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    Un oratorio a servizio delle «domande» dei giovani nel territorio


     

    Niky Sardi

    (NPG 1982-06-47)

    Una grande metropoli del Nord.
    Un quartiere dalle caratteristiche socio-culturali estremamente variegate e contrastanti.
    Un oratorio che si pone come spazio educativo aperto a tutte le persone e che non vuole essere «un'isola felice al di fuori della realtà».
    Un gruppo giovanile in evoluzione attento e sensibile al mutare della vita e delle esigenze dei suoi membri.
    Questi, a grandi linee, gli aspetti di fondo dell'oratorio S. Angela Merici al centro di Milano.
    Una situazione in divenire, ricca di spunti e di intuizioni in grado di ritagliare i contorni di una collocazione definita all'interno della realtà ecclesiale e del mondo giovanile. Una storia che indica un particolare modo di vivere il rapporto tra l'azione, singola o di comunità, nella realtà sociale e l'appartenenza ecclesiale.

    UN ORATORIO RIAPRE AI RAGAllI E AI GIOVANI

    Come spesso capita «la svolta oratoriana» comincia con l'arrivo di un nuovo prete all'oratorio.
    Siamo negli anni '74-75 e la realtà oratoriana è rappresentata essenzialmente da un certo numero di ragazzi e ragazze intorno agli undici anni, che si ritrovano in seguito all'esperienza della cresima, senza alcun obiettivo definito o interesse specifico.
    Gli inizi sono abbastanza difficili. La proposta di un modo nuovo di vivere il «dopocresima» deve vincere la «diffidenza» nei confronti di tutto ciò che è nuovo. Solo lentamente si riesce ad aggregare un gruppetto intorno a piccole attività concrete che vanno dallo sport ad un servizio di assistenza negli ambienti dell'oratorio. Si impara a stare insieme e si comincia a parlare di gruppo.
    Il salto di qualità vero e proprio si ha nel '77 con l'entrata di questo gruppo ormai di adolescenti nelle scuole superiori.
    Escono i primi numeri del giornalino i quali rappresentano una sorta di presentazione ufficiale del gruppo, formato da una decina di persone in prevalenza ragazze. «Non è difficile notare come siano pochi i ragazzi veramente contenti di vivere: iniziando dal nostro quartiere, tante volte tutti noi abbiamo motivo di vedere giovani annoiati, riuniti in compagnia, ma senza un vero motivo per stare insieme; abbiamo potuto sentire le risate artificiosamente allegre e la musica tutto volume che impedisce ogni dialogo, nelle festicciole che lasciano il tempo che trovano ed ogni volta li lasciano sempre più vuoti ed insoddisfatti. Abbiamo potuto sentire parlare di droga, presente in modo notevole tra i giovani, i ragazzi che si sentono già vecchi a sedici anni, di violenza...».
    L'impegno in oratorio diviene così una scelta effettiva; una scelta dovuta non a un ridicolo bigottismo o all'incapacità di riuscire a riempire in modo soddisfacente il proprio tempo libero, «ma perché riteniamo giusto e fondamentale per la nostra crescita mettere a disposizione di chi ha bisogno e si aspetta qualcosa da noi, le nostre energie, il nostro sorriso, la nostra allegria e disponibilità» facendo sapere a tutti che «alla base c'è tanta buona volontà e tanta voglia di comunicare la gioia di vivere bene i nostri giovani anni».

    Le attività concrete come punto di partenza

    La presenza nelle attività oratoriane diviene sempre maggiore; si affiancano gli adulti nella catechesi per le elementari, si organizza tutta l'attività ricreativa, specie nei mesi estivi, con lo scopo di raccogliere la gente del quartiere per «giocare e divertirsi assieme» e di «fargli conoscere il nostro ambiente»; si istituiscono corsi di traforo, disegno, pittura, fotografia, ping-pong, lavorazione della pelle e del cuoio, ecc., con l'idea di offrire il modo di utilizzare il proprio tempo libero «imparando qualcosa» e di permettere ai ragazzi una socializzazione in un ambiente diverso da quello strettamente scolastico.
    Si coprono a poco a poco settori sempre più ampi con l'attività musicale e sportiva per fornire ad ognuno la possibilità di soddisfare i propri interessi e di esprimere le proprie capacità. Le proposte sono infatti molteplici: lezione di chitarra, ritmica e classica, e di organo, costituzione di squadre di calcio e pallavolo, corsi di mini-basket e di ginnastica artistica.

    Dalle attività alla riflessione

    È all'interno di questa miriade di attività che si scopre il valore della persona, della singolarità dell'individuo, la sua irrepetibilità ed unicità. Si cerca di seguire i ragazzi anche al di là dei momenti di lavoro o di gruppo, ci si interessa della loro vita e dei loro problemi, si parla con i loro genitori e non si dimenticano i loro compleanni.
    Le cose proposte in oratorio diventano sempre meno semplice momento di aggregazione fine a se stessa ed entrano poco alla volta a far parte di un progetto unico e globale. Nei giovani più grandi, all'azione si accompagna sempre più la riflessione, per capire il senso del proprio agire, per conoscere il mondo del ragazzo, per programmare in modo corretto le attività.
    Matura così, nel gruppo dei più grandi, una scelta di fondo, o la scelta oratoriana ed educativa: «Con l'oratorio intendiamo creare uno spazio educativo, senza delimitare l'educazione soltanto ad un orientamento cristiano, ed offrire la possibilità alle persone di prendere coscienza dei valori umani dei cristiani.
    Ci si accorge a poco a poco che il gruppo o l'istituzione oratoriana non sono «il vero mondo» del ragazzo o del giovane, ma sono semplicemente uno spazio in cui «stimolare le persone a vivere nel loro ambiente determinate realtà ed a diventare abbastanza critici nella lettura di ciò che si vive».
    Man mano che la riflessione del gruppo prosegue nasce un abbozzo di «progetto educativo». Educare, secondo le riflessioni dei giovani, significa aiutare a crescere e «crescere significa vivere». Vivere la vita di tutti i giorni, affrontare i problemi che il quotidiano ci pone, assumersi le proprie responsabilità, imparare ad avere una presenza autonoma e critica nella scuola, nella famiglia e nella società. Educare significa in tal modo accompagnare ogni singolo ragazzo, adolescente, giovane nelle varie tappe della propria crescita umana e religiosa.
    La persona ed il suo rispetto divengono così i criteri di significato e di giudizio sulle cose che si fanno e si propongono. L'attenzione viene rivolta alle concrete esigenze dei singoli alle prese con i problemi della vita quotidiana, alle loro attese ed alle loro aspirazioni.

    Questionari e interviste per conoscere il quartiere

    «Rispondere alle esigenze delle persone!» è forse lo slogan più significativo dell'oratorio di S. Angela Merici. Ma per poter rispondere occorre innanzitutto conoscere le esigenze reali di chi sta attorno. Lo stimolo giunge dalla crisi della catechesi. Molti ragazzi dopo la cresima rifiutano un rapporto con l'oratorio che vada al di là del venire a giocare a calcio.
    Ci si chiede il perché, ci si interroga sulle motivazioni che spingono queste persone a perdere interesse per l'oratorio; ci si mette in crisi come gruppo proposta e ci si rende conto della necessità di andare veramente incontro alle domande, più o meno espresse, degli individui. Il problema diviene allora quello di estendere la riflessione anche al di là delle questioni specificamente legate alla propria realtà di gruppo di adolescenti e di animatori in oratorio, per cercare un aggancio con l'evolversi della situazione esterna del quartiere, della città, della società tutta, di prendere coscienza «che noi viviamo di una realtà sociale».
    A questo scopo un notevole lavoro di indagine nell'ambiente circostante ha accompagnato, durante questi anni, le varie proposte di attività che venivano fatte; sia per verificarne l'effettiva rispondenza alle domande della gente, sia per cogliere gli aspetti emergenti della realtà in cui è inserita la parrocchia. Si tratta di interviste fatte a grandi e piccoli, ai genitori ed ai figli; di questionari elaborati con l'aiuto di alcuni adulti e diffusi in tutto il quartiere; di momenti di valutazione in cui ci si interroga e ci si lascia interrogare sul significato delle proprie azioni in rapporto ai bisogni concreti della gente.

    L'ORATORIO: UN PUNTO DI RIFERIMENTO COORDINATO SU ALTRI SPAZI

    I risultati della ricerca portano a riformulare in due direzioni il servizio che l'oratorio offre ai ragazzi e agli adolescenti.
    Si arriva anzitutto alla conclusione che in una società in trasformazione come quella attuale l'oratorio può essere un decisivo spazio educativo, un grosso «punto di riferimento» per ragazzi e giovani.
    Questa prima conclusione viene successivamente qualificata da una seconda opzione. L'oratorio deve essere «punto di riferimento coordinato su altri spazi». In altre parole l'oratorio non deve pensare la sua identità chiudendosi al suo interno o pensando alla propria sopravvivenza istituzionale, ma situandosi sempre più come servizio educativo nel territorio, sulla base dei problemi che i giovani sentono e vivono in prima persona. In fondo, si conclude, «non si tratta di inventare della cose per trattenere o per far venire i ragazzi all'oratorio, ma di rispondere nel modo migliore possibile alle loro esigenze».
    Vengono individuate, sempre alla luce delle indagini, alcune aree problematiche di cui il gruppo giovanile dell'oratorio deve in qualche modo farsi carico. Uno dei punti dolenti e senza dubbio più sentito è quello della famiglia: «In molte famiglie esiste un distacco tra genitori e figli, dappertutto si avverte una frattura tra giovani ed adulti. I figli dicono: "Papà e mamma non ci capiscono ". I genitori dicono: "Secondo loro noi sbagliamo sempre". I giovani pongono in crisi la figura degli adulti, che si rendono conto di essere messi in discussione dai propri figli, di essere giudicati e molto spesso contestati sulle proprie sicurezze, sulla propria coscienza tranquilla».
    A complicare il tutto si aggiungono le cose e le idee maturate nel gruppo oratoria-no, che spesso sembrano portare ad uno scontro diretto con l'istituto familiare; perché ci si sente molto più compresi dai propri coetanei che dai propri genitori, perché si sta meglio in oratorio che in casa, perché si inizia a desiderare di fare le proprie scelte, in modo del tutto autonomo.
    I problemi che rimbalzano tra i muri dell'oratorio non giungono però solo dalla vita dei singoli, dall'esperienza familiare, ma anche dall'ambiente esterno più vasto. Ci si scontra subito con la realtà della droga e con la disillusione dei giovani. Da un lato ci si sente interpellati, chiamati a dare una risposta concreta a tutto ciò, e dall'altro ci si accorge contemporaneamente che si rischia di estraniarsi dal mondo che ci circonda. Perché si sta bene insieme, perché si fanno cose che piacciono e gratificano, perché si coltiva in un angolino l'idea di essere «i migliori, gli impegnati», coloro che hanno le idee più chiare.
    La storia recente di quello che ormai è diventato un vero «centro giovanile» è caratterizzata da una tensione continua tra l'interno e l'esterno, tra un oratorio come luogo di realizzazione personale ed un oratorio come cassa di risonanza delle problematiche e delle contraddizioni dell'ambiente sociale in cui è inserito.
    All'interno dell'oratorio vengono a qualificarsi con maggior chiarezza alcuni spazi di azione. La «scelta educativa», condivisa da tutti alla scuola superiore, viene progressivamente a specificarsi.
    Mentre alcuni si interessano maggiormente dell'animazione dei più piccoli, altri individuano altre forme di servizio, fermo restando per tutti che il primo luogo di autorealizzazione è la scuola, come «ambiente di vita quotidiana». Ben presto prendono vita altre iniziative dal «Telefono Amico» alla presenza a fianco dei giovani drogati, dalla organizzazione di un servizio sportivo per mettere a disposizione del quartiere le strutture oratoriane ad alcune iniziative sul piano culturale.

    «Divento me stesso nella scuola»

    Lo slogan «divento me stesso nella scuola» è espressione di una scelta umana e cristiana di autorealizzazione centrata non tanto sul tempo libero, quanto sulla principale attività dei membri del gruppo e quindi la scuola.
    L'attenzione allo studio, alla scuola, alla qualificazione professionale è sempre stata alta. L'essere in gruppo e l'aver scelto di realizzarsi anzitutto nel quotidiano ha portato ad una presenza attiva nelle varie classi.
    All'inizio l'entusiasmo è molto, ma lentamente ci si rende conto, man mano che si passa dalla scuola media a quella superiore, che è facile «andare in pallone». L'incontro, o meglio lo scontro, con la dimensione politica, rischia di essere traumatico: il linguaggio delle assemblee è incomprensibile; le rivendicazioni studentesche lasciano in uno stato di confusione in cui non si riesce ad esprimere alcun giudizio; i rapporti fra compagni di classe sono molto tesi: «in generale c'è una netta divisione tra quelli di sinistra, quelli di destra ed i qualunquisti, mentre non sono affatto rare le lunghe litigate per difendere questa o quella idea politica». Non per questo ci si arrende o ci si rifugia all'oratorio.
    Il problema viene affrontato in tutta la sua complessità.
    Guardandosi indietro ci si rende conto di come la scuola elementare si presentasse fondamentalmente come una seconda famiglia, con un papà o una mamma e con numerosi fratelli. Il primo grande salto di qualità si ha in occasione dell'entrata nella media inferiore, con la pluralità degli insegnanti, l'alternarsi delle materie, gli orari più rigidi, le ricerche interdisciplinari... L'impegno scolastico diviene più sostenuto, si allargano gli orizzonti culturali, la struttura scolastica si fa più complessa sia nella gestione che nello spazio di azione degli alunni, si ha la sensazione di entrare a fare parte di una società organizzata.
    Ben altre sensazioni si hanno però nell'incontro con la media superiore, che di organizzato e comprensibile sembra avere ben poco, ma anzi pare fatta apposta per generare caos e disorientamento...
    Il confronto fatto in gruppo diviene allora particolarmente importante per avere un minimo di idee chiare, per non sentirsi soli nell'affrontare questo mondo, per riprendere con coraggio il proprio ruolo nella scuola.

    Telefono Amico

    Ma i bisogni ed i problemi della propria realtà non sono gli unici esistenti, e coloro che necessitano di un aiuto, anche minimo, sono molti.
    «Di fronte alla situazione che l'uomo vive oggi non si può rimanere a guardare o soltanto limitarci a pronunciare le solite accuse.
    Non si possono nascondere momenti difficili dove ci troviamo stanchi, stressati, a volte depressi, soli, incapaci di trovare non qualcosa di nuovo, ma qualcuno che possa aiutarci a vivere. Anche nel nostro quartiere riscontriamo solitudine di tante persone, smarrimento di fronte a ciò che si vive oggi, incapacità ad orientarsi». Nel Natale '77 nasce così «Telefono Amico»; un punto di riferimento «nell'amicizia» per concretizzare la propria fede cristiana come amore all'uomo più povero, per utilizzare la propria esperienza e le proprie capacità nel tentativo di ridurre il disagio di tante persone; «per dare un aiuto concreto e morale ad alcune famiglie permettendo loro di trascorrere il Natale di serenità e di gioia».
    Telefono Amico consiste in una segreteria con cui ci si può mettere in contatto in determinate ore della giornata per segnalare casi particolarmente bisognosi d'intervento, e che si incarica di indirizzare agli uffici competenti, agli istituti specializzati, ed ai patronati più efficienti le persone nelle diverse necessità.
    L'attività coinvolge anche gli adulti che forniscono il proprio aiuto in qualità di esperti, costituendo un'équipe formata da alcuni medici (ginecologo, internista, cardiologo, analista, pediatra), un avvocato, un consulente economico, un assistente sociale, uno psicologo ed un sacerdote. Gli inizi non sono molto semplici e si fatica ad «ingranare»; ma poco alla volta la proposta riscuote un certo successo riuscendo a far fronte ed a risolvere alcuni casi a livello medico e legale e dando la sensazione alla gente di poter telefonare perché «sa di trovare qualcuno disposto ad ascoltarla ed a darle una mano».

    La lotta contro la droga ed il campo da tennis

    Questa attività spinge il gruppo ad interessarsi maggiormente del proprio ambiente, della propria città, del proprio quartiere. Ci si scontra ben presto con situazioni familiari, economiche e lavorative difficili, e ci si accorge di come i divertimenti di un certo tipo rischiano di assorbire tanta gente in cerca di qualcosa di interessante, lasciando le persone non sempre soddisfatte di ciò che hanno provato o sperimentato.
    Uno dei problemi che emerge duramente è la droga. La risposta concreta di alcuni del gruppo è la partecipazione in prima persona ad un lavoro nel campo della tossico-dipendenza, organizzato insieme ad altre parrocchie della zona. Ci si prepara accuratamente con un lavoro di indagine, studio, raccolta di informazioni, contatti con esperti, in modo da permettere un intervento serio e qualificato; si seguono corsi gestiti dal Comitato di zona e si contattano gli organismi regionali per finanziamenti e assistenza di vario tipo. È una «specializzazione» effettuata da una decina di persone in una prospettiva di impegno che superi i limiti del volontariato, troppo spesso inteso come semplice buona volontà e voglia di fare qualcosa, in vista di un'azione efficace nel reale.
    Quella dell'azione nel territorio diviene così una delle costanti di fondo del gruppo; un'azione diretta non tanto nei confronti delle strutture politico-amministrative quanto piuttosto volta a dare delle risposte concrete alle realtà contingenti incontrate, perché «il cristiano è colui che ama in concreto senza rifugiarsi nelle varie associazioni...».
    Nasce così una serie di attività manuali come proposta e risposta alle esigenze di socializzazione e di impegno dei ragazzi della zona; nasce un centro d'informazione, consulenza e coordinamento che agisce e si fa conoscere grazie soprattutto a Telefono Amico; nascono la curiosità ed il desiderio di conoscere un po' meglio il luogo in cui si vive e gli individui che si incontrano tutti i giorni.
    Il criterio dell'incontro e dell'apertura a tutte le persone permette inoltre di superare particolari precomprensioni o rigide classificazioni a priori, di tipo ideologico.
    Esempio interessante in tale direzione è la costruzione di un campo da tennis all'interno dell'oratorio per soddisfare le richieste di giovani e meno giovani che desideravano poter svolgere un'attività sportiva di questo genere con l'obiettivo di creare uno spazio «che diventi luogo di amicizia, di divertimento e di crescita». Una scelta abbastanza difficile che ha dovuto scontrarsi con pregiudizi ed etichette di vecchio stampo che la qualificavano come «borghese» e che accusavano il gruppo e l'istituzione oratoriana di rivolgersi solo agli strati più benestanti della zona.
    Una scelta che dimostra ancora una volta come l'idea di fondo sia capire i reali bisogni, più o meno grandi, degli individui, perché l'importante «è avere il coraggio di pensare all'uomo, ad ogni uomo, a tutto l'uomo».

    Verso un piccolo «centro culturale»

    La maturazione e la crescita del gruppo dei suoi membri portano poi a mettere in luce la necessità di dare un certo spazio a quella che è la dimensione più specificamente culturale, «perché riteniamo che nella crescita di una persona accanto allo sport, allo studio scolastico, ai rapporti interpersonali ed allo svago, sia essenziale un momento culturale».
    Vengono varate alcune iniziative, quali una serie di incontri sulle prospettive universitarie in modo da aiutare i «maturandi» in una scelta di studi il più possibile rispondente alle proprie capacità ed ai propri interessi ed un confronto sui problemi posti dai referendum del giugno '81 con la guida di alcuni esperti, che ha visto una notevole partecipazione di giovani ed adulti.
    Queste attività si configurano inoltre proprio come risposta ad una problematica emersa da una indagine fatta nell'ottobre '81 nel quartiere, con un questionario distribuito a cinquecento giovani tra i sedici ed i venti anni, dei quali buona parte ha accettato l'invito ad un dialogo sulla realtà dell'oratorio.
    Le prospettive per il futuro e le idee concrete sono molte.
    Il programma prevede infatti l'impostazione di un lavoro di ricerca con l'aiuto di esperti sulla realtà giovanile odierna; l'organizzazione di una minibiblioteca che si servirà inizialmente di riviste; l'istituzione di un centro di studio che permetta di poter affrontare questioni e tematiche particolarmente vicine alla sensibilità giovanile.

    Il bar come spazio d'incontro tra giovani ed adulti

    «Le cose che dice mio padre non sono stupide. Anche se ci sono vent'anni che ci separano ed abbiamo due teste molto diverse, non penso che siano da buttare». Il rapporto degli adolescenti e dei giovani d'oggi con il mondo adulto pare essersi notevolmente modificato. Sempre più forte è la esigenza di creare uno spazio di confronto critico con le scelte, la vita e la storia delle generazioni precedenti. Un confronto tendente non tanto a sottolineare ed a mettere in evidenza le profonde differenze culturali ed esperienziali che indubbiamente esistono, quanto piuttosto a divenire un'arricchimento reciproco in un dialogo che vede i due interlocutori sullo stesso piano.
    Se finora una forte preoccupazione educativa aveva condizionato tale incontro ed aveva visto i giovani nel ruolo di animatori interessati al dialogo con i genitori dei ragazzi dei propri gruppi, ora è in atto un tentativo di superamento dei ruoli in vista di una conoscenza più approfondita tra generazioni.
    Ma per conoscersi bisogna avere la possibilità di ritrovarsi, di avere alcuni momenti di aggregazione «molto simpatici e distensivi», senza alcuno scopo se non quello di stare tranquillamente a chiacchierare.
    In questa direzione si è pensato alla utilizzazione di una struttura solitamente marginale nell'oratorio: il bar. Le prospettive future lo vedono assumere una certa importanza proprio come spazio concreto d'incontro; come luogo in cui possono emergere eventuali interessi comuni tra giovani e adulti da approfondire ulteriormente; come momento in cui poter ridere, scherzare e conoscersi meglio.

    Un futuro di cogestione oratoriana e specializzazione dei servizi

    L'esperienza e la riflessione hanno portato i giovani del gruppo ad una sempre maggiore competenza e specializzazione nei vari campi d'azione. Ai responsabili dei vari settori non si tende a richiedere semplicemente di organizzare una determinata attività, ma di organizzarla in modo serio e qualificato.
    Si è così giunti ad una relativa autonomia delle diverse aree di attività e dei giovani che la gestiscono in prima persona, assumendone la responsabilità e demandando sempre meno le decisioni concrete nelle mani del sacerdote. L'obiettivo è quello di una direzione di équipe che permetta al gruppo giovanile un ruolo reale ed effettivo all'interno dell'istituzione parrocchiale, e che dia la possibilità di incidere sulle scelte di fondo e sull'imposizione che si vuole dare all'oratorio.
    Obiettivo che peraltro si presenta ancora in prospettiva, più come una meta da raggiungere che un dato di fatto. Programmare risulta infatti estremamente impegnativo; il rischio dello spontaneismo e della frammentazione dei propri progetti e delle proprie azioni è sempre presente e spesso si è tentati di fare ciò che piace o gratifica senza più riuscire a vedere le reali esigenze dei ragazzi.
    La tensione è però costante; si studia, ci si confronta con gli esperti, si seguono corsi di vario genere, da quelli per catechisti e operatori di pastorale giovanile a quelli per animatori, si va alla ricerca di altre esperienze che possano dare degli stimoli e delle idee nuove.
    La «curiosità» diviene uno degli elementi di spinta maggiori; si è curiosi di conoscere realtà diverse dalla propria, giovani con storia di vita e di gruppo differenti, modi di essere e di vivere che possono diventare un arricchimento ed un elemento di crescita personale.
    Si decide così di partecipare ai convegni «Giovani e valori» e «Giovani e felicità» organizzati dai salesiani a Torino nell'80 e '81; si partecipa alla Pasqua a Taizé cercando di incontrare un gran numero di persone; si frequentano le scuole per animatori a Brescia ed a Milano. «C'è molta ricerca da parte nostra; non si hanno ancora le idee molto chiare su quello che si vuole fare, su quello che sarà il proprio campo d'azione ed il proprio impegno nel futuro, e quindi si tratta di trovare delle persone che ci raccontino delle esperienze e che ci diano dei consigli».

    Una fase molto delicata: dall'appartenenza al riferimento

    L'attuale situazione del gruppo giovanile è caratterizzata da un mutamento nella propria direzione di marcia, da un salto di qualità che ne ha modificato profondamente la struttura. Il vecchio gruppetto di ragazzi e ragazze che qualche anno fa muoveva i primi passi all'interno dell'oratorio sta ormai entrando in una nuova fase di cui il passaggio liceo-università è forse l'aspetto più immediato.
    Il modello precedente, che si adattava perfettamente al proprio essere adolescenti, che individuava il gruppo come elemento fondamentale della propria vita, come luogo d'impegno, di divertimento, di aggregazione, è ormai sentito come inadeguato e non più in grado di rispondere alle esigenze dei suoi membri. Se «prima l'oratorio era una cosa abbastanza totalizzante; si avevano gli orari tutti uguali, si studiava alla stessa ora, si facevano le stesse cose, e si aveva quasi lo stesso parere», ora ci si accorge che qualcosa è cambiato.
    L'entrata all'università ha infatti scombussolato completamente i vecchi ritmi ed orari, ha creato nuovi interessi e nuovi punti di riferimento, ha portato ad organizzare e vivere la propria vita in modo decisamente diverso, con una conseguente differenziazione tra i singoli orientati sempre di più verso scelte, progetti, mete strettamente personali.
    Ma tutto ciò non ha significato la morte del gruppo, bensì la necessità di una nuova impostazione e di un nuovo modo di gestire la propria partecipazione. L'obiettivo ora non è più l'omogeneità nelle scelte, nelle attività e nei momenti vissuti assieme, ma un cammino orientato alla ricerca della libertà e del rispetto delle persone, nel tentativo di un superamento delle differenze in nome di un consenso sugli atteggiamenti di fondo. In tale prospettiva la appartenenza al gruppo giovanile tende sempre meno a porsi in contrapposizione con l'inserimento in altri ambiti di vita, anzi è stimolo e sostegno verso nuove presenze nella società e nella chiesa.

    L'ANIMAZIONE DEI PIÙ GIOVANI

    Il servizio in cui il gruppo giovanile si è impegnato fin dagli inizi della sua storia è stato quello dell'animazione. Una scelta impegnativa che ha messo in azione forze, capacità e fantasia; una scelta che è diventata anche un momento di arricchimento per la propria vita.
    Ancora una volta il rispetto delle persone, la loro libertà, i loro bisogni, è stato il criterio di fondo che ha guidato l'azione «perché nessuno si deve credere investito del dovere di snodare e risolvere tutti i problemi, di forzare e di invadere la coscienza degli altri, anche sotto i pretesti in apparenza più giustificati».
    Ci si rende conto che la propria presenza di animatori in un gruppo di adolescenti, preadolescenti o bambini, presuppone da un lato una conoscenza delle caratteristiche fisiche, psicologiche, sociali, culturali, delle persone a cui ci si rivolge; e dall'altro l'interiorizzare il significato del proprio servizio e l'avere le idee chiare sugli obiettivi.

    Il decalogo dell'animatore

    Qual è la funzione dell'animatore nel gruppo e perché e come proporre un'attività di gruppo?
    Sono queste le domande di fondo che ci si pone ed a cui in questi anni si è tentato di dare una risposta.
    Il dialogo tra animatori, lo studio e la partecipazione a corsi di qualificazione porta il gruppo a maturare alcune «convinzioni».
    Il gruppo di animazione è visto come luogo in cui far vivere esperienze nuove, dare un ruolo al singolo, rispondere ad esigenze di accettazione, appartenenza e di stima contro l'isolamento, la tristezza, la depressione.
    L'animatore deve saper rivolgere la sua opera al singolo ragazzo, deve aiutarlo nella ricerca del significato della propria vita e nella riflessione sulle proprie esperienze quotidiane. Deve cercare di essere ammesso nel gruppo in modo da essere partecipe delle piccole e grandi gioie e delusioni che toccano da vicino i singoli membri; deve cercare di comprendere il mondo del ragazzo accogliendo le sue confidenze, anche le più profonde, con il massimo rispetto, aiutandolo a trovare da solo una soluzione ai vari problemi; e soprattutto non deve «smontare mai di servizio».
    Si arriva a codificare l'esperienza e lo studio teorico in una specie di decalogo.
    Un buon animatore:

    - deve verificare e sviluppare continuamente il suo impegno educativo;
    - deve saper adattare o cambiare il metodo educativo a seconda della situazione e della personalità dei ragazzi;
    - deve quindi conoscere il mondo del ragazzo nella sua personalità e nelle caratteristiche dell'ambiente in cui vive;
    - è ovvio che non può essere un individuo fuori della realtà e privo della conoscenza della società contemporanea, visto che questa influisce sull'educazione del ragazzo;
    - è importante che si verifichi sempre come persona mettendosi in discussione e accettando serenamente un confronto con i ragazzi;
    - deve essere sereno e non deve riversare mai sui ragazzi i propri problemi e le proprie difficoltà;
    - deve essere con i ragazzi e non come i ragazzi;
    - deve essere capace di soffrire per i suoi ragazzi;
    - deve essere di esempio ai ragazzi e fare così in modo che questi si fidino di lui».

    L'EDUCAZIONE ALLA FEDE

    «Se il gioco e lo sport sono fondamentali per un ragazzo, e dunque l'oratorio dedica loro ampio spazio, la catechesi ha un ruolo di primaria importanza: è infatti un ambito in cui, più che in ogni altro, viene offerta la possibilità di una ricerca dei valori, di una formazione della personalità in crescita e di un'educazione alla fede».
    L'obiettivo è quello di accompagnare i bambini, i ragazzi ed i giovani nelle varie tappe della loro crescita umana e religiosa. Una catechesi dunque che non si limita ad impartire un insieme di nozioni, ma che vuole sempre e comunque esser legata alla vita reale e concreta del singolo. Si tratta infatti di individuare alcune aree di riflessione e di ricerca che rappresentino dei settori significativi dell'esperienza della persona e che possano diventare luoghi privilegiati della sua educazione integrale.
    Il gruppo fa suo progressivamente un «metodo» di riflessione sulla esperienza articolata in tre movimenti:
    - analisi dei dati, e cioè osservazione dell'ambiente in cui si vive e del comportamento delle persone che ci circondano, attraverso una raccolta delle proprie ed altrui esperienze, di opinioni, di documenti;
    - ricerca del significato di quanto è stato messo in luce, con un confronto critico delle varie situazioni ed atteggiamenti; con alcuni interrogativi che permettono un approfondimento dinamico delle problematiche poste in evidenza, in una prospettiva di comprensione cristiana del mondo e della storia; con spunti che permettano un'assimilazione ed un'elaborazione personale;
    - scelta di un impegno che consenta di tradurre, come vissuto del gruppo o del singolo, i valori che si sono scoperti e le idee di fondo che si sono maturate. Tutto ciò attraverso una serie di tappe concrete che aiutino gli individui nel proprio cammino di crescita:
    - la mia esperienza: un richiamo all'esperienza del ragazzo: in famiglia, per la strada;
    - allargamento dell'esperienza mediante il confronto con quella degli altri: il gruppo, la famiglia, la società, gli uomini di oggi e di ieri;
    - valutazione critica dell'esperienza con il richiamo al valore umano di crescita e di arricchimento;
    - interpretazione dell'esperienza: la valutazione piena di un'esperienza presuppone sempre un metro di giudizio che deriva da una visione globale del mondo e della storia; il messaggio cristiano viene proposto come opzione di fondo che suggerisce un particolare tipo di valutazione e di interpretazione: la visione di fede;
    - impegno personale e di gruppo: è la conclusione logica di tutto l'itinerario; un impegno che non è soltanto professione di fede (cioè adesione mentale al messaggio), ma anche scelta operativa concreta ed immediata.

    «Il nostro credo in Dio e nella vita»

    La proposta cristiana dell'oratorio di S. Angela Merici si presenta come una fede profondamente inserita nel vissuto dell'uomo, di ogni singolo uomo; che si radica nella vita degli individui concreti e che contribuisce a dare una risposta alle loro domande, piccole o grandi che siano.
    «Il Dio che ci chiama e ci interpella, che ci chiede se siamo ancora disponibili a rinnovare la nostra amicizia e siamo disposti a vivere la nostra vita con Lui, è un Dio che non finiremo mai di conoscere.
    Perché non sta racchiuso nei nostri schemi;
    perché è più grande di come Lo pensiamo;
    perché ci ama più di quanto osiamo sperare;
    perché ci attende anche se da tanto siamo lontani dalla Sua casa;
    perché ci vuole più felici di quanto vorremmo esserlo
    e ci tiene ad essere presente nella nostra vita,
    nei fatti che ci capitano, nelle speranze deluse
    e nelle lotte per un mondo più umano,
    e soprattutto perché ha sempre una cosa da ricordare:
    "Amatevi l'un l'altro come Io ho amato voi".
    Un Dio che entra nella nostra vita
    e ci aiuta a scoprire il senso anche di ciò che pare non averne,
    che ci invita ad essere felici ed a scegliere di diventare uomini fino in fondo,
    perché là dove noi vediamo la sofferenza e la disperazione
    Lui ci ha insegnato a cercare la gioia e la speranza:
    Sii felice ogni mattina per il nuovo giorno!
    O hai paura della tua vita?
    La senti troppo pesante?
    La sera vai a dormire con un sorriso di sollievo?
    Meno male un altro giorno è passato!
    Forse ti annoi fino alla nausea e tutto ti sembra insensato ed inutile!
    Forse le quattro ruote della tua automobile
    sono diventate le principali membra del tuo corpo;
    e la piccola finestra della TV ti ha rubato ogni gioiosa intimità?
    Forse sei smanioso di divertirti.
    E non sei mai soddisfatto.
    Non sei più un uomo se, sotto la pressione della mentalità attuale,
    ti sei lasciato ridurre ad un essere che produce,

    guadagna e consuma.
    Per te i fiori non sbocciano.
    Per te i bambini non giocano più.
    Non vi sono più persone che ridono.
    Sei morto perché hai lasciato morire l'amore del tuo cuore.
    Cerchi la felicità dove non la potrai mai trovare:
    nelle cose inutili e senza vita
    che ti seducono, ma non ti ristorano mai.
    Svegliati! Risorgi! Ridiventa uomo!
    Domani il sole si leverà,
    ma tu rischi
    di non accorgertene!».

    Oratorio S. Angela Merici Via Cagliero 26
    Milano


    T e r z a
    p a g i n A


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    rubrica sport


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    Incontrare Gesù


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    PG: apprendistato
    alla vita cristiana


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