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    Loreto 2007. Ancora giovani in cammino



    Cesare Bissoli

    (NPG 2007-08-04)


    Ne scrivo con la mia età di anziano (che si sente ancora giovane), per varie ragioni. Anzitutto provo simpatia profonda verso il mondo dei giovani perché in esso si colloca la mia vocazione di salesiano educatore. In secondo luogo - alla luce in particolare del magistero «giovanile» della Chiesa (su tutto la Lettera ai giovani e alle giovani del mondo di Giovanni Paolo II nel 1985) e delle sottese convinzioni teologiche, antropologiche e sociali - ritengo che i giovani non siano «creature in transito», o «in parcheggio», che valgono per quello che faranno domani, ma sostanzialmente «improduttivi» oggi (tutt’al più clienti utilissimi sul mercato delle mode). No, essi valgono per se stessi, perché esistono in quanto giovani e, anche se la loro evoluzione è rapida, sono un valore specifico per la società, e per la Chiesa. In terzo luogo mi spinge, quasi mi obbliga, il fatto di aver partecipato a questi megaraduni praticamente fin dall’inizio delle GMG, a Roma nel 1985, sicché mi è facile, quasi spontaneo, sintonizzare con loro e osservarne valori ed esigenze con attenzione e rispetto. Ultimamente e centralmente, motivazione sintetica di tutto, mi interesso perché i giovani sono immagini «giovanili», originali, di Dio in Cristo.
    In questo quadro di precomprensione positiva, esprimo una mia valutazione dell’Agorà di Loreto 2007. Sono impressioni ancora a caldo, che non approfondiscono la totalità dell’evento, ma evidenziano punti che mi hanno colpito. Li raccolgo intorno a questi nodi, che considero come petali di un’unica rosa. Prima, dall’esterno all’interno, getto uno sguardo sull’organizzazione, poi sugli attori: giovani, Papa, vescovi e Chiesa locale; poi sulla celebrazione, sui contenuti che chiamo nodi di pensiero; infine uno sguardo in avanti.
    Si noterà che sono flash di un evento che i Vescovi italiani - nel recente Consiglio permanente (settembre 2007) - valutano come fatto che «ha realmente superato ogni attesa per il numero dei partecipanti e l’intensità del loro coinvolgimento», qualificandolo come «sfida educativa delle giovani generazioni» verso il mondo degli adulti.

    L’ORGANIZZAZIONE, I PROTAGONISTI

    L’organizzazione

    Richiamo alcuni elementi più vistosi.
    - Il Papa stesso, congedandosi da Loreto, si è complimentato con i Vescovi per «l’incredibile organizzazione in così poco tempo». In verità ci stanno sotto una preparazione accurata da parte del Servizio nazionale di pastorale giovanile, l’opera efficiente e non militaresca di volontari, la simpatia e l’accoglienza della popolazione marchigiana (molti giovani hanno sostato previamente in diverse comunità della regione) e di organismi pubblici (servizio civile, aeronautica…).
    - Un secondo elemento da sottolineare è la regia dell’insieme (contenuti di preghiera e di spettacolo) in una sintesi equilibrata (lo testifica la «guida», un testo bello e denso di accompagnamento), dove il senso cristiano impostato sull’annunciazione a Maria è stato rispettato, facendo lievitare in tal senso tutti gli elementi di contorno (gli attori, i cantanti, i linguaggi espressivi). La Rai si merita dei punti che purtroppo poi pare sciupare lungo la programmazione di ogni giorno.
    - Un terzo riconoscimento, sempre sul versante organizzativo, va attribuito alle cosiddette «fontane di luce». Materialmente erano otto luoghi di raduno corrispondenti a certe tematiche che maggiormente toccano oggi la ricerca dei giovani: la riconciliazione tramite il sacramento omonimo, il dialogo ecumenico, l’adorazione eucaristica, la consulenza psicologica, la ricerca vocazionale, la famiglia, il rispetto della natura. Luoghi attrezzati con persone esperte al colloquio. È stato un viavai che è durato per tutta la notte, in particolare nelle «fontane di luce» della confessione e dell’adorazione. È questa una formula riuscita da non trascurare per il futuro, in quanto rompe il peso della massa dando ai singoli la possibilità di entrare in dialogo diretto con qualcuno che ascolta con intelligenza e amore.
    Si può parlare di una riuscita pedagogia dei segni (c’è chi ha parlato di una sacra rappresentazione), che hanno animato l’evento: dal pittoresco zainetto alla torcia ecologica alla disposizione del palco e naturalmente ai linguaggi usati - verbali e scenici - avendo a cuore non solo la presenza materiale del Papa, ma favorendo il suo modo di essere presente: un modo - notiamo qui subito - che ha toccato questo mondo giovane, tanto docile ma anche tanto esigente e per nulla scontato!

    I giovani

    Era già uno spettacolo a sé la cavea di Montorso che radunava insieme alcune centinaia di migliaia di giovani, come in una GMG, ma qui - nota particolare - si trattava di una GIG, di una Giornata Italiana dei Giovani. Chi se l’aspettava, con questo gap, così affermato e in parte reale, tra giovani e chiesa? Era stata chiamata agorà l’intera manifestazione. Fu veramente un avvenimento di piazza, un fatto pubblico, senza discriminazioni di alcun tipo.
    Erano giovani venuti per un incontro ecclesiale, religioso, connotato nettamente, che è durato per circa 24 ore (mai come in quel 1 settembre la notte fu così vicina all’alba). La maggior parte sono venuti per scelta individuale, non intruppati, fuori dei movimenti, anche se i movimenti erano presenti. A quanto pare non ci fu alcun serio incidente sanitario né criminoso (furti…), quando un centinaio di loro, in ben altri contesti, mettono a ferro e fuoco una città. Una valvola sociale da apprezzare per se stessa! Si dirà che è gente della parrocchia. Si è constatato che non è sempre vero. Tanti giovani vivono un nomadismo interiore o spirituale che li porta laddove avvertono messaggi significativi, sicché il contatto con loro supera delimitazioni territoriali tradizionali. Si potrebbe dire che non è più il luogo che fa l’evento, ma è l’evento che genera il luogo dell’incontro. Certo, si può pensare che sono giovani che hanno fatto la scelta di fede (basta vederli pregare in circolo per terra), ma vi sono anche tanti in ricerca, inquieti, come del resto hanno manifestato nelle loro domande al Papa e che egli stesso ha riconosciuto.
    Prima che ve li collochiamo noi, si mettono essi stessi, con maggiore o minore consapevolezza in stato di catecumenato, e il loro pellegrinaggio resta sempre in profondità un cammino alla fonte, alle radici, al senso che conta. Paiono ritrovarsi all’inizio dell’avventura del Vangelo, in Gv 1, 38, a quel «Maestro, dove abiti? - Venite e vedrete».
    Annotiamo anche la presenza di tanti adolescenti (dai 14 ai 18 anni), forse più dei giovani, il che suscita un’opportuna riflessione su questo mondo adolescenziale che ci appare così sfuggente. Vi erano anche rappresentanze di australiani (Sidney 2008 è ormai alle porte, tante volte è stato ripetuto), di polacchi, slovacchi, ungheresi, spagnoli, croati, russi. Peccato che furono lasciati ai margini, senza una menzione alta e specifica.
    Parlavo di nomadismo spirituale. Loreto 2007 ha messo di nuovo in rilievo la validità del pellegrinaggio come esperienza tanto gradita quanto capace di incidere per un intimo richiamo al proprio mondo interiore, a fare i conti con la propria coscienza e condotta di vita.
    Era bello vederli camminare (e io con loro), sostare, pregare, ritornare il giorno dopo in gruppo con distintivi e preghiere nel piazzale e nella basilica del Santuario.
    Se la maggioranza non era gente dei movimenti, i movimenti (neocatecumenali e CL, focolarini, l’MGS dei salesiani…) però erano presenti con l’efficacia del movimento. Il Papa vi ha fatto cenno, additando un’esperienza formativa da non trascurare stante la condizione di minoranza in cui i cristiani giovani vengono a trovarsi.

    Il papa

    Era un po’ la sua prova del fuoco. Erede di una «pesante» eredità, quella fin qui ineguagliata di Giovanni Paolo II, già a Colonia Benedetto XVI si era affacciato di fronte al mondo giovanile dotato di idee precise e chiare, dette con la sicurezza e la facilità del teologo, un po’ a disagio di fronte a certe espressioni entusiastiche verso la sua persona, eppure mantenendo sempre il suo stile mansueto e timido, sorridente e accogliente. Un Papa accessibile, anche se non ancora «conquistato e quindi conquistatore». Questo è quanto è cominciato a manifestarsi a Loreto: un intendersi, un parlarsi, un incontrasi, un darsi reciproca fiducia. Il Papa e i giovani si sono come lasciati vincere reciprocamente. Inseriamoci, come dato in continuità, la presenza di oltre duecento vescovi che indubbiamente hanno favorito questo incontrarsi, e essi stessi ne sono avvantaggiati.
    È forse il risultato più elevato di pedagogia pastorale, quello di «stare in mezzo».
    Ma vediamo qualche particolare.

    I giovani verso il Papa

    La voglia di vederlo e applaudirlo è stata sempre grande. L’attenzione di ascolto, sempre forte, come sottolineavano gli applausi. Il grido «Be-ne-det-to, Be-ne-det-to» era piuttosto calato rispetto al «Gio-van-ni Paolo, Gio-van-ni Paolo» di altri tempi (ma quando Benedetto nominava Giovanni Paolo lo scroscio di applausi era assicurato). Forse e senza forse, i giovani vanno comprendendo l’intenzionalità esplicitamente religiosa secondo cui Benedetto XVI vuole ogni suo incontro con le persone (questo si può constatare, ad esempio per ogni incontro che egli ha con i giovani a Roma). E d’altra parte si è notato un cambio in itinere, allorché il Papa scelse di colloquiare con i giovani facendosi fare domande spontanee e sincere, e rispondendo lui stesso fuori dai fogli. Fu avvertito come il gesto di un padre che vuole sinceramente ascoltarti perché gli sei caro come un figlio. Atteggiamento globale che si rafforzava, con gesti più marcati del solito delle braccia spalancate e di affettuose assicurazione di amicizia («il mio affetto per voi»); non ultimo con la volontà di andare con la papa-mobile fuori dell’abituale tracciato per incontrare i giovani più lontani dal palco. Non bastano certamente questi gesti a generare sicura e duratura fiducia, ma almeno valgono a buttar giù muri di diffidenza, assicurando, agli occhi dei giovani, il parlare alto, ma sempre comprensibile, del Papa, come una parola che merita ascolto perché il Papa è capace di ascolto e di fatto vuole ascoltarti.

    Il Papa verso i giovani

    Ci siamo già introdotti nell’argomento indicandolo come un punto nodale. Qui sottolineiamo alcuni segni che concretizzano ancora meglio questo feeling tra giovani e Papa. Interpellati a funzione finita, diversi giovani hanno rimarcato come primo messaggio del Papa il suo atteggiamento di amico con amici. A ciò si accompagna, come secondo messaggio, le sue parole così intrise di luce e di amore, mai scoraggianti, sempre sull’onda del Cristo che dice sì alla vita. Merita che riportiamo le sue stesse parole, sintesi alta del suo relazionarsi ai giovani: «In questo momento ci sentiamo come attorniati dalle attese e dalle speranze di milioni di giovani del mondo intero: in questa stessa ora alcuni stanno vegliando, altri dormono, altri ancora studiano o lavorano; c’è chi spera e chi dispera, chi crede e chi non riesce a credere, chi ama la vita e chi invece la sta gettando via. A tutti vorrei giungesse questa mia parola: il papa vi è vicino, condivide le vostre gioie e le vostre pene, soprattutto condivide le speranze più intime che sono nel vostro animo, e per ciascuno chiedo al Signore il dono di una vita piena e felice, una vita ricca di senso, una vita vera».
    Alcuni segnali specifici che accosto semplicemente: la forte, intensa attenzione del Papa alle tre domande dei giovani e alle esperienze raccontate, con una lacrima che scendeva sul volto; l’abbraccio affettuoso (un vero abbraccio!) che ricevette dalla ragazza che aveva svelato davanti a tutti il suo drammatico destino; il gesto affettuoso per ogni componente della processione offertoriale alla messa finale, tra cui i genitori di un bambino autistico e verso una giovane mamma con un vistoso pancione. Ai gesti si aggiunga la ricca tavolozza delle parole sia alla veglia sia all’omelia della domenica: l’ammissione - da parte di lui, il Papa - del silenzio di Dio, come chiedeva un giovane, ma anche l’affermazione della capacità di Dio di dire parole in diverse forme: nella creazione, nella Bibbia, nell’essere insieme come Chiesa; il rifiuto dell’arroganza per la scelta dell’umiltà, il coraggio di andare controcorrente, il compito di costruire il futuro del mondo; il riconoscimento che il centro della Chiesa non è Roma, ma dove vi è Gesù; la Chiesa non come centro di potere, ma luogo dell’accoglienza… Pensieri che riprenderemo più avanti.
    Tutto questo da parte di un anziano di ottant’anni che si sottomette ad un servizio così intenso e senza risparmio, fino quasi ad incrinarsi la voce, voce curata con semplicità con un bicchier d’acqua portato dal suo segretario. E, con estremo senso della fragilità propria e altrui, dare l’arrivederci per la GMG di Sidney nel luglio del 2008, «se Dio concede a me e a voi di poterci andare».

    La celebrazione

    Richiamo due cose che mi sono apparse più significative.
    - La prima sta nella qualità intensamente religiosa della celebrazione, sia della veglia che della eucaristia. Vi hanno contributo anzitutto l’atteggiamento ormai ben riconoscibile del Papa: niente che possa oscurare il senso del rito della Messa, cui Benedetto vorrebbe restituire ancora di più la qualità di «azione in verticale», come sacrificio del Cristo a favore della sua chiesa e del mondo; ed anche sulla veglia è stato esigente: niente che apparisse «divertimento». Finita la veglia in senso stretto, con l’unica eccezione canora dell’Ave Maria cantata da Bocelli, il Papa si ritirava. Ciò che seguiva non si poteva chiamare divertimento nel senso di diversivo spensierato, ma la continuazione non certo facile di una sacra rappresentazione, con parole, canti (da Baglioni a Dalla) e segni ispirati al mistero mariano.
    - Merita richiamare il cenno già fatto sull’impronta mariana della celebrazione nella sua globalità. La scansione era data dal racconto dell’annunciazione a Maria (Lc 1,26-38), nelle diverse dinamiche dell’ascolto delle parole dell’angelo e nel turbamento di Maria. Questo soprattutto nel momento della veglia, dove il «turbamento» riecheggiò più di ogni altra cosa, nelle parole degli stessi giovani. Mentre alla mattina della domenica, l’Eucaristia interpretava il sì di Maria al progetto di Dio dentro il sì totale di Gesù e anche il suo gesto di carità missionaria nella visita ad Elisabetta, in certo modo attualizzata nell’invio di 72 giovani a dare testimonianza al Gesù Cristo, continuatori della missione dei 72 discepoli del vangelo. I testi nel libretto-guida sono molto belli e meritano di venire utilizzati anche altrove.
    Un ultimo piccolo particolare da ricuperare riguarda la partecipazione di giovani disabili all’orchestra che ha animato la celebrazione, sotto la guida appassionata di Mons. Sequeri.

    NODI DI PENSIERO

    Questo punto intende sottolineare certi aspetti che toccano, anzi provocano la pastorale giovanile, che richiede anzitutto - è la lezione ovvia da Loreto - un rapporto diretto con i giovani. Li ritengo stimoli che fanno pensare e come tali li propongo.
    * Si è trattato di una esperienza esplicitamente religiosa vissuta da centinaia di migliaia di giovani, chiaramente radunati non in forza dei consueti happening musicali o sportivi o altro… Con alcune connotazioni emergenti: una raccolta giovanile che va «controcorrente» rispetto al modo comune di pensare la loro condizione («giovani senza fede né morale», li si qualifica non di rado); coinvolti direttamente in una progettualità più alta di vita, poiché - afferma il Papa - «Gesù ha predilezione per i giovani, ne rispetta la libertà, ma non si stanca mai di proporre loro mete più alte per la vita: la novità del vangelo e la bellezza di una condotta santa. Ancora oggi Dio cerca cuori giovani»; giovani ricchi di inquietudine, come testimoniavano le loro domande (osservazione di un amico: «Questi giovani battono più le mani quando ci si chiede se Dio c’è, sul silenzio di Dio che quando si afferma che Dio c’è, è una presenza reale»); epperò anche il racconto delle storie più dure fatte alla presenza del Papa (Giovanna e Piero da Bari, Sara da Genova, Ilaria da Roma) terminavano in un ritrovamento nella fede di ciò che cercavano, grazie all’amico prete o laico, «a qualcuno che si interessa di te». «Per me ha colpito che Dio c’è: una sicurezza che mi dà forza», attestava un giovane tra tanti. Dunque un’esperienza religiosa che abbina il coraggio di uscire da casa e venire da lontano, l’inquietudine nell’esprimersi, la gioia di un ritrovare e di un ritrovarsi, in ogni caso la provocazione di una scelta importante.
    * Abbiamo accennato al filo rosso dell’inquietudine. Altri segni hanno rimarcato questa vibrazione «pascaliana» del credere giovanile. Emergente fra tutte la nota di realismo nelle parole dei giovani e anche del Papa. È stato detto che le periferie sono state al centro delle testimonianze giovanili: «periferie nella morsa del degrado urbanistico, sociale e politico; periferie dove la violenza pare essere la sola cosa visibile per le vie dei quartieri dormitori; periferie dove le gravidanze di adolescenti in giovanissima età sembrano far perdere il senso del corpo, della vita e dell’amore puro e limpido; periferie dove anche la carne del corpo umano diviene periferica, lasciando il posto alla sola pelle con la ferita dell’anoressia e di ciò che da essa scaturisce» (G. Ruggeri). Accenti di fragilità, turbamento, insicurezza. Violenza, carcere minorile, anoressia, tentato suicidio. Gente che ha paura, senza relazioni, incerta sul futuro. Marginalità delle città, del lavoro, dell’amicizia e anche di Dio (il suo «silenzio»). Gli stessi Salmi pregati richiamavano di preferenza il lamento del popolo di Dio. Sembrava di sentire gli «ambiti» esistenziali del Convegno di Verona, con un tono di denuncia aggravata. Mi sono chiesto: perché nessuna testimonianza al positivo? In ogni caso la campana aveva rintocchi mesti.
    Sicché ancora più efficace - perché decisiva e per questo provocante - è stata la risposta-proposta del Papa: «Ciascuno di voi, se resta unito a Cristo, può compiere grandi cose. Ecco perché, cari amici, non dovete avere paura di sognare e ad occhi aperti grandi progetti di bene e non dovete lasciarvi scoraggiare dalle difficoltà… Guardate alla giovane Maria… Il suo sì cambiò la sua vita e la storia dell’umanità intera. È grazie al suo sì che anche noi ci ritroviamo qui stasera».
    * Non possiamo dimenticare la Chiesa in questa esperienza religiosa. Era inevitabile che ci fosse, chiara e sincera è stata la domanda su di essa, sincerità volta ad esprimere una sgradevolezza: un giovane fa fatica ad accettare la Chiesa, non appare «credibile». Ecco il punctum dolens: la credibilità! È un sentimento diffuso, magari privo di una precisa motivazione, ma per questo ancora più da considerare perché assume il profilo di un apriori, di un assioma. La risposta del Papa non elude la critica immanente alla domanda («lo riconosco»), poi con un colpo d’ala arriva alla verità, legittimità e quindi necessità della Chiesa collegandola al volere di Cristo, come suo corpo, che gli permette di essere fra noi; ma proprio per questo, ritornando al punto di partenza, riconosce con vigore che la Chiesa non può essere «centro di potere», ma «casa di tutti». Mi venivano in mente dei segni positivi, in parte già accennati, ma forse non bene assimilati: il grande numero di preti, questa «fanteria» della Chiesa, con cui tantissimi giovani si erano accompagnati e con-vivevano le ore di Loreto; la presenza di tanti e tanti Vescovi che mostravano di credere e di amare questi giovani, e poi l’esperienza-incontro di ben 80.000 pellegrini ospiti di Marche, Abruzzo, Emilia, Romagna, e finalmente questo rapporto dei giovani con il Papa per cui si può dire che il collante giovani e Chiesa non è stato ancora spazzato via. A questo proposito la testimonianza di P. Bossi è riuscita forse la più bella e convincente di tutte: per sincerità, sobrietà, coraggio, per l’invito a riconoscere quanti nel quotidiano, senza andare sui giornali, vivono il Vangelo in situazioni difficili. L’applauso convinto esprimeva il sentire interiore di questi giovani. Questa è la Chiesa!
    * E Maria di Nazaret? L’Agorà è stata vissuta sulle dimensioni interiori della Santa Casa. La sua marginalità in una «città» quanto mai marginale dell’AT e nell’impero romano, come Nazaret, corrispondeva simbolicamente al sentimento dominante della marginalità espressa sopra, marginalità di tanti giovani nella città dell’uomo. Ne è nata una per sé incisiva filigrana del Convegno scandito sulle diverse dinamiche dell’esperienza di Maria (ascolto, domanda, scelta di fede, servizio), bene espresse nella preghiera, nella rappresentazione del dopo veglia, nella Messa finale. L’ultimo miracolo di Maria? Lo stesso evento di Loreto 2007: mi pare di poterlo affermare nella mia logica di figlio.
    * Altri spunti notevoli vengono alla luce. Tra gli altri, cosa è e come avviene la Parola di Dio dentro esperienze di massa, come a Loreto. Lo si poteva cogliere, osservando come questi giovani riecheggiavano la parola fissa del testo sacro, ad esempio il racconto dell’annunciazione, testo icona del Convegno, nel loro reciproco manifestarsi, guardarsi, parlarsi.
    Va sempre abbinata allo studio, l’esperienza della Parola: lo studio arriva a dire la Parola nella perfezione della formula uniforme, dove il pluralismo dei significati sarebbe piuttosto fattore di disturbo; loro, i giovani, dicono la Parola proprio nel pluralismo dei modi di pensare, di dire e dei segni… Resta vero che l’unica Parola è come un diamante dalle tante facce, plurime nelle variazioni di senso, eppur unificate e garantite nel senso definitivo della Parola che è Gesù.

    IL FUTURO

    Servono queste cose come Loreto? I vescovi italiani ritengono di sì, perché i giovani possono essere diversi, sanno esserlo, non si adatta a loro il cliché piatto con cui magari si rendono visibili e noi li cataloghiamo. «I giovani sanno essere i migliori interpreti della sorpresa che è Dio nelle nostre vite», diceva Mons. Bagnasco.
    Tra le tante cose intendo sottolinearne alcune nell’ordine del pensiero alto e insieme della fattibilità, della «vision» e della prassi. Sono cinque spunti che esprimo anche solo con un accenno.
    * «Neanche Dio pianta alberi fatti», è una frase facile in bocca a B. Maggioni quando parla del Regno di Dio e della sua crescita. Mi veniva in mente osservando il vasto uditorio e più estesamente ancora tutto l’immenso pianeta giovanile nel mondo, di fronte a cui si prende talora scoraggiamento per gli altrettanto immensi bisogni umani, spirituali, religiosi. I giovani, questi giovani riconducono inesorabilmente al farsi del Regno di Dio come la semina di un seminatore in un campo. Il campo di questi giovani è quello che è. A Loreto appariva buono, sia pur con qualche sasso o spina. Occorre ridare colore alla speranza, nell’umiltà di riconoscere che il mondo giovanile non appartiene (più) ai nostri piccoli orti parrocchiali, ma non è nemmeno scappato dalla casa del Padre e neanche dalla Chiesa, ma ne cerca una rifatta a nuovo, perché quella «tradizionale» gli appare diroccata, non accogliente.
    Viene diretta la parola di Gesù ai suoi discepoli indaffarati su cose di minor conto: «Levate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura..» (Gv 4,35).
    * «Ridare la Chiesa ai giovani e i giovani alla Chiesa», parafrasando la nota frase dell’Italia agli italiani. Forse è la sfida più grande perché condiziona quella decisiva della scelta di fede.
    Significa vedere e volere questi incontri, non come l’ultima spiaggia per superare il deserto giovanile, la loro inesorabile rarefazione numerica attorno alla nostre comunità. Importa vedere questo e altri incontri come fattori di comunione, un «mercato comune» del cuore che cerca l’esperienza religiosa come esperienza anzitutto di cuore, di superamento della solitudine, di guarigione di ferite segrete, ma disponibili alla pur necessaria riflessione critica, come ha fatto il Papa che ha messo il Dio di Gesù Cristo e di Maria nell’incrocio di questa attesa fortemente affettiva.
    Si può pensare come sia necessità inderogabile, per rifare il patto tra giovani e chiesa, lo «stare in mezzo» ai giovani, di vescovi, preti, operatori pastorali… per diventarne amici, interlocutori, guide. Disponibilità piena all’accoglienza, e dunque all’ascolto, al dialogo, all’aiuto, a far loro intravedere cosa è la Chiesa nell’esperienza positiva concreta che provano, per educarli ad assumere con gioia e realismo l’impegno a fare per gli altri la Chiesa che vogliono per sé.
    Una esperienza oggi da raccomandare, che si rende sempre più fattibile, è quella di uscire fuori dalla propria parrocchia per stabilire incontri (gemellaggi) con giovani di altre diocesi, regioni, nazioni…, così come capita nelle GMG ed è avvenuto in occasione dell’incontro di Loreto. È una risorsa antropologica di prim’ordine per la globalità di interessi che coinvolge, in vista di uno scambio anche nell’ordine della fede.
    * Abbiamo nominato il verbo educare. Il Consiglio permanente di settembre 2007 nel suo comunicato finale parla di «Loreto e la sfida educativa delle giovani generazioni». È forse il compito concreto più incisivo che si propone agli adulti nella Chiesa e nella società. Colpiti dallo «stile di ascolto e di accoglienza» avutasi a Loreto, i vescovi ritengono che tale stile deve diventare «abituale nella proposta formativa delle comunità cristiana». Tale istanza viene declinata secondo i tratti di ecclesialità qui sopra nominati, tra cui spiccano il dialogo con i giovani sulle questioni esistenziali di fondo, come ha fatto il Papa, la proposta di un sabato sera alternativo, grazie anche alle «fontane di luce»… E i vescovi concludono: «Si sente l’esigenza di un investimento a lungo termine in questo settore, volendo accompagnare e non subire passivamente i marcati cambiamenti che caratterizzano il tempo presente. Solo un’educazione che aiuti davvero a penetrare la realtà, senza censurarne alcuna dimensione, compresa quella trascendente, consente di superare una temperie culturale minata dal ripiegamento su di sé, dalla frammentazione e, in ultima analisi, dalla sfiducia. Ciò richiede alle parrocchie, come pure alle associazioni e a movimenti, di accentuare la loro vocazione ‘pedagogica’, calandosi nei problemi della vita quotidiana e avendo come interlocutore privilegiato la persona, colta nella sua irriducibile unicità e concretezza».
    Ci sarebbero tante cose da dire e che NPG va dicendo, ricevendo conferma che volere bene e il bene dei giovani, oggi significa impostare una relazione che sia specificamente educativa nello spirito e stile di Don Bosco!
    * Entro questo orizzonte pedagogico, una componente è emersa a Loreto nelle parole del Papa e che trovo del tutto congrua, oltreché urgente: una fede giovanile aperta sul sociale, rovesciando il cliché di una proposta valida nella misura che sia spirituale, interiore, corrispondente alla propria soggettività. Proprio venendo incontro a domande (e testimonianze) giovanili imperniate sulla marginalità sociale, il Papa richiama il paolo-giovanneo «Non abbiate paura»: «Non abbiate paura, cari amici, di preferire le vie ‘alternative’ indicate dall’amore vero: uno stile di vita sobrio e solidale, relazioni affettive, sincere e pure; un impegno onesto nello studio e nel lavoro; l’interesse profondo per il bene comune». Insomma «osare di vivere secondo la pienezza di umanità manifestata da Gesù Cristo», giacché «il mondo deve essere cambiato, ma è proprio della missione della gioventù cambiarlo». Carcere, anoressia, affido familiare, gravidanze giovanili, fatica del lavoro, violenza e delinquenza: sono parole brucianti udite a Loreto. E con finezza di analisi pari alla concretezza delle esigenze per una buona pratica, Benedetto XVI nell’omelia dell’Eucaristia domenicale indicava «l’umiltà come via maestra» traducendola in una potente virtù attiva capace di «andare controcorrente» rispetto a «modelli di vita», sostenuti «da voci interessate e suadenti», ma «improntati all’arroganza e alla violenza, alla prepotenza e al successo ad ogni costo, all’apparire e all’avere, a scapito dell’essere». Non si apre qui la strada al volontariato del servizio, non come optional, ma come componente indisgiungibile dal cammino di iniziazione cristiana di cui proprio i giovani sono freschi fruitori con la prima comunione e la cresima?
    * La qualità mariana del convegno di Loreto! Ne abbiamo già fatto cenno. Merita che diventi un lineamento profetico della pastorale giovanile. Già il nome di Loreto suscita attrazione, con una carica simbolica, unica. Molto probabilmente la visione del celebre santuario, soprattutto il montaggio di tutto l’evento sull’esperienza dell’annuncio a Maria, ha lasciato nei giovani una traccia. È fondato pensare che il Santuario mariano porti in sé una forte carica di aggregazione in futuri incontri giovanili nazionali ed europei, diventando centro nazionale di spiritualità giovanile, favorendo con ciò una più efficace e corretta comprensione di Gesù centro dell’annuncio, in quanto visto in comunione con la sua madre, madre di Cristo e della Chiesa, madre (compagna, amica, maestra) dei giovani. Nel momento in cui genitori e la famiglia paiono perdere di efficacia e quasi svanire, poter riscoprire tramite Maria la grazia di una genitorialità ricevuta e di una paternità-maternità da realizzare, secondo l’ampio spettro della scelta vocazionale, sia familiare che sacerdotale e di consacrazione.


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