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    Chiesa e giovani

    Carlo Molari

    (NPG 1983-03-25)


    Una piccola comunità di laici sperimenta l'accoglienza come nuovo stile di fraternità.

    Il mondo sta cercando per il suo futuro un nuovo stile di incontro e di fraternità. Per crearlo non sono sufficienti le decisioni dei politici e dei militari. Per la pace di cui il mondo ha bisogno non basta lo smantellamento dei missili e lo svuotamento degli arsenali. È necessario creare anche una nuova sensibilità di accoglienza reciproca. Questo è sempre stato uno dei tratti caratteristici della comunione evangelica fin dai primi tempi della vita ecclesiale; ma la facilità delle comunicazioni e l'impellenza dell'unificazione dei popoli esige ora un nuovo stile di accoglienza, anche al di là delle chiese e delle religioni.
    Ovunque si crea questo nuovo stile, si costruisce l'umanità del domani, si prepara la nuova fase della pace, l'incontro fraterno dei popoli.
    Roma cattolica ha saggiato la sua capacità di accoglienza nei confronti delle migliaia di credenti convocati dalla Comunità di Taizé per il Concilio dei giovani. Non è di quelle esperienze che fanno chiasso e che vengono solitamente registrate dai mezzi di comunicazione; ma è di quelle che fanno la storia e creano una generazione nuova di uomini.
    Credo perciò importante segnalare il fatto e coglierne il valore. Lo faccio con la breve cronaca di un'esperienza vissuta da una piccola comunità di coppie, la Comunità del Mattino.
    La nostra è una piccola comunità di laici sposati con figli; viviamo mettendo in comune la nostra vita, e la nostra casa è abbastanza grande da permettere il servizio dell'accoglienza, magari riempiendo tutti gli spazi disponibili. Non è questo un concreto servizio dell'unità e una condivisione anche della fede comune?
    Già nell"80 avevamo ospitato una trentina di giovani venuti per il «Concilio», con cui avevamo mantenuto rapporti di corrispondenza epistolare e di amicizia. Quella esperienza ha avuto un seguito.
    Arrivano oggi, 28 dicembre 1982: ne ospiteremo 18, altri andranno in parrocchia. Polacchi, svizzeri, tedeschi, spagnoli: con la lingua andiamo proprio male, ci si intende a sorrisi, gesti e qualcosa di inglese. Cerchiamo di farli trovare a loro agio, ma non c'è tempo di pensarci troppo: devono uscire subito perché la sera stessa c'è il primo incontro di preghiera nelle basiliche di Roma. Tornano molto stanchi per la fatica del viaggio: tutti a dormire.
    L'indomani i rapporti cominciano a sciogliersi, e ancor più nei giorni successivi. Impariamo a comunicare in tanti modi. L'incarico di coordinare l'intero gruppo parrocchiale è stato dato a noi. La mattina ci troviamo tutti in parrocchia per un breve incontro di preghiera e per visitare alcuni luoghi di speranza, come il piccolo monastero di suore russe cattoliche, unico nel mondo, che rappresenta una piccola fiammella di speranza per la riconciliazione tra oriente e occidente cristiano.
    La notte di San Silvestro aspettiamo tutti insieme l'anno nuovo facendo un po' di festa. Niente di speciale: qualche panettone e qualche tappo che salta a mezzanotte. Un po' di musica allegra e balli soprattutto collettivi dove il buon umore si scatena. Tante risate e tanta allegria: siamo diventati amici. Confessiamo che all'inizio c'era un po' di timore: chissà chi arriverà, che tipi saranno, se riusciremo a intenderci. Ma ora tutto è chiaro: chi si muove con lo spirito di questi giovani per incontrarsi a pregare, a far festa insieme, non può essere che totalmente disponibile alla comunicazione e alla fraternità. Tanto disponibile da essere capace a creare, in pochi giorni, nuovi rapporti di vita.
    Ad un tratto, durante la festa, qualcuno esprime l'intenzione di ritirarsi in cappella. Tutti aderiscono alla proposta e la nostra piccola cappella si riempie. Solo una candela è accesa. Un registratore propone in sottofondo quei monotoni e meravigliosi canti che avevamo registrato nei giorni precedenti durante gli incontri di preghiera nelle basiliche. Quegli incontri dove migliaia e migliaia di giovani seduti a terra cantavano in un'atmosfera tersa e serena, le loro speranze. Partecipare a quegl'incontri era stato per noi un'esperienza indescrivibile, e ora, nella nostra cappella, nell'intimo di poche decine di persone, i nostri canti ci sembravano altrettanto maestosi e l'atmosfera si è fatta ben presto carica di valori spirituali. Alcuni hanno cominciato a esprimere le loro intenzioni di preghiera e le loro riflessioni. Cercavamo di tradurre come si poteva, ma se molte parole venivano perdute, il senso restava chiarissimo.
    La mattina di capodanno messa internazionale in parrocchia, con liturgia in latino e letture, omelie, preghiere nelle varie lingue dei presenti. E poi tutti a casa per il pranzo di capodanno. Ma non c'è tempo per dilungarsi troppo. Il pellegrinaggio è finito: nel pomeriggio ci sono le partenze. Il tempo di fare qualche fotografia e poi cominciano i saluti. E qui avviene una cosa strana: la commozione emerge spontanea. Eravamo estranei e sconosciuti fino a qualche giorno fa, e ora ci sentiamo così vicini e legati! È proprio vero che lo Spirito fa certi scherzi! Un vecchio proverbio dice che partire è un po' morire. Ma non è vero. I nostri fratelli di Taizé sono partiti, eppure restano così vivi dentro di noi! Anche i loro predecessori che sono stati con noi due anni or sono hanno lasciato un ricordo che continua a essere vivo, e che viene ogni tanto rinfrescato da qualche scambio di corrispondenza. Questi incontri significativi sono per la vita. E non importa se anche non ci si rivedrà mai più: basta trovarsi una volta e condividere in spirito di preghiera anche un solo momento della propria vita per costruire un rapporto indelebile, per seminare un segno di speranza, per contribuire in qualche modo a rendere migliore il mondo.


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