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    Lettura critica delle tre esperienze (di educazione alla preghiera dei preadolescenti)



    Riccardo Tonelli

    (NPG 1976-6-32)

    La valutazione di queste tre esperienze di educazione alla preghiera ci impegna non tanto a giudicarle ma piuttosto ad analizzarle in vista della elaborazione di una griglia di valutazione delle esperienze educative cui di solito ci troviamo di fronte.

    Una constatazione importante

    Oggi la pastorale sta superando l'alternativa che negli ultimi anni aveva opposto rigidamente il cosiddetto metodo antropologico (che privilegia un discorso di fede che parte e integra continuamente l'esperienza umana) al cosiddetto metodo kerigmatico (che mette invece l'accento direttamente sull'annuncio di fede).
    L'opposizione si sta svuotando man mano che la meta finale della educazione cristiana viene a precisarsi come integrazione tra fede e vita, meta che naturalmente è compito essenziale sia del metodo kerigmatico che di quello antropologico.
    Il superamento di questa opposizione ci porta ad una considerazione basilare: la dimensione antropologica è presente in ogni progetto pastorale: «Chiunque voglia fare all'uomo d'oggi un discorso efficace su Dio – afferma il RdC al n. 77 - deve muovere dai problemi umani e tenerli sempre presenti nell'esporre il messaggio. È questa, del resto, esigenza intrinseca per ogni discorso cristiano su Dio».
    La conseguenza è che nessun discorso di fede o preghiera può prescindere da una attenta valutazione della situazione in cui vivono i preadolescenti per elaborare un piano metodologico che permetta di «raggiungere» l'umanità del ragazzo e di farla diventare contenuto di fede e preghiera.
    Tra gli operatori pastorali questa attenzione di fatto è presente e noi ci troviamo di fronte ad un pluralismo di modelli di educazione alla fede, come risulta anche dalle tre esperienze che stiamo esaminando. Purtroppo c'è da credere che non sempre il modello educativo risponda alla realtà situazionale.

    TRE MODELLI DI EDUCAZIONE ALLA PREGHIERA

    Ci troviamo davanti ad un modello educativo alla preghiera quando i singoli interventi sono normalmente la traduzione di una serie di orientamenti teologici e di scelte antropologiche elaborati per rispondere alla reale situazione dei destinatari concreti.
    La situazione pastorale odierna sembra presentarci tre modelli: un modello esistenziale, un modello oggettivo, un modello comunitario.

    Modello esistenziale

    Lo ritroviamo nella esperienza della Scuola Media «Petrocchi», dove l'educazione alla preghiera viene curata all'interno delle scelte pedagogiche e dei metodi induttivi della nuova scuola media e del metodo antropologico sottostante alle schede di ricerca religiosa di progetto uomo. Parliamo di modello esistenziale in quanto viene privilegiata la crescita in maturità umana come luogo della esperienza di fede e di preghiera. Questo modello risponde alla attuale sensibilità giovanile per la personale realizzazione e imposta la esperienza di fede a partire dalla ricerca di significato dell'esistenza umana.
    Il cammino di educazione alla preghiera si articola su tempi lunghi, in quanto matura parallelamente all'impegno di realizzarsi come uomo e ad una lenta educazione a leggere i fatti di ogni giorno come gesti di ricerca di senso della esistenza. La preghiera viene presentata come il momento di risposta a questi interrogativi e vien sempre più a precisarsi come risposta che non viene dall'uomo ma da Dio.
    Si impone una valutazione di questo modello educativo. È facile intuire la rispondenza immediata alle esigenze del ragazzo immerso nei suoi problemi, dalla amicizia al rapporto con i genitori, dal bisogno di sentirsi libero al bisogno di comunicare con gli altri e di amare. Si direbbe che più facilmente vita e fede possano integrarsi.
    Forse tuttavia è un modello educativo che ostenta troppo ottimismo nella maturazione della natura umana e non tiene sufficientemente conto del clima di secolarizzazione che spinge a risolvere gli interrogativi più profondi dell'uomo in una antropologia chiusa al trascendente e presenta la risposta religiosa agli stessi interrogati come risposta distorta, magica (e perciò da rifiutare).
    Il rischio di fondo è così che la parola di Dio non riesca ad assumere tutta la sua centralità rivelativa di senso e giudicante le nostre esperienze, il rischio pertanto di una umanizzazione in cui la croce e la Pasqua non trovano collocazione adeguata.

    Modello oggettivo

    È quello più facilmente riscontrabile nell'educazione alla fede e alla stessa preghiera. Parte dalla «preghiera cristiana» nella sua essenza teologica quale viene rintracciata nella Bibbia e nella teologia per poi elaborare un cammino educativo di «apprendimento», necessario perché la preghiera cristiana è del tutto originale rispetto alla stessa esigenza di comunicazione con il trascendente insita nell'uomo.
    Delle tre esperienze presentate due ricalcano abbastanza da vicino questo modello: la esperienza delle comunità neocatecumenali (che tuttavia offre altri spunti educativi che considereremo a parte) e quella del movimento Ragazzi Nuovi, dove l'accento è posto sulla catechesi intensa di tipo kerigmatico in cui il preadolescente è messo di fronte alla realtà del Dio-Amore.
    Un processo educativo in fondo di tipo tradizionale (il che non è dare una valutazione negativa!) che ponendo l'accento su Dio rischia di dimenticare gli interessi propri del ragazzo e il rapporto profondo fra questi interessi e una reale esperienza di salvezza. In fondo poi può raggiungere solo una fascia ristretta di preadolescenti.
    Un vantaggio immediato di questo modello è che permette di raggiungere l'obiettivo in tempi molto più brevi rispetto al precedente modello. Non bisogna però nascondersi la difficoltà di fondo che nasce dalla costatazione dell'abbandono della preghiera da parte di molti educati secondo questo stile. Fino a che punto un processo di tipo deduttivo e razionale riesce a raggiungere e integrare il vissuto del ragazzo, condizione essenziale perché gli si possa dare una seria iniziazione di fede, dal momento che il suo intelletto non è ancora capace di assimilare procedimenti di tipo razionale astratto?
    In fondo questo modello, più degli altri due, si ritrova di fronte a quella domanda (a che serve pregare?) che nel momento stesso in cui viene posta dall'educando rende vana ogni spiegazione di tipo intellettuale e deve ricorrere a formulazione di tipo morale (ogni cristiano prega!).

    Modello comunitario

    Lo spunto per tratteggiare un modello cosiddetto comunitario ci viene da alcune indicazioni emerse nella relazione della esperienza della parrocchia dei Martiri Canadesi, dove si afferma la centralità della comunità vivente e orante per la iniziazione dei preadolescenti alla fede e alla preghiera.
    La preoccupazione maggiore in questo caso non è la elaborazione di particolari metodologie ma l'inserimento del ragazzo in una comunità e lo sviluppo graduale del senso di appartenenza a tale comunità. Gli interventi educativi cercano sempre di rafforzare i legami interpersonali fino a diventare di tipo primario e favorire così una sempre più profonda identificazione con la comunità.
    Per la preghiera, l'attenzione maggiore va alla comunità che prega e al fatto che il preadolescente abbia la possibilità di respirare il clima di preghiera della comunità.
    La scelta pedagogica sottostante è molto semplice ma efficace: a pregare si impara per partecipazione, come partecipando alla vita di famiglia si impara a diventare uomini e donne.
    La domanda «perché pregare?» non si pone perché superata dalla gratificazione di far parte di una comunità, e alimentata dalle motivazioni che spingono la comunità a darsi dei momenti di preghiera.
    Vediamo due rischi. Il primo è naturalmente quello di conformismo ideologico e pratico col gruppo, qualora non si aiuti i ragazzi della comunità ad elaborare progressivamente delle scelte autonome, ma ci si accontenti della preghiera che nasce dal bisogno di affiliazione.
    Il secondo rischio si intravede a partire dalla considerazione che la preghiera deve necessariamente esprimersi in una cultura e attraverso determinate forme espressive. C'è da chiedersi fino a che punto la cultura di una comunità costituita prevalentemente da adulti rispetti le peculiarità di quella sottocultura che è il mondo dei preadolescenti, sia a livello di visione della realtà che di forme attraverso cui esprimersi. È facile che si verifichino delle scollature o che si impedisca la crescita armonica ed autonoma dei preadolescenti. È lo stesso problema che, in forma diversa, devono affrontare le famiglie ed è risolvibile solo attraverso un dosaggio prudente di appartenenze diverse che entrino in atteggiamenti di continuità ma anche di discontinuità con l'appartenenza ecclesiale.

    INTERVENTI DI TIPO «CORRETTIVO»

    Non ha senso parlare di superiorità di un modello educativo sugli altri. Il problema sta altrove e cioè nella rispondenza tra il modello astratto che si pretende di scegliere e le esigenze reali dei destinatari, ed ancora nella rispondenza tra il modello di educazione alla preghiera ed il modello educativo globale già in atto in un determinato ambiente educativo.
    Del resto nessun modello è da assumere di peso, proprio perché ognuno ha dei rischi da ovviare attraverso degli interventi di tipo correttivo che, pur evitando dei pericolosi eclettismi, permettono di usufruire degli aspetti positivi del modello che si sceglie.
    Così, ad esempio, un correttivo per il modello esistenziale può essere una particolare cura per una ricerca sulla parola di Dio e di momenti di «ascolto» di questa parola perché interpreti e giudichi le nostre esperienze; un correttivo per il rischio di nozionismo del modello oggettivo può essere la partecipazione ad esperienze di preghiere con adulti o con gruppi giovanili; per il modello comunitario invece un correttivo interessante consiste nel permettere ai preadolescenti della comunità di gestirsi autonomamente alcuni incontri di preghiera.
    Al di là dei correttivi però rimane la necessità che la comunità educativa scelga con cura il modello di educazione alla preghiera che meglio risponda alle scelte pedagogiche che caratterizzano tutto il processo educativo e di sforzarsi di tradurlo in interventi concreti articolati e coerenti, in modo da trovarsi realmente di fronte ad un autentico piano di educazione alla preghiera.


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