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    La maturazione alla fede in «Comunione e Liberazione»



    Primo Soldi

    (NPG 1976-07/09-47)

    IL METODO DI CL

    Nell'Italia di oggi CL si pone come un vasto e complesso ambito di evocazione e di educazione ad una vita di fede ecclesiale; non ad una fede vissuta individualisticamente ed intesa come sistema astratto di pensiero o come complesso di riti a cui partecipare. La fede è il riconoscimento della presenza del mistero di Cristo fra gli uomini, che trova un suo segno visibile nell'unità dei credenti. Come maturare in questa fede è quindi la massima preoccupazione che ci muove e che tiene vigilanti le nostre comunità. Se segno di maturità nella vita è la capacità di generare, noi tendiamo a educare delle personalità ecclesiali. Questo è il compito precipuo delle nostre comunità: quello di essere ambito sempre più docile e favorevole a che lo Spirito del Signore susciti veri testimoni, autorevolezze sempre più valide e numerose.
    Il metodo che seguiamo per una maturazione della fede si fonda essenzialmente su tre fattori, strutturalmente legati l'uno all'altro, che si svolgono dentro una «storia» personale, comunitaria e sociale.

    L'incontro

    I giovani sono facilmente preda dell'intellettualismo o della loro psicologia, quando si avvicinano alla fede. Seguirli in questa loro tendenza vuol dire contribuire a «ridurre» l'incontro con la fede. Il cristianesimo
    non sopporta d'essere ridotto a ideologia, perché è un fatto, un evento o avvenimento, sperimentabile, palpabile e da tutti incontrabile: «Ciò che era da principio, ciò che abbiamo udito, ciò che abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che contemplammo e le nostre mani palparono intorno al Verbo della vita...» (1 Gv 1,1 ss.). Se questo è il contenuto del «fatto cristiano», il metodo deve rispettare la medesima dinamica del contenuto: non può che essere un «incontro». Non un incontro con un discorso o con una serie di problematiche intellettuali o psicologiche, ma con un luogo in cui vive Cristo, oggi come duemila anni or sono.
    CL è nata dall'esperienza di un incontro che colpì fortemente l'animo di don Giussani, nell'estate del 1954. Desidero riportarlo qui.

    «.. recandomi sul litorale adriatico per un periodo di vacanza, durante il viaggio in treno parlai per caso con alcuni trovandoli paurosamente ignoranti della Chiesa. Ed essendo evidentemente costretto – per lealtà, per sanità d'animo –ad attribuire a tale ignoranza il loro disgusto e la loro indifferenza per la Chiesa stessa, pensai allora di dedicarmi alla ricostruzione di una presenza cristiana nell'ambiente studentesco...».

    Così don Giussani chiese ed ottenne la cattedra di insegnamento della religione al liceo «G. Berchet» di Milano.

    «...fermavo i pochissimi studenti con il distintivo dell'Azione Cattolica o degli Scouts, che incontravo durante gli intervalli nei corridoi o sulle scale e chiedevo loro esplicitamente: – Ma voi credete davvero in Cristo? –. Mi guardavano interdetti, e non ricordo che uno solo mi abbia risposto «sì» con la spontaneità caratteristica di chi ha dentro di sé una vera radice di fede. E un'altra domanda che facevo a tutti, i primi tempi, era: – Secondo te, il cristianesimo e la Chiesa sono presenti nella scuola, hanno un'incidenza nella scuola? –. La risposta era quasi sempre stupore o sorriso».

    Da episodi fortemente contingenti, ma colti con animo attento è nata CL:

    «... dopo non molto tempo che ero diventato insegnante di religione al Berchet, avevo notato che durante l'intervallo, su uno dei pianerottoli delle scale del liceo, si riuniva un gruppo di ragazzi, che parlavano fra loro, molto affiatati e infervorati, ogni giorno sempre gli stessi. La loro costante amicizia mi aveva positivamente impressionato. Avevo allora chiesto chi fossero e mi era stato risposto: "I comunisti". La cosa mi aveva colpito. Mi domandavo: "Ma come mai i cristiani non sono almeno altrettanto capaci di quell'unità che Cristo indica come la più immediata e visibile fra le caratteristiche di chi crede in Lui?". Così un giorno dopo le lezioni, me ne tornavo a casa rimuginando questo fatto, tutto incollerito per questa incapacità di essere fedeli a se stessi, e alla propria fede, che i cristiani presenti nel liceo dimostravano così clamorosamente. Per strada – potrei citare il nome della via – raggiunsi quattro ragazzi che parlavano fra di loro. Li interpellai e chiesi loro: "Siete cristiani?". "Sì", mi risposero un po' straniti dalla domanda inaspettata. "Ah, siete cristiani", risposi io, "E in scuola che si accorge che lo siete? Nelle assemblee dell'associazione studentesca sono presenti e lottano soltanto i comunisti e i monarco-fascisti; e i cristiani?". La settimana dopo, questi quattro si presentarono in assemblea e fecero un loro intervento cominciando con queste parole: "Noi cattolici...". Da quell'istante nella scuola non ci fu argomento più infuocato che Chiesa e cristianesimo» («Comunione e Liberazione «, interviste a Luigi Giussani, Jaca Book, 1976).

    Come è successo vent'anni fa, così anche oggi, il nostro primo obiettivo è far scattare in qualsiasi ambiente la dinamica dell'incontro tramite la proposta a vivere immediatamente un rapporto, un'amicizia o «riconoscimento», in modo tale che si ricuperi l'adesione al cristianesimo come ad un avvenimento concreto che interessa tutta la vita. Il mondo ecclesiastico ha insistito per troppo tempo nel tentativo di iscrivere i giovani nelle associazioni, mentre non si è impegnato con dovuta decisione in un vero e proprio annuncio del fatto cristiano, come proposta di vita, sfrondato da tutto ciò che è contingente e secondario, per farlo emergere nella sua essenzialità. Abbiamo cominciato così: parlando di Cristo; cercando di affrontare tutti i problemi a partire da un punto di vista cristiano; mettendoci insieme in vista di tale progetto. Dunque niente di élitario né di intellettualistico, ma piuttosto una preoccupazione innanzitutto esistenziale.

    La nuova coscienza

    Il secondo fattore su cui poggia la nostra pedagogia è l'educazione ad una coscienza nuova di sé. L'avvenimento cristiano produce infatti un cambiamento totale dell'uomo, espresso dalle immagini neotestamentarie di «rinascita», «nuova creazione», «sangue nuovo», «generazione nuova». Queste affermazioni non sono un modo dire, ma esprimono la realtà nuova che è il cristiano. Ma un nuovo modo di essere implica, produce, genera un nuovo modo di vedere, giudicare, sentire e percepire noi stessi,
    gli altri e i problemi che ci circondano. Nel nostro linguaggio usiamo sovente la parola «autocoscienza» per esprimere il fatto più della vita del cristiano. Questo secondo fattore è molto importante da capire; l’individuo non si identifica con la comunità, non è massificato, ma immanendo alla vita della comunità assume una diversa concezione di sé. Se questo tragitto è esatto, l'esito è la scoperta della propria vocazione, nella Chiesa e per la Chiesa. Il frutto più maturo dell'esperienza di CL non è un’aggregazione numerica di quadri associativi, ma la conversione personale, la riscoperta di vocazioni personali. Tra noi c'è chi è diventato prete, chi ha scelto la clausura, chi la famiglia e chi la verginità nel mondo. L'esito di CL è una qualità diversa di vita eminentemente personale. Mi pare importante sottolineare, in un momento di crisi generale delle vocazioni, la quantità e la qualità delle vocazioni che sorgono nel nostro movimento. Abbiamo centinaia di giovani presenti negli ordini di clausura, decine di preti, centinaia di famiglie che concepiscono la loro presenza in un quartiere come un «insediamento», cioè una realtà stabile e adulta di condivisione della vita della gente. Ma questo frutto maturo del movimento è determinato da una pazienza estrema a vivere i gesti che producono nell'uomo la nuova coscienza di ciò che egli è: dall'assemblea settimanale di riconoscimento o raggio, alla scuola di comunità, alla partecipazione pressoché quotidiana all'eucaristia, alla preghiera comune, alla condivisione dei soldi, al lavoro culturale e politico. Su alcuni di questi gesti, esemplificativamente ritornerò tra poco. Per ora mi preme sottolineare il nostro tentativo di non far aderire meccanicamente e sbrigativamente a una struttura, ma di aiutare a riviverla personalmente: è il concetto di testimonianza. Questo accento convinto sulla libertà non va comunque frainteso con un relativismo pratico o teorico; tra noi non si dice mai che ognuno può fare a modo suo, perché sarebbe contraddire l'oggettività del fatto cristiano. Più si aderisce – potremmo dire si obbedisce – all'incontro storico con la comunità, vivendone consapevolmente i gesti, e più si afferma con il tempo e secondo le condizioni, che non siamo noi a fissare, una personalità nuova, libera e gioiosa. La vocazione è proprio il ritrovarsi di una personalità nel mondo, il suo esprimersi, lieto e consapevole. Tra noi c'è gente contenta, gente che si sente al suo posto.

    L'impegno e il dono dell'unità

    La nostra pedagogia porta fino alle estreme conseguenze la logica del sacramento. Nella misura in cui il cristiano vive una coscienza nuova di sé (vivo non io, vive in me Cristo), produce anche un'esperienza qualitativamente diversa, così che «pur vivendo nella carne, vive nella fede del Figlio di Dio». Nelle nostre comunità è finito per sempre il distacco tra il contenuto religioso e il contenuto naturale della vita. Non c'è un salto di qualità tra il momento della preghiera e quello del mangiare insieme, del giocare o studiare insieme. Ciò che conta è che la vita normale della persona sia accolta nella struttura pedagogica della comunità. Nelle nostre comunità c'è una pratica così consapevole dell'unità, che davvero sperimentiamo sempre più vere le parole di San Paolo ai Galati: «non conta più l'essere giudeo o greco, schiavo o libero, uomo o donna; poiché tutti voi siete un essere in Cristo Gesù». Se l'unità è anzitutto un dono fatto alla creatura nuova, ne consegue un impegno a viverla e a manifestarla in tutti gli ambienti e a tutti i livelli. t questa pratica vissuta dell'unità che genera nelle nostre comunità anche una «morale diversa», segno di una qualità di vita diversa.
    Può darsi che le bombe, le calunnie, la strategia dell'intimidazione a cui sono quotidianamente sottoposte le nostre comunità, ne riducano la portata numerica; ma anche se ciò non dovesse avvenire, abbiamo la consapevolezza di proporre oggi una vita radicalmente diversa da quella che favorisce la morale corrente. D'altra parte è esattamente quello che capitava ai primi cristiani: erano segnati a dito da tutti.
    Una osservazione circa la gradualità del nostro metodo. Se la maturazione della persona nella comunità avviene con gradualità, ciò significa un impegno a facilitare il compito, a concretizzare sempre di più l'incontro della persona con l'oggettività del fatto cristiano. Non significa assolutamente la preoccupazione che taluni hanno di graduare l'oggettività (ad es. non dire subito «Cristo», ma dopo qualche tempo...).
    A un ragazzo di 15 anni si propone l'annuncio nella sua globalità, come alla persona di 30 anni, perché lo spessore della personalità che si rapporta con l'avvenimento cristiano a 15 anni è identico come a 40. La gradualità non deve sottacere la globalità e surrogare l'oggettività della proposta di vita cristiana con una serie di iniziative psicologiche o intellettuali, come in buona parte avviene ancora oggi.

    PER UN IMPEGNO DI EVANGELIZZAZIONE E DI PROMOZIONE UMANA

    Non è facile delineare i gesti o momenti forti della vita di CL, dal momento che, come ho accennato sopra, riguarda tutta la vita della persona; tuttavia mi limito a descrivere brevemente i punti salienti del nostro metodo.

    L'assemblea di riconoscimento o raggio

    In pratica essa ha luogo secondo queste modalità: ogni settimana viene preparato un ordine del giorno in cui si richiama brevemente con un passo della Bibbia o altro testo un problema rilevante nella vita del singolo o della comunità. L'o.d.g. di solito viene distribuito anche ai compagni o colleghi, invitandoli a partecipare a quel gesto assembleare. Durante la riunione poi si è invitati a confrontare la propria vita con quelle domande. Alla fine, per dieci minuti, la persona più matura che guida l'assemblea fa una sintesi degli interventi, tesa a costituire una risposta completa al tema all'ordine del giorno. Il punto di riferimento del raggio è la realtà della Chiesa nella sua concretezza esistenziale e storica così come si riflette nell'esperienza della persona e della comunità; è anche un ottimo aiuto alla disintossicazione psicologica della persona, una specie di psicoterapia di gruppo fatta alla buona, perché nulla è più liberante che mettere in comune la proprie esperienze, gioie e fatiche , in una dimensione sempre positiva e stimolante la persona all'impegno e all'accettazione di sé. Il raggio dunque è il momento forte nella vita di CL; ma la vita dei ciellini non si risolve in quell'ora settimanale. Ciò che anzitutto caratterizza la nostra esperienza è una intensa vita di preghiera.

    La Liturgia

    L'uso delle «Ore» del Breviario (sia pure in forma ridotta) sta diventando un fenomeno di massa col moltiplicarsi delle nostre comunità; così la vita sacramentale, il ritorno alla messa e alla comunione quotidiana, si va affermando sempre più stabilmente. Le nostre assemblee liturgiche sono sempre animate da canti nati dall'esperienza della conversione di una intera generazione fervida di cantautori religiosi. Moltissime loro composizioni vengono cantate oggi in tante chiese d'ogni parte d'Italia senza che nessuno o quasi ne sappia l'origine, e quindi spesso senza che se ne colga il valore profondo.

    La scuola di comunità

    Lo strumento principale del nostro lavoro di evangelizzazione, perciò del richiamo alla parola di Cristo, è la cosiddetta «scuola di comunità». Essa è uno strumento catechetico capillare: il tema che ogni anno la Conferenza Episcopale Italiana propone alla meditazione di tutti i cattolici del nostro paese, viene articolato in lezioni raccolte in opuscoli appositamente stampati. Ognuno è invitato a meditarle quotidianamente, mentre nell'assemblea settimanale ogni gruppo si impegna – con l'apporto di tutti i suoi membri – ad applicare quanto vi si annuncia e vi si richiama alla vita personale e di gruppo, come pure alle circostanze socio-politiche in cui si situano il gruppo stesso in particolare o più generalmente il paese o il mondo in cui si vive.

    La cultura

    Un serio impegno culturale caratterizza la vita del nostro movimento; basti pensare al nostro istituto universitario di studi sulla transizione (ISTRA) e la casa editrice Jaca Book. Intendiamo la cultura come riflessione critica e sistematica sull'esperienza attuata. Il fattore determinante, genetico di una cultura cristiana è Cristo; non siamo integristi perché non abbiamo mai negato la necessità delle mediazioni.
    Pur non potendo qui sviluppare questo tema accenno semplicemente alla necessità che una esperienza di fede sia motivata di fronte alla coscienza di chi la fa e all'ambiente circostante, altrimenti prima o poi si vanifica in una esperienza esclusivamente cultuale o sentimentale.
    Per noi la riflessione critica e sistematica sull'esperienza che andiamo facendo è di vitale importanza e credo che costituisca la ragione del crescere della maturità della fede a livello adulto.

    L'impegno socio-politico

    Nella nostra comunità ci educhiamo a quanto deve stare al fondo di qualsiasi impegno politico-sociale che non voglia risolversi in forme di moderno fariseismo, o di sfruttamento ideologico: cioè la gratuità dell'amore. Il concetto di condivisione sta alla base del nostro modo di affrontare il problema del rapporto con l'altro e con i suoi bisogni, di cui l'impegno politico e sociale non è che una conseguenza.
    La priorità data alla condivisione è un riflesso pratico della nostra tesi secondo cui non si può conoscere partendo da una analisi. Una tesi di questo genere è certamente in contraddizione con la cultura oggi predominante, la quale ispira e giustifica un forte distacco tra soggetto e oggetto, tra funzione e funzione; tra lavoro e lavoro; si scontra ugualmente con tutti quei progetti culturali e politici secondo cui la liberazione dovrebbe essere calata dall'esterno – e se necessario a forza – sulla vita reale degli uomini, ovvero come si usa dire in un modo astratto ed impersonale, sulle «masse». Oggi infatti, come dice Eliot, «per fuggire dal buio esterno ed interiore, si sognano sistemi talmente perfetti da rendere inutile all'uomo essere buono»: e questo è un modo (peraltro privo di reali prospettive) per eliminare la persona umana ed il suo giocarsi nella situazione. Tutto quanto detto sin qui non è certo inteso come alternativa all'evidente necessità che si proceda a delle analisi, che in base ad esse si delineino degli schemi e quindi si tentino dei progetti razionali. Ciò che noi sottolineiamo, tuttavia, è quanto crea le condizioni perché ogni progetto d'intervento sia più avveduto, equilibrato, comprensivo e paziente fin dalla sua genesi; e, nello stesso tempo, meno appesantito dalla sua inevitabile meccanicità ed approssimazione.

    Una immagine coerente

    Da quanto detto risulta chiaro che la nostra vera immagine contrasta di gran lunga quella che possiede l'opinione pubblica, che cioè CL sia una grossa struttura organizzativa con una grande efficacia a livello politico. Questa immagine ci lascia molto a disagio. Noi chiediamo al Signore ed anche alla Chiesa di essere aiutati a comprendere il significato della fede e la sua incidenza nella vita: non abbiamo altro fondamentale desiderio se non questo. Ciò cui miriamo è il riconoscimento – poiché tale è la fede – della presenza del mistero di Cristo fra gli uomini, che ha una sua profondità insondabile, ma che trova un suo segno visibile nell'unità dei credenti. È il mistero profondo, cui accenna San Paolo nella lettera ai Galati (3,27-28), e che tocca la stessa ontologia dei cristiani, i quali sono fatti membra di un unico corpo, vero, reale anche se misterioso: il Corpo di Cristo (Sant'Ilario di Poitier parlava a riguardo di una vera unità naturale tra noi cristiani). Questa unità misteriosa e reale, deve tradursi visibilmente e manifestarsi come tale nelle contingenze della vita dell'uomo. La comunione deve diventare esistenzialmente visibile e documentata. È in questo che si riassume tutto l'impegno e lo sforzo della vita della Chiesa.
    Tale unità, dunque, cercherà di trovare visibile espressione innanzitutto nel portare gli uni i pesi degli altri, nell'attenzione e nel perdono vicendevole (occorrerebbe ricordare in proposito le pagine stupende in cui San Paolo descrive questo ideale di vita comunitaria). Ma si esprimerà anche come ideale, tendenzialmente operante, di una genesi comune del giudizio non solo sulla propria vita, ma anche sui contenuti culturali, sociali e politici dell'esistenza comune, della vita civile. In questo senso, CL non è affatto soltanto né prevalentemente – come invece di solito appare dai resoconti sui giornali – una forma di militanza culturale e politica, e nemmeno consiste di una serie di grandi momenti di richiamo religioso staccati fra loro. Inoltre non ha mai mirato a coinvolgere e ad organizzare soltanto delle «élites culturali, politiche o religiose», cercando il contatto e la mobilitazione di massa solo in alcuni momenti in cui tale mobilitazione sembri decisiva. La sua dirigenza è così numerosa e obiettivamente di alto livello proprio perché nasce da un'esperienza di base, in essa vive e ad essa continuamente si rapporta.
    CL si rivolge a chiunque, e propone a chiunque voglia aderirvi un completo metodo quotidiano di vita. Il fulcro di questo metodo di vita (e quindi di esperienza educativa) è il costante riferimento e riconoscimento di un ambito comunitario: una comunità di quartiere, di fabbrica, o di scuola, talvolta composta solo di adulti, talvolta solo di studenti, o giovani lavoratori, spesso degli uni o degli altri. In questi gruppi, sotto la guida di un'autorità (che ovunque possibile si preferisce sia un sacerdote), tramite un'assemblea di solito settimanale si ridice la parola del Vangelo e ci si aiuta ad attuarla; si trova edificazione nella testimonianza dei fratelli; si discute dei problemi che si pongono e degli avvenimenti che accadono; ci si sollecita ad affrontare lealmente la fede; si progettano e si avviano opere comuni (è noto il grande e crescente impegno dei militanti di CL in campo cooperativo, con realizzazioni nei suoi più diversi settori); ci si impegna in una concreta trama di carità a soccorso di bisogni insoddisfatti non solo di membri del gruppo e del movimento, ma anche di chiunque sia stato incontrato; ci si richiama all'attenzione verso i fratelli lontani (tanto è vero che tutte le comunità di CL si sobbarcano solidarmente la responsabilità e l'impegno di alimentare con persone e con mezzi le esperienze missionarie in Brasile, in Uganda e nello Zaire, come pure di sostenere comunità cristiane si analoga ispirazione presenti nell'Europa orientale, dove la fedeltà a Cristo e alla Chiesa si paga a caro prezzo come i fatti incontestabilmente dimostrano). La vita del gruppo, ovvero della comunità, fa dunque realmente da orizzonte globale a tutta quanta l'attività delle persone, favorendone, sostenendone e valorizzandone qualsiasi forma espressiva. Quella di CL è pertanto una proposta che coinvolge la vita di tutti i giorni e la sua totalità. A differenza di altre grosse realtà sociali contemporanee, noi non ci limitiamo a mobilitare la massa soltanto in alcune grandi manifestazioni più o meno urgenti, spesso organizzate con il solo scopo di mantenere e verificarne il controllo, mentre poi la vita quotidiana della gente resta abbandonata. In tutti questi casi, l'esistenza di ogni giorno non viene invece coinvolta se non in modo indiretto e comunque acritico. In realtà resta un po' nebuloso, per lo stesso carattere inevitabilmente perentorio e rudimentale del tipo di comunicazione che è l'unico possibile in quelle circostanze. La mentalità che così viene a formarsi rende la persona disponibile alla sua invasione da parte di un potere abilmente strumentato, mentre la sua umanità rimane profondamente abbandonata e solitaria; quindi aperta ad altre strumentalizzazioni e ad altre invasioni, che sono poi di solito quelle della cosiddetta «industria culturale». La persona resta dunque divisa e dissipata tra l'adesione astratta ad ideologie soltanto verbalmente alternative e la concreta soggezione ai miti piccolo-borghesi del neocapitalismo e della sua cultura dei consumi forzati.

    COME SI PUÒ INCRINARE UN'ESPERIENZA DI FEDE

    Non sarebbe completo questo contributo, senza accennare alla reazione di rifiuto che molti hanno alla nostra proposta. Dico subito che quando uno abbandona la comunità cristiana adduce un'infinità di motivi, ma soprattutto tenta di mettere sotto accusa la comunità medesima. Il vero motivo, tuttavia, – come ci insegnò la crisi che nel '65 colpì GS è una «crisi di fede», cioè una riduzione della globalità dell'esperienza che viene proposta, al punto di vanificarla. Perché? Ciò che può incrinare la nostra concezione di vita ecclesiale è l'affermarsi di una mentalità in cui le categorie dell'autorità e dell'unità vengono intese in modo labile e generico. La libertà personale, ovvero l'autonomia della coscienza, vengono metodologicamente privilegiate. Questo «slittamento verso l'autonomia di giudizio» avviene in chiunque abbandona un cammino di fede seriamente iniziato e non approda mai ad una scelta di fede più consapevole, ma ad una vita più borghesemente comoda o ad un impegno politico, attivisticamente inteso. Questi fatti non si verificano solo all'interno della nostra esperienza, ma ovunque nella Chiesa.
    Oggi, l'educazione all'impegno generoso, con tutto ciò che appare giusto, attira la stragrande maggioranza dei giovani, che pongono l'accento su una concezione secondo cui il cristianesimo è inteso come una forma di impegno morale e sociale. Così facendo perdono di vista la natura specifica del fatto cristiano e finiscono inevitabilmente per riporre la loro speranza nell'azione e nell'organizzazione dell'uomo e non nel gesto gratuito con cui Dio ha scelto di entrare nella storia.
    Ho voluto aggiungere questi accenni per capire e spiegare il fenomeno della «crisi di fede» nei giovani, che nasce sempre da una fede rimasta bambina e che non sa più riconoscere i valori. Là dove questi valori sono continuamente richiamati con precisione e con metodo, le crisi e le fughe sono molto rare. Da questo punto di vista le nostre comunità hanno una stabilità grande, per lo sforzo che facciamo continuamente di «interiorizzare» l'esperienza della vita cristiana.

    CONCLUSIONE

    Infine mi preme sottolineare la condizione più importante nel cammino di maturazione alla fede dei nostri gruppi: noi non crediamo in ciò che noi stessi facciamo, ma nel mistero della presenza di Cristo fra noi e nella Chiesa. Questa è tutta la nostra forza e la nostra ricchezza. Ed è questa fede che fa tollerare noi a noi stessi; che non ci fa scandalizzare dei nostri difetti. La fede nella misericordia di Dio ci mette al sicuro da ciò che altrimenti tutto dissesta e getta nella disperazione, ossia lo scandalo dei propri limiti.
    Ci siamo sempre ribellati ad una impostazione associativa di CL, perché desideriamo soltanto che rimanga un ambito di evocazione alla fede, vissuta nella vita tradizionale della Chiesa. Lo scopo, quindi, è che della gente maturi alla fede, non che riesca questo o quel progetto. Potrà sparire l'etichetta CL quando sarà raggiunto lo scopo che ci prefiggiamo: che la fede sia vissuta da più gente possibile e che riacquisti una incidenza nella vita del popolo.


    T e r z a
    p a g i n A


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