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    Una tavola rotonda con Bruno Astorre, Sveva Belviso, Luigi Bobba, Dino Gasperini, Erminia Mazzoni, Gerry Mottola

    (NPG 2008-02-23)


    Abbiamo analizzato la politica vista dai giovani. Vediamo ora il «corrispettivo», dalla parte di quelli che stanno «di là», i cosiddetti “politici di mestiere», ai diversi livelli delle responsabilità e delle rappresentanze. I giovani devono confrontarsi con le loro storie di vita, le ragioni delle loro scelte, le espressioni della loro militanza, il senso della loro «vocazione» e i percorsi da loro vissuti. In questa tavola rotonda rientrano anche i giudizi sulla situazione attuale: la politica ufficiale e le altre zone della politica, i movimenti e la educazione politica dei giovani nelle varie associazioni di partito ed ecclesiali... A tante domande rispondono sei uomini e donne in politica. Sono cattolici che rappresentano politici dei due schieramenti (centro-destra, centro-sinistra) e a di versi livelli di azione politica (locale, regionale, nazionale). [1]

    LA FORMAZIONE POLITICA

    DOMANDA. Qual è stata la sua formazione politica giovanile?

    Astorre. Ho da sempre militato nelle formazioni giovanili della Democrazia Cristiana, provenendo dal mondo del volontariato cattolico. Vado fiero, tra l’altro, della mia esperienza di catechista: un percorso intenso, vivo, di enorme conoscenza, una scuola che ha sostenuto la mia crescita interiore e sociale. Politicamente, con la conclusione della grande storia della DC, ho naturalmente aderito al Partito Popolare, poi sono approdato nella Margherita. Adesso, dopo aver partecipato attivamente alla sua formazione, vedo nel Partito Democratico la nuova casa comune per costruire le future stagioni della storia politica e sociale del Paese.
    Mazzoni. L’incontro con la politica è avvenuto da giovanissima, grazie al contesto familiare, nel quale, in maniera naturale, ho percorso le varie tappe di approfondimento formativo, prima di approdare alla vita di partito. Un ambiente legato agli ideali della Democrazia Cristiana, che mi ha educata all’impegno sociale, al confronto con l’altro, alla partecipazione consapevole e al rispetto delle libertà di ciascuno.
    Mottola. La mia formazione politica è piuttosto recente... La mia passione per il sociale ha avuto la sua prima esplicazione nel comitato del mio quartiere. Poi nella Margherita, il progetto politico che ho deciso di abbracciare, ho riscoperto i valori un nuovo e moderno riformismo, particolarmente attento alle dinamiche sociali, fortemente orientato alle problematiche del territorio.
    Gasperini. Ho affiancato ad una formazione teorica politico-amministrativa svolta presso il centro studi della Democrazia Cristiana alla Camilluccia un’esperienza pratica nel movimento giovanile della DC romano e di militanza di base presso la sezione DC di San Saba a Roma.
    Nel corso di quegli anni ho approfondito il tema dei valori e il rapporto con l’impegno in politica dei cattolici grazie ai corsi di formazione che organizzava il vicariato di Roma, e ho maturato un’altra importante esperienza nel movimento giovanile delle Acli provinciali di Roma.
    Bobba. Più che una formazione alla politica, il mio è stato un avvicinamento progressivo all’impegno nel sociale. Non ho mai fatto parte di movimenti giovanili di partito; invece mi sono dedicato prima ad esperienze associative locali e di volontariato e poi a 21 anni sono approdato alle Acli. Il gruppo giovanile dell’oratorio di Cigliano (VC) è stata la prima scuola formativa, ma l’esperienza più intensa è passata attraverso la promozione di una «scuola popolare per lavoratori». Erano gli anni delle «150 ore», quando il sindacato promosse una grande opera di alfabetizzazione per i lavoratori, attraverso corsi serali per poter conseguire il diploma di terza media. Nel mio paese c’erano però molti lavoratori di piccole imprese artigiane e lavoratori autonomi che non avevano alcuna possibilità di accedere alle 150 ore realizzate nelle grandi imprese. Così, con un gruppo di giovani liceali e universitari realizzammo una scuola popolare per lavoratori interessati ad ottenere il diploma della media inferiore. Nella nostra testa c’era ben presente l’esperienza della «scuola di Barbiana» di don Milani. Lì, nella nostra piccola scuola di paese, toccammo con mano quanto la disuguaglianza passasse attraverso il divario di conoscenza, di sapere. Lì imparai che una sfida importante per una buona politica era di assicurare a tutti pari opportunità nell’accedere al sapere che è fonte di libertà, oltre che condizione di uguaglianza.
    Da lì nacque l’adesione alle Acli, dove ho poi trovato una formazione sistematica all’agire nel sociale, un approfondimento sui grandi temi (la pace, l’obiezione di coscienza, il lavoro), l’acquisizione di una metodologia di conoscenza dei problemi e del territorio, nonché la possibilità di attingere all’esperienza e ai testi dei protagonisti del cattolicesimo sociale e del popolarismo.
    Belviso. Non ho avuto una formazione giovanile, la mia è stata una scelta più matura. Mi sono candidata nel 2001, dopo aver conseguito la laurea in psicologia con specializzazione in criminologia e aver frequentato per due anni un corso di formazione alla Luiss sulle discipline parlamentari, perché mi piaceva, mi appassionava e perché usciva un bando di concorso alla Camera per Consigliere dei Deputati. Durante l’attività all’interno dell’Università mi sono appassionata di più alla parte pratica e, vista la scelta fatta sin dall’università verso la risoluzione dei conflitti e dei problemi, con un’attenzione per il sociale sempre importante, ho deciso di provare l’avventura in politica, senza alcun tipo di garanzia. Ho mandato il mio curriculum al partito in cui credevo, che mi ha dato la possibilità di essere inserita nelle liste elettorali. Grazie agli amici, alle persone che si sono fidate e a quelle con cui sono cresciuta sono stata eletta nel 2001.
    La mia avventura politica nasce, così, da una motivazione personale non soggetta ad altre strade, da una esigenza personale di partecipare, di mettermi in gioco, di far parte di quella porzione di società che contribuisce alle scelte nel bene e nel male, perché si può sbagliare. È evidente che parto dal presupposto di voler far bene e che mi ritengo una persona «equilibrata». Cerco di fare le cose per la collettività e di ragionare con la collettività per farlo. Non mi piace che ci si lamenti, quando si vede qualcosa che non va, ci si deve attivare, lavorare per cercare di contribuire al cambiamento. Dopo 5 anni di lavoro sono stata rieletta con 1400 voti, forse proprio per la disponibilità che ho sempre offerto alle persone.

    DOMANDA. Chi sono stati gli adulti significativi per la sua formazione politica?

    Mazzoni. Sicuramente mio padre. Ho seguito la sua lunga e appassionata militanza. Ho osservato il suo lavoro di amministratore pubblico, prima come sindaco della mia città, poi quale consigliere e più volte assessore regionale, ricevendone una indicazione di metodo e insegnamenti di merito che oggi ritrovo nel mio agire quotidiano.
    Belviso. Non ci sono stati adulti di riferimento anche perché, nonostante gli avvertimenti terrificanti che avevo ricevuto («non hai raccomandazioni», «ti tagliano all’ultimo»), ho mandato semplicemente il mio curriculum e mi sono trovata in lista senza conoscere nessuno. Forse è stata fortuna, forse l’essere donna mi ha agevolato perché c’è una mancanza di attività da parte delle donne in politica, anche perché è difficile nella società per una donna, che è già impegnata nella famiglia, mettersi in gioco anche in politica con orari sempre poco definiti. Quindi mi hanno confermata e dato la disponibilità di lavorare. Credo in effetti che le donne, uscendo dal luogo comune della difficoltà di entrare in politica, abbiamo più possibilità dei colleghi maschi, a parità di competenze e di preparazione, perché loro sono di più e noi di meno.
    Avrei anche episodi personali che lo confermano… ma non voglio fare propaganda del mio partito e del mio presidente!
    Astorre. In primo luogo, profondamente significativo è stato il mio rapporto con il compianto senatore Severino Lavagnini, una grande amicizia fondata sui valori della fiducia e della stima. Un uomo di notevole spessore umano, politico, un grande esempio di impegno sociale. Inutile dire poi che, storicamente, la figura di Don Sturzo è ben presente in tutta la mia formazione, così come molti esponenti del cattolicesimo democratico.
    Mottola. Senza alcun dubbio, Aldo Moro primo fra tutti. La sua saggezza, il suo buon senso, il suo sacrificio dovrebbero incessantemente rappresentare un esempio per le nuove generazioni, politiche e non. È una figura unica, che dovrebbe essere ricordata molto più spesso.
    Gasperini. Certamente mio padre, che per anni ha svolto il ruolo di dirigente romano della DC e di amministratore locale, quindi figure come Giulio Andreotti, Amerigo Petrucci e molti dei dirigenti dell’allora Democrazia Cristiana;
    Bobba. È stata in gran parte una formazione sul campo, un po’ come quella della mia generazione «senza padri né maestri». E questo è stato anche un po’il limite sia per la scarsa organicità delle esperienze, sia per la mancanza di una guida sicura e autorevole.
    Sicuramente la prima alfabetizzazione politica l’ho trovata in «Sette giorni», il settimanale diretto da Ruggero Orfei e Pino Pratesi. C’era in quel giornale una capacità di lettura degli avvenimenti che ti consentiva di aprirti al mondo, di capire la realtà della politica attraverso lo snodarsi delle vicende italiane e internazionali.
    Certamente poi, con l’ingresso in Gioventù Aclista – avevo ormai 22 anni – trovai nei dirigenti giovani come me e in quelli adulti delle Acli persone che hanno lasciato un segno profondo nel mio cammino. Ricordo per tutti Claudio Gentili – allora Segretario nazionale dei Giovani delle Acli – e padre Pio Parisi, l’accompagnatore spirituale delle Acli.
    Il fatto poi che io venga eletto ben presto Segretario nazionale di Gioventù Aclista, mi ha portato a frequentare molto da vicino figure come Domenico Rosati, Giovanni Bianchi, Franco Passuello e, attraverso di loro, ad avere contatti e «incontri al caminetto» con altre figure storiche come Livio Labor ed Emilio Gabaglio. Mi sono così trovato all’interno di una narrazione associativa e contemporaneamente di una visione politica che prendeva le mosse dalla società civile. Tutto questo negli anni successivi avrà il suo peso e mi porterà a sottolineare i temi della politicità del civile e della democrazia associativa.

    FEDE E POLITICA

    DOMANDA. Sul suo operato politico, che rapporto ha la fede, il cristianesimo?

    Bobba. Intanto ne è la sorgente, nel senso che intendo il mio servizio nella politica come una delle forme attraverso cui si manifesta la vocazione cristiana.
    Fin dall’adolescenza – quando conobbi l’esperienza di Taizé (Comunità ecumenica in Francia) – ho cercato un legame forte tra la crescita spirituale, una scelta di fede personale e l’impegno nel campo sociale e politico. E questo legame è anche criterio di verifica tra i valori annunciati e le opere realizzate. Mi risulterebbe difficile trovare una coerenza più forte e più stringente.
    Un missionario della diocesi di Vercelli, che si trova ad Inhassoro in Mozambico – dove le Acli hanno realizzato una scuola professionale – poco tempo fa mi ha detto: «Vedi, in una mano tengo il Vangelo e con l’altra offro un’opera di promozione umana per migliorare le condizioni di questo popolo». Quasi a farmi capire che la causa dell’uomo e la causa del Vangelo non si possono separare; sono parte di un’unica missione.
    Questo sentire forte il legame con la propria fede, non mette certo in discussione l’autonomia delle scelte politiche. Cerco di non tirare mai in ballo la Chiesa o la fede per giustificare le mie scelte di cui mi assumo personalmente il rischio e la responsabilità.
    Gasperini. È ciò da cui trae origine e il binario su cui si muove la mia attività politico-amministrativa, è il paradigma grazie al quale riesco a costruire e declinare i singoli provvedimenti che porto in aula. La mia fede e la dottrina sociale della chiesa sono il mio termine di confronto prima di esprimere un giudizio sull’operato altrui. Sono la scala delle priorità del mio agire.
    Mottola. Uno dei miei impegni quotidiani è quello, nel mio piccolo, di avvicinare sempre di più la politica al sociale, di non tenerla lontana dai problemi quotidiani, di non farla assorbire da flussi di parole che tutto dicono e non dicono niente. La politica, nel suo nobile senso, è stare con le persone, immergersi nelle loro condizioni, operare per migliorarle. Inutile soffermarci su quanto sia fondamentale il messaggio di Gesù. I valori del cristianesimo sono una guida vitale, a prescindere dall’appartenenza o professione di una fede religiosa.
    Astorre. Il mio essere cristiano è un porto di partenza e di continuo approdo. Faccio politica perché ritengo necessario confrontarmi con la società.
    Questa esigenza nasce dall’intimo desiderio di costruire, essere al servizio della comunità, delle famiglie che la compongono, dei cittadini, tutti protagonisti in cui mi riconosco perché anche io sono parte di questo, con tutto il mio essere e, dunque, anche con la mia fede.
    Mazzoni. La fede è parte di me, e il mio pensiero politico è il frutto dell’esperienza maturata nella mia vita e della formazione culturale e professionale che ho acquisito. Dunque le mie azioni nascono da processi elaborativi spontanei e non condizionati, che esprimono il mio punto di vista, sempre pronta al confronto con quanti, con culture diverse, come me hanno il compito di rappresentare gli interessi di uno stato laico.
    Belviso. Io credo che il mio far politica sia permeato di cristianesimo, ma nel senso più culturale del termine, nel senso di quell’educazione cristiana che noi riceviamo e che la società riceve da sempre – mi riferisco all’onestà, al sacrificio, alla lealtà, alla tolleranza, a tutti questi valori cristiani di riferimento. Poi la politica deve essere libera rispetto alla fede e non ci deve essere subalternità né per l’una né per l’altra. Bisogna tener presente che esiste una realtà importante che muove tante coscienze che hanno diritto ad essere rappresentate.
    Però non deve essere considerata come un elemento che impone decisioni non libere. Penso comunque che la voce del cristianesimo in Italia sia una voce «importante», resta comunque un riferimento di base costante, che poi per taluni può essere considerato una scelta critica maturata, per altri un atteggiamento endogeno dovuto ad una cultura di appartenenza.

    POLITICA ED ETICA

    DOMANDA. Che rapporto vede tra politica e ideali, tra politica ed etica/morale?

    Gasperini. Un rapporto inscindibile. Non ho mai creduto a chi ha professato la fine degli ideali, anzi ho sempre considerato questa affermazione un tentativo di abbassare il livello del confronto politico e omologare la gente. Ho difeso la forza degli ideali, la centralità dei valori anche nei giorni in cui da giovanissimo, la politica veniva messa all’indice e qualcuno ha approfittato del clima di sfiducia generato dalla fine della prima repubblica per sostenere la fine degli ideali e delle differenze e far crescere il culto della persona e dell’individuo. Ogni giorno nel mio operare mi rendo conto delle differenze tra me a i mie colleghi, ogni giorno quando si vota si evidenziano le differenze e il patrimonio ideale di ciascuno. I valori, gli ideali sono i punti fermi su cui costruire alleanze. Ogni giorno trovo nuovi stimoli nel vedere come i miei ideali, i miei valori cristiani siano un patrimonio unico, siano una forza straordinaria, siano ciò per cui vale la pena vivere ancor prima che impegnarsi politicamente e la difesa di quei valori e la loro riconquista quotidiana danno un senso al mio agire politico. La famiglia, la vita, la centralità della persona umana sono oggi ancor più di prima i cardini modernissimi attorno ai quali e in funzione dei quali agire. I valori sono e restano la guida di chi fa politica e sono il nostro codice genetico su cui non si media.
    Mazzoni. La politica è il luogo nel quale l’ideale si traduce in scelta concreta e da esso non può prescindere. Etica/morale sono concetti assoluti che rappresentano il patrimonio di valori comuni a tutti gli individui. Direi che essi rappresentano il minimo comune denominatore cui corrispondono tutti i diversi possibili numeratori, ad esprimere le differenti manifestazioni ideali della politica.
    Bobba. Recentemente ho letto il testo di uno straordinario discorso di Barack Obama – Senatore nero dell’Illinois candidato alle primarie per i democratici negli Stati Uniti – dove afferma che: «Dire che uomini e donne non debbano far rifluire la loro morale personale nei dibattiti pubblici è un assurdo pratico.» – E ancora, rivolgendosi ai quadri del partito democratico – «L’incapacità di noi progressisti di attingere alle fondamenta morali della Nazione, non è solo retorica».
    Ecco queste due brevi frasi ci dicono che la storia di una persona e la storia di un Paese, di una nazione non possono essere comprese solo attraverso il gioco degli interessi o la soddisfazione dei bisogni. Se nel discorso pubblico, nello spazio della politica, i valori non hanno piena cittadinanza, la politica si immiserisce, diventa puro gioco di potere e la democrazia corre seri rischi. Non esiste democrazia senza un reticolo di forti legami etici.
    So che questo punto di vista – nel tempo dei sondaggi, della società emozionale di massa, del prevalere di una cultura mercantile e funzionalista -, potrebbe apparire fuori tempo e perfino ozioso. Ma molti segnali, anche recenti, ci dicono che non è così. Anzi una politica sganciata dai valori non fa che alimentare la sfiducia, il disinteresse e creare le premesse per un populismo mediatico che poco ha a che fare con una democrazia matura.
    Belviso. Per me dovrebbero essere la stessa cosa, nel senso che una politica senza ideali o una politica priva di etica non si può chiamare politica. Sarebbe qualcosa di becero da allontanare immediatamente dalle coscienze della scena pubblica. Credo che sia necessario, fondamentale e propedeutico ad una attività politica avere un senso della morale e comportarsi in modo etico. Se poi si guarda alla realtà, ci accorgiamo che in più settori della scena politica, di destra, di sinistra, di centro, ci sono delle parti politiche che si sono allontanate da questo discorso. Ma forse è proprio questo la causa del declino della politica e della diffidenza di tanti verso di essa.
    Astorre. È un rapporto forte per me, anche se a volte è difficile da dispiegare sino in fondo. Affrontando l’imprevedibilità del reale, può capitare che l’idealità rischi di provare momenti di smarrimento.
    Da una parte, questo può essere interpretato come un aspetto negativo; dall’altra, però, tale condizione è invece una salutare «doccia fredda» che ci richiama ad un utilissimo esercizio di analisi, critica e sintesi. Gli strumenti ideali, a quel punto, divengono il bene più prezioso.

    POLITICA E GIOVANI

    DOMANDA. Ha senso e in che modo andrebbe condotta una «politica giovanile» o «per i giovani»?

    Mottola. Ho 31 anni, e quindi posso ancora ritenermi un giovane… In questi anni mi sono preoccupato di coinvolgere ragazzi e ragazze in tutte le attività del partito. Ritengo che la produzione intellettuale giovanile non solo sia necessaria se si vuole realmente costruire un nuovo processo politico, ma indispensabile per la soluzione stessa dei problemi legati alle tematiche giovanili. In definitiva, ritengo irrimandabile una politica «per» i giovani «creata» dai giovani. Ai grandi il compito di riconoscere e mettere a disposizione gli strumenti.
    Gasperini. I giovani vanno coinvolti senza mediazioni nella vita politica e nell’amministrazione, e per farlo gli va semplicemente dato lo strumento grazie al quale possano partecipare direttamente alle scelte che li riguardano. Vanno coinvolti nell’amministrazione locale in maniera diretta. Scuola, formazione, cultura, lavoro debbono veder la loro diretta partecipazione alle scelte. A loro va fatta oggi decidere e gestire direttamente ad esempio la programmazione culturale della città par la parte che li riguarda, a loro vanno offerte opportunità per far emergere talenti e capacità attraverso rassegne e spazi che gli aprano le porte delle istituzioni culturali locali. I giovani mai come oggi sono attratti dal fare e dal vedere i risultati: credo che la politica debba sfidarli nel fare, dandogli la possibilità di misurarsi sulla loro fantasia e sulle loro capacità reali. Una delle sfide della politica di oggi sono proprio le opportunità che vanno costruite proprio con l’aiuto e col sentire di chi ne deve beneficiare per primo.
    Bobba. Un tempo, quando le schiere giovanili erano più numerose, una politica per i giovani era invocata da più parti. Ora sembra avere meno presa.
    Ma i problemi restano. Resta cioè la necessità per un Paese di investire sul proprio futuro, di creare opportunità di accesso al sapere, al lavoro, alla cittadinanza per le generazioni più giovani. Dunque una politica per i giovani non può che avere come baricentro la scuola e la formazione; un sistema di accesso al lavoro e alle professioni che premi chi ha talento e vuole competere; una rete di protezione sociale nel mercato del lavoro che eviti che la flessibilità si trasformi in precarietà; un sistema di servizi orientato a favorire l’uscita dalla famiglia di origine per crearne una propria sfuggendo a quella che viene chiamata «sindrome del ritardo»; e infine una rete di occasioni e opportunità per una socialità matura come antidoto all’individualismo imperante.
    Belviso. Intanto bisognerebbe lavorare con i giovani nel senso di aiutarli, anche tramite le scuole, a vivacizzare il proprio operato, la propria attività mentale nei confronti della politica. Secondo me ha poco senso lavorare per i giovani su idee che non sono dei giovani, perché si appartiene ad un’altra generazione, si hanno convincimenti diversi, substrati culturali differenti, storie diverse e con le proprie idee e i propri convincimenti si può lavorare con i giovani. Ma non è un qualcosa che può essere «utilizzato immediatamente» nel momento attuale. Quindi bisognerebbe fare qualcosa affinché loro si sentano liberi da un lato e motivati dall’altro, perché è fondamentale che si sentano incuriositi di ciò che è la politica.
    Mi sembra che ci sia veramente molto poco interesse da parte dei giovani. Negli anni passati, quando eravamo nella maggioranza ed ero presidente della commissione cultura, ho lavorato con le scuole e in particolare con i licei, su progetti che non avevano a che fare con la politica direttamente. Abbiamo organizzato il forum universitario per facilitare l’orientamento, abbiamo portato l’università di Roma 3 sul territorio utilizzando delle grandi sale cinematografiche, dividendole per facoltà dove si potevano raccogliere tutte le informazioni avendo a disposizione dei professori. Abbiamo utilizzato il cinema come ausilio alla didattica, scegliendo con gli insegnanti i film e dando la possibilità ai ragazzi di dialogare con dei critici. Li abbiamo portati al Parlamento per vedere come è l’attività politica dal «di dentro» e tutte queste iniziative le ho fatte sia perché credo che parte delle tasse pagate dai genitori debbano essere reinvestite per la formazione dei figli, sia per manifestare loro una presenza, una disponibilità. Ho sempre lasciato ai ragazzi il mio numero telefonico per sapere se avevano delle iniziative da proporre, ma ho riscontrato che i ragazzi di 15, 16, 17 anni non sapevano nemmeno cosa fosse il municipio e a che cosa potesse essergli utile un contatto con me. Ciò che ci chiedevano erano dei posti per riunirsi, per esempio il campo da skate, ossia luoghi di socializzazione ed è giustamente un’esigenza sulla quale le amministrazioni devono lavorare. Però forse c’è un grande divario rispetto alla politica giovanile di anni fa, dove c’era proprio un’impronta, una motivazione endogena del ragazzo che voleva partecipare all’attività politica della propria città, del proprio quartiere, capire che cosa fosse, come si poteva contribuire. Una volta i volantini e i manifesti li attaccavano i ragazzi, oggi devi trovare le cooperative che lo fanno. Non ci sono ragazzi disponibili ad attaccare i manifesti o a fare volantinaggio, sono rarissimi quelli che lo fanno, proprio perché non c’è partecipazione.
    Mazzoni. Per i giovani è importante rafforzare i processi educativi di base, necessari a formare una coscienza civile. Mentre, il senso di una «politica giovanile» è, per me, quello di restituire all’azione politica la sua funzione di costruzione del futuro. Da troppi anni la politica è infatti impegnata esclusivamente a pareggiare i conti con il passato, ignorando le necessità delle nuove generazioni.
    Astorre. Ha senso, e dovrebbe basarsi su tre ineludibili prerogative: ascolto, tutela, indirizzo. Non penso ai «giovani» come ad una massa indeterminata di soggetti con un esiguo numero di anni sulle spalle. I «giovani» sono tesori unici, indifesi, scrigni aperti di futuro prezioso. Non possono che essere ascoltati e tutelati; dopo, solo dopo, possono essere messi nelle condizioni di scegliere il miglior indirizzo, ognuno secondo le proprie aspirazioni ed esigenze.

    DOMANDA. Perché i giovani sono/non sono attirati dalla politica e che cosa attira/non attira dei giovani la politica?

    Belviso. Secondo me c’è una sfiducia di base. Il ragazzo cresce in una famiglia media che ha vissuto per esperienza anni e anni di buchi economici, di bilanci alterati, di finanziarie strane, di tangentopoli, di personalità importanti inquisite, indagate, accusate. C’è una sfiducia da parte della generazione precedente che cresce questi ragazzi, la generazione precedente non invita i ragazzi a farsi un’idea propria, però neanche l’invita a «partecipare». Quindi, secondo me, si cresce con una non attenzione dovuta ad una sfiducia verso la classe politica in generale. Questa è la modalità con la quale ci si approccia. Perché sentire ragazzi di 16 anni che ti dicono «tanto sono tutti uguali», ti spaventa. Come possono fare queste affermazioni senza avere partecipato, anche a livello di base, a riunioni, ai consigli, alle commissioni, sai che cosa sono? No. Però si cresce con questo lassismo. Da un lato con quest’atteggiamento superficiale dato dalla mancanza di tempo che toglie interesse. Dall’altro c’è un filtro dato da una chiusura della società non proprio giovanile, che non facilita l’apertura del giovane verso la politica. Poi c’è una minoranza che svolge una vera attività politica. È più nella seconda maturità che c’è una vera attenzione, che forse nasce da una motivazione propria e si inizia a seguire e ci si rende parte del motore.
    Bobba. La politica appare distante dalla vita quotidiana, roba da adulti/anziani, dove gli spazi sono tutti saldamente occupati. Anche se qualche novità sta emergendo. Da un paio di anni è nato un Forum delle associazioni giovanili che si è proposto di coordinare e dare rappresentanza al mondo delle organizzazioni dei giovani. Più di 60 realtà si sono associate e qualche risultato lo hanno ottenuto. Sia con la nascita del nuovo Ministero delle politiche per i giovani e lo sport, sia con un’interlocuzione aperta e sistematica con il Governo sulla riforma delle pensioni.
    Un altro segnale di novità sta nei luoghi dove si genera partecipazione giovanile. E qui le vie più interessanti sembrano essere l’impegno per la pace, le esperienze in Paesi del Sud del mondo, l’adesione a movimenti contro la mafia e per la legalità.
    Insomma, tra molti chiaroscuri, fa capolino qualche segnale di novità che si è percepito anche nelle ultime elezioni politiche dove, – tra gli elettori di centrosinistra -, i giovani hanno premiato l’Ulivo; quasi a dire che bisogna guardare avanti e non restare aggrappati alle identità del passato.
    Mazzoni. I giovani sono attirati dalla spinta ideale, dalla progettualità, dalla condivisione, dalle definizioni di obiettivi e di un orizzonte spazio-temporale. In altre parole i giovani, parlo di 18/20enni, sono una sintesi eccezionale di idealismo e pragmatismo e dirigono i loro sforzi verso ciò che esprime al massimo tale binomio.
    La politica oggi ha appannato gli ideali e non programma più, perciò non stimola la partecipazione delle nuove generazioni.
    Mottola. Cercavo di spiegarlo precedentemente. Se non si coinvolgono, i giovani rischiano di estraniarsi, di considerare la politica come un processo lontano dalle proprie abitudini, dai momenti importanti della propria vita, o peggio di avvertire la sensazione di sentirsi pedine da sfruttare al momento giusto, quando le occasioni elettorali lo consentono. I giovani devono sentirsi e devono «essere» parte integrante dei processi politici.
    Gasperini. Negli attuali partiti ci sono spazi enormi per i giovani ma questo non li convince a partecipare alla vita politica. Se i partiti vogliono coinvolgere i giovani debbono essere dinamici per primi, debbono offrire luoghi di approfondimento e di formazione, debbono essere presenti sul territorio ed esprimere esempi importanti di classe dirigente. Debbono fornire strumenti di comunicazione continui debbono sollecitare il confronto su grandi temi, nella società ancor prima che nelle aule parlamentari. Devono parlare di valori veri e assoluti, ciò che oggi per i giovani e più difficile trovare.

    QUALE SPAZIO PER I GIOVANI?

    DOMANDA. Che spazi ci sono negli attuali strumenti politici (partiti, associazioni, movimenti) per i giovani?

    Astorre. Spazi per i giovani non ce ne sono mai abbastanza. Inutile nasconderlo: chi, tra essi, è impegnato in ambito sociale e politico è già nel guado; chi tra loro, invece, è lontano da ciò, dovrebbe poter trovare le migliori condizioni per conquistare, o magari anche solo recuperare, il proprio senso civico, il proprio impegno, in una sintesi difficile tra le intime esigenze interiori e quello che può essere delineato come il bene della comunità.
    Mazzoni. Gli spazi sono differenti. Nei partiti hanno perso vitalità. Sono invece in aumento le organizzazioni spontanee che coagulano interessi comuni.
    Mottola. Per quanto riguarda i partiti credo che gli spazi siano ancora insufficienti. Vasti invece sono gli orizzonti creati da movimenti e associazioni, dove i ragazzi riscoprono e promuovono valori e passioni. Credendoci.
    Belviso. Gli spazi ci sono e più che garantiti, anche istituzionalizzati. In tutti i partiti ci sono i movimenti giovanili con i loro rappresentanti, che poi si coordinano con il presidente giovani, il quale a sua volta si coordina con il presidente del partito. Però da questa via passano pochi giovani.
    Bisognerebbe trovare un modo per coinvolgere quelle realtà che di per sé hanno più difficoltà ad essere coinvolte o per mancanza di tempo o di conoscenze, o perché provengono da famiglie piatte dal punto di vista di curiosità verso la politica o che non vogliono che i figli appartengano, ma non so come fare, indipendentemente dall’impegno personale.
    Forse ci vorrebbe una personalità dall’indubbio spessore politico. Se ci fosse, mediaticamente, un invito costante da parte dei leader dei partiti, credo che le cose comincerebbero a cambiare. Ma bisognerebbe sentire la necessità, di interpellare questa parte importante, specialmente per noi che siamo un movimento di destra che ha un elettorato non giovanissimo come si è visto anche dalla differenza tra il voto espresso alla camera e il voto espresso al senato.
    Sarebbe intelligente da parte dei leader di partito negli spazi mediatici invitare i giovani a partecipare, ad esprimere delle idee, fare dei forum aperti ai giovani a cui partecipino anche i leader. Se vogliamo cambiare modo di vedere la politica, sono loro che dovrebbero assumersi questa responsabilità. Altrimenti sembra esserci il vuoto e la distanza più assoluta dai giovani che impegnano il loro tempo in tutt’altro.

    POLITICA E MOVIMENTI

    DOMANDA. Come si rapporta la politica ai grandi movimenti giovanili degli ultimi anni (marce per la pace, giornate della gioventù)?

    Mazzoni. Al di là del plauso generale, non c’è una sola politica rispetto a simili eventi. Una cosa è certa: da nessuna parte si coglie uno stimolo vero a coltivarli.
    Gasperini. La politica si rapporta male con i grandi movimenti giovanili, vedo una politica di rincorsa, che cerca di seguire i fenomeni straordinari che la società esprime accarezzandoli davanti ad una telecamera. Sono tra quelli che spera che la politica non determini mai quei movimenti, ma spero di tornare a vedere una politica che abbia l’ambizione di rappresentarli.
    Mottola. Ritengo che dovrebbe dedicare maggiore attenzione, e porsi delle domande. Chiedersi perché, per il discorso che facevamo prima, i giovani preferiscano dar voce ai propri sentimenti, alle proprie passioni, ai propri ideali, attraverso aggregazioni sociali indipendenti dalla politica, e ad essa spesso ostili. Compito della politica è quello di studiare, ricercare, capire. Sono passi necessari se si vuole conquistare o riconquistare un filo diretto tra i giovani e la politica.
    Astorre. Anche in questo senso credo che l’ambito politico debba fare di più. Giovano strumenti che siano atti ad accogliere, valorizzare, indirizzare. Per questo affermo che, pur rispettando tutti i movimenti che perseguono finalità democratiche con comportamenti civili, auspico un surplus di consapevolezza: si può offrire il proprio contributo anche nella vita di tutti i giorni, si possono operare le scelte anche fuori dalle fila di una grande manifestazione. Discernere, valutare e, con una forte idealità, compiere un atto fondamentale: testimoniare, farsi strumento. Se tutto questo venisse rivolto al prossimo, ognuno di noi sarebbe in grado di cogliere il progetto di crescita, sarebbe in grado di accogliere anche la difficoltà come un valore da mettere in gioco; sarebbe in grado, insomma, di sentire la politica non come un fine, ma come uno strumento valido per discernere e fare per il bene comune.
    Belviso. Credo che la politica attualmente si rapporti con distanza da questi movimenti. Da un lato qualcuno prova anche invidia, perché per chi fa politica è difficilissimo portare tanti giovani in piazza. Secondo me c’è stato più uno sguardo a distanza di quelli che sono stati questi grandissimi movimenti di cui bisogna prendere atto. Bisognerebbe analizzare gli eventi per cercare di capire quali sono le motivazioni e gli strumenti per cui altri riescono a raggiungere così tanti giovani, cercare di capire, come poi, pur cambiando di livello, tali motivazioni e strumenti possono comunque essere riutilizzati. Se una voce da un’altra parte riesce ad arrivare al cuore di un ragazzo è necessario cercare di capire cosa dice quella voce, per vedere se in qualche modo la propria proposta sia adeguata.
    Ci sono stati sempre degli atteggiamenti critici verso queste iniziative, tuttavia penso che per la politica dovrebbe esser un valore aggiunto il fatto che esistano delle realtà che riescono a calamitare, ad aggregare tanta attenzione e forse da un lato i giovani sentano rimbalzare in questi eventi le proprie identificazioni e dell’altro le sentono penetrare in una realtà diversa.
    Le giornate della gioventù sono un esempio impressionante. Lì si vede la motivazione, quella motivazione che manca alla politica e che si vede solo in una minima parte della politica. Invece lì c’è un’onda umana di gente che in autonomia va e segue, sente di volerlo fare. Questa è una cosa bellissima e la politica deve prenderne atto. Perché comunque deve rispettare, considerare e apprezzarne l’importanza, perché se c’è, come è avvenuto, da parte dei giovani una risposta, vuol dire che è necessaria ed è bene che ci sia. Poi la politica dovrà cercare di lavorarci, dovrà apprendere e acquisire competenza, capire di cosa si ha bisogno. La politica dovrà confrontarsi con quelle motivazioni, quella realtà, quella richiesta, altrimenti rischia di non rappresentare nessuno. La politica non può rappresentare se stessa, deve rappresentare la gente. Qualsiasi forma di cittadinanza va rappresentata altrimenti si rischia di rappresentare se stessi.
    Bobba. C’è un atteggiamento un po’ strabico: per un verso, di fronte a mobilitazioni che coinvolgono prevalentemente giovani, la politica si precipita nel cercare di «mettere il cappello» su queste nuove insorgenze. Dall’altro lato, finita la fase sorgiva, i riti antichi e le vischiosità consolidate della politica tendono a tenere ai margini, quando non ad escludere, le forme innovative della partecipazione giovanile dal circuito della politica.
    Forse servirebbe un atteggiamento meno collusivo e più trasparente: interrogarsi cioè come dalle mobilitazioni collettive su grandi temi possano essere attinte energie partecipative fresche capaci di dare una scossa ad una politica bloccata e ripetitiva. Per esempio cominciando a mettere un limite – non più di tre – ai mandati parlamentari e nelle assemblee regionali.
    Qualcuno avrà il coraggio di rischiare sui giovani? Solo così potremmo avere una classe politica meno concentrata su liturgie desuete e più aperta al futuro del Paese.

    NOTE

    [1] Bruno Astorre, Assessore ai Lavori Pubblici e Politica della casa della Regione Lazio, membro del PD, eletto nell’Assemblea Nazionale – Sveva Belviso, Consigliere municipale AN – XII Municipio di Roma. – Luigi Bobba, Senatore PD, ex Presidente nazionale Acli – Dino Gasperini, Capogruppo UDC Comune di Roma – Erminia Mazzoni, UDC, responsabile giustizia UDC e membro della Commissione Giustizia alla Camera dei Deputati. – Gerry Mottola, Ex Coordinatore D.L. Margherita Municipio XII, attualmente impegnato nella costruzione del PD del Municipio XII e nelle politiche culturali del Partito Democratico di Roma. Li ringraziamo sentitamente per aver preso parte a questa «virtuale» tavola rotonda. Essi ci hanno riconciliato un po’ con i politici, per definizioni sempre irraggiungibili e sempre impegnati in cose più importanti che «chiacchierare» con la gente e/o i giovani, a narrare e condividere la loro esperienza per sostenere e anche sollecitare i giovani a questa avventura vocazionale.


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