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    Teologia della preghiera a dieci anni dal Concilio



    Joseph Aubry

    (NPG 1976-06-7)

    Pare importante, oggi, col rifiorire di molte iniziative di preghiera ricuperare alcune linee teologiche, specifiche, della preghiera cristiana perché nell'opera educativa il preadolescente venga avviato ad una autenticità del suo incontro col Padre, per mezzo di Gesù Cristo nello Spirito Santo. Entro questo preciso progetto si muovono le proposte ideologiche che seguono.

    LA TEOLOGIA DI FRONTE ALLE NUOVE ESPERIENZE DI PREGHIERA

    Ricerca e rinnovamento attuale

    Il Concilio Vaticano II ha parlato abbondantemente della parola di Dio e della preghiera liturgica nelle due Costituzioni Dei Verbum e Sacrosanctum Concilium. Ha parlato poco della preghiera extra-liturgica. Questa, tuttavia, è in pieno movimento di ricerca e di rinnovamento, e a questo fatto vedo due ragioni principali.

    Due ragioni del rinnovamento

    In primo luogo, l'insieme della dottrina conciliare e l'insieme delle riforme intraprese dietro decisione del Concilio hanno avuto una profonda ripercussione sulla preghiera dei cristiani. Non è difficile capire questo. In particolare prendiamo coscienza di questo fatto straordinario, unico nella storia della Chiesa: tutte le celebrazioni liturgiche sono state ufficialmente rinnovate: eucaristia, altri sacramenti, liturgia delle ore, anno liturgico...; in collegamento con quest'altro fatto fondamentale: il primo posto ridato alla parola di Dio. È chiaro che con tutto questo viene ricentrata e alimentata tutta la preghiera privata.
    La seconda ragione del rinnovamento della preghiera è di un altro tipo. È un fatto inaspettato, di cui molti si sono meravigliati: senza aspettare che la riforma liturgica venga messa a posto, e piuttosto fuori di essa, ecco sorgere, proprio nella nostra società tecnicizzata e secolarizzata, una specie di sete di preghiera e una quantità di esperienze nuove e varie di preghiera. Nel deserto stesso l'acqua viva zampilla; e un fatto notevole è che i giovani non sono gli ultimi a venire a dissetarsi.
    Fuori e dentro la Chiesa cattolica, c'è tutta la corrente carismatica ufficialmente incoraggiata dalla gerarchia degli Stati Uniti nel 1969, e a più largo raggio, l'anno scorso, dal Papa stesso, durante il Congresso internazionale tenuto a Roma per la Pentecoste. È caratterizzata, nella linea dei «risvegli» protestanti, da una certa importanza data alla ricerca di un'esperienza religiosa sensibile, l'«effusione dello Spirito», favorita dal fervore spontaneo dell'assemblea di preghiera.
    Poi c'è il sorgere dei centri o scuole di preghiera, delle case di preghiera, e più tipicamente ancora dei gruppi di preghiera: un numero ristretto di cristiani si riuniscono regolarmente proprio per pregare; questa preghiera libera conduce allo scambio spirituale, poi spesso all'aiuto spirituale reciproco. Il pellegrinaggio rinnovato provoca l'apparizione di gruppi di preghiera occasionali: un fenomeno come quello di Taizè, dove tanti giovani ritrovano il gusto della preghiera, potrebbe essere considerato come un pellegrinaggio di tipo nuovo.

    Alcune caratteristiche del rinnovamento

    Certe caratteristiche sono da rilevare. Ad esempio si fanno incontri di preghiera aconfessionali o interconfessionali. Colpisce l'attrattiva esercitata dalle mistiche orientali (India soprattutto), e in particolare dalle loro tecniche di raccoglimento e di interiorizzazione, in vista della meditazione e dell'esperienza spirituale: yoga, zen buddista... Gli europei si fanno pellegrini nell'India; e cosa più nuova, swani induisti o monaci buddisti vengono ad aprire «scuole di meditazione» nelle capitali dell'Occidente. Altro fenomeno, legato ai precedenti: un certo numero di cristiani che pregano sinceramente tendono ad un tipo di preghiera ispirato dalla «religiosità» e non più dalle esigenze interne della fede cristiana-ecclesiale. Al limite viene il rigetto di ogni struttura ufficiale. Infatti parecchi cristiani trovano insufficiente o ancora inadatta la riforma liturgica conciliare... e a poco a poco vengono a galla certe domande significative.
    È normale sottomettere la preghiera alla disciplina sia dell'obbligo (Dovete, devi pregare a giorni fissi, a ore fisse...), sia delle formule prefabbricate? Essa non dovrebbe essere più spontanea e inventiva, in modo tale che il cuore e le disposizioni interiori assicurino la sua «sincerità», senza ricorrere a degli automatismi che somigliano a dei «trucchi»? Tante celebrazioni, anche nuove, sono artificiali! I riti sono ancora poveri, non-simbolici, cerebrali, rigidi, non festivi, fatti davanti ad un'assemblea congelata (ad es. rito della pace). Le parole sono ancora inadatte, quasi vuote, «di un altro mondo», senza risonanza con il linguaggio ordinario. E l'insieme è lontano dalla vita concreta quotidiana, spesso tragica... pregare sembra un gioco facile.
    La conseguenza di questa contestazione è che un certo numero di cristiani, quando pregano ancora, costituiscono dei gruppi di preghiera fuori della Chiesa ufficiale, e inventano interamente la loro preghiera. Pretendono una fede «più pura», una preghiera «autentica» e più «vitale»... col rischio evidente di un soggettivismo radicale.

    Un problema posto alla teologia: di quale preghiera si tratta?

    Quest'insieme di fatti pone alla teologia della preghiera oggi una domanda di fondo, in parte nuova: qual è il suo rapporto con la preghiera non-cristiana e con quella che si potrebbe chiamare la preghiera semplicemente «umana»; e quindi qual è l'originalità della preghiera cristiana?

    Motivazioni non necessariamente cristiane

    Il desiderio di preghiera, che oggi si manifesta sotto forme diverse, viene spiegato a partire da motivazioni diverse. Certamente, per una parte, c'è una motivazione propriamente cristiana: quella di riscoprire che il Dio vivente di Gesù Cristo è presente tra di noi e che la fede in Lui non è solo un'adesione a delle «verità», ma un'esperienza vitale, anche se oscura: vogliono vedere, udire, toccare con le loro mani il Verbo della vita e il suo Padre, in una esperienza che manifesti la permanenza nella Chiesa del mistero della Pentecoste. Ma ci sono altre motivazioni che i cristiani condividono con i credenti di altre religioni (in particolare sotto l'influsso sempre rinascente dell'Oriente) e più largamente ancora con gli uomini che percepiscono il dramma dell'uomo della nostra civiltà minacciato di soffocazione. La ricerca della preghiera viene, da alcuni, dalla sofferenza di un uomo ridotto in briciole, che sente il bisogno di ritrovare la propria identità. In una civiltà dove la ragione, e soprattutto la ragione tecnica, è stata privilegiata, la ricchezza profonda dell'uomo è stata dimenticata, e la sua unità perduta. La ribellione selvaggia della sessualità, la fame di fraternità e di comunione, la fuga verso lo sconosciuto attraverso le immagini, la droga, i viaggi, le vacanze... sono, per una buona parte, fenomeni di protesta contro una ragione prepotente. Alcuni però capiscono che queste nuove forze sono anche capaci di distruggere l'uomo se egli non ritrova la sua unità profonda, unità che può solo essere il frutto di una conquista cosciente e di una disciplina personale. Ecco allora la «preghiera», un certo tipo di preghiera, che è raccoglimento, «ricomposizione» delle proprie forze, capacità ritrovata di percepire se stesso non più come un oggetto perduto tra altri oggetti, ma persona che si situa di fronte al mondo, agli altri, e a Dio stesso.
    Un'altra motivazione può ancora spiegare il ricorso attuale alla preghiera, e questa si ispira non più all'aspetto negativo della nostra società, ma a una sua esigenza positiva. L'umanità attuale si trova di fronte a un avvenire certo difficile, ma anche appassionante, con compiti grandiosi, con strade nuove da aprire con la percezione anche di immensi pericoli da superare. Alcuni allora, soprattutto in contrasto con le teorie pessimiste e disumanizzanti, intuiscono che questo nuovo mondo avrà bisogno di nuovi valori, bisogno di trovare un supplemento di significato... André Malraux ha predetto che il XXI secolo sarà «un secolo metafisico». Ora la preghiera mette in questo atteggiamento di ricerca fondamentale, e risale fino alla Fonte suprema di ogni significato: Dio.
    La conclusione di queste brevi costatazioni è la seguente: il movimento che porta oggi molta gente a pregare è complesso e ambiguo. Forse molte «novità» della preghiera attuale, anche cristiana, non sono altro che la riscoperta di una dimensione naturale fondamentale dell'uomo: quella contemplativa, o diciamo la parola, quella religiosa. Tale riscoperta è senz'altro preziosissima... il problema è di sapere se sbocca spontaneamente, di per sé, nella preghiera cristiana.

    La Chiesa promuove un'originale preghiera «cristiana»

    Il meno che si possa dire è che un discernimento è da fare. Noi sappiamo che la grazia non toglie la natura, ma la perfeziona. Il cristianesimo ha quindi un doppio compito. Egli viene a restaurare l'uomo nella sua integrità: non può quindi non essere interessato da tutte queste ricerche. Il Concilio Vaticano II l'ha detto nella Lumen Gentium (n. 16) e nella Dichiarazione Nostra Aetate sulle religioni non-cristiane: «La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni... anzi, lo rispetta...» (NA 2b), e cerca di assumerlo nella propria ricchezza cristiana.
    Ma la Chiesa ha un secondo compito, che è di annunciare la novità di Gesù Cristo a tutti. Non solo Gesù restaura l'uomo nella sua integrità, ma anche lo promuove a una dignità totalmente nuova, quella di figlio di Dio, in comunione con il Padre per mezzo del Figlio nello Spirito Santo. E questa situazione nuova fa nascere una preghiera nuova, quella propria cristiana dei figli di Dio. Come Gesù diceva allo scriba: «Non sei lontano dal Regno di Dio», così probabilmente la Chiesa può dire a molti: «Non siete lontani dalla preghiera cristiana». Però c'è una preghiera specificamente cristiana, che non si può confondere con le altre. Uno dei compiti della teologia della preghiera, oggi, è proprio di caratterizzare la preghiera cristiana e di determinare a quali condizioni la nostra preghiera sarà evangelizzata e evangelica.
    Ora da questi punti di vista, un'affermazione di fondo deve essere ricordata. La preghiera cristiana porta l'impronta del cristianesimo nel suo insieme: la caratteristica più fondamentale del cristianesimo, lo sappiamo bene, è l'intervento primo e gratuito di Dio. Grosso modo si potrebbe dire: nelle altre religioni, è l'uomo che, naturalmente religioso, parte alla ricerca di Dio; nella religione cristiana, invece, è Dio che viene alla ricerca dell'uomo, e questi non ha altro da fare che ascoltare, aderire, rispondere. La caratteristica della preghiera cristiana, quindi, è di essere una preghiera ricevuta, che non è il frutto di un sentimento religioso, anche vivo, ma che si adatta alla parola di Dio, direi una preghiera che segue la stessa strada che Dio ha tracciato per venire fino a noi.

    La mia preghiera nasce e cresce dentro la preghiera della Chiesa

    Facevo notare, prima, che un certo numero di gruppi di preghiera hanno la tendenza a costituirsi e a vivere fuori della Chiesa. Tale tendenza è gravemente negativa: corre il rischio di pervertire il senso cristiano della preghiera. Infatti, la preghiera cristiana, in fondo, non è altro che la preghiera di Cristo, e Cristo ha trasmesso la sua preghiera alla Chiesa. Ogni volta che la Chiesa prega, non inventa una preghiera, ma fa memoria di Cristo orante, rende presente, attuale per oggi, la preghiera di Cristo. E per me personalmente, la preghiera della Chiesa viene prima della mia: sono un cristiano orante nella misura in cui sono all'interno della Chiesa orante, un po' come posso pronunciare una parola solo all'interno di una lingua e di un linguaggio che mi precede.
    La Chiesa visibile è quindi il luogo della piena presenza delle Persone divine, che ci precedono sempre, e nello stesso tempo il luogo della presenza piena dei credenti a Dio e l'appoggio della loro risposta. L'opera conciliare di rinnovamento liturgico è quindi fondamentale per l'insieme della preghiera cristiana. Non per niente la Costituzione Sacrosanctum Concilium ricorda che la preghiera extra-liturgica deve ispirarsi alla parola di Dio e allo Spirito della preghiera liturgica, «in tal modo da essere in armonia con la sacra liturgia, in qualche modo derivante da essa e capace di condurre il popolo cristiano ad essa» (SC 13). Questo non impedisce la santa libertà inventiva dei figli di Dio, ma indica che non può svilupparsi in qualunque direzione! La liturgia rimane il luogo per eccellenza dell'educazione alla vera preghiera.
    E adesso, in questa prospettiva, vorrei ricordare brevemente le caratteristiche della preghiera cristiana.

    SITUAZIONE E STRUTTURA FONDAMENTALE DELLA PREGHIERA CRISTIANA

    Essa sorge da due eventi salvifici

    La novità della preghiera cristiana non è dovuta alle formule o ai gesti che usa, né ai sentimenti che esprime, e neppure al suo potere di equilibrio e di sintesi: il paragone con la preghiera buddista, musulmana o di altre religioni è impressionante, ma non decisivo. Infatti molti buddisti o musulmani pregano di più e «meglio» di molti cristiani! L'originalità della preghiera cristiana non dipende da ciò che avrebbero potuto scoprire o inventare uomini più religiosi o più contemplativi, ma dipende da questo: essa ormai si basa interamente su un evento che Dio in persona ha fatto sorgere nella nostra storia. O piuttosto su due eventi, di cui il secondo dipende totalmente dal primo, che viene così applicato agli uomini successivi.

    Per la Chiesa, essa nasce a Pasqua

    Il primo intervento divino è l'incarnazione redentrice, vista non semplicemente come la presenza in mezzo a noi di un Uomo-Dio, ma nel movimento dinamico che fa vivere a quest'Uomo-Dio tutta la nostra esperienza umana, fino alla morte, per sfociare nella novità definitiva della risurrezione. La preghiera cristiana, come del resto la Chiesa stessa in tutto il suo mistero, è stata inaugurata nell'«ora» pasquale, come lo aveva chiaramente annunciato lo stesso Gesù (cf Gv 4,21-23 alla Samaritana; 16,24-26 agli apostoli).
    Infatti, soltanto allora il peccato del mondo è stato espiato e si è conclusa l'alleanza tra il Padre e i suoi figli adottivi: la preghiera sarà il dialogo di questa alleanza. Così pure, soltanto allora l'unico Mediatore è stato messo in condizione di esercitare la sua mediazione in modo intimo e insieme universale: la preghiera è «cristiana» soltanto per la reale presenza di Cristo glorioso in ciascuno dei suoi membri oranti. Infine soltanto allora è stato possibile donare Colui che è allo stesso tempo, la Sorgente profonda e l'Oggetto stesso della preghiera di domanda: intensamente soprannaturale, la preghiera cristiana si mormora o si grida nello Spirito, e fa tendere verso la vita «spirituale» integrale, risorta.

    Per l'individuo, essa nasce al battesimo

    Il secondo intervento divino riguarda ogni uomo chiamato alla preghiera cristiana. È l'atto battesimale, per mezzo del quale ognuno si vede introdotto per sempre nel mistero pasquale e ricreato figlio di Dio nel Figlio risorto. Da quel momento egli può pregare «in spirito e verità». La sua preghiera è un modo di esercitare la sua fede battesimale. Ma questa fede è semplicemente la coscienza della propria situazione e del proprio essere indistruttibile di battezzato, mentre la sua vita consiste nel realizzare questo essere profondo, nello svilupparlo ogni giorno più coscientemente.
    Quanti cristiani conoscono questa profondità in cui si radica, dalla quale dovrebbe sgorgare sempre la loro preghiera? Essa implica per loro un mistero analogo a quello implicato dalla preghiera terrestre dello stesso Gesù: non andava a cercarne gli elementi all'esterno, con grande sforzo: essa sgorgava dal più intimo del suo essere, era l'espressione cosciente e costante della propria identità e della propria missione filiale. Lo stesso possiamo dire, con le debite proporzioni, del cristiano.
    Ogni vera preghiera, nel suo cuore, è la preghiera di Cristo stesso a suo Padre nello Spirito Santo. Una coscienza viva delle proprie relazioni personalissime con il Padre, con il Figlio Primogenito glorioso, con lo Spirito del Padre e del Figlio: questa è l'esigenza innata posta al cristiano dall'autenticità e dall'efficacia della propria preghiera.

    Essa è immersa nelle tre misteriose presenze divine

    Presenza del Padre sempre pronto ad ascoltarmi

    La preghiera tipo che Gesù ci ha insegnato incomincia con quest'appello: «Padre nostro!». Si entra subito nel clima. Schematicamente, come si presenta lo stato d'animo dell'uomo primitivo o del pagano che si rivolge al suo dio? Chiuso in se stesso, preoccupato dalle proprie difficoltà immediate, forse inquieto per la sua felicità minacciata, lancia il suo grido di appello. Ma il suo dio lo sentirà? Lo vuole sentire? E lo può sentire? Chi o che cosa gliene darà assicurazione certa?... Allora, prolunga la sua preghiera, moltiplica le formule, «grida più forte» come i profeti di Baal, sordo o distratto, di cui si prendeva gioco Elia (1 Re 18,27). Oppure, con procedimenti magici, cerca di accaparrare in proprio favore la potenza divina.
    Ora, Gesù dice ai suoi: «Nelle vostre preghiere, non sprecate parole come fanno i pagani: essi infatti credono di essere ascoltati a furia di parole. Ma il vostro Padre sa di che cosa avete bisogno prima che glielo chiediate!» (Mt 6,7-8). Antecedenza e premura, dunque, della scienza e dell'attenzione paterna di Dio. Meglio ancora, antecedenza e premura della sua presenza intima: «Quando preghi, entra nella tua camera, e, chiusa la porta, prega il Padre tuo che è presente (che vede) nel segreto» (Mt 6,6).

    Presenza del Figlio risorto, che mi fa partecipe della sua preghiera

    Il Figlio Gesù mi aiuta a fare proprio questo con la sua mediazione gloriosa: egli è la seconda presenza divina in cui si racchiude la nostra preghiera: «Tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù», ci dice San Paolo (Col 3,17). Questo vale soprattutto per la preghiera. Pregare nel suo nome significa nient'altro che pregare con la coscienza di appartenere a Gesù, di esistere in lui, con il sentimento vivo che il Padre ci ha dato non soltanto suo Figlio, ma la preghiera di suo Figlio. Gli aspetti di questo mistero sono molteplici. Pregare nel nome di Gesù significa in primo luogo pregare come lui, considerandolo come modello perfetto. Vero uomo che ha vissuto una vita terrena intessuta delle nostre stesse situazioni concrete, ha espresso a suo Padre la preghiera «cristiana» rigorosamente perfetta. Ha lodato il Padre, lo ha supplicato per sé e per noi, ha sussultato o gemuto e persino «gridato» di fronte a lui (cf Ebr 5,7).
    Ma c'è di più. Pregare nel nome di Gesù significa anche pregare con lui. La sua preghiera filiale infatti non è stata interrotta dalla morte. Nella gloriosa vicinanza al Padre, la continua. Non cessa di essere attuale. È, questa, una verità fondamentale. Ci viene formalmente attestato. Nel cenacolo, Gesù promette ai suoi apostoli: «Io pregherò il Padre, ed egli vi darà un altro Consolatore» (Gv 14,16). E la Chiesa primitiva per bocca di Giovanni e di Paolo afferma che Gesù è il nostro Avvocato di fronte al Padre (cf 1 Gv 2,1), che «sta alla sua destra e intercede per noi» (Rom 8,34), che è «sempre vivo per intercedere per noi» (Ebr 7,25). Si tratta perciò non soltanto di riprendere la sua preghiera passata, ma di unirci alla sua preghiera presente, appellandoci di fronte al Padre ai suoi meriti infiniti e alla sua potenza.
    Ma occorre sfruttare la pienezza dell'espressione «Pregare nel nome di Gesù». Essa significa in terzo luogo che dobbiamo pregare in lui e lui in noi. Egli infatti non è soltanto alla destra del Padre, ma è anche vivo sulla terra nella sua Chiesa e in ciascuno dei suoi membri. Nella misura in cui il battezzato diventa una sola cosa con il suo Signore, come il tralcio con il tronco (Gv 15,4), potrà pregare la preghiera di Cristo, che gli viene data come gli vengono date le sue parole, la sua pace, la sua gioia (cf. Gv 14,27; 15,7.11). Deve lasciare che Cristo preghi realmente in lui e prolunghi in lui il suo slancio verso il Padre. Nel suo celebre commento del Salmo 85, Sant'Agostino esclama: «Cerca di non dire nulla senza di lui, e lui non dirà nulla senza di te». «Cerca di non dire nulla senza di lui»: non è una cosa spontanea! Istintivamente, è l'uomo vecchio che prega in noi, nel proprio nome, con visuali più o meno egoistiche! Se pregare «cristianamente» significa pregare «nel nome di Cristo Figlio», vuol dire che occorre perdere senza compromessi la propria anima mercenaria, farisaica, avida interiormente di mettere Dio a propria disposizione e a proprio vantaggio, per acquistare un'anima filiale, dimentica di sé, desiderosa di mettersi a disposizione di Dio e del suo disegno. È un compito duro, certamente impossibile all'uomo «carnale» senza l'impulso dello Spirito.

    Presenza dello Spirito che rinnova il mio cuore

    Infatti, non ci può essere preghiera «cristiana» se non racchiusa in questa terza Presenza divina. In ogni dialogo autentico tra il Padre e il Figlio, tra il Padre e i suoi figli, lo Spirito è presente, perché è l'Espressione personale di questo rapporto reciproco. Dobbiamo aprirci a Lui, coscienti della nostra impotenza radicale. Impotenza del nostro spirito: gli apostoli dopo aver visto Gesù pregare hanno confessato la propria ignoranza e incapacità: «Signore, insegnaci a pregare!» (Lc 11,2). E San Paolo: «Nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare» (Rom 8,26). Impotenza del nostro cuore: spesso non abbiamo né il gusto né la volontà di pregare, neppure nei momenti difficili: «Così, non siete stati capaci di vegliare (e pregare) un'ora con me? Vegliate e pregate!» (Mt 26,40).
    Sapere e potere pregare: questa sapienza e questa forza sono opera dello Spirito «che viene in aiuto alla nostra debolezza» (Rom 8,26). Egli lavora dall'interno l'anima filiale del battezzato, crea in lui un cuore di uomo nuovo. Da lui impariamo a dire validamente: «Gesù è il Signore!» (1 Cor 12,3) e a gridare «Abbà, Padre!» (Rom 8,15). E quando siamo sopraffatti dall'impotenza, possiamo rimetterci a lui: lui stesso «intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili» (Rom 8,26), e lui stesso grida per noi: «Abbà, Padre!» (Gal 4,8).

    ORIENTAMENTI ESSENZIALI DELLA PREGHIERA CRISTIANA

    La trilogia: Parola, storia e preghiera

    Pregare significa quindi, innanzi tutto, «entrare in preghiera» riprendendo coscienza, nella fede, di essere circondati da queste tre Presenze. Allora si trovano subito gli atteggiamenti veri.

    Ascolto della Parola

    Il cristiano sa molto bene che non può esserci dialogo se i due interlocutori parlano tutt'e due insieme. Dio Padre che mi invita alla preghiera e mi precede con la sua presenza, mi precede anche con la sua parola. Se sono ben educato e cosciente della mia identità di figlio chiamato per grazia, il dialogo avviene sempre, da parte mia, nel silenzio. Ascolto con umile rispetto, con attenzione stupefatta, con gioia. La mia preghiera, se vuole essere cristiana, non potrà essere se non una risposta a quanto ho sentito e capito, un adattamento del mio linguaggio con il linguaggio del mio Interlocutore divino. La liturgia conosce bene questa legge fondamentale, e infatti inizia sempre le sue celebrazioni con una lettura della parola di Dio. Purtroppo, affrettati di aprire la bocca anziché le orecchie, noi cominciamo spesso la nostra preghiera coprendo Dio con la valanga delle nostre parole indiscrete.

    Risposta inserita nella storia

    D'altronde, Dio non fa mai «discorsi», non dà lezioni teoriche. Egli parla per realizzare e per salvare il mondo concreto. Parla a me, parla a noi così come siamo, inseriti nella storia e in quel punto preciso del suo disegno di salvezza. È una parola per oggi, che ci chiama ad essere figli nel contesto delle nostre angosce, delle nostre lotte e delle nostre speranze di oggi. La mia preghiera, se vuole essere cristianamente vera, non potrà essere che una risposta circostanziata a quanto Dio mi dice, mi fa vedere, mi chiede qui oggi: il mondo entra nel nostro dialogo, e i miei compagni di vita vi entrano a folla con tutti i loro problemi. Anche qui la liturgia conosce bene quest'altra legge fondamentale: tra le letture e la preghiera di .intercessione ha previsto l'omelia, la quale applica la parola ascoltata alla vita dell'assemblea, ne fa una parola viva che illumina e interpella quegli uomini concreti nei loro problemi di oggi.

    La preghiera, punto di convergenza

    Così, la preghiera cristiana è sempre l'elemento di una trilogia: si trova al punto di convergenza di queste due realtà: la parola di Dio con la sua perpetua esigenza, la storia degli uomini, la mia storia, con le sue debolezze e i suoi appelli attuali. Bisogna pregare, come è stato detto, con il vangelo nella mano destra e il giornale di oggi nella sinistra. Prima, volontà di silenzio e di ascolto; poi, volontà di discernimento e di efficacia: queste sono le condizioni di ogni vera preghiera. Con essa e in essa, io prendo coscienza del mio preciso inserimento nel disegno di Dio.
    Con essa e in essa maturo le mie scelte, e conduco la mia esistenza nella luce di Dio.
    Ora dico che i cristiani non sono stati educati a capire e a vivere questa originalità della loro preghiera. Se lo fossero stati, non sarebbero stati accusati, spesso a ragione, in particolare dai marxisti, di fare della preghiera un alibi, una fuga, un luogo di alienazione, mentre pregare in spirito e verità non è altro che entrare nel progetto di Dio Padre, fare del suo Regno la preoccupazione principale, prepararsi a diventare meglio suoi collaboratori. Gesù ha pregato in questo modo, e ci ha esplicitamente insegnato a pregare così.

    Le quattro coordinate della preghiera cristiana
    Il Padre nostro

    Possiamo adesso capire gli orientamenti maggiori della nostra preghiera, i suoi principali atteggiamenti, i suoi punti di insistenza, le sue varietà. Poiché la parola di Dio è infinitamente ricca, la vita del mondo è movimentata, e la mia storia personale ha i suoi tornanti e i suoi panorami diversi: la preghiera della Chiesa conosce la varietà delle feste e delle stagioni del suo anno liturgico, e la mia preghiera può scegliere legittimamente, secondo i giorni e le ore, di essere lode gioiosa o supplica dolorosa, canto tranquillo o grido veemente.
    Con flessibilità e fuori di ogni sistematismo, riduciamo a quattro i grandi tipi di preghiera. Ispiriamoci, per questo, alle domande del «Padre nostro», in cui la tradizione ha sempre letto la sintesi del contenuto della preghiera cristiana, anzi la sintesi del vangelo stesso: «Breviarium totius evangelii», ha detto Tertulliano (De Orat. 1,6). Si tratta soprattutto di insistenze: in pratica, è chiaro che questi elementi si mescolano, o si influenzano reciprocamente.

    «Quando pregate, dite: Padre!» (Lc 11,2)

    Però, prima di entrare nella considerazione delle diverse domande, vorrei sottolineare brevemente l'importanza dell'«apertura» della preghiera cristiana: «Quando pregate, dice Gesù ai discepoli, dite: «Padre (nostro) !». Non dobbiamo mai dimenticare che la preghiera cristiana ha un asse e un movimento. Dobbiamo certo pregare Cristo stesso. Possiamo certo pregare la Madonna e tutti i santi. Però i santi ci rimandano a Cristo, e Cristo a suo Padre. Cristo non è tanto venuto per farsi adorare e pregare quanto piuttosto per pregare con noi suo Padre, per prenderci nello slancio della sua preghiera di Figlio al Padre. In un cristiano maturo, la preghiera diventa, in modo preponderante, preghiera al Padre. Questo bisogna dirlo e ripeterlo, perché molti non lo sanno; come non sanno, ad esempio, che la messa (domenicale o altra) è la preghiera per eccellenza non a Cristo, ma «per Cristo, con Cristo e in Cristo», nello Spirito Santo, al Padre per la sua gloria.

    «Padre, sia santificato il tuo Nome!»: la preghiera di contemplazione

    Iniziamo con la prima domanda e con il tipo, direi, più simpatico di preghiera, la preghiera di contemplazione: «Padre, sia santificato il tuo Nome!», ossia: «La tua realtà di Padre infinito, di Amore-Agàpe per tutti gli uomini, sia conosciuta e riconosciuta!». È veramente tipico che Gesù, insegnandoci a pregare, alzi immediatamente il nostro sguardo verso il suo Padre e i suoi interessi. Il movimento del Padre nostro non è dal basso all'alto, ma al contrario dall'alto al basso: siamo invitati a un decentramento vigoroso riguardo alle nostre preoccupazioni immediate per entrare subito nelle preoccupazioni di Dio: le nostre allora potranno essere considerate nella luce delle sue.
    Questa domanda sintetizza il tipo di preghiera cristiana in cui, come dicono i salmi, si cerca il volto di Dio. Si tratta di esporsi al sole di Dio, di sapersi guardati e amati da lui, di ricevere il suo amore molto personale e di sapersene meravigliare. Allora, la preghiera sgorga per adorare la sua gloria, per lodare le sue meraviglie, per ringraziarlo della sua tenerezza e munificenza: «Mio Dio, Padre mio, sei bello e buono! E il tuo piano di amore sul mondo è meraviglioso! Quanto desidero che la tua paternità sia riconosciuta da tutti!». Non è forse questa forma di preghiera che ha prevalso nell'anima di Gesù quando lo vediamo sussultare e dire: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra!...» (Lc 10,21), o quando lo seguiamo in quei luoghi e in quei momenti che favorivano l'intimità del dialogo: deserto o «in disparte» (Lc 5,16; persino «durante tutta la notte» (Mc 1,35; Lc 6,12) ?

    «Padre, venga il tuo Regno!»: la preghiera di desiderio

    Poi viene la preghiera di desiderio, in cui lo sguardo passa dal volto del Padre al mondo che il Padre ha tanto amato da mandare il suo Figlio per salvarlo. «Venga il tuo Regno!» è probabilmente la domanda centrale del Padre nostro, quella che ci fa entrare direttamente negli interessi di Dio e partecipare al suo amore per noi, al suo desiderio di salvare il mondo nel quale ha iniziato ad installare il suo Regno, «regno eterno e universale, regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace», come dice il prefazio della festa di Cristo, re dell'universo.
    Questa domanda sintetizza il tipo di preghiera cristiana in cui si esprime e si alimenta lo zelo della casa del Padre. La preghiera è il luogo per eccellenza del desiderio, del continuo passaggio dal bisogno al desiderio, dal bisogno centrato su di noi al desiderio centrato sull'Altro. È il luogo di un desiderio immenso che diventa speranza dell'avvento escatologico del Signore. Così meravigliosa è «l'eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce» (1 Pt 1,4), preparata da Dio per noi, che è impossibile non desiderare che venga affrettato il momento in cui sarà data al mondo intero. Noi sappiamo che il «Maranà tha» «Vieni, o Signore, vieni presto!» era un elemento essenziale della preghiera primitiva (1 Cor 16,22; Apoc 22,17.20). La tua Pasqua, Signore, avvenga su ogni esistenza e sulla storia degli uomini!
    Certo il Regno è già presente oscuramente nel mondo. Cristo risorto è misteriosamente presente e attivo nella nostra storia. Dire: «Venga il tuo Regno!» significa quindi anche essere disponibile per collaborare a questa lenta germinazione: «Venga il tuo Regno in me, nella mia famiglia, nella mia scuola, nel mio ambiente sociale e professionale, nell'arte e nella politica...». E vivere in un mondo secolarizzato, dove ufficialmente Dio non conta per niente, accentua e accende il desiderio di lavorare per dare più spazio alla sua presenza liberatrice: l'Amore non viene amato, e il mondo muore per non riuscire a sentire il suo appello! E così siamo condotti alla domanda seguente.

    «Padre, sia fatta la tua volontà!»: la preghiera di disponibilità

    Dal desiderare siamo condotti all'operare: fare la volontà del Padre, partecipare alla realizzazione del Regno, entrare nel dinamismo dell'azione divina salvatrice, dare la prova che il desiderio era sincero, e non fuga da vigliacco: «Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio» (Mt 7,21). Si tratta quindi, nella preghiera, di accettare umilmente e coraggiosamente questa volontà che viene sintetizzata nel comandamento unico dell'amare come Gesù ha amato (cf Mt 22,36.40; Gv 10,12.17).
    Per un singolare rovesciamento, che tuttavia viene ben capito a partire dal fatto fondamentale della prevenienza di Dio e della sua parola, dobbiamo dire che è Dio che ci prega, e noi abbiamo il terribile potere di non esaudirlo. Ricordiamoci la lagnanza di Gesù stesso: «Gerusalemme, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli... e voi non avete voluto!» (Lc 13,34). Continua ad offrirci i suoi favori insieme alla sua volontà: «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Apoc 3,20). In ultima analisi, la sola cosa da chiedere, in una preghiera umile e perseverante, è la forza di rispondere finalmente al suo appello e di lasciarlo entrare in noi.
    Quanto sia terribilmente costoso per noi tutto questo, lo stesso esempio di Gesù nel Getsemani lo prova. Lui stesso, il Maestro, ha avuto difficoltà di pregare questa parte della preghiera che aveva insegnato ai suoi discepoli! Non dobbiamo quindi scandalizzarci se talvolta sentiamo in noi tanta resistenza, tanta, ripugnanza a dire di sì a Dio: anche Gesù ha voluto conoscere quest'ora misteriosa della lotta di Giacobbe con l'angelo. L'essenziale è perseverare come ha perseverato lui nella supplica... e di giungere così alla preghiera più autentica: spoglia, arida e senza gusto forse, ma fedele, e prova del più grande amore: «Padre, sia fatta la tua volontà, e non la mia! poiché sono io ad essere al tuo servizio, e non Tu al mio!». Solo le anime vigilanti e oranti (Mt 26,41) sanno accettare la croce.

    «Padre, dacci... rimetti a noi... liberaci!»: la preghiera di verità e di supplica fraterna

    Dopo averci condotti sulle cime più alte del disegno di Dio, dalla contemplazione al desiderio, dal desiderio all'adesione attiva, il Padre nostro sembra farci ricadere nella pianura più banale della nostra povertà di uomini. Infatti, cambia adesso il tono. Ci rendiamo conto che quelli che sono chiamati ad entrare nel dinamismo dell'azione divina salvatrice hanno bisogno, per primi di essere salvati: sono degli affamati, dei peccatori, dei tentati. Hanno bisogno di pane per il presente, di perdono per il passato, di aiuto per il futuro, e chiedono tutto questo al loro Padre, nella luce delle domande precedenti sul suo Regno.
    È da notare che lo chiedono insieme: dopo il «Tu», il «noi»: «Padre nostro, dacci il nostro pane, ecc...». La preghiera cristiana non è mai chiusa sui bisogni personali. Si apre a tutti i fratelli cristiani impegnati nella realizzazione del Regno, ma anche a tutti gli uomini tutti bisognosi e tutti da salvare (cf 1 Tim 2,1-4). E una preghiera di comunione e di solidarietà fraterna, di supplica e di intercessione universale.
    È anche una preghiera di autenticità e di umiltà. È il dramma della persona umana quello di essere più o meno obbligata a recitare il proprio personaggio di fronte agli altri. Ed è anche il dramma di molti gruppi umani di curare le belle apparenze e di nascondere farisaicamente i loro peccati e i loro limiti. Nella preghiera però, si procede all'«operazione verità»: davanti a Dio Padre, che è Luce, che vede nel segreto, si toglie ogni maschera: l'uomo si ritrova com'è, semplice e nudo, e «la sua anima si sfoga» (1 Sam 1,15) in piena libertà: «Padre, donaci, perché siamo poveri; essendo creature non abbiamo nulla da noi. la nostra vita è fragile... Perdonaci, perché siamo peccatori, siamo nell'oscurità, pieni di desideri malvagi; però osiamo chiedere il tuo perdono perché, onestamente, ci mettiamo anche noi in atto di perdono verso i nostri fratelli... Infine liberaci dal male e non ci indurre in tentazione, perché siamo deboli: i nostri propositi durano poco, tuttavia siamo necessariamente lottatori: il mondo in cui viviamo esercita su di noi le sue attrattive, e dobbiamo partecipare alla grande battaglia di Cristo contro il Maligno. Mantienici fedeli al tuo disegno, anche se la prova è dura!».
    Quest'ultima parte del Padre nostro sintetizza quindi l'aspetto della preghiera cristiana che è pentimento e supplica. Qui in modo particolare è necessario pregare «nel nome di Gesù», rifiutando qualsiasi domanda antifiliale che pretendesse fare di Dio il complice delle nostre bramosie, dei nostri capricci o delle nostre viltà: il vangelo ci insegna che Gesù, così sollecito nel guarire malati e peccatori, non ha accondisceso a richieste inopportune (Lc 10,39-42) o cattive, impregnate di orgoglio (Mc 10,35-38), di viltà (Mt 17,4-8; Lc 9.59-62) o di durezza di cuore (Lc 9,51-55), e aggiunse questo rimprovero: «Non sapete che cosa chiedete!» (Mc 10,38) Nel dialogo tra Padre e figlio, ci sono delle cose che il figlio a poco a poco impara a non desiderare più, e a non chiederle più, per assumere sempre meglio gli interessi e la volontà del Padre. Ci sono le domande filiali essenziali, sempre esaudite: il perdono, la fede, la forza, e soprattutto lo Spirito Santo, dono paterno per eccellenza (Lc 11,13). Poi vengono delle domande condizionali «Se ti piace, Padre, per cortesia, per favore, dammi la salute, dammi di riuscire in questo determinato caso, allontana da me una prova simile... e persino dammi il bel tempo per domani». A queste condizioni la preghiera di verità resta una preghiera che porta la pace.


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