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     Un doppio processo in quattro tappe

    2. Gesù e la legge

    «Cristo e l'adultera» di Girolamo Brusaferro

    Note estetico-spirituali di Maria Rattà



    Prosegue la presentazione del tema evangelico «Cristo e l’adultera» nell’arte attraverso un viaggio tra epoche e artisti diversi.
    Il racconto giovanneo si presta a una rilettura in quattro tappe, attraverso differenti opere d'arte che descrivono il "doppio processo" intentato da scribi e farisei ai danni dell'adultera  (prima tappa) e di Gesù (seconda tappa). Ma Cristo, mettendo a nudo i segreti degli accusatori e chiamandoli ad esercitare una giustizia superiore (terza tappa), farà concludere con un lieto fine il dramma della donna, assolvendola dal suo peccato e invitandola a cambiare vita (quarta tappa).
    In questa puntata sarà analizzato il dipinto di Girolamo Brusaferro, pittore veneto vissuto a cavallo tra il 1600 e il 1700. Il suo «Cristo e l'adultera» si presta a un'analisi del rapporto tra Gesù e la Legge, elemento che scribi e farisei tentano di usare come cavillo per metterlo sotto processo e coglierlo in fallo.

     

    2. IL PROCESSO A GESÙ: LA LEGGE COME COPERTURA

    «”Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio.
    Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?”.
    Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo».
    (Gv 8, 4-6)

    Brusaferro 2

    Il processo contro la donna adultera diventa un processo contro Gesù, in cui scribi e farisei “sfruttano” la Legge come “copertura”: si fingono interessati all’opinione di Cristo semplicemente perché vogliono coglierlo in fallo.

    LA LEGGE CONTRO GESÙ O GESÙ CONTRO LA LEGGE?

    Brusaferro details 1Brusaferro [1] palesa l’espediente a cui ricorrono scribi e farisei ponendo tra le loro mani il Libro della Legge (la Torah, ossia il Pentateuco), che prevede la lapidazione per le donne adultere (Dt 22,22-24; Lv 20,10; Nm 5,11-31).   
    In tal modo è maggiormente sottolineato l’aspetto paradossale della loro condotta, e - dunque - la loro falsità: «già il fatto che conducono a Gesù una donna, colta in flagrante adulterio, dimostra che non agiscono rettamente. Se infatti è stata colta mentre commetteva l’adulterio, con lei c’era anche un uomo. Perché allora se la prendono solo con la donna? Non dice forse la Legge che i due debbono essere messi a morte (Dt 22,22ss)? E poi, come capi del popolo e giudici in Israele, perché non hanno messo in pratica la Legge? Perché non l’hanno condotta in tribunale? C’era proprio bisogno di portarla da Gesù?
    Il motivo è che ad essi, in quel momento, non interessa né la Legge, né la (o il) colpevole: essi vogliono solo mettere alla prova Gesù, avere un motivo per accusarlo (8,6). La donna per essi è solo una pedina utile per mettere Gesù in scacco matto. La parola della Legge, in questo caso, non è per essi norma a cui si deve ubbidire; è solo un caso di coscienza da discutere: “Mosè comanda di lapidare simili donne. Tu che ne dici?” (8, 5)» [2].
    Qui sta il nocciolo della trappola: «se Gesù seguirà la severità della legge, approvando la lapidazione della donna, perderà la sua fama di mitezza e di bontà che tanto affascina il popolo; se invece vorrà essere misericordioso, dovrà andare contro la legge» [3].
    Ecco che quest'ultima viene trasformata, in tal modo, in un “cavillo” di condanna: di Gesù o della donna, oppure di entrambi. Si potrebbe interpretare così la presenza dell’uomo in secondo piano a destra, che con una lente di ingrandimento [4] scruta il Libro che viene sorretto da un altro personaggio. Quell'uomo potrebbe essere l'emblema dell'appiglio "scovato ad arte" cui aggrapparsi per far cadere Cristo nella trappola che gli è stata tesa. Oppure questa presenza così apparentemente strana potrebbe divenire - in positivo - l’emblema della necessità di scrutare con occhi diversi e nuovi la Legge, per non fermarsi solo alla lettera della Parola, ma coglierne il centro e, dunque, la “verità”. È esattamente ciò che fa Cristo. Egli, infatti, è colui che non è venuto «ad abolire la Legge o i Profeti, ma a dare pieno compimento» (Mt 5,17).
    Gesù si fa vero interprete della Parola. Nessuno più o meglio di lui potrebbe. Perché Egli stesso è la Parola incarnata.

    «Avete inteso che fu detto… ma io vi dico»

    Brusaferro dipinge Cristo inginocchiato, nell’atto di indicare con una mano il Libro della Legge e con l’altra il pavimento, quel suolo su cui - come sembrerebbe evincersi dal suo atteggiamento - ha già scritto le parole misteriose di cui Giovanni dà notizia, e che sono state variamente interpretate dalla tradizione e dagli artisti [5]. Il gesto bidirezionale di Gesù sembra descrivere alla perfezione il comportamento e la missione di Cristo che più volte (ben sei), nel capitolo 5 del Vangelo secondo Matteo, afferma: «Avete inteso che fu detto agli antichi… Ma io vi dico».

    Brusaferro details 2

    L’evangelista colloca queste antitesi dopo il discorso della Montagna e dopo l’affermazione - di portata “rivoluzionaria” - sul compimento che Gesù è venuto a dare alla Legge e ai Profeti. Così, il Cristo di Brusaferro indicando tanto la Parola di Dio - la Legge -  quanto le parole che Egli stesso ha scritto, sembra voler eloquentemente sottolineare che non vi è antinomia tra lui e la Torahtra ciò che Egli dice e ciò che è scritto nel Libro.
    La vera antinomia sta tra il cuore “indurito” degli uomini e quello misericordioso di Dio, tra il modo di interpretare la Parola da parte dell’uomo e quello che Cristo stesso viene a rivelare.
    L’espediente narrativo scelto dal pittore diventa così quasi una sintesi ideale, metaforica, del rapporto tra Gesù e la Legge, legame che travalica il caso concreto della donna colta in adulterio, per abbracciare tutta la persona e la predicazione di Cristo nella sua relazione con gli altri, specialmente - come in questo caso - nei confronti di scribi e farisei, detentori ufficiali dell’interpretazione della Legge.

    La Torah del Messia

    «Dal Messia - scriveva J. Ratzinger - Benedetto XVI nel primo libro della sua trilogia su Gesù - ci si aspettava che avrebbe portato a una Torah rinnovata, la sua Torah. La maggior parte del Discorso della montagna è dedicata» a questo «tema: dopo l’introduzione programmatica costituita dalle Beatitudini, esso ci presenta per così dire la Torah del Messia. Ma come si presenta questa Torah del Messia? Subito all’inizio troviamo una parola sempre sorprendente, che chiarisce inequivocabilmente la fedeltà di Dio a se stesso e la fedeltà di Gesù alla fede di Israele: “Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno, senza che tutto sia compiuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli” (Mt 5, 17-19). Non si tratta di abolire, ma di portare a compimento e questo compimento esige un di più non un di meno quanto a giustizia, come Gesù afferma subito dopo: “Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli” (5,20). Si tratta dunque solo di un rigorismo inasprito nell’obbedienza alla Legge? O che altro è questa giustizia più grande? Se così all’inizio della nuova lettura di parti essenziali della Torah l’accento viene posto sulla massima fedeltà, sulla assoluta continuità, nel prosieguo dell’ascolto si nota che Gesù illustra il rapporto tra la Torah di Mosè e la Torah del Messia mediante una serie di antitesi: fu detto agli antichi - ma io vi dico. L’Io di Gesù risalta in un grado che nessun maestro della Legge può permettersi. Come dobbiamo intendere, allora, questa Torah del Messia? Che strada ci indica? Gesù intende se stesso come la Torah - la parola di Dio in persona. Il grandioso Prologo del Vangelo di Giovanni - “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio” - non dice niente di diverso da quanto afferma il Gesù del Discorso della Montagna. Gesù non fa niente di inaudito o di nuovo quando contrappone alle norme casuistiche, pratiche, sviluppate nella Torah, la pura volontà divina come la “maggiore giustizia” (Mt 5,20) che ci si deve aspettare dai figli di Dio. Nelle antitesi del Discorso della montagna Gesù ci sta davanti non come un ribelle né come un liberale, ma come l’interprete profetico della Torah che Egli non abolisce, ma porta a compimento» [6]. È esattamente anche questo il messaggio che Brusaferro trasmette presentando il “suo” Cristo che già attraverso i propri gesti risponde «alla domanda provocatoria» [7] - «Tu che ne dici?» - rivoltagli da scribi e farisei. È un Gesù assetato di giustizia, ma di una giustizia diversa da quella degli uomini che ha di fronte; è un Gesù misericordioso, che troverà misericordia - nella Risurrezione - presso il Padre, dopo aver acconsentito che su se stesso si facesse giustizia per il peccato degli uomini.

    Il primato della carità

    «Gesù pone sotto accusa tutto lo sforzo interpretativo degli scribi, la loro tradizione teologica e, quindi, la loro esperienza religiosa, di cui erano orgogliosi. Gli scribi erano teologi e moralisti, interpreti della legge e custodi della tradizione: il popolo ricorreva ad essi per scrutare le Scritture e per sapere come viverle. Loro ambizione era la fedeltà. Ma avevano il torto di ritenersi fedeli alla legge ripetendola e di essere attuali frantumandola in una casistica. E così mortificavano la legge, fissandola entro schemi incapaci di aprirsi alla perenne novità di Dio e della storia. E la disperdevano in una miriade di precetti, che ne rendevano intollerabile l’osservanza e la privavano del suo centro.
    Occorre una corretta visione di Dio e del suo disegno di salvezza, un modo corretto di leggere le Scritture. Sta qui la radice della contrapposizione fra Gesù e gli scribi.
    Come i profeti che l’hanno preceduto, anche Gesù si è sforzato di ricuperare il centro della volontà di Dio e il primato della carità. Tutto deve essere letto alla luce di questo centro, e tutto deve essere valutato in base a esso» [8]. In questa stessa ottica Gesù riuscirà a dirimere il delicato caso dell’adultera, e allo stesso tempo, uscirà indenne dal processo contro di lui, dimostrando concretamente cosa voglia dire «Misericordia io voglio e non sacrificio» (Mt 9,13) - espressione ripresa da Os 6,6 -, senza per questo “mortificare” le “necessità” della giustizia, ma sposandole in un modo nuovo, senza «indicarci delle leggi precise da mutare, quanto piuttosto un modo diverso di elaborare la morale» [9]. Se c'è qualcuno in grado di fornire una risposta all'eterno dilemma della conciliazione tra giustizia e misericordia, questo qualcuno è proprio Cristo.

    INTERPELLATI DAL QUADRO

    Gesù, la “lente” per leggere la Bibbia

    Non è l’uomo il filtro attraverso cui leggere e applicare la Parola. Né gli strumenti umani o la sua ragione possono essere la lente di ingrandimento per vederci più chiaro al suo interno. È Gesù, l’Uomo-Dio, la vera lente d’ingrandimento che permette all’uomo di cogliere il “centro” delle Scritture e di farne una bussola per orientarsi nelle relazioni interpersonali, calibrando giustizia e misericordia. Nel suo incontro con l’adultera, e nella contrapposizione con scribi e farisei, Cristo sta cercando di far comprendere proprio questo.

    Una giustizia “superiore”

    Il caso dell’adultera presentata a Gesù permette di vagliare il rapporto tra giustizia umana e giustizia divina, così come pure quello tra giustizia e misericordia.
    Gesù invita i suoi discepoli (di allora e di oggi) a superare la giustizia di scribi e farisei, ossia una giustizia rigorista, cavillosa, “letterale”, complicata da macchinazioni umane: «Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel Regno dei cieli» (Mt 5,20). «Il versetto lascia intravedere tre giustizie: la giustizia degli scribi, dei farisei e dei discepoli. Parlando di giustizia superiore Matteo non intende una superiorità nella quantità o nella rigidezza, ma una superiorità nella qualità. E per giustizia non intende ciò che noi comunemente intendiamo (e cioè la parità fra il dare e l’avere nei rapporti fra uomini), ma, più ampiamente, la volontà di Dio.
    In che cosa consiste la superiorità della legge cristiana?» [10].
    Per rispondere è necessario partire da un assunto di base: «Il messaggio di Gesù è in continuità con l’Antico Testamento, ne recupera il centro e la tensione. Non introduce novità mutuate altrove, e non fa correzioni in base a una logica estranea: ne recupera invece l’intenzione di fondo e porta questa a compimento.
    Continuità, dunque, ma tale continuità è anche novità. È una novità che esige conversione, perché critica nei confronti degli schemi precedenti nei quali si finisce sempre con l’accomodarsi» [11].
    Cristo chiama esattamente a questa conversione. Una conversione che orienti a una lettura della Parola di Dio vagliata nel suo "complesso", per discernere fra «testo e testo; alcuni testi sono più importanti e altri meno: i primi rivelano l’intenzione profonda e originaria di Dio, i secondi pagano un tributo alla durezza di cuore degli uomini. Con questo Gesù offre una lezione di metodo: per cogliere la volontà di Dio occorre essere capaci di una lettura globale della Scrittura: una lettura che sappia distinguere fra logica di fondo e le sue espressioni tutte parziali,  provvisorie e fondamentalmente caduche» [12]. Solo così si può comprendere che l'uomo è chiamato a «vivere di misericordia, perché a noi per primi è stata usata misericordia. Il perdono è lo strumento posto nelle nostre fragili mani per raggiungere la serenità del cuore. Lasciar cadere il rancore, la rabbia, la violenza e la vendetta sono condizioni necessarie per vivere felici» [13].
    Quando Gesù passerà dallo scrivere per terra al parlare, l’apparente zelo degli scribi e dei farisei, il loro attaccamento alla “lettera” della Legge e il loro rigorismo si trasformeranno in un boomerang che tornerà indietro e li colpirà, perché metterà maggiormente in evidenza la loro incapacità di misericordia verso la donna adultera e verso il Signore misericordioso, ma anche l’opposta necessità di essere essi stessi “misericordiati” da Dio. «Per essere capaci di misericordia, quindi, dobbiamo in primo luogo porci in ascolto della Parola di Dio. Ciò significa recuperare il valore del silenzio per meditare la Parola che ci viene rivolta. In questo modo è possibile contemplare la misericordia di Dio e assumerlo come proprio stile di vita» [14].

    NOTE

    [1] Brusaferro (1677-1745) è un pittore veneziano, abile soprattutto nella tecnica dell’affresco - secondo quanto scritto da V. da Canal - impegnato nella pittura storica, mitologica e sacra (è attivo, infatti, in varie chiese di Venezia). Allievo di Nicolò Bambini, vicino, specialmente in alcune opere, a Sebastiano Ricci, non è un pittore di primo piano nel panorama dell’arte italiana, sebbene «rappresenta comunque un’onesta via mediana tra la grande tradizione della pittura classicistica e l’innovativo cromatismo settecentesco, una soluzione di compresso dal risultato intrigante e, nei casi migliori, di ben felice soluzione» (Alessio Paisan, Girolamo Brusaferro sacro e profano, AFAT Arte - in Friuli e Arte in Trieste n. 30, 2011, p. 59.). L’attribuzione della tela raffigurante «Cristo e l’adultera» è stata oggetto di posizioni contrastanti fra gli studiosi.
    Secondo una tradizione orale, non documentata, la tela sarebbe provenuta (assieme ad un’altra), dall’oratorio - demolito - di Villa Caotorta alla Malpaga.
    Essa venne attribuita - in occasione del restauro del 1968 - a Gaspare Diziani, ma a partire dal 1982, si impose - condivisa da altri studiosi - la paternità del Brusaferro, anche sulla base di raffronti stilistici con altre sue opere a soggetto religioso. Attualmente la tela si trova a Borbiago di Mira (VE), nel Santuario di Santa Maria Assunta (https://www.santamariassuntaborbiago.it/Modules/santuario.html).

    [2] Mario Galizzi, Vangelo secondo Giovanni. Commento esegetico-spirituale, Elledici, 2001, p. 130.

    [3] Francesco, Angelus, 13 marzo 2016, https://w2.vatican.va/content/francesco/it/angelus/2016/documents/papa-francesco_angelus_20160313.html

    [4] «È probabile che l'invenzione e lo sviluppo della lente d'ingrandimento si situi attorno al XI secolo per opera di un fisico e matematico egiziano di nome Ibn Al-Haytham (conosciuto in Occidente con il nome di Alhazen) (965-1039) che studiò a lungo il comportamento della luce». Giuseppe Ricci, Gli inventori della lente d’ingrandimento, https://ulisse.sissa.it/chiediAUlisse/domanda/2004/Ucau040908d003/ Sito Internet Ulisse, della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste.

    [5] «Fin dall’antichità si sono susseguite numerose interpretazioni a riguardo. Una delle più famose e ancora oggi in voga - formulata per primo da Girolamo (IV-V secolo) - è quella secondo la quale Gesù scrive i singoli peccati di coloro che conducono la donna sorpresa in flagrante adulterio. Altri ritengono che, in consonanza con l’uso romano, Gesù scriva il suo verdetto nei riguardi della donna e dei suoi detrattori prima di pronunciarlo. Altri ancora segnalano che il gesto di Gesù col dito richiama la scrittura della Legge da parte di Dio su tavole (Es 31,18; Dt 9,10). Gesù scriverebbe, quindi, la nuova Legge dell’amore misericordioso. Per alcuni infine Gesù fa riferimento a Ger 17,13 in cui il profeta parla del tempio (proprio dove si trova Gesù in quel momento): O speranza d’Israele, Signore, quanti ti abbandonano resteranno confusi; quanti si allontanano da te saranno scritti nella polvere, perché hanno abbandonato il Signore, fonte di acqua viva» (Padre Filippo Belli, Cosa scrive per terra Gesù quando invita a perdonare l’adultera?, Rubrica Risponde il teologo, Sito Internet Toscana Oggi, https://www.toscanaoggi.it/Rubriche/Risponde-il-teologo/Cosa-scrive-per-terra-Gesu-quando-invita-a-perdonare-l-adultera#sthash.iyOM8Jde.dpuf ). «È possibile che si tratti anche di un atto simbolico, di un’allusione a qualcosa di molto più comune. Se tu scrivi una parola per terra, la mattina dopo non la ritroverai, perché il vento o la pioggia l’avranno portata via, cancellata. Troviamo un’allusione a quanto detto in Geremia, dove si legge i nomi attribuiti a Dio sono scritti per terra, cioè vuol dire che non hanno futuro. Il vento e la pioggia li portano via (cf Jr 17,13). Forse Gesù vuole dire agli altri: il peccato di cui voi accusate questa donna, Dio lo ha perdonato già con queste lettere che sto scrivendo per terra. D’ora in poi non si ricorderanno più i peccati!» (Lectio V Domenica di Quaresima, 21 marzo 2010, Sito Internet dell'Ordine dei Carmelitani Calzati, https://ocarm.org/it/content/lectio/lectio-5%C2%AA-domenica-di-quaresima)
    Questi tentativi a cui se ne possono sempre aggiungere altri, hanno tutti un medesimo risultato: ci lasciano con la bocca asciutta rispetto alla nostra sete di sapere. In effetti, nonostante il fascino che alcune ipotesi possono suscitare, nessuna di esse è convincente perché nessuna di esse è pienamente verificabile. Il mistero di quella scrittura rimane e forse deve rimanere tale in quanto almeno cattura l’attenzione» (Padre Filippo Belli, Ult. cit.).

    [6] Joseph Ratzinger - Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, vol. I, Rizzoli, 2007, pp. 125; 127-129; 137; 155.

    [7] Giovanni Paolo II, Mulieris dignitatem, n. 13, https://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/apost_letters/1988/documents/hf_jp-ii_apl_19880815_mulieris-dignitatem.html

    [8] Bruno Maggioni, Il racconto di Matteo, Cittadella Editrice, 2004, p. 78.

    [9] Ibidem, p. 78.

    [10] Ibidem, p. 77.

    [11] Ibidem, pp. 79-80.

    [12] Ibidem, p. 79.
    L’autore sviluppa l’argomento presentando un riferimento concreto nella predicazione di Gesù: «Discutendo il caso di divorzio: “Chi vorrà rimandare la sua donna, le dia il libretto di rupudio”, Gesù cita un testo di Deuteronomio (24,1), ma, sebbene consapevole che il Deuteronomio sia parola di Dio, egli lo giudica secondario rispetto a un passo del Genesi (1, 27; 2,24; cf. Mt 19,3-9)».

    [13] Francesco, Misericordiae Vultus, n. 9, https://w2.vatican.va/content/francesco/it/apost_letters/documents/papa-francesco_bolla_20150411_misericordiae-vultus.html

    [14] Ibidem, n. 13.

     

    BIBLIOGRAFIA DEGLI ALTRI SITI CONSULTATI

    Voce Girolamo Brusaferro, Sito Internet dell’Enciclopedia Treccani on line, https://www.treccani.it/enciclopedia/girolamo-brusaferro_(Dizionario_Biografico)/

    Anna Pietropoli, I teleri di Brusaferro a Borbiago, in Tempo di Meridiane - Biblioteche di Mira e Oriago, https://www.miracubi.it/easyne2/homepage/

    Alessio Paisan, Girolamo Brusaferro sacro e profano, in AFAT Arte - in Friuli e Arte in Trieste n. 30, 2011, p. 59. Disponibile alla pagina https://www.academia.edu/5222369/Girolamo_Brusaferro_sacro_e_profano_in_AFAT_-_Arte_in_Friuli_Arte_a_Trieste_30_2011_pp._59-72


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