Pastorale Giovanile

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    La vita buona

    del Vangelo

    Commento agli Orientamenti Pastorali della

    Conferenza Episcopale Italiana per il 2010-2020

    Domenico Sigalini

    Premessa

    Educare è una azione bella e entusiasmante; educare è apprezzare la vita e sbilanciarsi dalla parte della sua pienezza. Quando ti relazioni con le persone e le aiuti ad aprirsi a valori grandi, a ideali belli, cogli la gioia negli occhi perché gli si allarga la vita, gli si aprono orizzonti nuovi, prende vera forza la libertà e il desiderio di vivere.
    Educare non è correre ai ripari, ma dare risposta a una esigenza profonda che c’è nello statuto dell’umanità. Siamo nati desiderosi di crescere verso mete belle; quando i genitori ci hanno fatto nascere ci hanno regalato il massimo dei valori umani: la vita. E da quel momento per tutti da dono è diventata un grande compito: la sua crescita e la sua educazione. È nello statuto antropologico dell’umanità il compito dell’educazione. L’uomo non è autosufficiente, autonomo.
    Tale distorsione è affrontata magistralmente dal Santo Padre nel suo discorso ai vescovi e riportato nel documento:
    «Una radice essenziale consiste - mi sembra - in un falso concetto di autonomia dell’uomo: l’uomo dovrebbe svilupparsi solo da se stesso, senza imposizioni da parte di altri, i quali potrebbero assistere il suo autosviluppo, ma non entrare in questo sviluppo. In realtà, è essenziale per la persona umana il fatto che diventa se stessa solo dall’altro, l’‘io’ diventa se stesso solo dal ‘tu’ e dal ‘voi’, è creato per il dialogo, per la comunione sincronica e diacronica. E solo l’incontro con il ‘tu’ e con il ‘noi’ apre l’‘io’ a se stesso. Perciò la cosiddetta educazione “antiautoritaria” non è educazione, ma rinuncia all’educazione: così non viene dato quanto noi siamo debitori di dare agli altri, cioè questo ‘tu’ e ‘noi’ nel quale si apre l’‘io’ a se stesso»[1].
    Dentro questo amore alla vita piena si inscrive la scelta della chiesa italiana di dedicarsi con passione all’opera educativa.
    Le parti in cui il documento si articola esprimono con chiarezza il messaggio complessivo.
    Educare in un mondo che cambia – sviluppa un discernimento a partire da una visione di fede sulla situazione dell’educazione segnalandone criticità ed attese.
    Gesù, il Maestro – presenta lo sfondo teologico-biblico della visione cristiana dell’educazione, centrata sulla persona e sull’insegnamento di Gesù, radicati sul retroterra antico testamentario e attualizzati dallo Spirito nella vita della Chiesa.
    Educare, cammino di relazione e di fiducia – descrive il compito educativo come volto a propiziare la generazione di persone mature attraverso un percorso in cui gli educatori e la relazione educativa portano il peso decisivo.
    La Chiesa, comunità educante – fornisce un quadro di indicazioni pastorali che ribadiscono il ruolo della famiglia, della parrocchia, della scuola, delle associazioni, dell’influsso diffuso dell’ambiente sociale in genere e, in particolare, della comunicazione nella cultura digitale.
    Un quinto capitolo tenta di suggerire una agenda per distribuire l’impegno educativo sull’arco dei dieci anni, favorendo una scansione che coinvolga tutte le chiese.

    Educare in un mondo che cambia

    Valutiamo positivamente tutta la potente forza che offre ai giovani l’esperienza nuova di una grande libertà, che potrebbe anche essere vista come un peso, solo perché è faticoso educarla, ma è un peso che ringraziamo Dio di darci, perché è la promessa di uomini nuovi di cui lo supplichiamo sempre di farci dono. L’urgenza educativa non è dovuta soprattutto alla barbarie dei tempi, ma è la domanda impellente, che viene dalla grande sofferenza che oggi gli uomini e i giovani soprattutto provano di fronte alla ampia libertà in cui devono scrivere la propria esistenza e alla necessità di tenere assieme vita, affetti, relazioni, quotidianità, interiorità, domande di senso. Bara al gioco chi dice che sei libero di fare tutto quello che vuoi, che sei libero di prendere tutte le decisioni che ti piacciono di più; non hai limiti, il mondo è tuo, divertiti, prova tutte le soddisfazioni che vuoi… Tutto questo è una botta di energia che provoca un malessere non solo economico o di incertezza per il futuro, ma profondamente esistenziale.
    Ci lanciamo tutti a inseguire sogni ingannevoli di libertà e ne raccogliamo immani sofferenze. ”Il modello della spontaneità finisce con l’assolutizzare emozioni e pulsioni: tutto ciò che “piace” ed è possibile diventa automaticamente buono. L’educazione, in questi casi, rinuncia a ogni forma di trasmissione di valori e di esercizio di apprendimento delle virtù e ogni proposta direttiva viene considerata autoritaria.” (cfr Educare alla vita buona del vangelo, 13)
    Educazione è intercettare la tensione di non essere capaci da soli di costruirsi il senso, perché il senso ha a che fare con i sensi, con la forza quasi invincibile del momento, con l’impatto sensoriale che alla fine naufraga solo verso il consenso.
    Gli esiti sono due:
    1. La disgregazione, la frammentazione, la continua decostruzione di una unità di vita, l’ossessione di essere liberi di fare quello che si vuole solo per se stessi, il regime delle equivalenze, il regno delle opinioni, dove è vero tutto e il contrario di tutto che porta a consumarsi dentro ad abbandonarsi alla corrente e perdere ogni direzione
    2. e dall’altra parte la scelta di sfuggire, crearsi certezze per evitare di confrontarsi, rifugiarsi in nicchie di estraniamento, in sacrestie ammuffite che si sopportano solo per fragilità di pensiero e comodità di strumentalizzazioni, in false autosufficienze, in continui rimandi senza mai decidere niente, in bande di contrapposizione comode o violente o assolutamente fuori dalla realtà.
    Le comunità cristiane, gli oratori, le associazioni sono un laboratorio in cui si cerca il punto di equilibrio per uscire da queste due derive.
    Dal punto di vista culturale hanno anche un altro grande compito che è quello di rompere lo schema che divide il mondo in due: da una parte coloro che chi si autoproclamano difensori della libertà, propugnatori del relativismo assoluto e dall’altra una chiesa definita come autoritarismo, come negazione di libertà. È uno schema da rompere e l’oratorio, l’associazione, il gruppo non casuale con l’intercettazione della delicata ricerca di senso che provoca smarrimento e disagio può giocarsi il suo essere laboratorio di ricerca di libertà nella verità. Fa spuntare una esigenza assoluta che è quella della verità su cui si glissa sempre, ma che in pratica è l’unica che può far superare la noia

    Gesù, il Maestro: la prospettiva di un umanesimo integrale e trascendente

    Una prospettiva unificante gli orientamenti pastorali può essere individuata nella formula «umanesimo integrale e trascendente» (cfr n. 5). Letto in questa prospettiva il testo fa emergere via via il contenuto di una formula che diventa criterio per discernere la situazione, per cogliere il senso del riferimento a Cristo come maestro, per ricostruire l’articolazione del compito educativo e per elaborare le esigenze dell’impegno pastorale della comunità ecclesiale.
    La costituzione relazionale della persona umana, accessibile alla ragione e dentro l’esperienza umana, si coglie e regge ultimamente se l’essere umano non si chiude a un orizzonte infinito e a un fondamento ultimo. Contrariamente a larga parte del pensiero, che ha preteso in vari modi di asserire che solo espellendo Dio l’uomo può affermare se stesso, proprio l’affermazione di Dio si ripropone come la condizione per la vera affermazione dell’uomo, della sua autonomia e della sua libertà, in sintesi, della sua dignità. Leggere con una ragione aperta alla luce della fede la situazione educativa permette di cogliere i termini dell’emergenza, ma anche di intravedere le tracce di un percorso di reazione e di risposta. Oggi c’è bisogno di credenti che sappiano compiere questa lettura della situazione per un autentico discernimento ecclesiale.
    Il nostro guardare a Cristo e il nostro renderci disponibili e docili allo Spirito nella Chiesa, sta al cuore della nostra intera esperienza umana e dell’esercizio di ogni tipo di responsabilità educativa. Non c’è per noi un modo diverso di guardare alla persona umana fuori del modello che per noi rappresenta Cristo e della luce con cui la sua presenza permette di comprenderla. Per questo la tradizione cristiana non ha mai cessato di difendere la genuina umanità di Cristo, per salvaguardare non solo la realtà dell’incarnazione del Verbo, ma non meno la vera umanità dell’uomo. Gesù Cristo non viene dunque a coronare una umanità già completa per se stessa, ma a mostrare il modello e la radice del suo essere e della sua realizzazione. Noi credenti siamo chiamati a diventare sempre più convinti conoscitori, sostenitori e propugnatori dell’umanesimo integrale e trascendente che trova in Cristo l’origine e il compimento. Mettere al centro Gesù Cristo significa iniziare dalla pedagogia di Dio lungo tutta la storia della salvezza (cfr. n 19), continuare con la vita della chiesa, dove si esprime la forza della presenza di Cristo nella luce dello Spirito Santo e evidenziare le dimensioni dell’azione educativa, che sono missionaria, ecumenica e dialogica, caritativa e sociale, escatologica (cfr 24).
    .
    Educare, cammino di relazione e di fiducia

    Tre sono gli elementi che definiscono la relazione educativa:
    - la necessità dell’incontro e della relazione,
    - il ruolo esemplare dell’educatore, testimone e capace di dedizione appassionata,
    - la corrispondenza e l’adesione dell’educando.
    Pongo l’accento sul n. 25 che definisce, facendosi guidare dal vangelo di Giovanni, il tipo di relazioni che l’educazione presuppone:
    Che cosa cercate?» (Gv 1,38): suscitare e riconoscere un desiderio. La domanda di Gesù è una pro-vocazione, una prima chiamata che incoraggia a interrogarsi sul significato autentico della propria ricerca. In una vita distrutta spesso da esperienze negative deve poter rinascere il desiderio della purezza, della bontà, della pulizia interiore, del comportamento carico di dignità umana. Ogni uomo, ogni giovane deve poter aprirsi al bene, distaccarsi dalla mediocrità.
    «Venite e vedrete» (Gv 1,38): il coraggio della proposta. per stabilire un rapporto educativo occorre un incontro che susciti una relazione personale propositiva: non si tratta di trasmettere nozioni astratte, ma di offrire un’esperienza da condividere. Non si deve mai scontare per nessuno la meta alta della vita buona secondo il vangelo. Non è assolutamente un educatore colui che riduce gli ideali e si permette di giudicare le persone. È obbligato sempre a proporre mete alte.
    «Si fermarono presso di lui» (Gv 1,39): accettare la sfida. Accettando l’invito di Gesù i discepoli si mettono in gioco decidendo d’investire nella sua proposta tutto se stessi. Mettersi in gioco ogni giorno, in ogni circostanza, dentro dopo ogni fallimento è esperienza tipica anche degli stessi apostoli. A Dio i fallimenti non fanno paura, sono un gradino per ricominciare.
    «Signore da chi andremo?» (Gv 6,68): perseverare nell’impresa. La tentazione dell’abbandono è sempre all’orizzonte. Occorre decidersi positivamente, la relazione con Gesù non può continuare per inerzia. La perseveranza è frutto di tirocinio severo di controllo su di sé, di contemplazione della bellezza della meta. Incoraggiare e ricominciare è uno sport difficile soprattutto con i giovani.
    «Signore tu lavi i piedi a me?» (Gv 13,6): accettare di essere amato. Pietro fa fatica ad accettare di essere in debito nei confronti di un altro: è difficile lasciarsi amare, credere in un Dio che si propone non come il padrone ma come il servitore della vita. Lasciarsi amare è spesso più difficile che amare, perché significa che ci abbandoniamo a una corrente d’amore che non meritiamo e riconosciamo il nostro peccato
    «Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi» (Gv 13,34): vivere la relazione nell’amore. Il rapporto tra maestro e discepolo non ha niente a che vedere con la dipendenza servile: si esprime nella libertà dell’amore. Aprirsi alla relazione è lasciarsi mettere ogni giorno in discussione non da teorie astratte, ma da una novità quotidiana che è l’altro da me.

    Il ruolo esemplare dell’educatore, testimone e capace di dedizione appassionata

    Il n. 29 sviluppa alcuni tratti della figura dell’educatore che vanno concretizzati entro gli spazi e progetti educativi.
    Si dice infatti: “L’educatore è un testimone della verità, della bellezza e del bene, cosciente che la propria umanità è insieme ricchezza e limite. Questa consapevolezza lo rende umile e in continua ricerca. Educa chi è capace di rendere ragione della speranza che lo anima ed è sospinto dal desiderio di comunicarla. La passione educativa è una vocazione, che si manifesta come un’arte sapienziale acquisita nel tempo attraverso un’esperienza accompagnata e maturata alla scuola di altri maestri. Nessun testo e nessuna teoria, per quanto illuminanti, potranno sostituire questo apprendistato sul campo”
    Qui si tratta di una speranza di umanità ricostituita, di una concezione di uomo che ogni educatore deve avere. È importante che lavori per una speranza, non solo per un dovere, per una prospettiva non solo per un contenimento delle teste calde. La speranza non è un sentimento o uno sconto sulla durezza della vita, è un scelta tosta di non lasciarsi andare, di coltivare la prospettiva di cambiare vita di sognare futuro.
    “L’educatore compie il suo mandato anzitutto attraverso l’autorevolezza della sua persona. Essa rende efficace l’esercizio dell’autorità; è frutto di esperienza e di competenza, ma si acquista soprattutto con la coerenza della vita e con il coinvolgimento personale. Educare è un lavoro complesso e delicato, che non può essere improvvisato o affidato solo alla buona volontà.
    Il senso di responsabilità si esplica nella serietà con cui si svolge il proprio servizio. Senza regole di comportamento, fatte valere giorno per giorno anche nelle piccole cose, e senza educazione della libertà non si forma la coscienza, non ci si allena ad affrontare le prove della vita, non si irrobustisce il carattere.
    Infine, l’educatore s’impegna a servire nella gratuità, ricordando che «Dio ama chi dona con gioia» (2Cor 9,7). Nessuno è padrone esclusivo di ciò che ha ricevuto, ma ne è custode e amministratore, chiamato a edificare un mondo migliore, più umano e più ospitale. Ciò vale, naturalmente, anche per i genitori, chiamati non soltanto a dare la vita, ma ad aiutare i figli a intraprendere la loro personale avventura”.
    La gratuità di cui si dice nel documento non è quella di chi lavora gratis, ma lo stile con il quale si vive il rapporto educativo. Nessuno stipendio ti paga la tensione educativa, le notti che non dormi per trovare un modo di far capire a chi sbaglia una strada di correttezza, il tempo che passi a convincere uno a non suicidarsi, a perdonare le offese, a non rovinare gli amici con denunce false, a collaborare per rendere l’ambiente più vivibile…

    La Chiesa, comunità educante: una comunità di corresponsabili [2]

    1. Comunità cristiana e famiglia
    La chiesa ha il dovere di occuparsi dell’educazione perché ha il dovere di occuparsi della vita e educare è una esigenza vitale. Tutti gli uomini in forza della loro dignità umana hanno il diritto inalienabile all’educazione. Ogni uomo deve poter portare a pienezza la sua vocazione e ha bisogno non solo di trasmissione di conoscenze, ma di un processo, di una capacità di valutare con retta coscienza, accogliere la verità e rispondere con responsabilità alla sua vocazione. Il processo educativo non è negoziabile.
    La domanda che ora ci facciamo è: la comunità di fede in Gesù Cristo morto e risorto come deve dare il suo contributo indispensabile alla emergenza educativa? Si interessa di altro o aiuta l’uomo a fare quelle scelte di libertà che sono indispensabili per la pienezza della sua vita e per il bene della società? È autosufficiente, compie un cammino parallelo a tutte le altre istituzioni educative? Come aiuta il giovane a fare le scelte giuste nell’aumento vertiginoso delle opportunità, degli stili di vita, nelle impostazioni del proprio esistere? Tutta la catechesi che si fa nella comunità cristiana, la preparazione ai sacramenti, le celebrazioni liturgiche come possono dare risposte a questa emergenza educativa? I momenti formativi caratteristici di una comunità cristiana sono paralleli alla vera educazione o ne determinano il cuore e ne rinforzano i processi? Possiamo accettare ancora che tutta l’iniziazione cristiana sia una parentesi da dimenticare nell’esplodere della giovinezza e della sete di libertà? O ancora peggio, possiamo accettare che la fede sia una dimensione privatistica, intimistica e alla fine insignificante per la globalità della vita dell’uomo? Alla fine, l’atto educativo per il quale si lavora tanto nella comunità cristiana ha una sua unità che consente di tenere assieme fede, cultura e vita o siamo destinati a vivere di frammentazione e di finzioni a seconda dei luoghi in cui viviamo e delle attività che compiamo?
    È in gioco la possibilità della comunità cristiana di stare con dignità nel consesso umano, di essere capace di dare il suo apporto alla comunità umana, di sentirsi comunità di uomini e donne fino in fondo, mentre si è cristiani fino alla santità. Se la chiesa in questo decennio si occupa di educazione non è perché ha una particolare teoria pedagogica o una tecnica didattica che le sta a cuore. Il contributo educativo della chiesa rientra nei compiti dell’evangelizzazione, perché non si dà separazione tra uomo e vangelo, tra virtù umane e virtù cristiane. L’educazione di cui ci si occupa è una educazione integrale: “È integrale, dice Tangorra, quella proposta educativa che pone la persona al centro e che mira allo sviluppo armonico di tutte le sue potenzialità. In quest’unità di fondo rientra l’educazione religiosa, data quasi per scontata in molti sistemi culturali, ma che oggi trova non poche difficoltà di interpretazione e collocazione. La trascendenza garantisce l’apertura a un umanesimo che non esclude Dio, perchè sorge dalle inquietanti domande da dove vengo, perché vivo, dove vado, chiama l’uomo a interrogarsi sul senso fondamentale dell’esistenza”.
    La comunità cristiana è il soggetto, che nel capitolo IV degli Orientamenti viene collocato, anche nelle sue concretizzazioni, come la parrocchia e i suoi spazi educativi, come crocevia per rispondere alla grande responsabilità dei cristiani nell’educazione. Vi risponde non da sola, non isolata, non autosufficiente, ma aperta e capace di mettersi in gioco, con una esplicita intenzionalità. Niente avviene a caso, tutto avviene per dono di Dio e per corresponsabilità dell’uomo. È la comunità che sente di aver bisogno di Dio che educa il suo popolo, che si lascia educare da Lui, che sa mettersi in discussione e in stato di conversione continua. Solo così può sentirsi poi soggetto educante ed essere così in grado di porre sempre dei segni, che fanno capire che le sta a cuore il servizio ad ogni uomo.
    Che immagine di chiesa è quella che si fa soggetto di educazione e come emerge dal documento?
    È una chiesa discepola . La chiesa non chiamata ad annunciare se stessa, allora è fondamentale essere trasparenza di Cristo in un lavoro continuo di ascolto e conversione, un esercizio spirituale su di sé, una dimensione di interiorità ineludibile e sempre alla sequela di Gesù.
    È una chiesa madre, perché genera alla fede ed educa nella fede. “Nessun idealismo, anche questa immagine richiede di essere purificata e verificata perché la Chiesa non è madre degli uomini per natura ma per vocazione, e dunque deve saper guadagnarsi sul campo il suo titolo di «madre buona».” La maternità della chiesa deve poter essere compresa, percepita soprattutto dai giovani, di questa prima generazione incredula.
    È una chiesa maestra. Si tratta di un ruolo cui la Chiesa non può rinunciare, non solo perché rimanda a un ordine esplicito del Cristo, «andate a fate discepoli tutti i popoli, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28,19), ma perché esprime un suo compito fondamentale che è di servire la verità; altro tema difficile, che oggi sembra essere diventato un elemento alieno”. Essere maestra non significa “porsi in cattedra, nella posizione altezzosa di chi ha una esclusiva, ma di saper entrare in dialogo; non quello di chi distribuisce solo ammonimenti, rimproveri e rifiuti, ma quello di chi condivide un mondo attraversato da lacerazioni profonde, umane e spirituali. La Chiesa non è giudice, ma maestra che ascolta e insegna la fiducia.
    È una chiesa testimoniale. In essa deve emergere con chiarezza il ruolo primario della testimonianza nella sua “valenza ecclesiologica, perché non sia solo elemento di credibilità, né solo strategia linguistica, ma una dimensione costitutiva del processo di comunione ecclesiale, diacronica e sincronica”. «Nell’opera educativa della Chiesa emerge con evidenza il ruolo primario della testimonianza perché l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri»
    Siamo in molti a lamentarci che non siamo comunità, che la parrocchia spesso è una accozzaglia di persone che vengono a chiedere piuttosto che un popolo affiatato che dona.. Già il chiedere è meglio dell’indifferenza, apre nella vita un varco, una domanda su cui si può inscrivere un percorso di crescita. Il modello di vita e di comunione trinitaria ci sta sempre davanti come una grande meta, mai adeguatamente raggiunta. L’educazione non è omologazione, ma sicuramente è frutto di una grande comunione La parrocchia non è all’anno zero del suo lavoro educativo, anzi molta attività è educazione dei bambini e dei ragazzi, dei fidanzati e dei giovani. È una lotta impari alle forze umane, ma siamo sicuri che Dio ama il suo popolo, Dio e la sua vita donata fino all’ultima goccia è la sua forza.
    L’espressione più altamente educativa della comunità, come mattone di base di ogni costruzione è la famiglia (cfr n. 36 e n. 37), che ha direttamente un mandato educativo inalienabile datole dal creatore, perché è in essa che sgorga la vita e la sua necessaria educazione, e dalla Chiesa con il sacramento del matrimonio, che abilita a una vita piena, come quella che il giovane ricco chiedeva a Gesù. La prima semplice mistagogia avviene lì; la prima sintesi tra fede e vita, tra domanda e ascolto, tra pensieri e azioni è fatta sulle ginocchia della mamma, con la mano nella mano del papà, nella tensione positiva di crescita tra fratelli, nella trasmissione di sentimenti tenui, ma quotidiani dei nonni. Il senso della preghiera nasce lì. “Ogni famiglia è soggetto di educazione e testimonianza umana e cristiana e come tale va valorizzata, all’interno della capacità di generare alla fede propria della Chiesa”[3].
    La comunità deve sbilanciarsi dalla parte della famiglia in questo tempo dedicato all’educazione, pur consapevole di tante famiglie fragili, distrutte e invivibili.
    La comunità deve vedere l’ossatura della sua espressione educativa nel mondo adulto. Non sempre gli adulti si lasciano educare. La sindrome di aver imparato tutto blocca tante proposte. Occorre suscitare prima di tutto in loro la domanda di educazione e questo avviene se la comunità dà l’esempio nel mettersi in discussione, in dialogo, in stato continuo di conversione e di apertura. L’adulto è per statuto antropologico educatore, è colui che deve offrire ragioni di vita e va aiutato a trovare sempre queste ragioni nel vivo di relazioni nuove e significative con la comunità cristiana. Le ragioni di vita non le trovi in internet o nei libri, ma nel tessuto vivo di una comunità che segue e annuncia Cristo.

    2. Liturgia, catechesi, carità: una unità necessaria per educare cristiani maturi e cittadini onesti
    Chiamerei queste tre dimensioni della vita di una comunità cristiana con termini più comprensibili anche al di fuori dei nostri ambienti, invertendo l’ordine come avviene in pratica nel nostro lavoro di evangelizzazione: annuncio, celebrazione, testimonianza della carità, dove la carità non è la Caritas intesa come aiuto alle povertà materiali, ma l’attenzione a tutte le povertà umane, comprese quelle culturali e spirituali (cfr n. 39) .
    La scelta di questi tre ambiti non è un privilegiare alcuni uffici pastorali e dimenticare o sottovalutare gli altri, forse anche quelli più concreti e più percepiti dalla gente; non è dimenticare i giovani, o il lavoro o le missioni, ma mettere in evidenza le forme che devono investire ogni attenzione educativa e di conseguenza ogni azione della chiesa.
    Annuncio, celebrazione e testimonianza sono da declinare in ogni struttura pastorale, in ogni soggetto o condizione del cristiano e non sono esclusiva degli uffici liturgico o catechistico o della Caritas. Non ci confrontiamo con tre uffici, ma con tre dimensioni che stanno alla base di un progetto educativo specifico di una comunità cristiana. Che cosa fa la pastorale giovanile se non si definisce nell’annuncio, nella celebrazione e nella testimonianza? E così la famiglia, il lavoro, le missioni… Ciascuno con il suo taglio, la sua riscrittura intelligente, mette a disposizione di tutti la sua peculiarità e stana da giovani, famiglie, lavoratori, operatori dei mass media, tutto quanto di bello possono mettere a disposizione di tutti. È importante però che l’unità progettuale parta da queste tre dimensioni.
    L’unità è possibile, attuabile, e, ancor prima di essere codificata in testi o programmi che si elaborano assieme, è scritta nella formazione di ogni credente che deve assolutamente farsi convertire dall’annuncio, essere attivo nella celebrazione e decidere di mettersi a disposizione nella carità. Se il percorso educativo globale che abbiamo scelto è sintesi di queste tre dimensioni non è possibile pensare l’educazione se non in una continua mutua relazione di annuncio, celebrazione e testimonianza, in una logica reticolare, in cui il punto di partenza è lasciato alla vita, alla creatività delle persone, alla complessità dei tempi moderni, alla liquidità della nostra società, dentro la quale lo Spirito esprime tutta la sua libertà. A noi tocca presidiare e dedicarci alle connessioni tra i diversi punti, garantire il massimo di relazioni e di passaggi. Non è importante oggi un prima e un poi temporale, assolutamente standardizzato, ma il processo completo nella sua globalità e quindi aperto a tutte le varie impostazioni culturali, che la comunità discerne. Il punto di arrivo è sempre questo conformarsi a Cristo; e, geneticamente, non temporalmente, il primo passo è l’annuncio.
    La distinzione delle tre dimensioni è necessaria perché ciascuna deve esprimere non solo un suo punto di vista, ma la ricchezza che le viene consegnata per costruire un autentica esperienza credente. Annuncio, che già in se stesso non può non contenere l’unità con la celebrazione e la testimonianza, è oggi soprattutto primo annuncio, come dimensione normale nella quotidianità dei cammini formativi parrocchiali e no. Ogni intervento formativo non deve dare per scontata l’adesione di fede, ma deve continuamente renderla incandescente, perché così lo esige la nostra vita, la complessità e il cumulo di distrazioni della nostra società. La celebrazione è farsi convertire dai sacramenti e non solo prepararsi ai sacramenti, è tenere l’uomo al suo posto e aiutarlo a farsi accogliente di un mondo altro che illumina il suo, che lo aiuta a dare senso al suo presente. È investire del dono di Dio la persona anche nella sua corporeità. È presidiare la vita cristiana perché l’annuncio cristiano non si trasformi in propaganda, l’impegno di testimonianza non perda il suo vero sapore e la preghiera o la liturgia non degeneri in evasione. È collocare nella vita un giorno del Signore, assoluto, indisponibile, ma tanto decisivo nel costruire persone mature e nuove e non cristiani a intermittenza. La carità è dono di Dio da accogliere proprio contestualmente all’uomo da servire, è impostare al vita sulla logica del dono e non dello scambio. Lo scambio misura ogni cosa, persone comprese; il dono le accoglie e dimentica pesi e misure.

    3. Iniziazione cristiana e primo annuncio
    Sono gli spazi e i processi che permettono all’uomo di accostarsi a Cristo ed essere innestato nel suo corpo che è la chiesa. Oggi assumono un valore nuovo, perché si diffonde sempre di più la scristianizzazione e per molti, anche educati nella fede cristiana, l’incontro con Cristo è come se fosse una prima volta della fede. “Il primo annuncio della fede rappresenta l’anima di ogni azione pastorale Anche l’iniziazione cristiana deve basarsi su questa evangelizzazione iniziale, da mantenere viva negli itinerari di catechesi, proponendo relazioni capaci di coinvolgere le famiglie e integrate nell’esperienza dell’anno liturgico”[4].
    Primo annuncio non significa solo un annuncio come se niente ci fosse stato prima, ma la necessità che ogni impatto con la fede, ogni incontro, ogni catechesi, ogni intervento formativo ed educativo abbia le caratteristiche dello stupore, del fascino, dell’adesione entusiasta, della bellezza, della proposta concreta alla vita, di una prospettiva che affronta le grandi e piccole domande di senso, le sofferenze e le gioie, i turbamenti, i dubbi e gli stessi atteggiamenti di disprezzo di tanta cultura laicista. Per i ragazzi e i giovani gli incontri, i percorsi formativi, devono poter essere anche un aiuto a rispondere alla mentalità scientista e laicista di tante scuole e di tanti attacchi dei massmedia. Un atto di fede deve essere intellettualmente onesto e umanamente sensato. Del resto papa Benedetto ci aiuta a provocare un vero allargamento della razionalità, rispettosa, proprio perché razionale, della dimensione religiosa della vita. Se non si risponde alle domande di senso non c’è felicità, a maggior ragione se c’è disprezzo della verità.
    Non c’è vera iniziazione se la famiglia è solo spettatrice, se la preparazione è solo una somma di lezioni di catechismo, se la comunità è assente, se non c’è un tutor, non solo un insegnante, che accompagna i ragazzi in tutti i passi necessari per innamorarsi della chiesa, della sua testimonianza di carità, delle sue liturgie, dei segni che pone come testimonianza nella vita del mondo. L’esperienza associativa è una grande risorsa perché è intergenerazionale, perché crea appartenenza alla comunità. Fa sperimentare vita comune con gli amici, offre possibilità di apostolato concreto, mette a disposizione un progetto di vita e non un assillante tensione a una meta che si esaurisce con la celebrazione. Purtroppo l’esperienza associativa spesso viene cancellata per un astratto senso di comunione con tutti, che invece diventa solo uniformismo e appiattimento della vita dei ragazzi.

    4. Una parrocchia destrutturata
    Nella comunità Cristiana, soprattutto nelle nostre chiese che sono in Italia, la parrocchia è sempre il luogo fondamentale per una formazione alla fede, ma anche un riferimento assolutamente ineludibile per il territorio (cfr.n. 39 e n. 41). “La parrocchia – Chiesa che vive tra le case degli uomini – continua a essere il luogo fondamentale per la comunicazione del Vangelo e la formazione della coscienza credente; rappresenta nel territorio il riferimento immediato per l’educazione e la vita cristiana a un livello accessibile a tutti”[5].
    Dove c’è una parrocchia il territorio può contare su una forza educativa impareggiabile e presente 24 ore su 24, tutto l’anno, senza ferie, anzi ancora più attiva durante le ferie per tutte le sue attività esplicitamente educative, quali campiscuola, grest, pellegrinaggi, settimane intensive per giovani, adulti, famiglie…
    Certo la parrocchia, nella persona del parroco, non può sentirsi educativa solo attraverso le attività che riesce a tenere sotto il suo stretto controllo. Deve invece imparare a credere che ciò che si realizza non è solo quello che passa attraverso la strutturazione delle proprie attività, ma attraverso la maturità della fede dei propri figli, attraverso la loro capacità di condividere il cammino di vita e le inquietudini delle persone di oggi, attraverso la capacità di parole semplici e quotidiane pronunciate davanti alle situazioni e agli interrogativi della vita. In questo modo amplia le sue possibilità educative, le moltiplica perché pone accanto alle persone che fanno parte della comunità senza saperlo o senza volerlo la forza di fratelli che sanno camminare a fianco. Questa è la forza di una comunità educante di oggi.
    Una parrocchia che affida il suo essere forza educativa alla maturità di fede dei suoi giovani e adulti laici è una comunità che allarga indefinitamente le proprie potenzialità: è un comunità che può raggiungere le famiglie; gli ambienti di lavoro; gli spazi della cultura, della vita amministrativa, della scuola, del tempo libero, della stessa trasgressione e sballo. Che cosa dà consistenza ad un comunità così? Il credere che il suo tesoro è la fede dei suoi figli più giovani molto più e prima delle proprie iniziative; il costruire dei momenti di unità in cui sia possibile raccontare la bellezza e la fatica di questa testimonianza solitaria e dispersa nel mondo; il ritrovarsi attorno all’Eucaristia domenicale come attorno al cuore del proprio essere Chiesa.
    Laici così non hanno bisogno solo di scuole, ma di una esperienza continuativa di riflessione e di partecipazione, hanno da sperimentare la disciplina di un confronto comunitario, devono essere attivati a guardare alla realtà dall’angolatura di ideali ispiratori, dalla esperienza di comunione semplice tra amici, in una associazione. L’Azione Cattolica assolve egregiamente questo compito ed è oggi ancor più necessaria che ieri, come lo dimostrano le molte nazione che la stanno riscoprendo.
    Essa prepara giovani e adulti che non hanno paura di diventare adulti nella fede, di camminare verso quella maturità di fede che permette loro di stare in piedi da soli nei luoghi ordinari della vita; che permette loro quella maturità di dialogo per affrontare con le persone di oggi, con coloro che sono più chiaramente in ricerca, un dialogo aperto e credente sui grandi temi della vita.
    Credo che oggi una delle principali offerte di spazi educativi che la parrocchia può offrire sia, oltre che quella della testimonianza della propria vita personale e della qualità della propria umanità, quella della capacità di dialogo sui grandi problemi della vita. Questo richiede una competenza umana che solo un giovane che vuol diventare adulto o un adulto nella fede può avere; richiede una amicizia capace anche di assumersi la responsabilità delle sue posizioni nel momento in cui attraversa con l’altro le inquietudini della sua esistenza..
    Per noi che spesso abbiamo ricevuto le risposte senza esserci poste tante domande; per noi che abbiamo ricevuto le risposte del catechismo senza aver sofferto la fatica della ricerca… questo può essere oggi molto difficile. Ma questa è una delle più significative sfide per una fede di giovani e adulti laici impegnati e motivati ad essere educatori di una nuova generazione di cristiani. E se questa costituisce la chiave per entrare in comunicazione con le persone di oggi, occorre che una parrocchia si impegni a preparare questi giovani e adulti laici, più che ad organizzare grandi iniziative alle quali parteciperanno sempre le solite persone, e forse anche meno delle solite!
    È necessario coltivare di continuo la propria vita cristiana, ma anche e soprattutto nel senso che occorre un modo nuovo, più problematico e più aperto, di dare profondità, maturità e attualità al proprio cammino spirituale e alla propria esperienza di fede. I cristiani possono aiutare a superare l’emergenza educativa se vivono una fede come ricerca, come impegno a mettere di continuo in relazione la fede e la vita quotidiana.

    5. L’associazionismo e l’Azione Cattolica
    È naturale a questo punto dare risalto a ciò che negli Orientamenti viene espresso in un apposito paragrafo (cfr. n. 43). Se c’è un insieme di esperienze che hanno sempre preso sul serio l’istanza educativa e lo fanno ancora oggi, nonostante le difficoltà talvolta insuperabili e le incomprensioni delle strutture pastorali, sono proprio le associazioni e in particolare l’Azione Cattolica: “…che da sempre coltiva uno stretto legame con i pastori della Chiesa, assumendo come proprio il programma pastorale della Chiesa locale e costituendo per i soci una scuola di formazione cristiana. Le figure di grandi laici che ne hanno segnato la storia sono un richiamo alla vocazione alla santità, meta di ogni battezzato”[6].
    Spesso pensiamo che educare sia offrire esperienze coinvolgenti, belle emozioni anche fortemente spirituali e celebrative, lectio divine solide. È vero anche questo, ma vediamo sempre di più come occorre accompagnare le persone con un percorso fatto di mete, di strumenti, di passi semplici e collegati, per non creare talebani o smidollati. L’unità degli interventi educativi esige di avere un progetto, di costruire sequenze ordinate nel processo secondo una visione globale della persona. La preparazione ai sacramenti e la mistagogia hanno il vantaggio di non farci deviare in pedagogismi che non arrivano mai alla meta, ma di ancorare ogni progetto all’essenza della vita credente.
    Le comunità diocesane danno dei grandi contributi con i progetti pastorali, la chiesa italiana codifica degli orientamenti di decennio in decennio. È importante però scrivere questi contributi entro un progetto che viene sostenuto giorno dopo giorno, per ogni età. Le associazioni ecclesiali hanno grandi capacità di progettazione formativa. È una tradizione secolare e rinnovata quella dell’Azione Cattolica, che aiuta tutti a percorrere cammini di formazione con un progetto formativo globale e soprattutto a preparare educatori con un tirocinio severo di santità e di competenza educativa. Del resto la compilazione dei catechismi sono un esempio di come anche la chiesa nella sua responsabilità istituzionale sia costretta a dare all’esperienza di fede una coerenza non solo intellettuale, ma anche educativa.
    Le associazioni sono per natura educative, sanno scrivere con il linguaggio degli uomini ogni parola di fede e la traducono in percorsi progettuali. Rendono l’esperienza credente accessibile a tutte le età e a tutte le situazioni. Formano alla corresponsabilità e non solo alla collaborazione. Sono il cuore dello sforzo educativo di una comunità cristiana e per questo vanno sostenute e spinte ad osare anche di più nella qualificazione degli educatori e nella interazione con il territorio. Alle associazioni è consentito stabilire relazioni progettuali con il territorio con la scuola, con le università; possono dare vita a una costituente educativa che mette attorno un tavolo, o meglio a un ideale tutti coloro che danno contributi all’educazione delle giovani generazioni.
    Con questo impianto si possono affrontare tutte le sfide e valorizzare tutte le risorse della comunità cristiana e del territorio che gli Orientamenti Pastorali mettono in luce (cfr 44-51).
    L’oratorio è uno dei luoghi educativi che, intuendo il parallelismo che si approfondisce sempre più tra mondo giovanile e mondo adulto, si propone come ponte tra la strada e la chiesa, tra il virtuale e il reale, tra l’informale e l’istituzione, tra la domanda religiosa e la proposta di fede, tra la vita quotidiana e le scelte definitive. È crocevia di tutte le espressioni giovanili e l’annuncio della fede; intercetta tante progettualità, tante sofferenze e elabora .percorsi di crescita.

    6. Pietà popolare
    Il discorso della pietà popolare (cfr. n. 44) è molto ampio. Oggi occorre seguirla con percorsi di approfondimento. All’interno di questa prassi sono di grande aiuto le confraternite, se vengono aiutate a crescere nella fede, dentro la semplicità di una dedizione schietta, talvolta rozza, ma sempre piena di generosità e di fede. La confraternita è esperienza di fede perché: crea comunione nella dispersione, mostra coraggio nel qualunquismo, offre solidarietà nel menefreghismo, stabilisce mete nella confusione, fa carità mentre impera l’egoismo, rende vivi nelle tentazioni di morte, crea una rete sotto il trapezio della vita, si “accolla” i santi per portare a Dio, è fatta di pellegrini e non di turisti e randagi, offre un noviziato in un mondo di improvvisatori, porta un abito perché non si vergogna della fede, alza lo stendardo per dar gloria a Dio, sceglie un santo per seguirne la vita, ha casa nella chiesa per tenerla sempre aperta, si cerca confratelli e sconfigge ogni solitudine, fa processioni per allenarsi a quella definitiva verso il cielo.

    7. La vita consacrata
    È importante riportare alla sua essenza e specificità la presenza educatrice nella comunità ecclesiale della vita consacrata (cfr. n. 45), che tante volte è anche capace di creare fascino e progettualità. Hanno una forte valenza educativa, soprattutto per i giovani, i voti che caratterizzano la vita consacrata.
    - la povertà come risposta al problema dell'uso dei beni e del bene che ciascuno si sente di essere. Una domanda del Catechismo dei giovani 1 dice: devi discutere con i tuoi genitori perché non ti comperano ciò che vorresti o perché ti seppelliscono sotto un cumulo di beni superflui? Alla domanda ‘che cosa devo fare della mia vita?’ spesso dà più risposte un esempio di vita vissuta nella essenzialità che l'analisi di tanti fattori psicologici, tendenze affettive, qualità e sentimenti. Il fascino della essenzialità di S. Francesco ha aiutato non pochi giovani a decidersi nella vita.
    - l'obbedienza come affidamento a un progetto.
    In una età in cui è molto difficile decidersi, in cui si cerca sempre di spostare la decisione al classico ‘ci vediamo’, per non togliersi mai la terra da sotto ai piedi o chiudere la possibilità di tante altre scelte ugualmente plausibili, poter avere dialogo, dimestichezza, consuetudine con uno che ha il coraggio di affidare la sua vita a un progetto più grande, che vede in questo un piano che lo realizza, che ha già trovato un progetto definitivo per sé, è una forza eccezionale per decidersi.
    - la verginità e la castità come intuizione di ulteriore significato da attribuire alla sessualità
    Il modo di vivere la sessualità dei giovani d'oggi non è come quello degli adulti soprattutto riguardo all'atteggiamento di ricerca che in essa pongono. Non è un fatto scontato e nemmeno verso l'interpretazione più banale e volgare. I mass-media non fanno giustizia di questa novità, non sanno cogliere la voglia di autenticità che i ragazzi cercano e soprattutto la scoperta, anche entro esperienze discutibili, che fanno di una ulteriorità che la sessualità si porta dentro. Allora capita che si ritorna alla castità per orgoglio femminile o per paura dell'AIDS o per ecologia del corpo umano. La castità vissuta come dono d'amore e prospettiva del regno dei cieli ha da offrire molte motivazioni a un giovane libero nel cercare il senso della sua vita.

    8. Scuola e Università
    Diversi paragrafi degli Orientamenti sono dedicati alla scuola (cfr. n. 46-48) e all’università (n. 49). Chiedevo a una quinta liceo scientifico in un incontro informale durante l’ora di religione: ora che siete alla fine di un tragitto culturale che vi ha aiutato a usare la vostra razionalità in maniera determinante e che avete spaziato con la vostra intelligenza nei vari campi del sapere con metodo non solo informativo, avete acquisito possibilità di approfondire la vostra esperienza di fede oppure ne è stata oscurata? Purtroppo la risposta è stata l’oscuramento. Quindi vuol dire che una scuola che deve aiutare a liberare la persona per delle scelte più consapevoli, in pratica la irretisce entro modelli ideologici precostituiti. La responsabilità del corpo insegnante non è secondaria, ma anche la incapacità dei cristiani di allargare lo spazio della razionalità della fede ha le sue colpe. Papa Benedetto insiste continuamente nei discorsi che fa in questi anni alla chiesa italiana su questo fatto. Non si tratta di fare battaglie per dimostrare la fede, ma di curare la collocazione del credente entro un mondo culturale con dignità, senza pregiudizi e ideologismi e soprattutto cercare l’armonia profonda che non può non esistere tra scienza e fede. Questo esige che tra fede e cultura non ci sia quella distanza se non opposizione, che era tipica di qualche decennio fa, e che oggi resiste ancora in un positivismo non più giustificato scientificamente, ma soprattutto non più presentabile come la verità unica e assoluta.
    Inoltre la scuola sta rivelandosi per molti giovani come l’unico luogo in cui si parla di Dio, se ne ragiona, si possono affrontare domande religiose, perché la famiglia non è più attrezzata per dialogare su questi temi con i figli e la parrocchia è evitata da un buon 85% di giovani. L’ora di religione non può essere vista come esperienza missionaria, né tutto l’interesse di una comunità cristiana per la scuola può essere ridotto a questa presenza che ha la sua importanza, ma che è troppo limitata. L’azione pastorale aiuta il mondo dei docenti, dei genitori, dei progetti educativi, che nel rispetto della laicità dell’ambiente possono costituirsi come punti di riferimento o esperienze che aiutano i giovani a sviluppare tutti gli interessi della vita, compreso quello religioso.
    I giovani purtroppo crescono intellettualmente, ma lasciano la fede a livelli di conoscenza e di esperienza da infanzia, mentre nelle altre scienze si specializzano e si fanno sicuri.
    Ma ancora di più la scuola e l’università sono luogo di missione perché il vangelo deve poter essere un punto di riferimento per lo sviluppo etico della stessa scienza.
    Tutti questi discorsi, come possono essere approfonditi correttamente entro un discorso di laicità cui la scuola e l’università, generalmente, sempre si attengono? Che significa che la scuola e l’università sono laiche rispetto al mondo della fede? Che lo devono ignorare? Che devono minarne le basi razionali, che lo devono relegare a sfera privata? Che significa pastorale scolastica o universitaria? Quali sono le prospettive di missione oggi nel mondo della cultura colta?

    9. Spazi del tempo libero
    È molto importante che gli Orientamenti accennino anche al tempo libero (cfr. n. 50), come spazio di crescita e di maturazione. Spesso purtroppo è lasciato a se stesso o alle leggi dei profittatori. Si può intervenire su tutto, ma sul tempo libero c’è una sorta di autarchia e terra di nessuno. Così capita che genitori preparati e attenti all’educazione dei figli, comunità organizzate che offrono spazi di crescita buoni, scuole che fanno progetti di grande respiro si trovino dall’altra parte un mondo del tempo libero che in poco tempo distrugge ogni relazione educativa, ogni paziente costruzione di comportamenti buoni, ogni senso dei valori veri. Il tempo libero deve essere assolutamente un grande alleato dell’educazione e non una riserva di caccia per i furbi e i disonesti che sfruttano i giovani e distruggono in loro ogni senso morale con lo sballo ad ogni costo e spesso anche la stessa vita come ci capita di annotare tristemente negli incidenti stradali dei giovani.

    10. Mezzi di comunicazione
    Uno dei luoghi più determinanti oggi la vita delle persone è l’insieme dei mezzi di comunicazione (cfr. n. 51). “La comunità cristiana guarda con particolare attenzione al mondo della comunicazione come a una dimensione dotata di una rilevanza imponente per l’educazione”[7].
    La TV, la radio, Internet, i cellulari hanno cambiato radicalmente la vita di relazione. È in atto una mutazione antropologica, non soltanto una modernizzazione di alcuni strumenti del vivere. Non solo si velocizza tutto, ci si sente collegati con tutto il mondo sempre in diretta, ma ci si forma la personalità in maniera diversa, da una parte molto aperta, ma dall’altra molto più fragile. I figli in pratica non accedono più alla conoscenza del significato delle cose, della loro diversificata importanza attraverso i genitori, ma attraverso la TV, attraverso Internet. È come se si fossero introdotti nelle relazioni familiari dei nuovi soggetti che tolgono la parola ai genitori o la fanno sentire arretrata.
    Così è della capacità persuasiva oltre che utilmente informativa della televisione, della radio, dei giornali. Chi ne è proprietario sa di avere un potere non indifferente e lo usa per collocarsi e collocare la sua visione della vita oltre che la sua merce.
    A che condizioni è possibile educare, offrire spazi al vangelo, per dirsi nella vita degli uomini di oggi, in tutta questa nuova modalità di comunicare, di relazionarsi e di vivere? La sfida non è piccola; oggi non siamo all’anno zero, perché i cristiani hanno sempre usato tutto quello che la tecnica e la scienza hanno inventato per la promozione della vita umana. Se promuove l’uomo allora può far crescere anche il cristiano. Il tipo di approfondimento da fare a questo riguardo è almeno duplice:
    Aiutare le persone, i giovani soprattutto, a usare i massmedia, senza lasciarsi sopraffare. L’istanza critica, l’autocontrollo, la necessaria verifica con altre persone o con l’esperienza ecclesiale, vanno sempre fatte crescere e aggiornate ai nuovi mezzi di comunicazione per avere cristiani che sanno difendersi e non perdono i sani riferimenti della loro vita.
    Mettere in circolo con i massmedia la nostra proposta di vita cristiana, il vangelo. L’impresa è ardua, ma oggi è ancor di più necessaria, sia perché molti massmedia sono contrari alla religione, altri la strumentalizzano all’audience, e pochi stimano la fede come fatto serio; sia perché è un impegno intrinseco al cristianesimo quello di essere proclamato, proprio perché è vangelo, comunicazione della buona novella
    La produzione anche in questo caso è tanta ed è necessario acquisire professionalità e grande carica di fede. Molti nostri modi di usare i massmedia al riguardo sono o riduttivi o assolutisti, o fanno il verso dell’audience o lo usano solo strumentalmente senza entrare nello spirito della comunicazione.

    Agenda pastorale per il decennio

    Il capitolo si propone di definire in convergenza con le altre chiese l’attuazione delle indicazioni. Propone di iniziare con una analisi delle risorse, privilegiare l’iniziazione cristiana come banco di prova di tutto il sistema educativo della comunità cristiana e scandire nella integralità della educazione gli ambiti del convegno di Verona. Sono solo indicazioni che vanno approfondite, ma che trovano in tutti l’esigenza di libertà nella programmazione per interpretare la situazione concreta delle persone che sono affidate alla cura educativa delle varie espressioni della chiesa. Una buona idea è quella di impostare la stessa iniziazione cristiana sui 5 ambiti della vita del cristiano come emersi dal convegno di Verona, così da toglierla dalla pura preoccupazione catechistica.

    Appendice

    La difficoltà che spesso trova un responsabile della formazione, educatore, animatore o responsabile di associazione è quella di dover tenere conto nell’esercizio del suo compito educativo di tutta una serie di sollecitazioni che vengono proposte da varie parti: il papa, con le encicliche, o più immediatamente talvolta, con la proclamazione di un anno speciale, come è stato quello paolino o quello sacerdotale, i vescovi italiani con gli orientamenti, il vescovo diocesano che pure offre una lettera o programma pastorale, il parroco che spesso organizza la vita parrocchiale secondo alcune urgenze o progettualità (missioni al popolo, anniversari…), infine l’associazione o la congregazione con il suo programma pluriennale, i testi per la vita di gruppo. Troppa grazia, ci verrebbe da dire. Come si fa a seguire tutto e bene? Qualcuno risolve il problema con molta autonomia, facendo quello che ha sempre fatto: lasciando perdere tutto e vivendo di routine: lo fa il parroco, che nella parrocchia è papa, re e profeta; lo fa il laico che continua con le sue devozioni e forse tende l’orecchio a qualche avviso domenicale, ma non molto di più; lo fa l’educatore che si attiene a un qualche sussidio e lascia fare ai responsabili nazionali, che sono sempre molto bravi e inseriscono nei testi delle belle citazioni e aiutano a sminuzzare gli orientamenti anno dopo anno.
    Così capita che la parrocchia resta sempre al palo e non fa un cammino di crescita, che il laico autocentrato rimanga presto senza ragioni per credere e l’educatore scambi per didattica gli orientamenti pastorali, non metta al servizio del progetto pastorale la sua creatività e non cresca interiormente.
    Credo che il compito dei responsabili nazionali sia di aiutare a fare sintesi, cioè a far capire che non si devono confondere o mettere sullo stesso piano gli argomenti da trattare, il progetto formativo e il progetto pastorale. Possono stare benissimo assieme, anzi il vero modo di calare nella concretezza gli orientamenti pastorali, non è solo e soprattutto di fare una serie di relazioni per conoscerli, ma di incarnarli nelle scelte necessarie del progetto formativo È chiaro che ogni educatore deve essere messo in grado di conoscerne i contenuti, ma in seguito deve essere aiutato a trasporne la globalità nella sua funzione di educatore, come fa il prete nel suo lavoro di direzione spirituale, di presidente della comunione ecclesiale, di collegamento con la vita pastorale della chiesa diocesana. Un educatore che segue l’età evolutiva dovrà sempre trattare di affettività, di sessualità, di crescita nell’amore, di apertura agli altri, di innamoramento di Gesù… Non è che per 10 anni, siccome si devono affrontare le tematiche degli orientamenti pastorali, si debba cessare di far crescere o di dare identità associativa. Ogni educatore deve sempre offrire ai ragazzi che significa seguire la spiritualità salesiana e come questa venga aggiornata dagli orientamenti pastorali. Dice infatti Mons. Crociata, segretario della Conferenza Episcopale Italiana:
    “Gli orientamenti pastorali rappresentano uno strumento pastorale, un quadro ermeneutico, una cornice di compatibilità dei percorsi che le singole Chiese sono chiamate a percorrere per rispondere alla identità e alla missione proprie di ciascuna. L’identità inconfondibile di ogni singola comunità diocesana richiede che il suo cammino pastorale non ignori e nemmeno ripeta pedissequamente – ammessa la praticabilità concreta – le indicazioni del documento della Conferenza. Se ignorasse tali indicazioni, mostrerebbe una dissociazione tra il livello della Conferenza nazionale e quello della Chiesa locale; se le ripetesse senza alcun adattamento, rivelerebbe un mancato discernimento della situazione specifica e l’assenza di una iniziativa propria; nell’uno e nell’altro caso a soffrirne sarebbe la comunione, ma poi anche la vita della Chiesa”.


    NOTE

    [1] Benedetto XVI, Discorso alla 61a Assemblea Generale della CEI, 27 maggio 2010.
    [2] Cfr testo dell’editrice Ave Educare un impegno di tutti
    [3] Conferenza Episcopale Italiana, Educare alla vita buona del Vangelo, op.cit, n. 37.
    [4] Ibi, n. 40. Cfr. anche n. 37.
    [5] Ibi, n. 41.
    [6] Ibi, n. 43.
    [7] Ibi, n. 51.


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