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    La coppia degli anni '80


     

    Giorgio Campanini

    (NPG 1983-08-4)


    PREMESSA

    Esaminando i densi materiali di cui è costellata la «storia delle idee» si ricava l'impressione che, almeno a partire dal Rinascimento, l'uomo occidentale abbia sempre avuto un'acuta e talvolta esasperata percezione del mutamento.
    Ad una società fondamentalmente statica, in cui tutto sembrava destinato a ripetersi ricorrentemente, fa seguito - e già nel medio evo guerriero e mercantile, mobile e costruttore - una società in cui tutto si muove e tutto è (od appare, il che per certi aspetti è la stessa cosa) diverso.
    La rivoluzione industriale, e soprattutto lo sviluppo complessivo della società quale si è venuto a determinare negli ultimi due secoli, hanno accentuato questa linea di tendenza, e per certi aspetti l'hanno codificata e razionalizzata, ma non l'hanno inventata ex novo. Sembrava tuttavia che un'isola di stabilità e di sicurezza fosse rimasta in questo universo in movimento, e cioè l'area degli affetti e dei sentimenti familiari, dell'intimità domestica, della generazione e dell'educazione dei figli, in una parola l'area della famiglia.

    Accelerazione del mutamento

    Ma anche questo ambito è toccato, e in profondità, da una serie di processi che non solo hanno profondamente cambiato dall'interno la vita di famiglia, ma hanno rimesso persino in discussione il senso e il significato dell'essere coppia. In un certo senso, è soltanto a partire da un cinquantennio a questa parte che si sono avvertite sulla famiglia le ripercussioni di modificazioni intervenute molto tempo prima nella società civile. Basterebbe pensare al lungo cammino compiuto dall'idea di eguaglianza fra gli uomini, bandiera dell'illuminismo, delle rivoluzioni politiche, del socialismo; eguaglianza che solo un secolo e mezzo dopo si è in qualche modo, ed imperfettamente, trasferita al fondamentale rapporto uomo-donna e attende forse di essere recepita, nei limiti in cui sia realmente attuabile, al rapporto fra genitori e figli.

    Decelerazione nell'universo-famiglia

    Se tutto questo è vero, occorre tuttavia diffidare di una visione troppo «attualizzata», ed al limite semplicistica, del mutamento. Per quanto riguarda in particolare i vari temi che si ricollegano, in senso lato, all'ambito della famiglia, non vi è dubbio che siamo di fronte ad una decelerazione, piuttosto che ad un'accelerazione del mutamento, almeno nella società occidentale (diverso, ovviamente, è il discorso per altre zone del mondo nelle quali stanno riflettendosi solo ora sulla famiglia fatti ed eventi che, per l'occidente, appartengono ormai al passato).
    Se si dovesse individuare il periodo in cui la «modernizzazione» della famiglia è stata più rapida, e conseguentemente più profondi i mutamenti, esso dovrebbe con ogni probabilità essere collocato nel ventennio che va dal 1930 al 1950, almeno per l'Europa occidentale (per gli Stati Uniti occorrerebbe procedere ad un'anticipazione di circa un ventennio); con una ripresa e forse con un'accelerazione attorno al 1968, in forme e modalità per altro ingigantite ed accentuate dai mezzi di comunicazione di massa assai al di là dell'effettiva incidenza di questa «rivoluzione culturale» sugli strati non studenteschi della popolazione giovanile.
    In sostanza, in occidente e in Italia, i grandi cambiamenti sono avvenuti fra il 1930 e il 1950. È alla fine di questo periodo che la famiglia ha cessato di essere a dominante patriarcale; che si è consolidato e diffuso il principio della libera scelta del coniuge; che si è passati da una famiglia relativamente allargata ad una relativamente ristretta.
    Il trentennio 1950-1980, guardato retrospettivamente, appare nel complesso assai meno rivoluzionario di quanto non sia stato il ventennio 1930-1950, all'interno del quale la guerra prima e la democrazia politica dopo, in un contesto di dapprima incipiente e poi accentuata industrializzazione, hanno determinato una serie di profonde modificazioni del tessuto sociale ed anche, specificamente, della realtà familiare.

    Famiglia tra continuità e discontinuità

    Sotto certi aspetti si potrebbe anzi affermare che, al di là della «punta» rappresentata dal 1968, il trentennio 1950-1980 è stato caratterizzato assai più dall'assestamento dei cambiamenti attorno ai nuovi valori emersi fra il 1930 e il 1950 che non dall'elaborazione e dall'affermazione di nuovi modelli e di nuovi stili di vita familiare.
    Certo, la famiglia è un continuum e lo iato temporale rappresentato dallo scorrere dei vari decenni non la tocca se non marginalmente, dato che i processi di mutamento che interessano la vita di coppia agiscono assai più in profondità e con maggiore lentezza; ma questa continuità non può indurre a chiudere gli occhi su taluni fenomeni di discontinuità che un'attenta osservazione consente di mettere in luce.
    Pur con tutte queste riserve, deve essere mantenuto fermo, a nostro avviso, l'assunto iniziale, e cioè che occorre non esasperare gli indici di mutamento rispetto agli indici di continuità. Al limite, si potrebbe parlare, per l'Italia degli anni '80, di un diffuso e forse crescente neo familismo; fenomeno, tuttavia, anch'esso non riconducibile alla riproposizione di vecchi modelli né interpretabile in puri termini di «ritorno al passato», ma che deve essere letto per quello che è, come nuovo, appunto, familismo, che del passato riprende alcune caratteristiche ma che per molti aspetti se ne discosta: il che fa del familismo italiano degli anni '80 qualcosa di profondamente diverso dal fallimento degli anni '50 o dei decenni precedenti.
    Senza che gli elementi di mutamento siano indebitamente enfatizzati, si deve nel complesso riconoscere che la famiglia cambia, e continua a cambiare, anche se forse in modo meno accelerato di prima, e che il punto di approdo del mutamento non è un puro e semplice ritorno al passato, anche quando di questo si ripetano alcune caratteristiche, ma in qualche misura un modo nuovo di essere famiglia e di essere coppia.

    MUTAMENTI QUANTITATIVI E QUALITATIVI

    I mutamenti che nell'ultimo ventennio la coppia italiana ha conosciuto sono di ordine quantitativo da un lato e qualitativo dall'altro: sono cioè mutati sia i fatti sia i valori, in un complesso intreccio di azione e di re-azione, che fa sì che talora i fatti abbiano modificato i valori, tal'altra sia stato il cambiamento del sistema di valori ad incidere, nel tempo lungo, sui fatti. Esemplare, al riguardo, il caso del divorzio: che inizialmente si è posto come aspirazione alla legalizzazione, mediante un nuovo matrimonio, di rapporti esistenti, e dunque di fatti; ma successivamente si è configurato sempre più chiaramente come sistema di valori (il «nuovo» preferito all'«antico», la ricerca della felicità individuale come esigenza degna di essere tutelata assai più della stabilità dell'istituzione), esso pure alla fine incidente sui fatti. In altri termini, l'instabilità matrimoniale (i fatti) ha aperto la strada a nuovi atteggiamenti e ad un nuovo costume (i valori) ed è stata insieme causa (all'inizio) e conseguenza (alla fine) di nuovi fatti ed insieme di nuovi valori (oggettivamente tali o soggettivamente sentiti come tali). Fatta questa doverosa precisazione circa l'intreccio strettissimo tra fatti e valori, si deve tuttavia riconoscere che alcuni mutamenti appaiono oggettivamente verificabili, ed anche statisticamente documentabili, altri in un certo senso inverificabili e dunque coglibili solo attraverso un'analisi che presenta larghi margini di opinabilità.

    Mutamenti quantitativi

    Tra i cambiamenti più agevolmente verificabili, anche alla luce dei dati statistici, vi sono quelli che riguardano la nuzialità, la natalità, la stabilità del matrimonio.
    - Per quanto riguarda la nuzialità, il rapporto fra matrimoni e popolazione, rimasto pressoché costante dall'unità ad oggi (con un quoziente di matrimoni che, salvo i periodi bellici, si è mantenuto attorno al sette per mille) si è bruscamente modificato a partire dal 1973, facendo scendere il quoziente di nuzialità ad un indice di poco superiore al 5 per mille, con una diminuzione complessiva di matrimoni aggirantesi attorno al 25 per cento. Quali valori, o comunque quali atteggiamenti, stanno dietro questo fenomeno? Certamente giocano, nel determinarlo, fattori di ordine sociale (disoccupazione giovanile e inadeguata politica della casa, soprattutto), ma da molti segni appare con estrema chiarezza come ci si trovi di fronte ad una vera e propria fuga dal matrimonio da parte di un'area complessivamente significativa e, da un decennio, in progressiva espansione della popolazione giovanile.
    - Circa la natalità, la contraccezione e l'aborto hanno accentuato a dismisura quel calo progressivo delle nascite che è costante in Italia da circa un secolo a questa parte. Il fatto nuovo dell'ultimo ventennio non è tuttavia rappresentato dal fatto in sé e per sé (è appena il caso di ripeterlo, tutt'altro che nuovo) ma dalle sue caratteristiche, e cioè dall'accelerazione di questo rifiuto della vita (dal 1960 al 1981 il tasso di natalità si è quasi dimezzato e nel frattempo ad una famiglia media con due-tre figli se ne è sostituita una con uno-due figli).
    Dietro questo fatto devono essere scorti anche qui atteggiamenti complessi e polivalenti. Da un lato si vuole assicurare ai figli il più alto standard di vita materiale possibile, insieme con la massima attenzione educativa; dall'altro si valutano in modo insufficiente le ripercussioni che sulla socializzazione dei figli (oltre che sull'equilibrio generale della società italiana) potrà avere una drastica ed accelerata riduzione della natalità, che sta portando in vaste regioni d'Italia, e specificamente nelle aree del «triangolo industriale», all'affermarsi del modello del «figlio unico» e alla parallela scomparsa della società fraterna.
    - In ordine infine alla stabilità del matrimonio, nel 1982 è stata superata la barriera costituita dal rapporto 10/1 fra matrimoni celebrati e richieste di separazione coniugale: ciò significa che un matrimonio su dieci (e in prospettiva forse più, dato che il fenomeno non sembra destinato ad arrestarsi nel breve periodo) è destinato a concludersi con un fallimento: fatto, anche questo, sostanzialmente nuovo nella storia della famiglia italiana, caratterizzata in passato da una, almeno apparente, sostanziale stabilità.

    Mutamenti qualitativi

    Dal punto di vista qualitativo, questo fenomeno si traduce nella estrema difficoltà che le giovani coppie incontrano nel realizzare un rapporto certo dialettico ma sufficientemente stabile in quanto fondato su una comune tavola di valori. È soprattutto mutato il sistema delle attese nei confronti del matrimonio, con una vistosa sottovalutazione della sua dimensione istituzionale (anche e soprattutto per ciò che riguarda i doveri nei confronti dei figli) ed una forte accentuazione della sua dimensione individuale. Il matrimonio è contratto essenzialmente in vista della «felicità» che esso può arrecare, o si spera che arrechi; ed abbandonato, magari in vista di una nuova unione ritenuta potenzialmente più gratificante, allorché sia considerato una sorgente di infelicità.
    È appena il caso di sottolineare in quale misura questo complesso di fattori incida sulla vita di coppia, e non solo sul «modello» di famiglia. La coppia degli anni '80 è infatti, tendenzialmente:
    - una coppia che guarda con diffidenza, e qualche volta con timore, al matrimonio come istituzione e che preferisce spesso la libera convivenza all'assunzione di un impegno solenne e tendenzialmente definitivo, sia esso religioso o civile;
    - una coppia che sviluppa il dialogo, su ogni piano (da quello intellettuale a quello affettivo e sessuale) assai più a livello di rapporto uomo-donna che non genitori-figli; la procreazione è fortemente limitata e quella procreativa è una fase relativamente sempre più breve della vita a due;
    - una coppia che fa della felicità a due la ragione profonda della propria esistenza e che non è disposta a barattare tale valore con esigenze da altri proposte, siano esse quelle dei figli, o della società, o della stessa Chiesa. Questo triplice atteggiamento denunzia alcuni pericoli e propone insieme alcuni valori. I pericoli sono quelli dell'individualismo, della privatezza chiusa, al limite dell'egoismo e del consumismo; i valori sono quelli della sincerità, della qualità della vita, della schiettezza, dell'autenticità. Conciliare questi valori emergenti con talune esigenze fondamentali della vita di coppia è il difficile impegno del futuro.

    CRISI DELLA COPPIA?

    Dietro questa lettura della fase attuale della coppia sta una serie di problemi che non è inopportuno prospettare nei loro termini reali, se non altro per cercare di fare un po' di chiarezza in un dibattito spesso inquinato da pesanti interferenze di ordine ideologico. Si tratta dunque di valutare se, e sino a che punto, si possa e si debba parlare di crisi della coppia. Ma crisi rispetto a che cosa e, specificamente, rispetto a quale modello di coppia? Il discorso, a questo punto, non può non essere diversificato a seconda che ci si riferisca alla famiglia esistente, o all'istituzione familiare o a determinati modelli di famiglia e/o di matrimonio.
    Per quanto riguarda la famiglia esistente, non sembra che essa - in nessuna area culturale e specificamente in Italia - sia seriamente in crisi.
    Quasi ovunque uomini e donne continuano a convivere, a procreare, ad essere coppia, sia che ciò avvenga, come prevalentemente ancora si verifica, in forme giuridicamente codificate, oppure mediante scelte non istituzionalizzate.
    Certo, l'estendersi delle famiglie non istituzionalizzate può essere colto come elemento di crisi, ma ovviamente solo della coppia legata dal vincolo matrimoniale: e, viceversa, la crisi delle «libere convivenze» può essere letta anche come ritorno alla famiglia istituzionalizzata. Ma, sia dall'uno sia dall'altro punto di vista, non sembra si possa parlare in senso proprio di crisi della coppia moderna. Il termine di crisi, e la realtà stessa della crisi, riemerge invece sotto due altri aspetti, che non riguardano tanto l'essere o meno della coppia quanto la sua dimensione istituzionale e la sua capacità di durata.

    Dimensione istituzionale

    Sotto il profilo della dimensione istituzionale non vi è dubbio che, anche se scelta ed ancora accettata dai più, la forma del matrimonio «tradizionale» conosca una diffusa e forse crescente perdita di credibilità, e non tanto perché le forme di convivenza non matrimoniale siano in forte espansione, ma piuttosto perché il matrimonio come istituzione viene accettato per ragioni di ordine religioso, o di convenienza sociale, o di puro ordine pratico, senza che ciò comporti realmente un giudizio positivo nei confronti dell'istituzione stessa. Assai indicativa, sotto questo profilo, è l'analisi dei dati relativi ai nati fuori del matrimonio; nati che sono, da alcuni anni a questa parte, in numero crescente ma che non hanno finora superato in Italia il 4 per cento del totale delle nascite.
    Ciò significa che la convivenza è forse preferita come modo di «stare insieme», ma che il matrimonio è invece preferito come «struttura di procreazione»: coloro stessi che «stanno insieme» senza sposarsi optano per il matrimonio quando nell'orizzonte della coppia si profila il figlio, come evento forse all'inizio subìto ma alla fine accettato.
    In sostanza, il modello della convivenza di fatto viene forse accettato da una parte della popolazione, specie giovanile, in una fase iniziale della vita di coppia, ma viene abbandonato nel momento in cui ci si confronta con il fatto procreativo. Ma in questo modo l'istituzione-matrimonio non è realmente accettata in profondità, in tutto il suo valore, ma piuttosto scelta per la sua funzione di legittimazione sociale di un «terzo», appunto del figlio. Certo, la presenza di un figlio modifica profondamente il modo di essere e di vivere della coppia; ma rimane, sullo sfondo, il dubbio se questa - al di là dell'opzione per un matrimonio visto come struttura di legittimazione di un precedente rapporto fecondo - riesca a compiere sino in fondo la scelta del matrimonio in quanto stabile e duraturo impegno di vita.

    ll valore della durata nella coppia moderna

    È sotto questo aspetto che si profila il carattere forse più inquietante della coppia moderna, e cioè la sua, si direbbe istintiva, riluttanza per il valore della durata, per quella parola sempre che pure gli amanti continuano, ancora, a sussurrarsi, ma nella quale essi in fondo mostrano di non credere e della quale hanno in realtà una profonda ed oscura paura. In una cultura che tende a vivere nell'orizzonte del quotidiano, un impegno per sempre è visto come una promessa che non può essere mantenuta, come una cambiale che difficilmente potrà essere onorata; ed anche quando questo «sempre», nel rito del matrimonio religioso, continua ad essere ripetuto, rimane sullo sfondo una sorta di riserva, l'arrière-pensée che si potrà pur sempre, alla fine, correre di nuovo con un altro partner l'avventura del matrimonio.
    Ed è appunto questo quasi viscerale rifiuto della durata che sta modificando profondamente - assai al di là dei dati, pur sociologicamente significativi, sulle separazioni e sui divorzi - il «tipo» della famiglia italiana. Dopo secoli, e forse millenni, di una tradizione di stabilità, sembra essersi iniziato il tempo della precarietà e della provvisorietà. In altri termini, la mutazione culturale alla quale stiamo assistendo si esprime non nel rifiuto della famiglia e nemmeno del matrimonio, ma nella sempre più diffusa - anche se ancora, nel complesso, minoritaria rispetto alla generalità delle persone sposate - tendenza a realizzare nel corso della propria esistenza una serie indefinita di esperienze sentimentali e affettive e di uscire comunque da un rapporto di coppia ritenuto non gratificante.
    Se non di crisi della famiglia, sembra dunque si possa parlare di crisi di un modello di convivenza di coppia fondato sulla durata. È una crisi, questa, che non può essere colta in tutta la sua ampiezza se non all'interno del generale affermarsi in occidente di una cultura del provvisorio che, dopo avere lasciato per alcuni secoli apparentemente indenne il rapporto di coppia, ha finito per fare irruzione anche all'interno di esso e rischia di minarne le basi.

    IL SENSO DELLA PERMISSIVITÀ SESSUALE

    Questa crisi della durata appare strettamente legata alla cultura della permissività sessuale quale si è andata affermando in occidente dagli anni '30 di questo secolo, non più come fatto ma come valore.
    Almeno a livello maschile (e, salvo talune aree borghesi nell'età moderna, forse anche a livello femminile) l'occidente ha conosciuto una permissività sessuale che nel complesso non sembra sensibilmente inferiore a quella attuale. Quest'ultima, semmai, appare più precoce e più precocemente estesa alla componente femminile della popolazione.

    La nuova cultura soggiacente

    Il fatto nuovo è rappresentato dalla cultura soggiacente ad una prassi, in fondo, assai antica; nuova cultura che esalta a dismisura l'individualistico diritto alla gratificazione sessuale, senza distinzioni fra i sessi; un diritto il cui esercizio sempre più difficilmente si concilia con l'impegno di mutua fedeltà senza il quale, alla lunga, anche nella più permissiva delle unioni, nessuna coppia può sopravvivere alla sfida del tempo.
    Le ragioni di questa svolta (di cui non è il caso di esaminare in questa sede le pur significative implicazioni etiche) sono complesse e molteplici ed investono in generale tutto il modo di vita ormai affermatosi in occidente. Un'incidenza determinante ha indubbiamente svolto la pressoché totale scomparsa delle varie e spesso cogenti forme di controllo sociale esistenti sino alla metà del nostro secolo e, in talune aree, ancora negli anni '70. L'urbanizzazione diffusa, la frequenza e rapidità dei mezzi di comunicazione, la convivenza di adolescenti maschi e femmine nelle scuole, negli ambienti di lavoro, nella vita civile, soprattutto l'affermarsi di una visione permissiva della sessualità hanno, nel giro di poco più di una generazione, profondamente modificato secolari modelli di comportamento.

    Spostamento della relazione alla sessualità

    In questa direzione ha incisivamente agito -come «filosofia che raggiunge le masse», e cioè come visione della sessualità che a poco a poco, divulgata dai grandi mezzi di comunicazione, è diventata sia pure a livello inconscio come una sorta di generale ed accettato sottofondo - la cultura psicanalitica.
    Con Freud, e soprattutto con i suoi epigoni (Reich e Marcuse in particolare), la psicanalisi ha operato nel senso di spostare il baricentro del matrimonio dalla sfera della vita di relazione a quella della sessualità.
    La mutua gratificazione sessuale è assurta a centro della coppia, mentre il matrimonio è stato considerato riuscito o fallito soprattutto in relazione a questo fondamentale banco di prova.
    Ne è derivato certamente un più attento sguardo gettato sulla dimensione antropologica del matrimonio tradizionalmente trascurata dal diritto e dalla stessa teologia; ma ne è scaturito anche un implicito invito a non fare più dell'area del matrimonio la sfera esclusiva di esercizio della sessualità, né per gli sposati né per gli stessi non sposati, dal momento che è parso, in questa prospettiva, che nessun ostacolo dovesse essere frapposto al pieno dispiegarsi degli impulsi sessuali.
    La stessa liberalizzazione della vendita dei prodotti anticoncezionali è stata insieme causa ed effetto di questa nuova cultura, agendo come elemento di rottura del legame, un tempo tradizionale, fra sessualità e procreazione. Attraverso gli anticoncezionali intere generazioni di adolescenti finivano per accedere ad una sessualità nel complesso facile, anche se pericolosamente facile, vissuta per di più in un atteggiamento tipicamente «sperimentale», così da concepire il sesso come una realtà da provare e non come un essenziale mezzo di comunicazione, esclusivo ed insieme esigente, fra uomo e donna.
    Non va infine dimenticato l'apporto che alla permissività sessuale ha recato il neo-femminismo, con lo spostamento delle sue rivendicazioni dall'area delle riforme politiche e sociali, campo di battaglia della prima generazione di «suffragette», a quella delle richieste di parità all'interno della vita di coppia e del matrimonio in generale; parità che non poteva non coinvolgere la sfera della «libertà sessuale» di entrambi.
    Così il movimento femminista, a partire soprattutto dagli anni '60, svolgeva il discorso sull'emancipazione della donna soprattutto in termini di liberazione dai «tabù sessuali» e dagli ostacoli frapposti dagli uomini alla piena realizzazione della sessualità femminile.
    La spinta alla legalizzazione dell'aborto ha agito nella medesima direzione, come affermazione del presunto diritto della donna a disporre compiutamente della propria corporeità (della quale, ideologicamente e non scientificamente, il figlio non nato veniva considerato una sorta di prolungamento il cui destino dipendeva totalmente dalla volontà della donna).

    La dimensione di «gioco» nel sesso

    È difficile valutare quali sono state e quali saranno nel tempo lungo le conseguenze della permissività sessuale per la vita della coppia. Non vi è dubbio che le nuove generazioni di adolescenti e di giovani perverranno al matrimonio (se vi giungeranno, superando il già ricordato orizzonte della precarietà) con un atteggiamento disincantato e disinibito nei confronti del sesso ed al termine, forse provvisorio, di una lunga serie di rapporti sessuali spesso insufficientemente personalizzanti.
    Ne deriverà una non lieve, ma pur sempre superabile nel quadro di un nuovo rapporto di amore, difficoltà ad accettare sino in fondo il passaggio all'unicità, esclusività, stabilità di una relazione che deve necessariamente perdere il suo carattere di «gioco» se intende durare nel tempo.
    In ogni modo il permanere di un atteggiamento ludico nei riguardi del sesso non potrà non avere esiti potenzialmente dirompenti, e comunque tendenzialmente conflittuali, nei riguardi della vita di coppia e della sua capacità di reggere alla sfida del tempo, realizzando forme di dialogo più ampie e più ricche di quelle attuabili sul solo piano del gesto sessuale.

    LA CENTRALITÀ DELL'AMORE

    La riscoperta del significato della sessualità è insieme la premessa e la conseguenza della nuova visione dell'amore (e del rapporto fra amore e matrimonio) affermatasi nella cultura moderna a partire dal romanticismo. Soltanto da allora - se si eccettuano, ovviamente, casi particolari, sui quali la letteratura si è con tanta compiacenza soffermata - è andata penetrando in profondità nella coscienza dell'uomo occidentale l'idea che il centro del matrimonio dovesse essere l'amore e che non avesse senso sposarsi per fini sostanzialmente estranei alla dinamica profonda del rapporto di coppia (per avere una discendenza o una eredità, per far fruttare meglio le risorse materiali disponibili, per essere garantiti contro i rischi di un futuro incerto...).
    Questa mutazione culturale si è accompagnata ad una profonda trasformazione delle condizioni di vita delle famiglie: la vita media si è allungata, e parallelamente è cresciuta la durata media del matrimonio; il miglioramento delle condizioni igieniche ha consentito ad un elevato numero di coppie di tenere i figli presso di sé; sono grandemente migliorate le condizioni abitative, non solo delle classi medie; la diminuzione della mortalità infantile ha consentito di prestare ai figli maggiori e più prolungate attenzioni educative.

    Nessun matrimonio senza amore

    A conclusione di un complesso processo si è affermata nella coscienza comune l'idea che il matrimonio non ha senso qualora non sia contratto per amore, e cessa di avere senso quando l'amore sia finito (o si presume che sia finito).
    Tesi, questa, che al limite può legittimare, e ha di fatto legittimato, la separazione e il divorzio prima, il «diritto» ad una nuova unione poi, dal momento che ciò che è «morto» è ritenuto tale da non essere più rimesso in vita.
    Poco importa, all'uomo moderno, che il matrimonio continui a realizzare ipotetici altri scopi (debba continuare, ad esempio, il suo compito educativo nei confronti dei figli) quando sia venuto meno quello che viene considerato il suo nucleo profondo ed anzi esclusivo, e cioè la reciproca gratificazione emozionale, sentimentale, affettiva dei coniugi; quando, in altre parole, sia venuto meno I 'amore .
    Sotto questo aspetto si può affermare che questa stretta connessione con l'amore è insieme la forza e la debolezza della coppia moderna: la forza, perché in questo modo tale rapporto ha la possibilità di realizzarsi in piena libertà e di esprimersi in tutta la sua pienezza e profondità; ma anche la debolezza perché, fondato sull'amore e non più sui robusti pilastri tradizionali, il matrimonio rivela spesso la sua fragilità e rischia dunque una rovinosa caduta.

    Amore e istituzione

    Si profila, a tale riguardo, un problema in un certo senso riassuntivo dei fenomeni sin qui considerati, e cioè quello del significato che le giovani coppie possono attribuire, ancora, all'istituzione, e specificamente all'istituzione del matrimonio.
    Il problema emergente dalla cultura dell'ultimo trentennio (dal momento, cioè, in cui il «modello» dell'amore romantico è diventato fenomeno, ed aspettativa, di massa) è proprio quello della perdita di senso dell'istituzione matrimoniale, in favore di un rapporto di coppia sostanzialmente fluttuante e provvisorio, realizzato sotto condizione (in quanto permanga l'amore) ed abbandonato non appena questa condizione sia venuta meno, quando cioè sia finito (o, anche da uno solo, si ritenga che sia finito) l'amore.
    Fenomeni come la coabitazione giovanile o le prolungate e ripetute esperienze sessuali extramatrimoniali, le convivenze di fatto e così via hanno loro soggiacente una cultura alla luce della quale il matrimonio non è - o non è più, o non è ancora - il luogo privilegiato nel quale vivere e realizzare l'amore, il quale pertanto deve cercare e trovare altrove le vie per la propria attuazione.
    Di qui il rifiuto dell'istituzione, e dunque della dimensione pubblica dell'amore (appunto il matrimonio), a favore della sua esclusiva dimensione privata, certo essenziale ma di per sé non sufficiente a consentire alla relazione di coppia di esprimersi in tutte le sue potenzialità.
    Questa sorta di rifiuto del matrimonio come istituzione fondata sulla fedeltà e sulla durata è ripetuta e per certi aspetti aggravata dall'atteggiamento di coloro che, dopo essere entrati nello stato matrimoniale, lo abbandonano per contrarre, o prepararsi a contrarre, una nuova unione (e costoro, come si è visto, sono in Italia tendenzialmente sempre più numerosi).
    Di per sé questa posizione non esclude il matrimonio (dal momento che si esce dall'istituzione per affrettarsi a rientrare in essa) ma lo mantiene, appunto, nella sua nuda figura di «istituzione», svuotandolo invece del suo contenuto profondo che è appunto quello della fedeltà e della durata.

    CONCLUSIONE

    Si può dunque affermare, conclusivamente su questo punto, che in nessuna epoca della storia l'uomo e la donna hanno avuto come oggi tante possibilità di realizzare un rapporto di coppia pensato e vissuto nel segno dell'amore; ed insieme che mai come oggi è diventato difficile mantenere la vita di coppia nell'ambito della fedeltà e della durata, dal momento che la società contemporanea antepone a questi valori quelli della giovinezza, della mobilità, della novità, appunto i nuovi miti della società industriale e post-industriale. Il futuro della coppia si gioca dunque sulla sua possibilità di saldare al suo interno fedeltà e novità di vita, e dunque sentimento ed istituzione, senza sacrificare né gli uni né gli altri.
    L'ormai quasi universalmente riconosciuto ed affermato diritto alla libera scelta del partner - fatto che costituisce una delle maggiori rivoluzioni culturali nella storia dell'umanità e il punto di arrivo di un lungo e tormentato processo - mantiene indubbiamente le sue ricche potenzialità di condizione necessaria per la piena umanizzazione del rapporto di coppia contro ogni tendenza a strumentalizzarlo per fini sostanzialmente ad esso estranei; ma solo a patto di essere il preludio ad una scelta definitiva che si ponga nel segno della responsabilità.


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