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    Lussuria, il rapporto deformato con il sesso



    I vizi capitali. Le figure dell’esistenza inautentica /3

    Carmine Di Sante

    (NPG 2008-03-57)


    Oltre che godimento del cibo, dell’aria, del sole, delle cose che tocca e che incorpora, l’uomo è godimento soprattutto di quel mondo che è il suo corpo e che, micromondo, per l’io è tutto il mondo, fonte di piacere come e più del mondo esterno.
    La ragione che, del piacere sessuale, fa il piacere più ricercato e travolgente è che, più di ogni altro, sottrae il soggetto a se stesso, al suo controllo, sovranità e dominio, e gli promette l’estasi, l’uscita quasi totale dal suo io:

    «Mangiare sazia il nostro desiderio di cibo, la nostra fame; mangiamo e chiacchieriamo in compagnia, o mangiamo mentre leggiamo il giornale o guardiamo la televisione. Ciò che sazia la nostra lussuria, invece, preclude qualunque altra attività. Non ci rende letteralmente ciechi, nemmeno momentaneamente, e reagiremmo velocemente all’arrivo di un visitatore inatteso o al grido di ‘Al fuoco’. Ma è la cosa più simile all’estasi - quella sensazione di essere quasi al di fuori di se stessi – che la maggior parte di noi sia in grado di provare. A mano a mano che il corpo venga invaso dal desiderio, e ancor più dall’approssimarsi dell’orgasmo, quasi l’intero mondo viene cancellato e il nostro orizzonte mentale si colma solo di desiderio. Il cervello ha bisogno di una grande quantità di sangue e, secondo un detto, gli uomini hanno due organi che ne hanno uguale necessità, ma ciò è possibile per uno solo alla volta. C’è una verità letterale in questo e non riguarda solo gli uomini: l’orgasmo bandisce il pensiero. Ciò che costituisce il motivo principale di condanna da parte della chiesa» (S. Blackburn, Lussuria, Raffaello Cortina Editore, Milano 2004, pp. 28-29).

    Come valutare questa estasi che il piacere sessuale permette e promette?
    Scrive sempre S. Blackburn:

    «Su questo bisogna soffermarsi. È bello essere travolti da un vortice di piacere. Non esiste un’estasi che sia decorosa o controllata e quindi non si può giudicare negativamente la lussuria solo perché il suo risultato ultimo ed estremo è l’abbandono totale. A dire il vero, in generale si crede che tali esperienze siano fra le cose migliori della vita e una pietra di paragone per altre. Anche nella rigida atmosfera della religiosità cristiana la migliore descrizione che i mistici potevano dare della loro estatica comunione con Dio era di paragonarla all’estasi sessuale. Le metafore sono le stesse: nella comunione estatica il soggetto si arrende, arde, si perde, è accecato o perfino temporaneamente annullato in una ‘piccola morte’. Si può ben capire perché il Bernini non sia stato il solo a rappresentare Teresa d’Avila colta nell’atto dell’orgasmo: la santa stessa descriveva una ‘freccia conficcata nelle profondità delle viscere e del cuore’, cosicché l’anima non ‘sa cosa accada o a cosa aneli’, e tutto è ancora più chiaro quando descrive questa esperienza come un’angoscia, ma un’angoscia ‘così squisita che nella vita non ve n’è un’altra che possa dare una soddisfazione più grande» (Ivi, pp. 29-30).

    Il piacere sessuale come estasi, come fuoriuscita radicale dal proprio io: ma si tratta davvero della fuoriuscita o non piuttosto dell’avvinghiarsi e inchiodarsi dell’io sempre più ostinatamente intorno al suo io?

    Da Platone a Shakespeare

    Ha ragione il Fedro di Platone per il quale l’eros è lacerazione dell’anima sospesa tra due cavalli, il primo «di forma lineare e ben strutturato, dal collo retto, con narici adunche, bianco a vedersi e con gli occhi neri, amante di gloria con temperanza e con pudore e amico di retta opinione», che «non richiede la frusta e lo si guida soltanto con il segnale di comando e con la parola», mentre il secondo «è storto, grosso, malformato di dura cervice, di collo massiccio, di naso schiacciato, di pelo nero, di occhi grigi, iniettati di sangue amico della protervia e dell’impostura, villoso intorno alle orecchie, sordo» che «a stento ubbidisce ad una frusta fornita di pungoli» (Fedro, 253 D-E)?
    O l’Aristofane del Simposio per il quale l’eros è forza che «ci riporta all’antica natura e cerca di fare di due uno (en ek dyoin) e di risanare l’umana natura» per cui «ciascuno di noi è come una contromarca di uomo (symbolon), diviso com’è da uno in due (ex enos dyo), come le sogliole» (Simposio 191 D)?
    O Socrate per il quale è la via – e l’unica - per accedere all’assoluto, attraverso un processo di autotrascendimento che porta l’io a comprendere che la vera fonte del piacere non è né può essere questo corpo bello né i corpi belli ma il bello in sé, il to kalon, che si identifica con il bene e che, pur tralucendo nel corpo e nei corpi, è oltre e altro per cui bisogna oltrepassarli per contemplare e godere il bello in sé e per sé?
    Oppure ha ragione Seneca per il quale l’eros non è né ricomposizione dell’unità perduta né via di accesso al divino ma pura insignificanza e vizio: «Se ti convinci che la libidine è stata data all’uomo non per suo piacere, ma per propagare la specie, poiché non ti lascerai profanare da questa peste segreta che portiamo infissa nelle viscere, ogni altra cupidigia passerà senza toccarti. La ragione non abbatte i vizi uno ad uno, li abbatte tutti allo stesso modo e si vince in una sola volta, in tutti i sensi» (ivi pp. 49-50)?
    O Hobbes che, quasi contraddicendo il suo pessimismo, scrive che il piacere sessuale non è solo «un piacere sensuale» ma «che vi è in esso anche un diletto mentale», perché «esso è costituito da due appetiti insieme, di dar piacere e di averne; e il diletto che gli uomini traggono dall’essere dilettevoli non è sensuale, ma un piacere o gioia della mente consistente nell’immaginazione del potere di piacere, che essi posseggono in tanta misura» (ivi p. 94)?
    O infine ha ragione Shakespeare che, in Sogno di una notte di mezza estate, fa dire al duca Teseo: «Gli innamorati e i pazzi hanno il cervello in tale ebollizione, e tanto fervide sono le loro fantasie, che concepiscono più di quanto il freddo raziocinio mai comprenda. Il lunatico, l’innamorato e il poeta solo di fantasia sono composti» (ivi p. 83)?

    Eros, tra enigma ed equivoco

    Decidersi per l’una o l’altra di queste interpretazioni è impossibile perché l’eros – prima che dato naturale da studiare scientificamente e prima che oggetto razionale da pensare filosoficamente – è, come vuole Lévinas, enigma che si sottrae all’indagine del logos e più che farsene interrogare, lo interroga e lo inquieta, coincidendo con l’equivoco stesso: la «simultaneità del bisogno e del desiderio, della concupiscenza e della trascendenza, tangenza del confessabile e dell’inconfessabile, costituisce l’originalità dell’erotico che, in questo senso, è l’equivoco per eccellenza» (Totalità e Infinito, cit. p. 262).
    «Equivoco per eccellenza», ciò che, per la bibbia, sottrae l’eros all’ambiguità e lo apre al senso è la relazione.
    Né lacerazione dell’io, come vuole Fedro, né ricomposizione dell’unità o fusione, come vuole Aristofane, né via all’assoluto o divino, come vuole Socrate, né mezzo per propagare la specie come vuole Seneca, né volontà come volontà di sopravvivenza ad ogni costo come vuole Schopenhauer, né pulsione o spinta irresistibile al piacere come vuole Freud, l’eros è innanzitutto messa in discussione del solipsismo dell’io e della sua autocomprensione come io di potere autonomo e sovrano.
    Dopo aver creato l’uomo e averlo collocato nel giardino dell’eden, Dio si disse e gli disse: «Non è bene che l’uomo sia solo. Gli voglio creare un aiuto che gli sia simile» (Gn 2,18). La traduzione più fedele al testo originale suona: «Non è cosa buona essere l’uomo solo per se stesso. Gli farò un aiuto che sia il suo «di fronte». La ragione per la quale, secondo il testo biblico, Dio crea la donna non è, come nel mito platonico, di ricomporre l’unità originaria ma di introdurvi una rottura irreversibile sostituendo, all’unità originaria – solitudine, solipsimo ed egoismo – la relazione tra l’io e il tu, dove l’io è irriducibile al tu e il tu all’io. La donna, per il testo biblico (e, viceversa, l’uomo per la donna) non è né termine di conoscenza, né oggetto del desiderio né polo di attrazione ma il «faccia a faccia» (kenegdo, nel testo originale): colei che gli si erge di fronte e, irriducibile all’uomo, gli impedisce di ripiegarsi su di sé e restare incatenato al suo io.
    Lungi dall’essere ricomposizione dell’unità perduta, l’eros, per la bibbia, è il suo superamento. È l’evento-accadimento dove all’uomo è dato di uscire da se stesso grazie all’alterità femminile e dove, infranta la struttura dell’io identitario e sovrano, soggetto di potere, tra i due si istituisce la relazione, e una relazione sempre aperta che si apre al terzo - il figlio, irriducibile all’uno e all’altra. La potenza dell’eros, ciò che ne fa la sua altezza e la pone al centro delle culture e delle letterature, è nella potenza della relazione che, altra dalla natura e superamento della logica della natura, si apre al terzo e si trascende nella fecondità, nella bontà, nella gratuità, nell’essere per l’altro e non più per se stesso.
    Se l’eros è relazione, e relazione sempre aperta, che non si richiude mai su se stessa, ciò che, per la bibbia, lo deforma e lo trasforma in lussuria, in ciò che eccede ed è fuori dalla giusta misura e dalla forma (lussuria ha infatti la stessa radice di lussazione), è la negazione di questa relazione e della sua apertura al terzo. Parlando dell’eros come apertura al terzo, non ci si riferisce alla dimensione biologica – puro materialismo – ma alla capacità di uscire fuori dal proprio io e di pensare all’altro da sé, donando, accogliendo e ospitando gratuitamente.
    Parlando della paternità Lévinas la definisce come la possibilità, grazie al figlio, di andare oltre «le possibilità iscritte nella natura di un essere»:

    «Il fatto […] di poter uscire dalla chiusura della propria identità e da ciò che le è concesso verso qualcosa che non lo è e che tuttavia è da lei – è la paternità. Coloro che non hanno figli non vi debbono in alcun modo vedere un disprezzo. La filialità biologica è soltanto la prima figura della filialità ma si può benissimo concepire la filialità come relazione tra esseri umani senza legami di parentela biologica. Si può avere nei confronti degli altri un atteggiamento paterno. Considerare altri come proprio figlio, significa appunto stabilire con lui quelle relazioni che io chiamo ‘al di là del possibile’» (Etica e Infinito. Dialoghi con Philippe Nemo, Città Nuova, Roma 1984, pp. 88-89).

    Figure di eros, negazione della relazione

    Negazione della relazione, la lussuria, per la quale la bibbia ricorre a termini quali porneia o dissolutezza, conosce una molteplicità di figure che dell’eros o amore sono la contraffazione: l’eros ridotto alla sola genitalità o piacere; l’eros degradato alla nuda sfera biologica; l’eros ricondotto a semplice strumento per la procreazione; l’eros trasformato in prodotto commerciale; l’eros convertito in merce di scambio; l’eros strumentalizzato per la pubblicità e vendita di prodotti commerciali; l’eros venduto, ferito, umiliato sulle strade della prostituzione e del sesso, nuova barbarie se solo si pensa che circa un milione di bambini e bambine vengono sfruttati dal turismo sessuale dei paesi occidentali che si vorrebbero civilizzati; infine, come denuncia Z. Bauman in Vite di scarto (Laterza, Bari 2005) commentando l’ultima moda, proveniente dagli Stati Uniti, dello Speed dating (il darsi appuntamento velocemente, una specie di «nastro trasportatore per cuori solitari») l’eros smaltito e riciclato come si smaltiscono e riciclano i rifiuti organici: «‘Se il partner non ti va a genio, puoi sfilarti in un batter d’occhio’. Il problema dello smaltimento dei rifiuti è risolto prima ancora di cominciare» (p. 156). Deformazione dell’amore, la lussuria, per la bibbia, è disarticolazione – il termine greco è dia-bolizzazione, che vuol dire appunto separazione – tra piacere, relazione e fecondità. Sottratto alla relazione e alla fecondità – relazione duale che apre al terzo, all’egli che è oltre l’io e il tu – l’eros si riduce a piacere o lussuria che, invece di disincatenare l’io da se stesso, ve lo avvita ulteriormente rendendolo prigioniero e schiavo sempre più di se stesso:

    «L’eros differisce dal possesso e dal potere […]. Esso non è né una lotta, né una fusione, né una conoscenza. Bisogna riconoscere il suo posto eccezionale fra le relazioni. È la relazione con l’alterità, con il mistero, cioè con l’avvenire, con ciò che, all’interno di un mondo dove tutto è presente, non è mai presente, con ciò che può non esser presente quando tutto è presente. Non con un essere che non è presente, ma con la dimensione stessa dell’alterità. Là dove tutte le possibilità sono impossibili, là dove non si può più potere, il soggetto è ancora soggetto grazie all’eros. L’amore non è una possibilità, non è dovuto alla nostra iniziativa, è senza ragione, ci invade e ci ferisce e tuttavia l’io sopravvive in esso» (E. Lévinas, Il tempo e l’altro, Il Melangolo, Genova 1977, pp. 57-58).

    La tristezza della lussuria e del disumano che essa istituisce è nella cancellazione dell’alterità dell’altro, l’unica potenza capace di liberare l’io da se stesso e avviarlo verso l’avvenire il cui nome è la relazione gratuita o bontà verso l’altro o terzo.

     

    SCHEDA

    LUSSURIA
    “il rapporto deformato con il sesso”
    Scheda operativa a cura di Giuseppe Morante

    L’articolo «Lussuria» descrive il piacere sessuale con caratteristiche fisiologiche e limiti psicologici (estasi, fuoriuscita radicale dall’io, sospensione della razionalità). Nel tradurlo in termini di educazione religiosa e morale della persona si deve partire dal fatto che l’uomo ha un corpo sessualmente identificato, ma non può ridursi al solo uso del sesso come risposta al suo moto istintuale. L’uomo non è solo corpo; il sesso, riferito alla corporeità, coinvolge le altre dimensioni mentali come la razionalità e l’identità di genere, a cui è necessario finalizzare ogni suo uso.

    1. La funzione del sesso nella visione globale della persona
    * Domanda di avvio: l’essere umano è una sintesi di elementi basati sulle differenze anatomiche e fisiologiche (due modi di essere nel mondo), diverse e complementari… Da ciò si può dedurre una psicologia della sessualità e una spiegazione del suo comportamento? Le risposte possono modificare la dialettica maschile e femminile, ristrutturare atteggiamenti e valori legati alla diversità sessuale, trasformarne la dimensione «erotica», porre le basi per un nuovo orizzonte di senso.
    * Pedagogicamente, la scoperta dei significati della sessualità va diversificato per età.
    – Per il fanciullo l’identità sessuale è basata sulla percezione di sé come oggetto simile al genitore dello stesso sesso e capace di adottare i tipi di giochi e di attività che vengono incoraggiati dalla persone del suo sesso. L’ambiente familiare influisce in modo determinante, per cui s’impone un intervento preventivo sui genitori. Le principali circostanze che determinano l’identificazione comprendono la percezione del modello come sostegno, esercizio di potere, orientamento ad amare gli altri, acquisizione di abilità e competenza in determinati settori più apprezzati. L’identità sessuale si costruisce sul riconoscimento di alcune basi oggettive che rendono possibile la somiglianza al modello (aspetto esteriore). Molte qualità personali sono caratterizzate fortemente da un punto di vista sessuale (entusiasmo, senso dell’umorismo, calore umano...); nella scuola elementare l’esperienza maschi/femmine tende a mettere in evidenza soprattutto le differenze sul piano fisico.
    – Per il preadolescente incomincia a differenziarsi la cultura del sesso. L’altro-di-me è diverso da me. Il linguaggio dell’appello verso l’altro sesso è il linguaggio del distacco, della derisione. Perciò diventa necessaria la modalità di coeducazione all’identità sessuale fatta insieme dai genitori ed insegnanti o catechisti animatori. Il preadolescente si guarda allo specchio e dice: «Chi sono io? Che effetto ho sull’altro sesso?». Si tratta di un momento delicato in cui deve entrare in gioco la coeducazione tra coetanei: sono diversi nel modo di pensare, vivere, sentire la vita. L’ambiente extrafamiliare influisce molto. Verso la fine della preadolescenza le cose cambiano: quella diversità ora diventa interessante: non più gruppi contrapposti, ma gruppi che si sentono spinti a mischiarsi. Qualcosa dentro la persona muove a comunicare con l’altro sesso non più per differenziarsi ma per integrarsi, completarsi: ora la tendenza è quella di star bene con i coetanei dell’altro sesso. La tappa educativa diventa la conquista della gamma intermedia tra disprezzo dell’altro/a e pratica del sesso come accettazione e affermazione della propria identità sessuale. È la conquista del linguaggio dell’affettività e dell’amore. S’impara a star bene con quelli dell’altro sesso, a comunicare affettivamente, senza la pratica del sesso, almeno nella prassi ordinaria.
    – Per l’adolescente si richiede un’educazione dell’affettività e della sessualità attraverso la cultura e l’innamoramento, come trasformazione dell’eros in amore, attraverso l’avvio della fase del fidanzamento. Inizia l’esperienza dell’autonomia e la conquista della propria identità: gli educatori possono aiutare gli adolescenti ad acquisirla, sia spiegando il ruolo della diversità nella sessualità, sia stimandoli nella loro ricerca di identità. La persona ha sempre bisogno di essere riconosciuta così come appare, senza assumere maschere. L’accettazione di sé è sempre in rapporto all’accettazione dell’altro. Se non c’è equilibrio c’è inquietudine e si può deviare (aggressività, prepotenza, a volte ricorso al sesso come risposta totale al bisogno affettivo, al bisogno di sentirsi bene nel mondo nella società, con la propria identità, con il proprio ruolo). La conquista da fare è la capacità di vivere l’intimità interpersonale senza sesso, (= soddisfazione sessuale affettiva, non genitale) scoprendo quali rinunce temporanee è necessario fare in vista della realizzazione di valori essenziali per una vita veramente felice. È necessario educarsi alla affettività nel rapporto interpersonale: rapporti paritari, leali, intimi, semplici. Più l’espressione affettiva interpersonale è ricca e più facilmente i rapporti sessuali trovano la loro collocazione morale.
    – Nella vita giovanile e adulta l’eros-amore monogamico diventa stabile e creativo: è la stagione del matrimonio-famiglia. L’eros vive una pienezza. Il piacere sessuale, nel matrimonio cristiano, è integrato in una dimensione di amore stabile, monogamico.

    2. Dove sta il «vizio capitale di lussuria», come conseguenza della deviazione del sesso?
    L’articolo precisa che l’estasi sessuale chiude l’io nel profondo del suo nucleo, accentuando sempre di più il senso di una totale perdita delle facoltà razionali. L’uomo diventa istintuale come l’animale. Il vero «piacere» è quello che deve portare l’io ad un auto trascendimento, avviandolo alla relazione che costituisce il vero ed autentico bisogno umano di vivere con gli altri e con Dio.
    * In questo senso la bibbia condanna la lussuria (eros ridotto alla genialità, degradato alla nuda sfera biologica, semplice strumento di procreazione, oggi soprattutto puro prodotto commerciale, prodotto di scambio): un sesso venduto, ferito, umiliato, smaltito come rifiuto organico.
    Sottratto alla relazione e alla fecondità, l’eros si riduce alla lussuria. Oggi si vive in una società che «se la vuol godere». Si respira morbosità sessuale; si benedice la trasgressione e la pornografia; si afferma che prima di tutto c’è il piacere. La famiglia diventa, per le fabbriche della nuova morale, una variabile secondaria e arretrata dell’accoppiamento. Anche chi ama il sesso e lo pratica con felice assiduità non può misconoscere che questa sembra una società di maniaci sessuali: si usa il sesso dappertutto come merce di scambio. Chi non condivide passa per bigotto. C’è una legittimazione sociale, quasi un incoraggiamento pubblico e multimediale, a godere senza freni… che fa cadere le ultime distinzioni fra il bene e il male, fa crollare gli ultimi freni inibitori.
    Questa è la vera illustrazione di uno dei sette peccati capitali, peccati di cui oggi non si parla più, ma che «vanno molto forte». Il termine «lussuria» deriva dal latino «luxuria» (esuberanza, lusso, sfrenatezza), ma non si riferisce tanto ad abbondanza di beni materiali, quanto ad un desiderio per ciò che è sessualmente proibito. Dice il vocabolario che essa è uno sfrenato impulso ai piaceri sessuali i cui sinonimi sono: lascivia, libidine, dissolutezza, impudicizia, depravazione, carnalità, sensualità, concupiscenza. I peccati del lussurioso sono: turpiloquio, infedeltà coniugale, depravazione, violenza, egoismo, scandalo, abbandono delle pratiche religiose, avversione contro Dio e la morale, disprezzo per la vita futura, disgusto delle cose celesti, perdita della fede. Contrari in positivo sono: castità, morigeratezza, pudore (valori che oggi sono oggetto di derisione!).
    * Il contesto culturale è contro l’insegnamento biblico, dal momento che viviamo in una società saturata dall’industria del sesso! La sessualità è un bene, perché creata da Dio, che però ha posto salutari regole da rispettare. La tentazione di uscire dalle regole o negarle con varie giustificazioni all’insegna di un godimento «libero» e indiscriminato, è veramente molto pervasiva, con effetti rovinosi sulla vita personale, familiare e sociale. Basta riferirsi alla cronaca quotidiana…
    La lussuria crede che il sesso sia la via per la felicità, crede che tutto sia ammesso, e, che se lo si può ottenere, dice: «approfittane»! Divide l’uomo manifestando il primo sintomo di decadimento di valori sociali e di una personalità degradata. Ciò è evidente fin dai primi racconti biblici; dal tempo del diluvio essa è un fenomeno tipico della degradazione umana (Gen 18; Mt 5, 28). La patologia della lussuria è mostrata in Giacomo (1:13-15) e dove essa conduce se non la si blocca in tempo! (Cf anche i testi del NT: Cl 3,5; 1 Ts 4, 3-5; 2 Ti 2, 22; 1 Gv 2, 16; 1 Pt. 4, 3).
    La fede cristiana vuole salvare l’essere umano dalle trappole dell’apparente godimento, dalla falsa gioia, e dalla fatua felicità per indirizzarlo là dove veramente la gioia può essere trovata. C’è un piacere che i più non conoscono e per questo negano e disprezzano, quello che solo Dio può dare: scopo ultimo della vita umana dare gloria a Dio e godere della sua presenza per sempre. Ma spesso il sesso diventa un sostituto di Dio. E quando subentra il vero Dio, i falsi dèi se ne vanno. Per vincere la lussuria, bisogna convertire la propria attenzione orientandola verso Dio.

     


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