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    Protagonisti della propria formazione (libro "Scommettiamo nell'educazione)


    CSPG, Scommettiamo nell'educazione, Elledici 1988

     

    Protagonisti della propria formazione
    Redazione NPG
    (pp. 105-116)

    «Non c'è dubbio che il fatto culturale primo e fondamentale è l'uomo spiritualmente maturo, cioè l'uomo pienamente educato, l'uomo capace di educare se stesso e di educare gli altri» - ricordava Giovanni Paolo II, nel 1982, ai membri dell'Unesco, aggiungendo che «il compito primario ed essenziale della cultura in generale e anche di ogni cultura è l'educazione».
    La centralità dell'esperienza formativa non solo traduce il senso di responsabilità per l'umanizzazione integrale che anima la Chiesa, ma esprime anche lo scopo primario del sistema educativo di don Bosco.
    Su questa centralità dell'esperienza formativa convergono anche i giovani, per i quali tale esperienza è decisiva in vista della capacità di dare significato personale alla vita.
    Ed è come risposta alla domanda: «quale spazio hanno i giovani nella loro formazione», che vogliamo parlare di protagonismo educativo.
    Don Bosco ha voluto sempre che i giovani non solo si sentissero a casa loro, ma fossero veri protagonisti della loro formazione. Non era un protagonismo di comodo. Esso era la sintesi di un originale processo formativo, a cui lui stesso ha dato un nome: «sistema preventivo».
    Parlare di protagonismo educativo è oggi riscoprire il sistema preventivo e attualizzarlo. Altrimenti anche il protagonismo accresce il disagio dei giovani.
    Ecco allora l'interrogativo: come attualizzare, nel concreto degli ambienti educativi, le grandi intuizioni del sistema preventivo, come l'ha vissuto don Bosco e come l'hanno arricchito gli educatori nel tempo? Non si può ripetere il passato, ma neppure lasciarlo morire. Occorre ripensarlo e riformularlo. Un'impresa in cui ognuno, adulto e giovane, è chiamato a portare la sua «esperienza», a condividere il fascino dell'esperienza formativa in cui si è immersi.
    I passi da compiere sono dunque i seguenti:
    - abilitare educatori e giovani a sentirsi responsabili di un grande patrimonio educativo, quello del sistema preventivo. Occorre sentirlo questo come un compito affascinante: da riscoprirlo e trasmetterlo;
    - abilitare i giovani a sentirsi non destinatari ma soggetti della loro formazione e di quella degli altri giovani e dei loro formatori, genitori e educatori. Non si comprende lo spirito di don Bosco se non nel momento in cui si decide di fare gli educatori, di entrare in contatto con tutti da educatori;
    - dare vita o rinnovare gli ambienti educativi è un compito complesso. Verso dove andare, in modo che il protagonismo non sia una parola vuota? Occorre dunque abilitare a lavorare insieme, adulti e giovani, per rintracciare le strade e le strategie per «trasformare» gli ambienti educativi. Solo cosí rivive il sistema preventivo.

    I GIOVANI E LA LORO FORMAZIONE OGGI

    Un primo nodo cruciale su cui riflettere è intravedibile attorno ai processi che presiedono alla formazione dei giovani. Gran parte del loro futuro si gioca attorno alle modalità con cui vivono, nel giro di pochi anni, tali processi.
    Diventa importante, anzitutto, cogliere alcuni «problemi», che i giovani, magari in modo inconsapevole, soffrono rispetto alla loro formazione.
    La formazione della persona, che implica la collaborazione attiva fra potenzialità del soggetto e «aiuto» dell'ambiente circostante, è la risultante di due grandi processi:
    - il processo di «socializzazione» (diretto nella scuola e nella famiglia; indiretto attraverso i mass-media e la vita quotidiana): le generazioni passate tendono a trasmettere e di fatto trasmettono ai giovani valori, norme e modelli di vita; ai giovani tocca apprenderli e interiorizzarli;
    - il processo di «educazione»: attività intenzionale e metodica tesa, da una parte, a «verificare» se la socializzazione è avvenuta in modo positivo (completo e critico) e, dall'altra, ad abilitare i giovani a riconoscere e dare personalmente un significato alla vita e a celebrare nuovi modelli di vita.

    Il volto della crisi della formazione

    Ora da più parti viene denunciata una crisi sia nel processo di socializzazione-trasmissione che in quello educativo-rielaborativo.
    A titolo esemplificativo accenniamo ai seguenti «fatti»:
    - a livello di «socializzazione» si riscontra: l'ignoranza della «cultura umana», la riduzione della socializzazione ad addestramento tecnologico, la mancanza di un modello di vita, l'incapacità di avere una scala di valori socialmente legittimata... (esiste comunque una diversità tra giovani iposocializzati e giovani ipersocializzati);
    - a livello di «educazione» si riscontra: difficoltà a dare un senso alle azioni quotidiane, crisi di una «visione» personale della vita, caduta nei grandi miti sociali del consumismo e individualismo, incoerenza tra tratti della propria personalità, scollamento tra valori e comportamenti...
    Una volta delineata la crisi, si possono anche individuare alcuni fattori che la rendono possibile e la producono in una società complessa e postindustriale.
    Ancora a titolo esemplificativo:
    - la crisi di comunicazione tra generazioni e la mancanza di un «vissuto comune» che faciliti lo scambio di contenuti culturali;
    - la sclerotizzazione delle istituzioni, incapaci di rinnovarsi alla luce delle nuove domande: si pensi alla famiglia e alla scuola, ma anche ai costumi e tradizioni, ai modelli di vita incapaci di evolversi fedeli ai valori e alle nuove domande;
    - il proliferare contraddittorio di messaggi nella società complessa;
    - l'avanzare di una cultura tecnico-scientifica che emargina la cultura umanistica, così come è stata vissuta ed elaborata nelle varie regioni;
    - la fine delle grandi narrazioni culturali e religiose in cui tutti, al di là delle diverse sub-culture, si potevano riconoscere come in un «patrimonio comune»;
    - la mancanza di spazi e tempi in cui decantare e rielaborare i messaggi per arrivare a scelte «personalizzate».

    Gli esiti della crisi tra i giovani

    Se la formazione oggi è dunque in crisi, si possono facilmente ipotizzare esiti di crisi anche per i giovani stessi. Si possono qui applicare categorie usate per altri contesti, là dove si è parlato di fenomeni di iposocializzazione e di ipersocializzazione.
    In altri termini, si può ipotizzare una carenza dei processi formativi che produce - da un punto di vista sociale e culturale - una specie di «nuova barbarie», traducibile sostanzialmente in un rifiuto o presa di distanza dai valori della cultura sociale di appartenenza.
    E, all'estremo opposto del «continuo», una dipendenza esasperata dai modelli di vita del passato, con spiccate forme di integrismo e di incapacità di leggere i nuovi bisogni e di trovarvi risposte nuove e adeguate.
    All'interno di questo continuo, di cui abbiamo ipotizzato gli opposti, vi è tutta una gamma di posizioni intermedie, non solo ipotetiche, come ogni educatore può avvertire. Invitiamo a «dare il nome» a queste forme, per individuare i punti di innesto per il raccordo tra la domanda educativa e la proposta.
    E invitiamo soprattutto a individuare quei denominatori comuni che denunciano la crisi della formazione, e in particolare della capacità di dare un significato alla vita che sia insieme «personale» e radicato nella cultura.

    RIPENSARE IL SISTEMA PREVENTIVO PER «INVENTARE» LA FORMAZIONE OGGI

    Cosa ha da offrire la proposta educativa che si rifà al sistema preventivo di don Bosco rispetto alle attuali problematiche formative?
    Essa non ha una risposta prefabbricata o una qualche ricetta immediata. Tuttavia essa è convinta di possedere alcune intuizioni di estrema attualità oggi.
    Il sistema preventivo è un nucleo di intuizioni capaci di «generare» nuove riflessioni e proposte educative. Esso è capace di incarnarsi in nuovi ambienti e situazioni, riformularsi in nuovi linguaggi e gesti. Anche oggi non si può limitarsi a studiare il passato del sistema preventivo: occorre attualizzarlo in modo creativo.
    Proviamo a rileggere (a «reinterpretare») il sistema preventivo da quest'ottica. Non ci poniamo dunque in «situazione esegetica» o critico-interpretativa. Ma, tenendo presenti i dati della formazione oggi come problema, come sfide, interroghiamo il patrimonio educativo consegnatoci nella memoria perché interagisca con i problemi odierni. Quali intuizioni di fondo dunque possono essere riprese e ridette circa i problemi della formazione oggi?
    Pensiamo che sono fondamentalmente da riprendere alcune intuizioni sul criterio della preventività, sulla corretta coniugazione ragione-religione, sul metodo e sull'ambiente educativo.

    Un'ispirazione unitaria: il criterio preventivo

    Don Bosco non ha creato un sistema teorico, ma una riflessione su una prassi, alla ricerca della sua fonte ispiratrice e orientatrice nell'operare quotidiano.
    Il suo è un «sistema», cioè un insieme unitario e coerente di contenuti da trasmettere, vitalmente connessi, ed una serie di procedimenti per comuni-carli ( = metodo pedagogico).
    «Preventivo» significa:
    - anticipare il prevalere di situazioni o abitudini negative in senso materiale e spirituale: non dunque pedagogia di recupero, ma direzione delle risorse della persona sana verso una vita onesta;
    - sviluppare le forze interiori che danno al giovane la capacità autonoma di liberarsi «dalla rovina», dal disonore;
    - creare una situazione generale positiva (famiglia, istruzione, amici) che stimoli, sostenga, sviluppi la comprensione, dia il gusto del bene: «far amare la virtù, mostrare la bellezza della religione»;
    - vigilare e assistere: essere presenti per evitare tutto quello che potrebbe avere risonanze negative definitive o che potrebbe guastare il rapporto educativo;
    - liberare dalle occasioni che superano le forze normali dei giovani, senza per questo rinchiuderli in un ambiente superprotetto; non mettere alla prova del male, ma impegnare le forze già risvegliate in esperienze positive.

    Tra ragione e religione

    Due grandi punti di riferimento sostengono il criterio preventivo: l'appello alla forza della ragione e l'appello alla forza della fede.
    I due punti di riferimento si integrano profondamente per don Bosco sia nel delineare gli «obiettivi» educativi, sia nel delineare lo stesso «metodo».
    L'obiettivo del suo programma è espresso in formule semplici: «buon cristiano e onesto cittadino»; «salute, sapienza, santità»; «bene dell'umanità e della religione»; «diventare la consolazione dei parenti, l'onore della patria, buoni cittadini in terra per essere poi un giorno fortunati abitdríti del cielo».
    Ragione e religione contribuiscono così a delineare un volto d'uomo e credente profondamente unitario. Crescita umana e crescita religiosa convergono. I due aspetti non sono sovrapposti, ma si permeano e si sostengono a vicenda.
    La «ragione» è piena di motivi che provengono dalla fede, per cui il senso del dovere è religioso, la socialità affonda le sue radici nel «comandamento» dell'amore.
    Viceversa la «religione» è ragionevole e richiede la comprensione delle verità che si propongono, l'applicazione alla vita concreta per umanizzarla e spinge verso impegni storici valutabili.
    Tuttavia, secondo don Bosco, nell'integrità c'è un «primum» in importanza: il «cuore religioso» della persona. L'uomo ben formato è quello che colloca al vertice del sapere la conoscenza di Dio, e al vertice del proprio progetto la «salvezza eterna».
    Da questa intima unione fra religione e fede, si possono trarre oggi tre preziose indicazioni:
    - tutte le attività e proposte educative e culturali che si rifanno alla «ragione» come istanza umanistica hanno pure un' «intenzione evangelizzatrice». Quando il vangelo non è proposto esplicitamente, la vita e gli atteggiamenti degli educatori lo manifestano e lo offrono ai giovani;
    - vangelo e cultura umana vanno fatti interagire profondamente. Si tratta di far vedere come le grandi aspirazioni individuali e sociali trovino nel vangelo una risposta adeguata e una proposta che rimanda ancor più in là della richiesta;
    - l'itinerario religioso può prendere avvio da interessi culturali. Ciò significa un'opera di liberazione e stimolazione di domande sul senso e sulla religiosità, fino ad aprirsi a Cristo.
    Ma la crescita culturale non è mai asservita alla crescita di fede. Anzi, la stessa fede è vista come forza potente di umanizzazione individuale e collettiva.

    Il principio del metodo: l'amorevolezza

    L'amorevolezza è una realtà complessa.
    Il suo fondamento e sorgente è la carità che ci è stata comunicata da Dio e per cui l'educatore ama i giovani con lo stesso amore con cui il Signore li ama. Essa è vicinanza gradevole, affetto dimostrato sensibilmente attraverso gesti comprensibili che sciolgono la confidenza e creano il rapporto educativo. Questo infonde sicurezza interiore, suggerisce ideali, sostiene lo sforzo di superamento e di liberazione. È una carità pedagogica, che plasma la persona e viene percepita dal ragazzo come aiuto alla propria crescita.
    L'amorevolezza ha «due manifestazioni» tipiche: «l'amicizia» e la «paternità».
    L'amicizia occupa un posto rilevante nella riflessione pedagogica salesiana. Essa fa vedere la concezione eminentemente affettiva dell'educazione salesiana. «L'educazione è cosa del cuore e tutto il lavoro parte da qui; e se il cuore non c'è, il lavoro è difficile e l'esito incerto».
    Amicizia dice familiarità, confidenza, assistenza: «Qui con voi mi sento bene». È allo stesso tempo «presenza fisica» là dove i ragazzi si trovano, interscambiano e progettano, per stimolare e risvegliare.
    Il doppio aspetto della preventività protegge da esperienze negative precoci e sviluppa le potenzialità attraverso proposte positive.
    L'amorevolezza ha un'altra manifestazione: la paternità. È più dell'amicizia. È responsabilità affettuosa e amorevole che dà guida e integramento vitale ed esige disciplina e impegno. È amore e autorità.
    Amicizia e paternità creano il «clima di famiglia», dove i valori diventano comprensibili e le esigenze accettabili.

    Un ambiente «oratoriano» dove i giovani sono attivi e protagonisti

    L'amorevolezza sotto forma di attenzione e di «condivisione», di amicizia equilibrata, di prevenzione affettuosa e di paternità preoccupata del futuro, si concretizza in una serie sistematica di interventi.
    Il primo è la creazione di un ambiente educativo «oratoriano», cioè festoso e attivo, ricco di umanità, che è già espressione e veicolo di valori. Don Bosco annuncia a riguardo una sua teoria: «L'essere in molti insieme serve molto a fare questo miele di allegrezza, studio e pietà. È questo il vantaggio che reca a voi il trovarsi all'oratorio: accresce l'allegria, serve d'incoraggiamento, stimola nel vedere il profitto degli altri».
    Il secondo intervento è il gruppo. Il grande ambiente, per rispondere a interessi e. bisogni diversi, si articola in unità minori, dove sono maggiormente possibili la partecipazione, il riconoscimento della originalità della persona e la valorizzazione dei suoi contributi. Sono gruppi aperti al maggior numero possibile di giovani, con una finalità educativa, dove si fa molta attenzione alla personalizzazione dei rapporti.
    Il terzo intervento è il rapporto personale che è amorevolezza verso il singolo. Don Bosco dà importanza all'incontro a tu per tu. L'incontro è segnato sempre da assoluta stima e affetto, dalla crescita di sintonia e dialogo, dall'intensità dei sentimenti.

    INVITO E AIUTO AL PROTAGONISMO EDUCATIVO DEI GIOVANI

    Alla luce dei problemi elencati in precedenza circa la «crisi» dei processi di formazione, sia nel versante «trasmissivo» che «rielaborativo», e alla luce delle principali intuizioni del sistema preventivo, si può chiedersi cosa propone (cosa è chiamata a proporre) la formazione oggi.
    In sintesi: la scelta oggi è invitare e aiutare i giovani a diventare protagonisti, sempre più consapevoli e responsabili, dei loro processi formativi.
    Vediamo alcune direzioni di ripensamento formativo per rendere concrete le scelte:
    - immersione critica e attiva nella cultura;
    - l'esperienza di un «ambiente oratoriano» in cui essere protagonisti; - l'invito ad una relazione educativa;
    - la scommessa sul gruppo e sulle sue energie formative.

    Immersione critica e attiva nella cultura

    La cultura è espressione della ragione e la fede è sempre vissuta all'interno di una cultura. Per don Bosco non può esserci crescita umana senza crescita insieme di fede.
    La cultura umana è vista in termini positivi, alla luce di una fiducia che trova la sua ragione ultima nella fede evangelica.
    Valore della cultura dice, anzitutto, attenzione per una socializzazione consapevole e critica, per «radicarsi» in quanto l'umanità ha elaborato. Non c'è identità personale senza radicamento nella cultura.
    Valore della cultura dice, in un secondo luogo, attenzione per una educazione che ripensi, arricchisca, rielabori creativamente «la cultura già fatta» in vista della «cultura da fare».
    Da quanto detto appare chiaramente che non intendiamo qui la cultura in senso ristretto, come un insieme di conoscenza «da sapere» (conservare, trasmettere...). Si è ormai maturata la consapevolezza che la formazione deve riguardare non solo i processi cognitivi, ma anche quelli affettivi e di socializzazione. Formare vuol dire, allora, abilitare il giovane a vivere in modo più autentico il rapporto con se stesso, con gli altri, con l'ambiente sociale e naturale in genere, oltre naturalmente a fargli acquisire nuove informazioni e capacità operazionali. Formare vuol dire quindi anche intervenire nel modo di rapportarsi ai sistemi più grandi (sociali, economici, politici) e apprendere un'azione collettiva di trasformazione della realtà in cui si vive.
    Prendere sul serio il valore della cultura vuol dire dunque non restringere il concetto di formazione al puro apprendimento.

    Tre grandi «filtri» nella comunicazione con la cultura

    Il sistema preventivo fa appello alla ragione per abilitare i giovani a fare propri alcuni «filtri» e cosí comunicare con i dati della cultura.
    - primo filtro: la criticità: nessun messaggio va assunto per l'autorità che lo propone o per il mezzo che lo trasmette o per il fascino che emana, ma va sottoposto ad un attento giudizio della ragione;
    - secondo filtro: la significatività: ogni messaggio va accettato attraverso un confronto appassionato tra le domande profonde e il contenutoautentico che propone;
    - terzo filtro: la responsabilità progettuale: ogni messaggio va utilizzato in quanto appello ad un progetto personale, di cui si è responsabili, capace di produrre un cambiamento, per quel che è possibile qui-ora.

    La fede «ispira» e «orienta» l'apprendimento culturale

    Il sistema preventivo riconosce l'autonomia della ragione dalla fede, ma anche il loro reciproco «arricchirsi».
    Oggi si percorrono due strade insoddisfacenti:
    - la strada della separazione e ignoranza fra fede e cultura;
    - la strada della dipendenza della cultura dalla fede, in modo che la fede finisce per non riconoscere l'importanza della cultura.
    Alla luce del sistema preventivo si può dire che l'essere cristiani «spinge» ad amare la cultura, a immergersi in essa per inventare nuove forme di vita. In vista di questo lavoro essa offre «criteri ispiratori» e valori orientativi, ma rispetta l'autonomia della ragione.
    Non si può non notare come questa impostazione del problema porta essenzialmente al rispetto della autonomia della cultura, alla valorizzazione della laicità.
    L'esperienza di un «ambiente oratoriano» in cui essere protagonisti
    Il gesto sconvolgente del sistema preventivo è la sua offerta gratuita ai giovani, anche i più disperati, a sentirsi a casa propria negli ambienti educativi e diventarne protagonisti.
    Da parte di non pochi giovani sembra esserci il rifiuto del protagonismo. Sembrano orientarsi alla irrazionalità distruttiva oppure all'adattamento passivo: anche negli ambienti educativi possono verificarsi tali scelte negative.
    Come intendere oggi, invece, il «protagonismo educativo»?
    Esso richiede, anzitutto, la plasmabilità dell'ambiente, che non solo si fa capace di accogliere «nuove domande», ma anche di ristrutturarsi, senza rinunciare ai suoi valori di fondo e alla sua storia. Ne nasce un incontro creativo tra nuovo e tradizione, tra domande e proposte. Solo in questo «incrocio» ha senso parlare di protagonismo educativo.
    Il protagonismo dice partecipazione alle «decisioni» che regolano la vita dell'ambiente. Nulla viene deciso senza che i giovani partecipino alla elaborazione delle decisioni e dei progetti.
    Il protagonismo si realizza, concretamente, nell'affidare (secondo le forze di ognuno) ai giovani l'organizzazione delle iniziative e dunque la traduzione creativa dei progetti, perché facciano esperienza e considerino l'ambiente un «piccolo laboratorio» (dove è possibile «controllare» gli eventi, sbagliare senza paura) in cui esercitarsi al protagonismo sociale ed ecclesiale.

    L'invito ad una relazione educativa accogliente e trasformante

    L'amorevolezza del sistema preventivo si traduce nella appassionata ricerca di un rapporto educativo fra adulti e giovani, segnato dall'amicizia e dalla paternità.
    Come delineare questo rapporto educativo?
    Oggi la relazione educativa fra adulti e giovani è segnata da paure e diffidenze.
    Hanno paura gli educatori: paura di non avere niente da dire, paura di essere assaliti dai giovani o ignorati da loro, paura dell'insuccesso e degli errori...
    Anche il giovane di fronte all'educatore conosce delle paure: paura di essere soffocato o manipolato dall'adulto, paura del «prezzo» che richiede stare davanti all'adulto e «impegnarsi», paura del suo giudizio malevolo o acido...
    Le paure spingono gli uni e gli altri a mettersi delle «maschere» ogni volta che ci si rapporta tra adulti e giovani, in modo da non rivelare le proprie intenzioni e paure. Al di sotto delle paure e delle maschere, o nascoste proprio in loro, è possibile individuare una domanda di rapporto, di relazione con la figura dell'adulto, di relazione appunto educativa.
    Questa è, in sintesi, una relazione in cui tutti sono considerati educatori. Anche i giovani sono educatori dei loro coetanei e dei loro formatori. «Nessuno educa nessuno. Nessuno educa se stesso. Ci si educa tutti insieme».
    Si possono indicare alcune «condizioni» che permettono di vivere una corretta relazione educativa.
    Una relazione educativa segnata, anzitutto, da una profonda empatia reciproca che porta adulti e giovani a trovare stimolante «stare insieme», in «presenza» gli uni degli altri. Ci si accoglie reciprocamente.
    Mentre si comunica in modo empatico con gli altri, si è attenti a riconoscere la loro originalità e diversità. Si condivide che è decisivo che ognuno rimanga se stesso, non venga plagiato o sopraffatto. Non si vuole mai ridurre gli altri a se stessi, ma aiutare a sviluppare le loro potenzialità originali.
    Ci si sente a servizio dell'altro, perché diventi quello a cui è chiamato. Per fare questo, ognuno accetta positivamente di aprirsi alla comunicazione con l'altro. Amorevolezza è disponibilità, interesse, decisione di comunicare con l'altro nella sua diversità.
    Ma c'è da aggiungere che c'è relazione educativa solo quando ci si lascia provocare da ciò che è l'altro, dai valori che vive, dai contenuti culturali e religiosi che propone, al punto di riflettere seriamente su quanto si apprende da lui e si lavora per ristrutturare, trasformare la propria persona. Si matura allora un nuovo «progetto», a livello di idee, valori, modi di fare, atteggiamenti.

    La scommessa sul gruppo e sulle sue energie formative

    L'essere educatori e protagonisti per molti aspetti viene giocato nel «fare gruppo». Non si comprende il sistema preventivo se i giovani non sono orientati a vivere nell'arco dell'adolescenza una «esperienza di gruppo».
    Fare gruppo non è facile per i giovani di una società differenziata, per molti versi esaltante l'individualismo.
    Ci sono sintomi di desiderio:
    - bisogno di fusione e inclusione, anche per reagire all'anonimato sociale;
    - bisogno di riconoscimento e affetto, spesso sottratto in ambienti come la famiglia e la scuola;
    - bisogno di consolidamento ed espressione delle proprie potenzialità, facilmente manipolate dalla pressione sociale al conformismo... Non mancano neppure le paure e le diffidenze:
    - la paura di compromettersi e del «prezzo» necessario da pagare per stare insieme;
    - la paura di essere assorbiti e annullati, fino a perdere la propria autonomia;
    - la sensazione che mettersi insieme per «fare qualcosa» è inutile e frustrante...
    Nonostante le paure, le diffidenze, le difficoltà, rifarsi al sistema preventivo come «modo di educazione» vuol dire credere e sostenere l'esperienza di gruppo come luogo educativo privilegiato e luogo dove non a parole si attua il protagonismo educativo dei giovani stessi.
    Non basta difatti la relazione con l'adulto per creare la situazione educativa: l'esperienza di gruppo, attraverso le relazioni faccia a faccia, permette un'esperienza dell'altro profonda e autentica, aprendo alla comprensione e alla solidarietà (e a una miglior comprensione pure di se stessi); ed è anche luogo privilegiato di scambio tra individuo e cultura attraverso la graduale e progressiva creazione di aree di condivisione intersoggettive. All'interno del gruppo così si avvia quel processo di riunificazione dei frammenti di significato e di ricomprensione del senso globale, via per l'apertura al senso trascendente. Ecco perché il gruppo è luogo educativo fin dalla sua nascita: il desiderio di relazione con l'adulto e con i coetanei sottende una domanda di vita che include, almeno implicitamente, anche una ricerca religiosa. Eppure il gruppo ha da maturare, crescere, evolversi, perché solo in questo modo sprigiona la sua forza educativa.
    Si aprono qui varie direzioni di ricerca che indichiamo come conclusione: quali sono le grandi tappe evolutive del gruppo giovanile in funzione formativa? Quale ne potrebbe essere lo sbocco, quali esperienze e mezzi avvicinano maggiormente all'obiettivo?


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