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    Tutto il resto (dei giovani) /11

    Monica Gallo

    (NPG 2008-04-59)


    Sono molteplici le esperienze possibili per un giovane che decide di passare alcuni mesi della sua vita in un Paese comunitario. Le istituzioni europee stanno infatti promuovendo dal 2007 un nuovo «Programma Integrato di Apprendimento Permanente» che durerà fino al 2013 e che si pone come obiettivo quello di rafforzare la dimensione europea dell’educazione, agevolando l’accesso alle risorse educative in Europa, promuovendo la conoscenza delle lingue e la mobilità scolastica.
    Tra le opportunità offerte, per chi è alle scuole superiori, vi è quella di frequentare un anno in un istituto paritario (progetto Comenius); per un universitario di sostenere alcuni esami del proprio percorso accademico in una facoltà estera (Erasmus); per chi lavora o è disoccupato di specializzarsi e di imparare una professione in un’azienda oltre confine (Leonardo); per i neo-laureati di fare uno stage presso le Istituzioni Europee.
    I cambiamenti nel mondo del lavoro di oggi ci consigliano, anzi ci richiedono con forza, di fare un’esperienza di questo tipo per ampliare le conoscenze linguistiche e professionali oramai necessarie per inserirsi con flessibilità e dinamismo nelle panorama delle nuove occupazioni.

    Occasioni di scambi

    Ma quanti sono i giovani che colgono queste occasioni? Quali strumenti e motivazioni sono necessarie per fare una scelta di questo tipo?
    Tra le libertà fondamentali del diritto comunitario vi è quella della libera circolazione delle persone: i cittadini dell’Unione Europea possono trasferirsi in un altro Stato membro per lavoro o per studio, per offrire servizi o usufruirne, o semplicemente per soggiornarvi.
    Quanto di fatto questa libertà è realizzabile per tutti? Ad oggi sappiamo bene che quella che poi usufruisce di queste occasioni e conosce i canali che propongono queste agevolazioni (informagiovani, informalavoro…) è solo una piccola parte della popolazione giovanile.
    Ricerche sociologiche recenti ci mostrano come la causa più grande di questa disuguaglianza tra gli individui sia la diversità di strumenti e conoscenze derivata dalla condizione familiare e di contesto di partenza.
    La situazione sociale a cui si appartiene incide fortemente nelle opportunità di vita che un giovane può avere, creando forti ineguaglianze; inoltre nel contesto instabile, in trasformazione in cui viviamo, solo alcuni riescono a sviluppare strategie di adattamento e cogliere anche le opportunità del nuovo sistema.
    Le disparità tra le persone non sono più determinate solo da variabili economiche e lavorative. Il fattore discriminante è il rapporto con la dimensione culturale: ciascuno infatti è portatore di un certo capitale culturale intendendo con ciò non solo il titolo di studio raggiunto ma anche quello della famiglia di origine, le esperienze biografiche di ognuno, quelle lavorative e formative.
    Nel tempo si è passati da una situazione di subordinazione gerarchica evidente (nelle fabbriche era chiara la dicotomia operaio-padrone) ad una più implicita e diffusa, basata su differenze culturali che giocano un ruolo di primo piano anche nell’accesso ad un certo tipo di consumi. Per godere appieno delle possibilità offerte dal contesto, occorre infatti disporre di una serie di competenze personali, risorse e strumenti senza le quali il rischio è di accettare tacitamente modelli preconfezionati che non lasciano spazio alla libertà personale.
    Tra i giovani esiste ancora oggi un grosso discrimine tra coloro che hanno un’istruzione «da liceo» (i quali probabilmente continueranno con gli studi universitari), e coloro che, invece, provengono da istituti professionali o hanno seguito corsi di formazione al lavoro.
    Si investe meno sui giovani a bassa scolarità, su quelli che hanno lasciato prima del tempo il percorso di studi, sui giovani delle periferie che invece avrebbero bisogno di maggiori attenzioni e opportunità. Per molti di loro, la realizzazione personale coincide con il consumo, spesso unica fonte di soddisfazione e di riconoscimento sociale ma che costituisce un riscatto soltanto apparente. Il consumo, infatti, non elimina le differenze sociali, ma le nasconde.
    Si lavora per poi poter acquistare, senza investire invece, sul miglioramento della propria condizione di vita attraverso l’ampliamento del proprio capitale culturale e sociale. Alla luce del quadro appena descritto, la scuola resta uno dei pochi luoghi dove venire a conoscenze di una serie di occasioni formative, culturali, di mobilità internazionale, rivolte alle giovani generazioni. Chi decide di uscire prima del tempo dai percorsi scolastici tradizionali, dunque, rimane tagliato fuori da tutta questa serie di esperienze.
    Viene spontaneo domandarsi di chi sia il compito di diffondere le conoscenze, le opportunità, le occasioni di consumo culturale tra chi ha deciso di andare a lavorare presto o ha scelto altri canali formativi (corsi di formazione professionale, apprendistato, ecc).
    È compito delle istituzioni, delle agenzie educative e della società civile permettere a tutti i giovani, e non solo a una ristretta elite, di cogliere e sperimentare queste importanti occasioni formative di studio, lavoro, turismo all’estero. Tutto ciò con l’obiettivo di abbattere le barriere linguistiche e lavorare per creare un’identità europea aperta, passando da una visione multiculturale a una interculturale in cui le differenze si incontrino e si completino a vicenda anziché distinguersi e distanziarsi.
    Credo che nel panorama appena descritto, l’associazionismo costituisca una grande opportunità per accompagnare i giovani a comprendere il valore dell’investire il proprio tempo e i propri soldi per arricchire le conoscenze, per viaggiare, imparare nuove lingue, per aiutarci ad affrontare la paura del confronto con il diverso. Le associazioni giovanili, attraverso la progettazione e l’attivazione di percorsi mirati, devono diventare spazio per accrescere il capitale culturale dei ragazzi. In particolare hanno il compito di rivolgersi a quella parte che non usufruisce dei canali culturali proposti dalla scuola e che, per questo, è ad alto rischio di esclusione sociale e lavorativa. Inoltre possono diventare un mezzo per incentivare la mobilità internazionale attraverso scambi tra giovani finanziati dalla Commissione Europea e, infine, per sperimentare l’uso di una lingua straniera in modo stimolante e fuori dagli schemi di apprendimento tradizionale.


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