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    Le nuove tendenze antropologiche: 2. L'uomo nichilista


     

    Carlo Nanni

    (NPG 1982-06-59)

    Continua lo studio di Carlo Nanni sugli umanesimi oggi. Gli articoli precedenti sono comparsi nei numeri di marzo ( «Perché una ricerca sugli umanesimi» ), aprile ( «I miti dell'uomo moderno e la loro crisi) e maggio ( «Le nuove tendenze antropologiche: I. L'uomo dei bisogni radicali»).

    2. L'UOMO NICHILISTA

    Con l'immagine dell'uomo rizomatico è resa manifesta la vastità della crisi attuale e lo spettro dell'eversione di ogni tradizionale appoggio, basato sul patrimonio culturale ufficialmente condiviso.
    Per questo un tal modo di pensare è spesso accomunato in quel movimento culturale che viene variamente inteso come pensiero negativo (19) e come nichilismo. Rimanendo per ora ai termini generali diremo nichilista quell'immagine di uomo che vive la sua esistenza nella convinzione che non si diano verità e valori assoluti; ma anzi che ogni cosa - e l'esistenza umana in primo luogo - abbia il niente per sua porzione ed eredità.
    Diverse e non sempre omogenee sono anche qui le ascendenze culturali.
    Secondo questo autore il pensiero negativo più che una corrente particolare è visto come atmosfera e orizzonte che attraversa e raggiunge tutto il pensiero contemporaneo.

    2.1. La dialettica negativa della scuola di Francoforte

    Anche se il momento produttivo più tipico è da collocarsi agli inizi degli anni Trenta, è vero tuttavia che la sociologia critica della Scuola di Francoforte (M. Horkheimer, T.W. Adorno, E. Fromm, H. Marcuse, ecc.) ha dato i suoi frutti soprattutto alla fine degli anni sessanta, fino ad apparire il supporto ideologico della contestazione giovanile e studentesca del 1967-68.
    Criticati sia da parte marxista (soggettivismo intellettuale, teoria distaccata dalla prassi, mancanza di ottica di classe, ecc.) sia da altre posizioni, tra cui in primo luogo il razionalismo critico di K. Popper e del suo discepolo H. Albert (aprioricità, storicismo, metafisicismo, neohegelismo, miscuglio giustapposto di marxismo, hegelismo, freudismo, ecc.) i francofortesi e il loro continuatore J. Habermas, costituiscono una lucida testimonianza di alcune istanze di fondo che percorrono le scienze umane e sociali (20).
    La loro dialettica è detta negativa, nel senso che nega l'esistente per far spazio a progetti emancipativi; che non intende soggiacere a pressioni autoritarie o ad operazioni di dominio, riducendosi a ragione «strumentale», ma cerca di liberare l'immaginazione alternativa e il pensiero divergente, che accentua la diversità più che l'unità, la non-identità più che la conciliazione. Per rifarsi ad Hegel, è quasi un affermare che l'antitesi non può essere sussunta nella sintesi, ma rimane negazione della tesi e basta.

    2.2. L'esistenzialismo «negativo» di Sartre e Heidegger

    Una seconda ascendenza può aversi già in Sartre della Nausea. Di fronte al mondo (alla «cosa in sé»), che è schifoso come un vomito e che si riproduce caoticamente e magmaticamente, l'io non può che avere la nausea. L'assurdità sembra la sorte di tutto a cominciare dalla propria inutile passione di libertà.
    Ma forse più che a Sartre, il pensiero nichilista di oggi si rifà a M. Heidegger e alla sua analisi esistenziale dell'uomo gettato nel mondo e nel tempo, e che nell'angoscia della sua «deiezione» ( Dasein) si disvela come librato nel nulla e afferma la sua libertà, riconoscendosi come «essere-per-la-morte».
    Non per nulla si è avuta in questi ultimi anni, dopo quello che sembrava il definitivo tramonto dell'esistenzialismo, una sorta di «Heidegger-renaissance» in coincidenza con il cadere dei miti sessantotteschi e con il tramontare delle ideologie «forti» (21).

    2.3. Nietzsche nuovo Profeta

    Ma lo stesso Heidegger viene assunto quasi solo in quanto ha riproposto una particolare interpretazione di F. Nietzsche, diversa sia da quella del superomismo decadentistico-estetizzante (dannunziano) sia da quella anarchica, sia da quella nazista: accentuandone la coscienza della negatività e dell'amor fati (22).
    Sta di fatto che Heidegger e Nietzsche sembrano comunque aver ribaltato in gran parte Marx e Freud nelle «funzioni di paternità ispiratrice» e come autorità culturale indiscussa. Il riferimento a Nietzsche, soprattutto, non solo tra intellettuali ma tra giovani studenti, sembra simile a quello che era a Marx-giovane una decina d'anni fa.
    Di Nietzsche si mette in risalto la proclamazione della morte di Dio: essa non è vista tanto come negazione ateistica, quanto piuttosto come affermazione della fine di ogni certezza assoluta o di verità e valori eterni o immutabili. Più in generale lo si segue in quella demolizione della cultura borghese, di cui la negazione ateistica è solo un aspetto, portata avanti da Nietzsche in tutta la sua opera. O ancora si è d'accordo con lui nel rifiuto della religione, meglio delle sue sicurezze ( «il timore fece gli dei»).
    In particolare si esalta la sua figura e la lucidità della sua coscienza nella attività di azzeramento della tradizione, nel «dover» vivere senza sicurezza, nella «ricreazione di valori», pur in questa coscienza di vanità e di «eterno ritorno del tutto» (23).

    2.4. La negazione della verità e di valori assoluti

    Alla luce di queste ascendenze si definisce meglio ciò che è il pensiero negativo. Esso diventa pratica dell'«arte del sospetto» (Nietzsche) che mette in crisi le certezze del passato; che urge sulle contraddizioni del pensiero; che punta il dito sulle falle e sui buchi neri del reale; che al limite nega la possibilità di una identità e di una unità affermando le ragioni della non-identità, del diverso, del molteplice, del diveniente.
    Da questo punto di vista il nichilismo indica in primo luogo una concezione che riguarda direttamente la portata del conoscere umano. Più in particolare è una concezione riguardante la verità, cioè il rapporto tra conoscenza e realtà. Con esso si viene ad affermare che non esistono possibilità di conoscenze che siano valide universalmente, sempre e dovunque, indipendentemente dai soggetti conoscitivi, dalle condizioni e dai contesti storici in cui si colloca l'attività conoscitiva dell'uomo. Non esistono leggi universali o visioni del mondo e della vita che riescano a vincere e a districare una volta per tutte l'atomicità e la dispersione delle cose e degli avvenimenti.
    A questa concezione si accoppia in genere la affermazione di valore propria del Q45elet biblico, secondo cui tutto ciò che è e vive sotto il sole è «vanità delle vanità e tutto è vanità» (24).

    2.5. I diversi esiti del nichilismo

    Dal punto di vista operativo questa accoppiata può dar luogo o ad un atteggiamento estremamente pragmatistico (che esalta il momento delle scelte politiche rispetto al momento delle ideologie, o la pratica rispetto alla teoria), oppure ad una sorta di buddismo teorico-pratico, che proclama «l'assenza dal mondo» sia nella vita sociale-politica sia nell'impegno morale personale.
    O per lo meno si offre come atteggiamento disincantato dell'intellettuale che si ferma di fronte alla costatazione delle aporie e delle contraddizioni esistenti. In ciò non è da sottovalutare l'influsso del razionalismo critico, fondamentalmente relativista, di M. Weber.
    Per altri invece il nichilismo non è così negativo. Risveglia invece modi nuovi di intendere la condizione umana e la sua vicenda storica. La fine delle certezze e dei valori eterni ed assoluti è salutata come l'aurora della liberazione e di una vita più a misura d'uomo. Infatti - secondo costoro - si sarà in genere meno sicuri e meno garantiti ma anche più autonomi e insieme più tolleranti, e responsabili in prima persona del proprio destino (25).
    Heidegger viene modificato nel titolo del suo volume Essere e tempo (26), per dire invece che l'uomo, nella sua esistenza storica concreta (l'«Esserci», nel termine tecnico heideggeriano), è tempo. Ma temporalità non vuol dire dissolvimento apocalittico di tutto. Il riconoscimento dell'esistenza come essere-per-la-morte non vuol dire negazione tout court di essa. L'asserzione che l'esistenza esce dal nulla e ricade nel nulla della morte non nega l'arco temporale dell'esistenza, le sue leggi deboli (coscienti del loro limite, perciò non intolleranti, non violente, non dominative). E neppure viene meno l'infinito repertorio di possibilità date dalla pluralità e dalla diversità soggettive (27).
    Lo stesso scuotimento della vita dovuto all'urto impetuoso delle trasformazioni della civiltà industriale, più che allo scoramento invita alla assunzione del rischio e alla continua manipolazione ed adattazione di soggetti ed oggetti ai nuovi usi e consumi, offerti dalla civiltà tecnologica con il suo fascino discreto. Lavorare e districarsi tra le pieghe dell'esistente è la regola aurea dell'azione.
    Certo l'atteggiamento primario dell'uomo rimane una fondamentale pietà e rispetto reverenziale verso l'esistenza, percorsa dal nulla e verso le persone, segnate radicalmente dalla morte.
    Così a livello collettivo viene ad essere prospettata e auspicata una società non violenta, dalle istituzioni e rituali non fideistici, capace di adattarsi continuamente alla differenza e alla molteplicità del reale.
    Si comprende che a questo livello il nichilismo non è più soltanto una concezione della verità, ma si allarga ad una visione generale del mondo e della vita individuale e comunitaria.
    Mi pare pure abbastanza evidente la distanza che c'è tra queste forme di «nichilismo» e la ideologia del partito armato, spesso etichettata come nichilista. Una tale ideologia, come si è accennato, si può definire piuttosto come una sorta di tragico catastrofismo negativo. Infatti, secondo gli autori che difendono il «nichilismo», la ideologia del partito armato resterebbe, tutto sommato, ancorata all'assolutezza di un ideale, in nome del quale fa opera di distruzione e di soppressione del «diverso» esistente.
    Tuttavia è indubbio che l'enfasi posta sulla negatività, l'assurdità, la vacuità del tutto, può spingere sia al disimpegno e all'apatia o all'eversione totale (27 bis).

    2.6. Niente e nulla: l'oblio dell'essere e della rotonda verità

    Nonostante la presa di distanza, non mancano però critiche di diverso tenore e livello.
    A questa cultura dell'assenza di verità e del divenire incessante e sfuggente non solo si imputa di non essere molto di più di un sofisticato gioco intellettuale, giustificatorio di situazioni esistenziali, ma di servire ultimamente al gioco sottile del potere economico e politico, che ha tutto da guadagnare dall'ammissione della «fatale» necessità di una civiltà quale quella tecnologico-industriale, che travolge uomini e cose nel flusso degli oggetti e delle merci che circolano tra produzione e consumo.
    Altri le fanno carico di gettare le esistenze in un «presentismo» affannoso, che pone ogni valore nella novità da possedere e dominare: fino a far perdere il senso della «memoria storica» o la coscienza della struttura temporale che è sottesa alla esistenza individuale e collettiva.
    Ma c'è di più. Secondo qualcuno l'affermazione nichilista ripropone, ancora una volta, a chiare note quell'oblio dell'essere, che secondo Heidegger caratterizza la tradizione culturale occidentale (28).
    Da Platone e da Aristotele in poi, la speculazione occidentale sarebbe rimasta sempre al livello delle questioni riguardanti l'uomo e la natura: cioè a livello di «enti» particolari, senza mai giungere al livello dell'essere universale. La questione ultima dell'aut-aut tra essere e nulla, posta lucidamente dal pensiero dei presocratici (Parmenide e Eraclito), sarebbe rimasta in seguito sempre inevasa, meglio fatta scadere a livello «sperequato» di essere e «niente». Anzi si sarebbe continuamente scambiato l'essere ente (l'essente) con «empiria» (il dato empirico), l'ontologico con l'ontico, per dirla in termini heideggeriani: non si sarebbe compreso lo spessore profondo delle cose ma si sarebbe rimasti sempre alla molteplicità fenomenica spazio-temporale, cioè all'aspetto corticale della realtà. Detto in termini tecnici la domanda metafisica, riguardante la verità dell'essere sarebbe sempre stata contrabbandata e ridotta, nel migliore dei casi, in termini di ricerca sul senso degli enti.
    Questa fatale dimenticanza si è ripercossa sull'essere stesso dell'uomo e delle cose, cioè sugli enti.
    Infatti dando aggio a ciò che è empirico, fattuale, fenomenico, con l'andar dei secoli si è fatta sempre più consistente la riduzione dell'essere a tempo: se è vero infatti che le cose prima non c'erano e dopo non ci saranno più, si può anche dire che l'essere è stato nel passato e può essere nel futuro. Il tempo è stato preso dal pensiero occidentale come struttura originaria della realtà; il divenire storico e il divenire delle cose (che nel tempo appariscono a spariscono, nascono e muoiono, si costruiscono e si consumano) è stata vista come la linea portante della cultura di noi occidentali, «abitatori del tempo» (29).
    Non solo: ma alla fine si è caduti in un tragico errore, somigliante all'illusione infantile e primitiva di chi credesse che il sole non esistesse più («il sole che muore») e non continuasse a esistere quando esce fuori dell'orizzonte visivo («non c'è più»).
    Il tempo infatti è segnato dal non essere prima» e «non essere più». In tal modo le realtà esistenti hanno finito per essere considerate un impasto, intriso di niente: in ciò sta l'essenza del nichilismo contemporaneo.
    Per sfuggire al niente l'uomo occidentale si è costruito gli dei, come dice Nietzsche: in essi ha proiettato la sua angoscia. La religione, qualsiasi religione, con i suoi riti ne sono l'espressione sociale. E quando ha voluto uscire da questa proiezione alienante e riappropriarsi del suo potere sulle cose, non è stato capace di far altro che gettarsi a corpo morto in quella «follia» che è la civiltà tecnocratica, dichiarandosi creatore della storia.
    Un simile ragionamento sembrerebbe a prima vista un astratto gioco intellettuale, un bizantinismo astruso. Ma, preso a chiave intepretativa della nostra civiltà industrale e tecnologica, esso sembra dimostrare tutta la sua forza. Infatti, a detta di chi porta avanti questo discorso, tutti i mali dell'odierna civiltà, dalla mercificazione del lavoro alla alienazione, alla distruttività della violenza, alla droga, deriverebbero ultimamente da una visione nichilistica della realtà. La volontà di dominio e di possesso tipici della nostra civiltà si fonderebbero sull'idea che le cose (e le persone) sono oscillanti, malferme, soggetti al divenire, e perciò modificabili, manipolabili, trasformabili: tali cioè che possano essere condotte dal niente all'essere (prodotte, fatte, create) e dall'essere al niente (mercificate, alienate, possedute, consumate, divorate). Non è difficile vedervi riprodotta la logica tecnocratica, che appunto funzionerebbe come se le cose fossero niente nelle sue mani: da creare e da consumare. E se nei suoi movimenti iniziali ha potuto dar luogo ad una euforica «onnipotenza» dell'uomo, non è chi non veda come il suo incrinarsi e i suoi guasti abbiano fatto pensare al nichilismo della realtà e alla vanità della vicenda umana.
    Per taluni una tale radicale contestazione della civiltà occidentale sembra piuttosto ingenua e rozza. Altrettanto sembra che si debba dire di una concezione della religione rimasta per tanti versi a posizioni del secolo scorso.
    La stessa istanza di una «alternativa totale», come uscita dai «sentieri della notte» per guadagnare quelli che Parmenide chiama i «sentieri del giorno e della rotonda verità», può essere cara e fascinosa, ma mostra tutta la sua inconsistenza quando non sa andare più in là della semplice sua proclamazione.


    NOTE

    (19) Sul pensiero negativo si veda più diffusamente in I. Mancini, Come continuare a credere, Rusconi, Milano 1980, il capitolo sul pensiero negativo, pp. 19-74.
    (20) Sulla scuola di Francoforte in generale si veda U. Galeazzi (a cura di), La scuola di Francoforte: «teoria critica» in nome dell'uomo, Città Nuova, Roma 1975. Per T. Adorno in particolare: M. Protti, Homo theoreticus. Saggio su Adorno, Angeli, Milano 1978.
    (21) Su Heidegger segnaliamo l'agile introduzione di G. Steiner, Martin Heidegger, Sansoni, Firenze 1978; e per i rapporti con il nichilismo: G. Vattimo, Introduzione a Heidegger, Laterza, Bari 19802.
    (22) Su Nietzsche: E. Fink, La filosofia di Nietzsche, Mondadori, Milano 1977; G. Vattimo, Il soggetto e la maschera. Nietzsche e il problema della liberazione, Bompiani, Milano 19792.
    (23) Le Opere di Nietzsche sono disponibili in italiano presso l'editrice Adelphi di Milano (ricordiamo in particolare Cosi parlò Zarathustra, Ecce Homo, La gaia scienza, ecc.).
    (24) Ciò spiega - mi pare - il consenso che si è avuto, oltre i motivi letterari, per la riedizione della traduzione poetica di questo libro della Bibbia ad opera di U. Ceronetti.
    (25) Si pensi ad es. a G. Vattimo, Le avventure della differenza, Garzanti, Milano 1979; Al di là del soggetto, Feltrinelli, Milano 1981.
    (26) M. Heidegger, Essere e tempo, Longanesi, Milano 19762.
    (27) Si recupera qui il pluralismo dei linguaggi e la validità dei diversi codici con cui leggere e operare nella realtà messi in risalto dall'ultimo L. Wittgenstein di Ricerche filosofiche: la «legge dell'uso» è quella legittima: diversi «giochi» linguistici.
    (27bis) Fortemente critico in proposito è G. Morra, La cultura cattolica e il nichilismo contemporaneo, Rusconi, Milano 1979.
    (28) Il richiamo è forte in E. Severino, Essenza del nichilismo, Paideia, Brescia 1972.
    (29) È il titolo del volume di E. Severino, Gli abitatori del tempo. Cristianesimo, marxismo, tecnica, Armando, Roma 1978.


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