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    De re politica


    Gioia Quattrini

    (NPG 2008-02-19)


    Cosa succede quando un gruppo di giovani decide di parlare insieme di politica? Quali reazioni, quali opinioni, quali speranze sanno scoprire, riflettere, regalare? È ciò che quest’articolo racconta, attraverso la collazione di parole, che – come dice l’autrice – «i giovani lasciano cadere come se niente fosse, senza neanche accorgersi dell’intelligenza della loro ragione». Una possibile chiacchierata a più voci che ci riporta tutta la difficoltà e la diffidenza verso politici e politica, ma anche tutto l’enorme potenziale di passione e di ideali di cui solo loro possono disporre. Una sorta di dialogo platonico senza Socrate sulla natura della politica, i suoi pregi e i suoi difetti, i suoi tradimenti e le sue promesse intrecciato da nove incerti giovani d’oggi.

    È come avere un interruttore che accende e spegne. Non appena Marco sente la parola «politica», abbassa le luci, sfuma la voce e infine si spegne.
    «Cioè, per me non esiste. Non mi interessa. Possono fare quello che vogliono tanto non cambia niente. Non importa niente a nessuno della gente e di come vada questo paese, quelli che stanno là, stanno là solo per il proprio interesse. Mangiano e cercano di collocare tutti gli amici loro. La politica non serve a meno che ti sia parente. Allora si che i problemi sono risolti. Se qualcuno dei tuoi riesce ad entrare in quei palazzi allora davvero la vita ti svolta».
    Caterina invece è un misto di tristezza e indignazione, di rassegnazione e non ci sto.
    «Allora la gente semplice come noi che ha dalla sua soltanto le proprie capacità si ritrova già il destino segnato. E francamente non ho neanche idea di quale destino possa essere».
    Riprende Marco: «Certo. L’arte diventa quella di sapersi arrangiare per non affogare. Sarai sempre un perdente a misurarti con chi è meno bravo ma più forte, con le spalle coperte. Sarai per tutta la vita un invisibile, un mediocre che ingrigisce in un ufficio fino alla pensione, se esisterà ancora la pensione quando l’età per andarci l’avremo raggiunta noi. La politica è potere, sopraffazione, difesa degli interessi personali, strumento per arricchirsi. Se non è così dimostratemi il contrario».
    Caterina insiste: «Io non credo davvero di capirne niente. Perché decidere di non interessarsi alla politica deve significare vivere con un handicap? C’è chi non ama il calcio, chi non si interessa dell’ambiente e chi non capisce di politica e allora? Ho troppa fretta e ho bisogno di tutta l’energia che ho per costruirmi un futuro peraltro cercando di evitare tutti gli ostacoli che proprio questa mala politica mi crea. Non ho davvero tempo da perdere dietro i loro deliri. Davvero una scelta che cambia il destino? Supponiamo che uno dica: non c’è nessun motivo ma non ho voglia di saperne niente. È forse obbligato? Dobbiamo costringerlo ad interessarsi di cosa pensano i nostri politici? Porterà il suo impegno altrove, nella società, nel volontariato, invece di gridare che esistono dei problemi seri cercherà di risolverli con le mani. Andrà dove c’è fame o emarginazione o ingiustizia – e non serve allontanarsi poi troppo - e comincerà da lì. Probabilmente si imbatterà comunque con il mondo della politica ma avete presente Padre Zanotelli. Ecco così».
    «Effettivamente, Caterina non ha torto». È Luca, il pragmatico, di quelli che stanno in silenzio e fanno.
    «Proviamo a pensare che non esiste soltanto la «grande politica», che regola il Paese e le sue strutture e sovrastrutture fondanti. Esiste anche la «piccola politica», quella quotidiana dalla quale nessun cittadino può essere esentato, e nella quale nessun onorevole può sostituirlo.
    La politica della buona educazione, del rispetto del prossimo e delle regole, della tolleranza. A guardarci in natura sembriamo il genere animale più sregolato, che nella corsa verso quello che viene chiamato progresso, non si accorge di perdere i pezzi importanti, i valori, la morale, la dimensione spirituale, anche la famiglia è sul punto di cedere. Incapaci di fare la fila allo sportello postale o di attendere un posto per parcheggiare. Anche noi siamo dei pessimi politici nella nostra dimensione di società civile. Le cose fondanti non vengono stabilite dalle leggi scritte».
    Interviene Giovanni, due occhi enormi e il fuoco dentro. «Diceva Spinoza che non si piange sulla propria storia. Si cambia rotta. Allora invece di piagnucolare cambiamo rotta. Altrimenti d’accordo, eccoci qui, pronti a vivere questa vita di mediocri, senza costruire, nati e morti su una linea piatta, senza un’alterazione, nessuna. Non siamo schiavi, anche se cercano di convincerci di questo. Noi siamo i protagonisti della vita sociale e decidiamo tutto con il nostro voto. La politica è costruire, creare regole e tutele perché nessuno sia troppo forte e nessuno sia troppo debole. È un diritto ed è un dovere interessarsi di come la propria comunità amministra se stessa».
    «Scusate ma qual è il problema?» – è Guido che fa la domanda. Lo chiamano «il cinico» ma in verità è molto più morbido di quello che sembri. Guido è un pratico. Alto e magro, occhialetti tondi da studioso e un senso molto personale dell’arte del sapersi arrangiare.
    «Questo è il sistema. Inutile discutere. Per cambiarlo servirebbe troppo tempo, preferisco studiare strategie per galleggiare, aggirare gli ostacoli, sfruttare le maglie deboli della catena che vorrebbe stritolarmi. Se loro pensano di essere furbi, usando il potere per sé, dimenticando gli obblighi e la morale, allora io dimostrerò di essere più furbo di loro. Un aggancio e via. In certi mondi un favore crea un legame più forte del sangue».
    Riccardo interviene con una variazione sul tema: «Io non cerco agganci, invece. Penso di essere abbastanza dotato per riuscire anche da solo. Ho studiato; parto tra breve per un master; conosco bene le lingue; ho cercato di prepararmi su quello che più serve oggi, senza perdere tempo dietro idee e principi, passioni e attitudini. Il mondo ha bisogno di qualcosa e io ho investito tutte le mie forze per prepararmi al meglio su questo. Poi ognuno ha la propria coscienza che lo spinge a far del bene quando può e a non calpestare nessuno, ma cambiare il mondo….. Un’utopia. Quale può essere l’utilità di immolarsi su una strada della quale mai vedremo la fine. Ragazzi dobbiamo darci pace: la politica è quel che è. Cerchiamo di trovarci comodi e via. Francamente prima di tutto mi viene da pensare a Riccardo».
    «Il problema è anche un altro»- interviene Manuela, che deve essersi fatta molto coraggio. Manuela è schiva, di quelle che la voce la senti raramente ma ci sono e non ti staccano gli occhi di dosso.
    «Quello che odio è la costrizione a doversi per forza schierare da una parte piuttosto che dall’altra. A destra piuttosto che a sinistra. Non credo che possa esistere il partito dei giusti e quello degli sbagliati. Le idee intelligenti non saranno mica tutte da una sola parte e quelle sciocche necessariamente nel partito avversario? Ascoltando i discorsi della politica non succede anche a voi di trovarvi in accordo ora con questo ora con quello, a seconda delle questioni o del modo di affrontarle? A volte sono a destra, a volte a sinistra. Penso che questa contrapposizione così demonizzata ci vada un po’ stretta. Non vedo tentativi di mediazione che francamente mi sembrano indispensabili in molte delle situazioni delicate che i nostri politici devono affrontare e magari risolvere anche per noi. La sensazione è che non concentrino i loro sforzi per trovare la soluzione migliore ma per avere la ragione dalla loro. Non si cerca una verità comune ma semplicemente di affermare la propria».
    Cristiano ride e gesticola agitato. Cristiano è così parla prima con i gesti e le smorfie. Le parole non servono.
    «Manuela, almeno sei già ad un ottimo punto. Hai capito qualcosa. La mia enorme difficoltà, invece è che quando i politici parlano di politica, io non capisco assolutamente niente. Eppure mi sforzo. La sensazione più frequente, proprio perché cerco di seguire e di ascoltare, è che qualcuno dica qualcosa e poi un mese dopo il suo contrario. E allora mi dico che punto di riferimento posso trovare per cercare la mia strada se neanche loro sembrano avere un pensiero coerente. Se quando parlano non li capisco. E quando leggo le loro interviste sui giornali, ancora peggio. In casa nessuno mi ha mai introdotto in questo mondo e spesso ne ho fatto una colpa ai miei genitori. Ma riflettendo ora, credo che anche loro, persone semplici abbiano rinunciato perché non riuscivano ad orientarsi più di tanto. Le persone sono anche distratte dai problemi della vita, dalla fatica del lavoro quotidiano, dagli ostacoli della burocrazia che devono superare ogni volta che hanno bisogno di un minimo servizio. Insomma ora capisco e quasi giustifico quella che mi sembrava una mancanza grave».
    È Giulio quello più schifato. Proprio con una smorfia di disgusto sul viso. Giulio è uno impegnatissimo ma nel volontariato. Non vuole neanche sentire parlare di politica.
    «Il mio problema è il problema contrario di quello che ha cristiano. A me sembra di capirli pure questi politici quando parlano: è quello che mi sembra di capire che non mi piace. Non mi piace affatto. A casa mia, invece, si è sempre parlato di politica. Quando sento i racconti di mio padre, così appassionati e così pieni di ideali e idee, valori e lotte, lotte per ottenere quello in cui si credeva, quello che si pensava davvero avrebbe potuto migliorare il paese e la vita degli italiani, quando li sento questi discorsi, cado in depressione e penso di vivere degli anni così tristi e così bui da non riuscire a contrastare la tristezza. Io adoro la politica e quello che la riguarda ma sento di essere una specie di obiettore di coscienza. Non riconosco politica in questo fare politico e gli onorevoli deputati e senatori mi sembra che abbiano davvero conservato poco di onorevole. Anzi, non riconosco più nulla: aule del parlamento che sembrano stadi, onorevoli più scalmanati del peggiore degli ultras, assolutamente dimentichi del loro ruolo e di quello che il loro ruolo significa. Alla fine della festa, il paese e il popolo che dovrebbero servire diventano solo un alibi da strumentalizzare. Certo non credo e non ho mai creduto ad una classe politica di puri o di missionari, anche la mia ingenuità ha un limite, ma quello che vedo oggi è davvero la negazione assoluta di qualunque decenza. Ha ragione Caterina, bisogna abbandonarli a loro stessi e cercare di costruire altrove. Non perché non ami la politica ma perché l’ho amata troppo e soffro davvero».
    Giovanni non resiste, il fuoco negli occhi divampa: «Allora la scelta che resta qual è? La gente perbene abbandona indignata. L’onestà trova posto solo fuori del Palazzo e lasciamo in mano agli squali tutto ciò che ci riguarda in prima persona e in prima persona ci preme. Lo gestiscano loro perché noi non vogliamo sporcarci. Portino pure tutto alla rovina perché noi siamo i puri e attendiamo la fine del mondo certi di non andare all’inferno mentre si fa scempio di ogni valore!
    Chi ha combattuto sacrificando l’allegria della gioventù e la sua vita per darci queste libertà lo ha fatto perché sognava noi fieri e felici, onesti e propositivi, consapevoli e grati. Lo hanno fatto sognando un futuro colorato e vivace non grigio e sordo come era stato il loro passato e come era il loro presente. Noi siamo il futuro. Sono stati loro ad insegnarci come il futuro combatte per realizzarsi in progetto di bene. Vi siete mai domandati cosa può succedere ad un paese se il suo futuro si arrende?»

    L’autrice di questo scritto, con il merito di aver solo collazionato le parole che i giovani lasciano cadere come niente fosse, senza neanche accorgersi dell’intelligenza della loro ragione, finge di non aver ascoltato la domanda e cambia discorso perché teme sinceramente quale possa essere la risposta.


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