanda di spazi concreti di aggregazione e dall'altra la reinterpretazione della presenza del cristiano nella storia a partire da una fede integrata nella vita, chiedono una «nuova» presenza.
    In questa ottica il Centro giovanile ha senso di essere, se si pone in atteggiamento di ascolto delle domande che provengono da tutto il mondo giovanile, se offre delle risposte non preconfezionate, ma scoperte insieme al giovane ed adeguate alla sua situazione storica.
    Dunque nella scelta pastorale delineata, il Centro giovanile diviene luogo di rimbalzo dei problemi esistenti nel territorio in cui il Centro è situato. I problemi, gli avvenimenti, le carenze, i bisogni del quartiere, diventano il terreno in cui il Centro va a radicare il suo servizio e la carne della vita che va a integrarsi con la fede. Il Centro giovanile ecclesiale entra quindi nella storia con una disponibilità all'ascolto, al servizio, alla collaborazione, facendosi carico dell'impegno di denunciare le situazioni che non promuovono l'uomo, riconoscendo in ogni fratello che soffre il Cristo stesso.
    Quali sono concretamente le direzioni che deve assumere la fede che va ad impegnarsi nella storia?
    La proposta del Centro deve essere duplice: il Centro stesso come luogo educativo e la vita normale, il quotidiano (scuola, famiglia, rapporti affettivi) del giovane.
    Ci sono evidentemente dei processi educativi che devono tenere conto della graduale maturazione dell'individuo nell'assunzione di impegni. Mi pare ormai chiaro che, se vogliamo educare ad una fede integrata nella vita, se questa «integrazione» chiama il credente ad un impegno serio nella storia per liberare l'uomo da tutto ciò che lo opprime e gli impedisce la sua realizzazione, è necessaria un'educazione all'impegno politico, un'educazione che si configuri come «liberatrice», che viene attuata nel Centro per abilitare ad una presenza seria negli ambienti normali di vita del giovane (scuola, fabbrica, organizzazioni politiche).

    AL SERVIZIO DEI GIOVANI

    I giovani sono perciò, all'interno del Centro, i soggetti e gli oggetti della «centralità» del progetto educativo. Essi imparano gli atteggiamenti fondamentali della vocazione al servizio, «facendo» concretamente un servizio.
    I giovani costituiscono il motore, il «centro», del sistema educativo. Sono, in un processo graduale, gli apprendisti della responsabilità «verso» gli altri e i responsabili «degli» altri.
    È importante che il giovane apprenda nel Centro ad offrire le sue capacità di servizio al più piccolo, al più povero di strumenti culturali, di difesa dai condizionamenti, al più bisognoso di educazione, di maturazione. Non si tratta solo di povertà «economica», ma di povertà nella qualità della vita.
    Per essere realmente al servizio del giovane, il Centro giovanile si dovrà configurare come luogo comprensivo di tutti gli interessi che il giovane coltiva. Questo può realizzarsi in un sistema estremamente aperto, senza discriminazioni emarginanti, che sappia modellare il suo servizio sui reali bisogni del giovane che si pone come utente delle sue strutture. È importante però che il Centro possieda un progetto educativo chiaro per qualificare il suo servizio come formativo. Un progetto articolato, a misura del giovane, non astratto, che incontri la libertà e la maturazione dell'individuo e si plasmi tenendo conto delle reali tappe di crescita fisica e psicologica, delle sue concrete e quotidiane condizioni di vita, del suo retroterra culturale.
    Inoltre è indispensabile evitare una conduzione verticistica e dirigenziale delle attività, perché finalmente il giovane possa imparare la corresponsabilità e sentirsi in prima persona il responsabile delle iniziative. È evidente che negli educatori deve essere presente una notevole dose di fiducia e di ottimismo nel giovane, nelle sue capacità creative, uniti alla consapevolezza di dover operare più nella «provvisorietà» che nel «definitivo».

    IL CENTRO GIOVANILE COME AMBIENTE EDUCATIVO

    La maturità del giovane trova compimento quando egli è in grado di elaborare un chiaro progetto di sé in cui la fede funga da principio di risignificazione globale. In altri termini deve essere abilitato a costruire un'immagine di sé in cui si riconosce, a ricondurre ogni esperienza in un quadro di valori sistemati secondo priorità che offrono il giusto significato all'azione compiuta o in via di compimento, a gestire una serie di strumenti adeguati alla sua autorealizzazione. Ora questa integrazione tra fede e vita, a cui vogliamo educare, passa attraverso processi pedagogici e strutture concreti, non affermati astrattamente.
    Le strutture hanno un peso educativo notevole, perché danno spessore alle modalità di progettazione, le vivificano perché sempre al loro interno fanno emergere un modello rispetto ad un altro. Sono altresì determinanti nel provocare o meno la scollatura tra fede e vita.
    Il Centro giovanile educa attraverso i muri», i locali, le bacheche, i cartelloni, il modo di impostare un'attività o un gioco, gli orari in cui cadono gli impegni.
    Le strutture «fisiche» non sono mai neutrali. In ogni architettura sono travasati un'ideologia, un modo di pensare, una graduazione dei valori. Il Centro giovanile realizza dunque la dimensione educativa innanzitutto come «struttura» attraverso la quale è proposta una integrazione tra fede e vita. In questa premessa deve prendere vita una preoccupazione costante della comunità degli educatori: dare consistenza o eliminare tutti gli elementi che contribuiscono a creare il «clima» educativo.
    Proviamo ad esemplificare. Se in un Centro giovanile che si prefigge come mèta educativa l'integrazione tra fede e vita, si attua uno spazio di aggregazione intorno all'interesse sportivo, utilizzando per questo parecchio tempo libero del giovane, si verifica un soffocamento di altri momenti forti della sua vita, quali, ad esempio, l'impegno nella scuola o i rapporti familiari. Senza contare che verrebbero compresse e minimizzate le proposte di fede. In questo caso siamo di fronte ad un esplicito impoverimento di alcuni valori a vantaggio di altri attraverso i modi di condurre le strutture.
    Sempre a questo riguardo, nel Centro, gli animatori e gli educatori hanno importanti responsabilità verso i gruppi e le persone che animano. I giovani raggiungono un maturo progetto di sé in virtù di un raffronto con i modelli, esistenti accanto a loro, presenti e indicanti «una realizzazione di se stessi».
    Questa presenza è molto importante perché ancora una volta impedisce al processo educativo di compiere delle fughe verso «l'astratto». Il rischio è quello di proporre modelli lontani, irraggiungibili, che si trovano sempre ad un palmo dal naso del giovane, il quale insegue invano. Non è sufficiente però, costruire un clima propositivo di valori. Le agenzie che oggi, manifestatamente o celatamente, cercano di proporre valori sono numerosissime e per condurre il giovane ad una libera autorealizzazione occorre educarlo alla criticità di fronte ad ogni proposta. Anche in questo caso le strutture ambientali possono accelerare o frenare l'educazione allo spirito di osservazione e di critica. Dipende dalla quantità di conformismo o di libero confronto esistente all'interno, dal peso che si attribuisce a determinanti impegni rispetto ad altri, dalla gestione democratica o autoritaria dei gruppi.

    IL CENTRO GIOVANILE IL MOMENTO GIOVANILE DELLA CHIESA LOCALE

    Non è possibile vivere una seria esperienza di fede se non dentro un'esperienza ecclesiale, e in questa esperienza è necessario non prescindere dalla dimensione di chiesa locale. La Diocesi e la comunità parrocchiale sono le prime interlocutrici dell'inserimento del Centro nella chiesa. E una scelta qualificante per il Centro, che parte da una intrinseca necessità di educare alla fede, necessità che va riempita di contenuti peculiari. Si tratta di un reciproco rapporto arricchente: il Centro immette la sensibilità giovanile nella parrocchia e assume da essa le scelte pastorali e lo stile «ecclesiale».
    In questo modo si riduce il rischio di costruire una «chiesuola» per i giovani, senza reale confronto fra posizioni pluraliste, si chiede al giovane un inserimento profetico nella comunità dove egli è chiamato a fare proprie le scelte della parrocchia e della diocesi senza però ricadere nella ripetitività di vecchie formule o schemi, apportando un contributo di spinta in avanti, di stile giovanile, di indicazione dei prioritari problemi pastorali emergenti nell'area giovanile. L'opzione è di «camminare insieme» a tutto il popolo di Dio per la costruzione del Regno, insieme alle vecchiette, ai poveri, ai diversi, agli emarginati, nella convinzione che gli «affari» della chiesa sono dei laici come dei preti.
    I casi concreti segnaleranno le modalità concrete di presenza, con la consapevolezza che la verità è un mosaico, che non sta tutto nella tasca dei giovani, ma che è anche compito insostituibile dei giovani il comporlo. Sí tratta di convertirsi all'unità che è Gesù Cristo, il quale ci chiama con vocazioni diverse al servizio apostolico, dove gli interessi particolari vengono superati sotto l'urgenza di edificare il Regno di Dio.

    IL CENTRO E PRINCIPIO UNIFICANTE DI NUMEROSI CENTRI DI INTERESSE

    Il processo educativo che si vuole costruire deve tenere conto delle domande poste dal giovane. Non si educano tutte le persone allo stesso modo, senza tenere conto di un gradualità.
    Il Centro viene quindi smontato in molteplici piccole comunità educanti costruite a misura d'uomo. Possiamo identificare queste con i gruppi dove il giovane vive un'esperienza ecclesiale dentro i suoi interessi.
    Il Centro, per questo, deve essere attento a tutti gli interessi presenti nell'area giovanile, per costituirli occasione di crescita, di aggregazione, di incontro fra persone, di socializzazione.
    Se il Centro «sposa» gli interessi del giovane e attribuisce loro la serietà che contengono, diventano momenti di impegno attorno ai quali si costruiranno più o meno spontaneamente i gruppi.
    Il Centro giovanile non dovrà scavalcare l'esperienza di gruppo, essa diverrà il canale privilegiato dell'educazione alla fede, il luogo prioritario dell'evangelizzazione. Evidentemente la proposta di fede dovrà inventare il linguaggio preferenziale nel quale tradursi, in costante aggancio con l'esperienza vissuta dal giovane e con le caratteristiche proprie dell'età, della sua vita familiare, professionale.
    Per evitare che una delle esperienze di gruppo si assolutizzi occorrerà programmare momenti comunitari di tutto il Centro per una verifica-confronto dell'impegno vissuto, per permettere una maggiore circolazione dei valori, nella convinzione che ogni gruppo ha un contributo suo specifico da offrire al grande progetto educativo della comunità giovanile tutta.

    IL CENTRO GIOVANILE EDUCAZIONE AD UN PASSAGGIO DA UNA APPARTENENZA AD UN RIFERIMENTO

    Il Centro giovanile non tende a conservare all'interno. L'impegno non è di cambiare il Centro, ma il mondo. Un'istituzione educativa che si proponesse di accattivare tutta all'interno la vita degli individui sarebbe una contraddizione nei termini.
    Il luogo dell'impegno è il Centro, il gruppo, ma nella prospettiva di abilitare il giovane all'impegno nel quotidiano.
    Nella prima fase il giovane appartiene, «è» di un gruppo. Già in questo procedimento si deve creare un contrappeso evitando che il gruppo divenga un'isola felice e sorda aí valori emergenti dagli altri gruppi.
    Dunque è importante strutturare uno spazio di riferimento, inteso come collegamento fra i gruppi, confronto sulle scelte educative ed operative, momento di qualificazione sui grandi temi della fede, dibattito e approfondimento della realtà politico-sociale.
    Il Centro giovanile sarà perciò promotore di una proposta di appartenenza e partecipazione «interna» che tenga conto della maturità raggiunta dai singoli. In altre parole, per i preadolescenti e gli adolescenti, il Centro si configurerà come il luogo dove essi trascorrono la maggior parte del tempo libero. Per il giovane invece, si tratta di vivere questo tempo come «tempo impegnato» nell'impegno per la liberazione che si svolge fuori dalle strutture del Centro.
    Il Centro, per quest'ultimo, non perde il suo aspetto educativo, ma si trasforma da luogo di appartenenza a momento di riferimento culturale: spazio di verifica della propria identità, di confronto con amici provenienti da luoghi di impegno diversi, di esplicita celebrazione di fede e di esperienza ecclesiale.
    Dunque il Centro deve possedere un'attenta elasticità nel comporre e poi smontare le proposte, adeguarle all'età per offrire un progressivo cammino, con opportuni sostegni, dall'appartenenza al riferimento.
    Per la sopravvivenza stessa del Centro sarà necessario assicurare il ricambio degli animatori, per permettere la continuità educativa del progetto. L'impegno educativo nel Centro costituirà per questi giovani il loro impegno nel quotidiano. Saranno costoro a continuare il processo di educazione delle potenzialità creative e costruttive dell'individuo perché sappia vivere «fuori» in collaborazione con gli altri uomini, l'impegno politico in una prospettiva di cambio e liberazione delle strutture, della qualità della vita, della cultura.
    L'importante è salvaguardare la presenza di entrambi i modelli, in un giusto dosaggio.

    EDUCARE ALLA FEDE ALL'INTERNO DI UN PROCESSO DI UMANIZZAZIONE

    Mi pare si sia ormai largamente delineata la scelta di fondo che sta dietro a tutta l'impalcatura: l'urgenza di partire dalla realtà nell'elaborazione del progetto pastorale di educazione alla fede.
    Abbiamo già più volte accennato alla necessità di un Centro giovanile aperto a tutti i giovani e a tutti i loro interessi.
    L'apertura reale non si realizza solo perché il portone di ingresso è aperto, ma nel senso che tutti possono trovare uno spazio di realizzazione e di accoglienza, un annuncio di salvezza e un'educazione alla fede aderente alla loro vita. Si tratta di impostare una metodologia pastorale che sia capace di «aprire a tutti» la possibilità di una autentica esperienza di fede, tenendo conto dei livelli di fede e della libertà degli individui.
    Non è sufficiente dunque fermarsi all'accoglimento dell'autonomia e dell'importanza delle attività umane; occorre lavorare per giungere ad un esplicito annuncio di salvezza dentro una esperienza ecclesiale.


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