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     Il Monumento

    a Giovanni XXIII 

    in San Pietro

    di Emilio Greco

    Maria Rattà

     Giovanni XXIII 3

    «Nel “Monumento a Giovanni XXIII”, richiesto a Greco nel 1965 da una commissione cardinalizia, lo scultore riprende e rinnova l’impaginazione di un episodio della porta orvietana e raffigura il pontefice mentre visita e conforta gli ammalati e i carcerati. La scelta non è dunque quella classica di creare una figura isolata, ma - al contrario - è quella di inserire il pontefice in un contesto reale, di mostrarlo in una delle manifestazioni di umanità tipiche del suo apostolato» [1].
    Rispetto alla scelta narrativa attuata nella porta del Duomo, Greco sceglie, quindi, uno “spazio” di gesti (e di significato) più ampio. Egli dirà poi: «non mi piaceva fare il papa isolato, benedicente, secondo la tradizione statuaria religiosa. Ho pensato agli episodi salienti della sua vita, come la visita ai carcerati, agli ammalati, ho pensato al Concilio, all’Enciclica. Ho rappresentato tutto questo accanto al suo ritratto. E il Papa non è solo: vi è, simboleggiata dai cardinali, tutta la Chiesa con Lui» [2].

    La carezza del papa, la carezza della misericordia

    Giovanni XXIII 5«Tutto ciò che la Chiesa dice e compie, manifesta la misericordia che Dio nutre per l’uomo» ha detto Benedetto XVI, nel 2008 [3] e, come ha ricordato il suo successore, Francesco, «La Chiesa non può che ripetere ai suoi figli: “Siate misericordiosi”, come lo è il Padre, e come lo è stato Gesù. Misericordia. E allora la Chiesa si comporta come Gesù. Non fa lezioni teoriche sull’amore, sulla misericordia. Non diffonde nel mondo una filosofia, una via di saggezza…. Certo, il Cristianesimo è anche tutto questo, ma per conseguenza, di riflesso. La madre Chiesa, come Gesù, insegna con l’esempio, e le parole servono ad illuminare il significato dei suoi gesti» [4]. Nel rappresentare non un papa solamente ieratico, ma un pontefice che “attua” la misericordia, il monumento di Greco rammenta tutto questo. La mano del papa è una mano che sembra accarezzare, più che soltanto benedire. Una mano pronta a lasciarsi, a sua volta, accarezzare da altre mani, attraverso le sbarre. La misericordia non è soltanto una parola. È uno “stile” di vita, è un motore delle azioni, è una carità concreta. È un incontro tra cuori: quello di chi offre misericordia e quello di chi la riceve. La misericordia è una «carezza», perché «a partire dall’amore misericordioso con il quale Gesù ha espresso l’impegno di Dio, anche noi possiamo e dobbiamo corrispondere al suo amore con il nostro impegno. E questo soprattutto nelle situazioni di maggiore bisogno, dove c’è più sete di speranza. Penso» sono ancora parole di papa Francesco - «per esempio al nostro impegno con le persone abbandonate, con quanti portano handicap molto pesanti, con i malati più gravi, con i moribondi, con quanti non sono in grado di esprimere riconoscenza… In tutte queste realtà noi portiamo la misericordia di Dio attraverso un impegno di vita, che è testimonianza della nostra fede in Cristo. Dobbiamo sempre portare quella carezza di Dio - perché Dio ci ha accarezzati con la sua misericordia - portarla agli altri, a quelli che hanno bisogno, a quelli che hanno una sofferenza nel cuore o sono tristi: avvicinarsi con quella carezza di Dio, che è la stessa che Lui ha dato a noi» [5].
    Greco «non esaltò la figura di Giovanni XXIII con una statua accompagnata da virtù allegoriche, ma isolò in un bassorilievo bronzeo dominato dalla figura centrale del pontefice, i momenti più importanti del pontificato di papa Giovanni» [6], che agisce a imitazione di Cristo, il cui «cuore è un cuore che sceglie la strada più vicina e che lo impegna. Questo è proprio della misericordia, che si sporca le mani, tocca, si mette in gioco, vuole coinvolgersi con l’altro, si rivolge a ciò che è personale con ciò che è più personale, non “si occupa di un caso” ma si impegna con una persona, con la sua ferita» [7]. Greco coglie questa “essenza” nel rappresentare Giovanni XXIII, quel papa che, nel suo celebre Discorso della luna aveva detto: «Tornando a casa, troverete i bambini; date una carezza ai vostri bambini e dite: “Questa è la carezza del Papa”. Troverete qualche lacrima da asciugare. Fate qualcosa, dite una parola buona. Il Papa è con noi specialmente nelle ore della tristezza e dell'amarezza. Che siano sempre i nostri sentimenti come ora li esprimiamo davanti al Cielo e davanti alla terra: fede, speranza, carità, amore di Dio, amore dei fratelli; e poi, tutti insieme, aiutati così nella santa pace del Signore, alle opere del bene!» [8]. Volendo ricordare Giovanni XXIII, Greco sintetizza il suo ministero di Pontefice della Chiesa Cattolica Romana (ecco l’aspetto classico dell’iconografia papale: il pontefice avvolto nel piviale e in atteggiamento benedicente) e la sua esperienza personale e pastorale di uomo e di sacerdote (la misericordia declinata in atti concreti, come le visite agli ammalati negli ospedali e ai carcerati). «Vescovi, derelitti e angeli con rami d’olivo simboleggiano i tre aspetti salienti del suo pontificato: il concilio, le opere di carità e l’enciclica Pacem in terris» [9]. La vita stessa diventa così “monumentale” e capace di parlare in modo eloquente anche per immagini che ne traccino un bilancio.

    Il cane simbolo di fedeltà

    Greco raffigura, ai piedi del papa, un cane colto nell’atto di girare la testa verso il pontefice. Come nella porta orvietana, anche qui ritorna questo elemento della fauna. Simbolo di fedeltà, ma anche del missionario e apostolo che precede Cristo fino alle periferie del mondo [10] (e, come direbbe papa Francesco: Giovanni XXIII dett.caneanche quelle esistenziali, non solo geografiche), la figura del cane rimanda - biblicamente - all’episodio di Lazzaro e del ricco epulone, storia in cui, a differenza dell’uomo, è l’animale ad avere pietà del povero, e corre a leccare le sue ferite. Proprio come la misericordia viene a fasciare, risanare, guarire l'uomo peccatore e bisognoso. La Chiesa usa, come disse proprio Giovanni XXIII, «la medicina della misericordia» [11] che opera con i gesti e con le parole. E come la saliva dei cani era considerata «curativa», cicatrizzante dagli antichi [12], così la misericordia mantiene inalterato il suo potere “guaritivo”. Il significato che Greco attribuisce però al cane, nel contesto del suo bassorilevo, è quello di maggiore e immediata comprensione: la fedeltà. Lo svela egli stesso, nel corso di una piccola querelle insorta proprio a causa della presenza dell’animale a quattro zampe all’interno dell’opera dedicata a Giovanni XXIII. A darne notizia è lo storico dell’arte Sandro Barbagallo, autore di un libro - Lo zoo sacro vaticano - dedicato agli animali che campeggiano (con maggiore o minore immediatezza) nelle opere d’arte presenti nella Basilica di San Pietro. In un’intervista radiofonica, lo scrittore ricorda che: «il monumento del papa defunto viene letteralmente pagato dai cardinali che lui ha creato. E questi cardinali si riuniscono in una sorta di commissione, e prima nominano un artista e poi dopo accettano il bozzetto finale. E durante la riunione per accettare il bozzetto per la realizzazione del monumento a papa Giovanni XXIII, lo scultore Emilio Greco presentò questo bozzetto in cui era rappresentato un cane proprio ai piedi del papa. Il cardinale Nasalli Rocca, quando vide questo cane subito si infuriò, comincio ad inveire contro lo scultore, dicendo : “Ah ma come, lei ha rappresentato un animale, proprio ai piedi del Papa! Ma lei si rende conto che questo monumento andrà nella Basilica di San Pietro, il massimo tempio della cristianità?”. Tutto ciò non me lo sto inventando» - è ancora Barbagallo a parlare - «ma è stato esattamente trascritto nei verbali che ho avuto modo di leggere. Emilio Greco diceva: “Ma come il simbolo della fedeltà, in questo caso della fedeltà alla Chiesa!”, e lui, il cardinale disse: “Ma è sempre comunque una bestia!”. Allora a questo punto, Monsignor Fallani, che era il presidente della Commissione d’Arte Sacra, prese le difese e disse: “Ma Eminenza, non si scaldi troppo, perché comunque alla fine la povera bestiola non sarebbe sola in Basilica, perché di cani ce ne stanno già altri tre, e non solo, ci sono talmente tanti animali che è quasi uno zoo sacro» [13]. 

    Lo stile e il rispetto per lo spazio che ospita il monumento

    «Greco si adegua al linguaggio e all’effetto emotivo delle grandi pale sacre vaticane, scegliendo la convenzionale organizzazione spaziale, di ascendenza barocca, per variazioni ritmiche e chiaroscurali: più distese nella parte bassa, più concitate e rifrangenti in quella superiore. Il pontefice, raffigurato in movimento “con umile passo, con volto affabile”» - la definizione tra virgolette alte è di Paolo VI -, «accuratamente caratterizzato, ricurvo ma imperterrito, avanza da destra a sinistra seguendo la traiettoria orizzontale suggerita dalla grata di una cella, fra le confuse masse terrene degli ammalati e dei carcerati e le aeree figure di angeli, che emergono dalla trama dei tratti segnanti con insistenza il piano» [14]. Da taluni il volto del pontefice è considerato «troppo severo» [15], eppure in quel volto, probabilmente meno bonario che nella realtà, si condensa il senso della responsabilità per l’alto ufficio spirituale del papa, e la consapevolezza della tante miserie che affliggono l’uomo.

    L’INAUGURAZIONE DEL MONUMENTO

    Le parole di Paolo VI

    L’opera di Greco venne inaugurata il 28 giugno 1967, lo stesso anno in cui Giovanni XXIII veniva sepolto nelle Grotte Vaticane. Il monumento fu collocato nell’unico spazio disponibile: «la parete destra nella cappella della Presentazione, dove si trovava il loculo utilizzato per ospitare il corpo di un papa defunto, in attesa della sepoltura definitiva» [16].

    Giovanni XXIII 2

    In quell’occasione, Paolo VI parlò del monumento, durante la propria omelia: «Monumento dedicato alla memoria e all’onore d’un Papa, ch’ebbe la singolare prerogativa, in grado non comune, di farsi amare. Ritornano spontanee al nostro spirito le parole, che ci salirono dal cuore, quando nel Duomo di Milano, nella festa di Pentecoste del 1963, mentre l’agonia di Giovanni XXIII teneva in ansia ed in preghiera la Chiesa intera ed il mondo: “Benedetto questo Papa che ci ha fatto godere un’ora di paternità e di familiarità spirituale, e che ha insegnato a noi e al mondo che l’umanità di nessuna altra cosa ha maggior bisogno, quanto di amore”. Amò e fu amato; e questo monumento, come raffigura Papa Giovanni nell’atteggiamento del suo multiforme apostolico amore, così vuol essere il segno che tale amore è stato compreso e a tale paterno amore il nostro filiale risponde. E qui è da notare subito, per riportarne tutti impressione perenne, il carattere peculiare di questo monumento, che fissa nei nostri spiriti la direzione dei sentimenti e delle reminiscenze che devono perpetuare la figura del grande e amabile Pontefice. Il carattere peculiare, che distingue questo cenotafio dagli altri, sta nel fatto che l’artista ha avuto il felice intuito di presentare, ben più che la figura personale del Papa, l’azione di lui; l’artista lo ha raffigurato non solitario e maestoso, come appaiono di solito i monumenti destinati a ricordarci la grandezza dei personaggi ai quali essi sono dedicati, ma emergente da gruppi umani diversi e compositi, tutti attraversati da un comune carattere, il dolore, verso i quali, ammantato, sì, di pontificali indumenti tali da qualificarne la dignità e la missione, egli, il Papa, con umile passo, con volto affabile, si dirige nell’atto di proferire una parola, quale l’incontro con l’umana sofferenza può spontaneamente suggerire. È una scena, più che un’effigie, che noi abbiamo davanti; una scena plurima e confusa, com’è appunto quella della vita bisognosa di conforto e di soccorso.
    Veramente la scena è duplice, perché, al di sopra di quella delle umane vicende, un’altra scena agitata e misteriosa è presentata, dove aleggiano angeli agili e potenti, a ricordare il mondo spirituale, che tutta pervase l’anima e la vita di Papa Giovanni, e che tanto più lo rese capace d’amare gli uomini quanto più egli s’era reso capace, in senso passivo e attivo, dell’amore di Dio» [17].

    Cielo e terra si uniscono nella misericordia

    Come nelle porte di Orvieto, anche in quest’opera Greco inserisce, oltre ai personaggi umani, alcune figure angeliche. È un simbolo di quella misericordia in cui cielo e terra, umano e divino, materiale e spirituale si uniscono. «Niente unisce maggiormente con Dio che un atto di misericordia» sono parole di papa Francesco «- e questa non è una esagerazione: niente unisce maggiormente con Dio che un atto di misericordia - sia che si tratti della misericordia con la quale il Signore ci perdona i nostri peccati, sia che si tratti della grazia che ci dà per praticare le opere di misericordia in suo nome. Niente illumina di più la fede che il purgare i nostri peccati, e niente vi è di più chiaro che Matteo 25 e quel "Beati i misericordiosi perché otterranno misericordia" (Mt 5,7) per comprendere qual è la volontà di Dio, la missione alla quale ci invia. Alla misericordia si può applicare quell’insegnamento di Gesù: "Con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi" (Mt 7,2)» [18]. Per questo» - è qui nuovamente Paolo VI a parlare, in occasione dell’inaugurazione dell’opera di Greco - «Ci piace ravvisare in questo monumento l’espressione caratteristica e centrale della personalità di Papa Giovanni, la bontà, l’amore, il genio pastorale che fa del Vicario di Cristo un amico degli uomini, il quale muove loro incontro tutto comprensione, affabilità, richiamo, perdono, conforto, rigenerazione, salvezza, come nel Vangelo ci appare Gesù. Fu natura in lui tale bontà? se così, la sua terra ne avrebbe grande merito. Fu virtù? se così, la sua ascesi sacerdotale ne avrebbe grande gloria. Fu dono e carisma di Dio? se così, la sua presenza fra noi sarebbe allora per tutti grazia e mistero. Fu tutto questo insieme, e natura, e virtù e carisma? Crediamo che sì; ed è per questo che Papa Giovanni fu e sarà a tutti tanto caro» [19]. Per dirla con le parole di un altro papa, Albino Luciani, «la nostra grande predica è la vita santa» [20]. La grande predica di papa Giovanni è stata la sua vita, costellata non solo di parole, ma anche di gesti. Quella predica che continua a parlare anche attraverso le opere d’arte in cui egli è rappresentato in questa chiave di “lettura”. Proprio come nel monumento bronzeo di Greco, in cui si nota una «specie di grande aureola intorno al capo del pontefice» [21] che viene formata da quei «tre angeli, che portano ramoscelli d’olivo» [22] mentre «volano in cerchio» [23].

    SOFFERENZA CONDIVISA, MISERICORDIA APPRESA

    Il Monumento a Giovanni XXIII acquista in un certo senso, una funzione catechetica. Monsignor Fallani, in occasione dell’inaugurazione, affermò che «per la prima volta, con l’opera di Greco, si introduce in San Pietro la raffigurazione del popolo di oggi con i suoi problemi e suoi dolori; e papa Giovanni non è in una nicchia ideale… ma si è mosso verso la sofferenza del popolo cristiano, è andato a trovare la sofferenza dove egli alloggia» [24].
    Il papa - fuori da una visione soltanto “glorificatrice”, che lo renderebbe un santo solo da nicchia, un irraggiungibile - diventa un modello da imitare, alla portata di tutti: è l’esempio della misericordia che sa farsi spazio nelle situazioni concrete della vita, là dove qualcuno ha fame, sete, è malato o in carcere. Là dove si può trovare nell’affamato, nell’assetato, nell’ammalato e nel carcerato, la carne stessa di Cristo, che aspetta di essere toccato negli uomini creati a sua immagine e somiglianza. È quella misericordia sulla base della quale l’uomo sarà giudicato degno di entrare nel regno dei Cieli, e di essere glorificato, nella santità, al cospetto di Dio: «Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: ”Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me”» (Mt 25, 34-40).

    NOTE

    [1] Francesco Buranelli, Emilio Greco e il sacro, in Emilio Greco. La vitalità della scultura, Estratto, Allemandi Editore, 2013, p. 4.

    [2] Parole di Emilio Greco in Ibidem.

    [3] Benedetto XVI, Regina Coeli, 30 marzo 2008.

    [4] Francesco, Udienza Generale, 10 settembre 2014.

    [5] Francesco, Udienza Giubilare, 20 febbraio 2016.

    [6] Intervento del Card. Virgilio Noè in occasione della Conferenza stampa di presentazione di collocazione dell’urna con il corpo del beato Giovanni XXIII nella Basilica di San Pietro, 31 maggio 2001, Sito Internet della Santa Sede, https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2001/05/31/0314/00909.html

    [7] Francesco, Prima meditazione in occasione del Ritiro Spirituale guidato in occasione del Giubileo dei Sacerdoti, 2 giugno 2016.

    [8] Giovanni XXIII, Discorso ai fedeli partecipanti alla fiaccolata in occasione dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, 11 ottobre 1962.

    [9] Monumento a papa Giovanni nella basilica di San Pietro, in Corriere della Sera, 15 febbraio 1967, p. 2.

    [10] Cfr. Abbaiando al peccato. Il cane nell’iconografia cristiana, Sito Internet del quotidiano Stile Arte, https://www.stilearte.it/abbaiando-al-peccato/

    [11] Giovanni XXIII, Ult. cit.

    [12] È vero che la saliva dei cani è sterile?, Sito Internet della rivista Focus, https://www.focus.it/ambiente/animali/e-vero-che-la-saliva-dei-cani-e-sterile 
    Anche Sant'Antonio, in un suo sermone sulla parabola di Lazzaro e del ricco epulone, definisce «la lingua del cane medicamentosa (curativa)», effettuando poi un paragone con «la lingua del predicatore» che «con la lingua della predicazione, deve curare con avidità le piaghe dei peccatori, ma deve anche lambirle con delicatezza, affinché sotto la sua lingua ci siano miele e latte, cioè un insegnamento dolce e delicato» (Sant'Antonio di Padova, Sermone per la Domenica I dopo Pentecoste, in I Sermoni, Edizioni Messaggero di Padova, 2005, p. 398).

    [13] Sandro Barbagallo, nell'intervista per Moebius su Radio 24https://www.moebiusonline.eu/fuorionda/zoo.vaticano.shtml

    [14] Chiara Barbato, «La saggezza m’è stata compagna in questo lungo viaggio»: l’aurea via di Emilio Greco, pp. 19-20, Sito Internet ArtWireless, https://www.artwireless.it/aw/images/editoriale/2013/09-greco/3_barbato.pdf

    [15] Parole del cardinale Virgilio Noè nell’intervista rilasciata al Tg3, in Papa Roncalli e sant’Agostino, in Trenta Giorni, n. 03 - 2001, disponibile sul Sito Internet della rivista, https://www.30giorni.it/articoli_id_2633_l1.htm

    [16] Intervento del Card. Virgilio Noè, Cit.

    [17] Paolo VI, Omelia, 28 giugno 1968.

    [18] Francesco, Prima meditazione in occasione del Ritiro Spirituale guidato in occasione del Giubileo dei Sacerdoti, Cit.

    [19] Paolo VI, Omelia, Cit.

    [20] F. Taffarel, in La fiaba, bollettino parrocchiale di Cessalto, n. 4, 1985, p. 1, Sito Internet Centro di Spiritualità e Cultura Papa Luciani, https://www.papaluciani.it/Humilitas/08/humilitas_aprile08.html

    [21] Monumento a papa Giovanni nella basilica di San Pietro, in Corriere della Sera, 15 febbraio 1967, p. 2.

    [22] Ibidem.

    [23] Ibidem.

    [24] Parole di Mons. Giovanni Fallani in Francesco Buranelli, Emilio Greco e il sacro, Cit., p. 4.

     


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