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    Educare

    in tempo di crisi:

    non solo sfida

    ma opportunità

    Rachele Lanfranchi

     

    Credo che nessuno metta in dubbio che siamo in tempo di crisi.
    La crisi economico-finanziaria, che ha investito il mondo intero e che è tuttora in corso, è quella continuamente ricordata e amplificata dai media quasi fosse l'unica o quella fondamentale.

    Crisi economico-finanziaria

    Alla crisi economico-finanziaria hanno fatto e fanno riferimento in molti. Anche Benedetto xvi nella sua ultima enciclica Caritas in veritate, accennando allo sviluppo auspicato da Paolo vi nella Populorum progressio, si domanda quanto le aspettative di quell'enciclica siano state soddisfatte dal modello di sviluppo che è stato adottato negli ultimi decenni. Inoltre, pur riconoscendo che c'è stato uno sviluppo che ha dato la possibilità a molti Paesi di diventare attori efficaci della politica internazionale, aggiunge: «Va tuttavia riconosciuto che lo stesso sviluppo economico è stato e continua ad essere gravato da distorsioni e drammatici problemi, messi ancora più in risalto dall'attuale situazione di crisi. Essa ci pone improrogabilmente di fronte a scelte che riguardano sempre più il destino stesso dell'uomo, il quale peraltro non può prescindere dalla sua natura. [...] La crisi ci obbliga a riprogettare il nostro cammino, a darci nuove regole e a trovare nuove forme di impegno, a puntare sulle esperienze positive e a rigettare quelle negative. La crisi diventa così occasione di discernimento e di nuova progettualità. In questa chiave, fiduciosa piuttosto che rassegnata, conviene affrontare le difficoltà del momento presente» [1].
    L'Enciclica, che porta la data del 29 giugno 2009, è stata resa pubblica il 7 luglio con la Presentazione nella Sala Stampa della Santa Sede. Prima di tale data il Papa con Lettera del 1° luglio inviata al Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, in occasione del G8 esprime preoccupazione per la situazione economico-finanziaria, ma al tempo stesso fiducia nella capacità di «promuovere, in maniera efficace, uno sviluppo umano integrale, ispirato ai valori della solidarietà umana e della carità nella verità» [2].
    Anche il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il 9 luglio a L'Aquila in occasione del pranzo ufficiale in onore dei Capi di Stato dei Paesi del G8 e dei Capi di Stato e di Governo dei Paesi ospiti e dei Vertici delle Organizzazioni Internazionali accenna alla crisi e dice: «Noi sentiamo che oggi siamo chiamati a fronteggiare insieme un momento di gravi difficoltà per le nostre economie e le nostre società e a cogliere una decisiva occasione di cambiamento nella visione e nel governo del mondo» [3].
    La crisi economico-finanziaria, sempre all'ordine del giorno nei media, rischia di far dimenticare o mettere in ombra altre crisi, come quella educativa collegata alla crisi d'identità personale e culturale.

    Crisi educativa

    In una società dai ritmi sempre più rapidi, tali da non permette una positiva sedimentazione del pensiero, delle esperienze, dei sentimenti, delle emozioni; in una società dalla tendenza dominante a puntare su carriera, successo, profitto, immagine c'è il rischio di venir depauperati in umanità. "Siamo andati così avanti negli ultimi anni, dice Michael Ende, che ora dobbiamo fermarci un attimo. Dobbiamo permettere alle nostre anime di raggiungerci".
    Non sono fuori luogo le annotazioni o riflessioni di Umberto Broccoli, nella trasmissione Con parole mie di Radio 1 del 30 giugno di quest'anno: «Il tempo ... Noi oggi abbiamo compresso il tempo, lo abbiamo reso veloce. Saltiamo da un impegno all'altro, da un paese all'altro, da una situazione all'altra. Non abbiamo tregua. La tecnologia corre spedita in quella direzione. Comunicazioni sempre più affrettate, dialoghi sempre più veloci, fretta sempre più affrettata. Il tempo vola, la giornata vola, gli anni volano, tutto vola via. E ce ne rallegriamo, ce ne facciamo un vanto. Esibiamo appuntamenti strozzati: "Oh, oggi non ho nemmeno un minuto per far colazione, oggi non ho tempo per mangiare ..." Nessuno ha più tempo. E questo vivere di corsa uccide i colori. Questo vivere di corsa t'illude: t'illude di essere efficace, capace, efficiente; sei solo un deficiente in senso stretto: una persona a cui manca qualcosa, una persona a cui manca la capacità di riflettere utilizzando ogni secondo, non sprecando quel tempo, non gettandolo via. Una persona deficiente, cui manca la saggezza di non correre dietro ai tempi fissati da altri, fissati dal mondo. Una persona deficiente, cui manca la serenità di gustare la noia, magari dopo una giornata intensa e affrettata, la noia annoiata di una passeggiata senza meta e senza orario riempiendo quei momenti di nulla o di parole lanciate verso il tuo interlocutore in grado, come te, di apprezzare il secondo. Ecco, appunto: apprezzare. Significa dare valore, restituire a quel momento il costo di quel momento. Momento che non ci appartiene, lo abbiamo ricevuto in dono ed è da deficienti, da mancanti, gettarlo via» [4].

    Crisi d'identità

    La velocità dei cambiamenti impedisce al passato di costituirsi come esperienza individuale e collettiva; sembra che il mondo in cui viviamo stia recidendo ogni legame con la sua storia e la sua memoria. Le giovani generazioni sono particolarmente sensibili a queste difficoltà, che rendono sempre più arduo capire "chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo". Mai come oggi, forse, chi si sta affacciando alla vita adulta ha bisogno di voltarsi indietro per cercare nel proprio passato, e in quello della società, delle radici cui ancorarsi per agire nel presente e proiettarsi con una certa sicurezza nel futuro. Un bisogno, questo, che il mondo odierno non facilita perché il problema, come dice Francesca Giusti, è riuscire a «pensare in un mondo che perde ad un tempo memoria e speranza e dilata il presente, riempiendolo di un ossessivo rumore, un rumore che spegne il pensiero» [5].
    Riuscire a pensare e pensare in modo critico, grazie anche alla conoscenza storica, è tanto più necessario oggi in quanto la cultura tecnologica - asservita per lo più agli interessi del pragmatismo economico - rischia di stravolgere l'equilibrio tra l'uomo che sa e l'uomo che fa.
    Vittorino Andreoli - psichiatra contemporaneo - nel suo volume, La vita digitale [6], s'interroga sulle opportunità e sui pericoli del progresso tecnologico, o meglio, dell'ipertecnologia. Nell'intervista rilasciata a Giovanni Raia egli parla del telefonino come "protesi del cervello", come strumento con il quale portiamo il mondo in tasca. Acuto osservatore della realtà dice: «Se dunque analizziamo quanto accade, e cioè la delega di funzioni del cervello al telefonino, al suo schermo, vediamo che questo cambierà il nostro modo di pensare. Cambierà la possibilità di fare periodi, di esprimere concetti e dubbi. [...] La vita digitale è binaria: sì o no, il dubbio non è previsto. Questo quando perfino la scienza, che è una caratteristica fondante del nostro mondo, mostra un intimo bisogno del dubbio» [7]. L'uomo, infatti, si pone domande fin da piccolo, il dubbio alimenta la sua sete di verità e diventa suo compagno di viaggio. È chiaro, dunque, che «la vita è più di ciò che si tocca e si fa. La vita umana è anche mistero, mistero fascinoso e che spaventa, tragico poiché l'uomo del telefonino, che racchiude in un piccolo spazio strumenti straordinari, che sa girare nell'universo tra i pianeti, è lo stesso uomo che di fronte alla domanda banale che fa un bambino, e cioè che cosa sia un bambino o un uomo, non sa rispondere o sente che qualsiasi risposta è stridente» [8].
    Uno sguardo alla realtà in cui viviamo ci porta a dire che la civiltà «si sente devastata nei suoi valori essenziali: la durata, l'autenticità, la profondità, la continuità, la ricerca del senso della vita e dell'arte, l'esigenza di assoluti, la verità, la grande forma epica, la logica consueta, ogni gerarchia d'importanza tra i fenomeni. In luogo di tutto questo trionfano la superficie, l'effimero, l'artificio, la spettacolarità, il successo quale unica misura del valore, l'uomo orizzontale che cerca l'esperienza in una girandola continuamente mutevole. Il vivere diventa un surfing, una navigazione veloce che salta da una cosa all'altra come da un tasto all'altro su Internet [...]» [9].

    Crisi culturale

    La globalizzazione, resa possibile dallo sviluppo tecnologico ed informatico, se può facilitare l'interazione tra le culture, nasconde però alcuni rischi segnalati nell'ultima enciclica di Benedetto XVI: «L'accresciuta mercificazione degli scambi culturali favorisce oggi un duplice pericolo. Si nota, in primo luogo, un eclettismo culturale assunto spesso acriticamente: le culture vengono semplicemente accostate e considerate come sostanzialmente equivalenti e tra loro interscambiabili. Ciò favorisce il cedimento ad un relativismo che non aiuta il vero dialogo interculturale; sul piano sociale il relativismo culturale fa sì che i gruppi culturali si accostino o convivano ma separati, senza dialogo autentico e, quindi, senza vera integrazione. In secondo luogo, esiste il pericolo opposto, che è costituito dall'appiattimento culturale e dall'omologazione dei comportamenti e degli stili di vita. In questo modo viene perduto il significato profondo della cultura delle varie Nazioni, delle tradizioni dei vari popoli, entro le quali la persona si misura con le domande fondamentali dell'esistenza. Eclettismo e appiattimento culturale convergono nella separazione della cultura dalla natura umana. Così, le culture non sanno più trovare la loro misura in una natura che le trascende, finendo per ridurre l'uomo a solo dato culturale. Quando questo avviene, l'umanità corre nuovi pericoli di asservimento e di manipolazione» [10].

    Crisi delle istituzioni

    Oggi, come osserva Benedetto XVI, ci si trova ad affrontare la crescente difficoltà a «trasmettere alle nuove generazioni i valori-base dell'esistenza e di retto comportamento, difficoltà che coinvolge sia la scuola sia la famiglia e si può dire ogni altro organismo che si prefigga scopi educativi» [11].
    Inoltre, non va ignorato o sottovalutato un ostacolo particolarmente insidioso all'opera educativa che «è costituito dalla massiccia presenza, nella nostra società e cultura, di quel relativismo che, non riconoscendo nulla come definitivo, lascia come ultima misura solo il proprio io con le sue voglie, e sotto l'apparenza della libertà diventa per ciascuno una prigione. Dentro a un tale orizzonte relativistico non è possibile, quindi, una vera educazione: senza la luce della verità; prima o poi ogni persona è infatti condannata a dubitare della bontà della sua stessa vita e dei rapporti che la costituiscono, della validità del suo impegno per costruire con gli altri qualcosa in comune. E chiaro dunque che non soltanto dobbiamo cercare di superare il relativismo nel nostro lavoro di formazione delle persone, ma siamo anche chiamati a contrastare il suo predominio nella società e nella cultura» [12].
    Difficoltà, quelle sopra accennate, che non possono essere sottovalutate, tanto che un gruppo di intellettuali ha sentito l'urgenza di lanciare un Appello: «Sta accadendo una cosa che non era mai accaduta prima: è in crisi la capacità di una generazione di adulti di educare i propri figli. Per anni dai nuovi pulpiti - scuole e università, giornali e televisioni - si è predicato che la libertà è l'assenza di legami e di storia, che si può diventare grandi senza appartenere a niente e a nessuno, seguendo semplicemente il proprio gusto o piacere. È diventato normale pensare che tutto è uguale, che nulla in fondo ha valore se non i soldi, il potere e la posizione sociale. Si vive come se la verità non esistesse, come se il desiderio di felicità di cui è fatto il cuore dell'uomo fosse destinato a rimanere senza risposta» [13].

    "Laddove cresce il pericolo, cresce anche la salvezza" (Hölderlin)

    Il quadro appena descritto può dare l'impressione di aver indugiato più sugli aspetti negativi che su quelli positivi del nostro tempo. Tuttavia credo che tali aspetti non possano essere sottaciuti perché è proprio nei momenti di maggior difficoltà che nasce la volontà di cambiare e migliorare la situazione in cui si è immersi così da dire con Hòlderlin che "Laddove cresce il pericolo, cresce anche la salvezza".
    Nelle parole di Benedetto xvi e del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, riportate all'inizio di questa relazione, come nell'animo di chi riflette criticamente su quanto accade emerge la necessità di cogliere nella crisi che investe il mondo odierno l'occasione al cambiamento. Pertanto la crisi può essere vista come una straordinaria opportunità in vista di una metamorfosi di cui la nostra civiltà ha bisogno oggi più che mai.
    Si tratta, infatti, di riflettere non solo e non tanto sulla questione sociale, ma più ancora sulla questione antropologica, come bene ha colto Giorgio Napolitano nella lettera inviata a Benedetto xvi dopo la pubblicazione dell'enciclica Caritas in veritate: «L'affermazione di Vostra Santità che oggi la questione sociale è diventata radicalmente questione antropologica costituisce in effetti un invito a un ripensamento approfondito e sereno di molti aspetti della vita e del funzionamento degli aggregati umani [...]» [14].
    Edgar Morin, in una lunga intervista al Journal du Dimanche del 28 dicembre 2008, citando i versi di Hòlderlin, dice: «Abbiamo finalmente l'occasione di ripensare la nostra civiltà prima che sia troppo tardi. [...] Per troppo tempo abbiamo creduto che lo sviluppo tecnologico ed economico sarebbe stato la locomotiva della democrazia e del benessere. Oggi bisogna cambiare l'egemonia della quantità in favore della qualità e di beni immateriali come l'amore e la felicità» 15].
    Il sociologo francese si era già espresso in questi termini nel 2004 quando, parlando della globalizzazione e della tecnica, auspicava un mondo più equilibrato e giusto. A tal fine ritiene indispensabile il ritorno all'etica: «Una società-mondo più equilibrata e giusta sarà possibile solo se l'etica tornerà al centro delle nostre preoccupazioni, tanto sul piano personale quanto su quello collettivo. L'etica, infatti, fonda e alimenta i concetti di responsabilità e di solidarietà e oggi abbiamo più che mai bisogno di solidarietà» [16].
    Perché si possa giungere a ciò è necessario riconoscere e accogliere, senza pregiudizi, la verità dell'essere: nostro e del mondo, come scrive Benedetto XVI: «La verità, che al pari della carità è dono, è più grande di noi, come insegna sant'Agostino. Anche la verità di noi stessi, della nostra coscienza personale, ci è prima di tutto "data". In ogni processo conoscitivo, in effetti, la verità non è prodotta da noi, ma sempre trovata o, meglio, ricevuta. Essa, come l'amore, "non nasce dal pensare e dal volere ma in certo qual modo si impone all'essere umano"» [17].
    Come non risentire, in queste affermazioni del Papa, l'eco di quanto scriveva Rosmini nel secondo saggio Della divina Provvidenza e poi nel saggio Sull'Unità dell'educazione?
    «L'uomo crea fors'egli la verità? La genera forse egli nella sua mente, la compone forse della propria sostanza e quindi la partorisce? Non già: egli può solo riceverla, ma non produrla» [18].
    «Non è la verità l'opera dell'umana intelligenza; ma la intelligenza è l'opera della verità. E la forma della verità ciò che costituisce l'intelligenza la quale perciò è innata» [19].

    Rosmini e la crisi del suo tempo

    È opportuno dire con Prenna che «una lettura del pensiero di Rosmini non può prescindere dalla sua genesi storica, cioè, dal suo progressivo definirsi in relazione non soltanto delle correnti culturali del passato, ma anche alle vicende, alle domande, alle urgenze del proprio tempo» [20].
    Inoltre va tenuto presente che «i molteplici aspetti che presenta la personalità del Roveretano, sono tra loro connessi da una così mirabile coerenza e armonia, che non se ne può cogliere l'intimo senso, se si considerano staccati l'uno dagli altri» [21].
    Non è qui possibile approfondire in modo adeguato il pensiero pedagogico di Rosmini; se ne daranno rapidi cenni lasciando all'interesse di ciascuno la ricerca bibliografica su quegli aspetti che maggiormente gli interessano.
    I primi scritti pedagogici di Rosmini si collocano tra il 1820-1830 e sono caratterizzati dall'«ansia di dare una risposta ai problemi del suo tempo e di porre mano all'opera di riparazione dei mali e di rinnovamento della virtù» entro l'orizzonte della politica [22].
    Siamo negli anni successivi alla Rivoluzione francese e all'imperialismo napoleonico, quando l'assetto dato all'Europa dal Congresso di Vienna, dopo la sconfitta di Napoleone, mal si adatta alle nuove aspirazioni nazionali e liberali suscitate nelle popolazioni dagli eventi precedenti. Sono gli anni della Restaurazione, delle sette segrete, dei primi moti insurrezionali, dei tentativi da parte della cultura italiana di sottrarsi al pesante influsso dell'illuminismo francese e tedesco senza per questo rimanere immune da certe forme di sensismo, di materialismo e di soggettivismo razionalistico. Sono gli anni in cui si parla di alleanza tra trono e altare, ma anche di assoluta indipendenza più che di distinzione dei due ordini.
    Il giovane Rosmini va formandosi entro questa temperie politica e culturale e s'avvede dello stato precario in cui si trovano la società e la cultura a lui contemporanee. In data 29 giugno 1829 Rosmini scriveva al Vescovo di Trento in questi termini: «Tanta oggidì è la varietà delle opinioni, tanta la titubanza delle idee, l'incongruenza delle dottrine e la confusione, che non v'ha più ove appoggiare solidamente un ragionamento fra gli uomini, poiché o non si trova dove convenire insieme, ovvero non si ritiene fermo ciò in cui si conviene. I sofisti francesi e i figli della rivoluzione hanno sovvertito il mondo intellettuale, altrettanto che il mondo politico: forse la divina Provvidenza ha così permesso per cavare da questo caos una più bella luce. Il mondo oggidì non sussiste più per i principi, ma per le vecchie buone abitudini che sogliono sempre sopravvivere ai principi» [23].
    Al mondo lacerato e frammentato entro cui vive, Rosmini offre «un progetto di "risanamento" unitariamente articolato, la cui realizzazione, sul versante politico e religioso, è affidata all'educazione» [24].

    L'educazione come risposta alla crisi

    Rosmini è convinto che «è certamente l'educazione delle venienti generazioni uno di que' preziosi mezzi che possono mettere il mondo al coperto dalle estreme sciagure, e fargli acquistare un aspetto meno odioso, per così dire, agli occhi dell'onnipotente: [...] quella che può ridurre di bel nuovo all'aperta luce la timida virtù rinserrata ne' cuori, e restituire ad essa l'imperio intero del mondo sì visibile che invisibile: è l'educazione quella di cui si contesta il bisogno da tutti, si sente nella stessa misura che quello della Religione: quella che si domanda ai pastori de' popoli, e che i sapienti che trattano la causa degli uomini sollecitano qual mezzo di salute, acciocch'egli non giunga forse troppo tardi, e quando già il male sia divenuto irreparabile» [25].
    Sebbene gli scritti pedagogici di Rosmini - Della Educazione Cristiana, Sull'Unità dell'educazione, Del principio supremo della metodica che risultano tra quelli maggiori - siano per lo più occasionali, cioè dettati da particolari circostanze o da esplicite richieste di amici [26], tuttavia si nota in essi una costante: la riflessione assidua sull'uomo e sulla società, nell'intento di trovare mezzi e modi per il loro miglioramento. Si può allora dire che in quegli scritti confluisce il frutto di seri studi e riflessioni che attengono agli orizzonti della filosofia, della politica, dell'antropologia, della teologia. In tal modo il problema educativo è visto nella sua complessità e si fa urgente l'esigenza di trovare quei principi che giustificano la necessità dell'educazione e insieme indicano come attuarla.
    Il primo e fondamentale problema che affronta Rosmini riguarda il fine dell'educazione. Egli lo svolge principalmente - ma non solo - nel saggio Sull'Unità dell'educazione, in cui dice che ogni forma di educazione deve tendere alla formazione di tutto l'uomo e in modo che in esso tutto proceda armonicamente. Si tratta di educare tutte le facoltà dell'uomo seguendo la prima regola dell'arte pedagogica, che è quella dell'unità. In questa regola è contenuto anche il fine dell'educazione umana, cioè il «perfezionamento stesso dell'uomo, il compimento progressivo della sua fatica di salire a Dio, alla Perfezione che, nell'unità, ordina le cose dalla loro dispersa molteplicità. E, perfezionandosi, l'uomo perfeziona il mondo e completa il disegno divino tracciato nella creazione» [27].
    La «prima regola dell'arte pedagogica, che è quella dell'unità», trova il suo fondamento nella visione rosminiana dell'essere e dell'uomo: ontologia e antropologia. Infatti, l'ordine oggettivo degli esseri nel loro gerarchico orientamento all'Essere supremo diventa guida e norma dell'educazione poiché l'uomo, attraverso la conoscenza della verità, riconosce il posto che gli spetta in quest'ordine. L'uomo, quindi, non può piegare la realtà a suo capriccio, ma deve adeguarsi ad essa, come dice il supremo principio dell'umana educazione: «Si conduca l'uomo ad assimigliare il suo spirito all'ordine delle cose fuori di lui, e non si vogliano conformare le cose fuori di lui alle casuali affezioni dello spirito suo. Questo principio è altamente radicato nella natura dello spirito dell'uomo, che io rassomiglierei ad uno specchio atto a ricevere l'immagini delle cose e di tutte ornarsene, coll'atto del suo intendere egli non dà, ma riceve; egli è interamente passivo rispetto alla verità, come la verità è meramente attiva rispetto a lui: la sua mente non crea qualche cosa, ma più tosto viene in essa qualche cosa creata quand'essa intende: l'azione della prima verità sopra di lui è ciò che forma la sua intelligenza: l'azione degli altri esseri è ciò che produce le sue cognizioni» [28].
    È qui esplicitata un'altra fondamentale dottrina di Rosmini, accennata precedentemente, quella che dichiara essere la verità forma della facoltà intellettuale per cui il pensiero umano non crea la verità, ma è passivo nei suoi confronti: «Non è la verità l'opera della umana intelligenza; ma la intelligenza è l'opera della verità» [29].
    Ne deriva che la pedagogia rosminiana è essenzialmente pedagogia della verità o, se si vuole, pedagogia dell'essere. È anche pedagogia di fondamentale impostazione religiosa, proprio perché riconosce in Dio il principio di quell'ordine. L'uomo educato è perciò colui che riconosce l'ordine dell'universo oggettivo e ad esso adegua il proprio universo soggettivo; ordine che ha il suo principio in Dio «centro di tutte le cose, ed unità fondamentale, onde tutto riceve ordine e perfezione» [30]. In tal modo Dio, che nell'ordine oggettivo degli esseri è il principio, nell'ordine del fine è il termine: principio primo in sé e fine ultimo per l'uomo.
    Il saggio Sull'Unità dell'educazione contiene le linee fondamentali della pedagogia rosminiana, che possono essere così riassunte: l'educazione è il mezzo per l'elevazione del singolo e condizione di effettivo progresso dei popoli; la sua efficacia si basa su un'idea unitaria che tutta la raccoglie e l'indirizza a un fine; questo fine è colto alla stessa radice della natura umana, cioè nella sua spiritualità che diventa condizione del suo perfezionamento; lo stesso fine fa scaturire da sé l'ordine degli oggetti di studio e del metodo secondo un piano mai sovrastrutturato e imposto, ma aderente all'ordine oggettivo dell'essere. Fine dell'educazione, quindi, non è dare soltanto sapere, bensì sapienza: non solo scienza, ma virtù come sigillo della bontà della vita.
    Si comprende, allora, come l'educazione sia un'arte, un'arte particolarmente difficile, che appartiene per sua natura alla sfera della morale e della sapienza pratica.
    Oggi, forse più di ieri, siamo chiamati a recuperare il concetto autentico di educazione evitando la riduzione dell'educazione ad istruzione e all'iniziazione alle conoscenze tecnologiche ed informatiche. L'educazione si rivolge a tutta la persona e si rivolge a tutti e non a settori di persone o a problemi di devianza perché, come dice Braido, «L'educazione è il processo mediante il quale il singolo apprende il mestiere di uomo; è l'apprendimento dell'arte di vivere su concreta misura umana, cioè in autentica libertà, con impegno razionale; è la scuola pratica della virtù e della saggezza» [31].
    Si tratta, in definitiva, di «sapere perché viviamo, sapere donde veniamo e dove andiamo, a fine di dare alla nostra vita il suo vero senso; in altri termini, conoscere noi stessi e non soltanto conoscere le cose e gli avvenimenti di questo mondo e, conoscendo noi stessi, conoscere il principio e il fine della nostra esistenza, in modo da essere ciò che dobbiamo essere, fare ciò che dobbiamo fare e realizzare così il nostro destino nella libertà e nella luce» [32].
    Possiamo quindi concludere richiamando quanto disse Prenna nella sua relazione all'Università di Verona il 28 ottobre dello scorso anno: «Al nostro tempo, suggestionato dal mito di un umanesimo illuminista e tentato di considerare la razionalità scientifica quale paradigma di ogni conoscenza, la lezione rosminiana suggerisce una concezione strumentale delle conoscenze e prospetta all'educazione umana una finalità morale: conoscere di più per essere di più. Inoltre, la dotazione oggettiva dell'intelletto, quale facoltà del vero, propone l'onestà intellettuale, una sorta di deontologia del pensiero, come costume di ogni impresa conoscitiva, e sollecita il soggetto a ri-spettare e ri-conoscere la verità oggettiva che abita ogni cosa.
    Nella verità delle cose risiede anche il loro valore, il senso del loro stesso esistere. Allora, è l'essere, nelle sue molteplici declinazioni reali, è l'universo oggettivo dei valori che si costituisce quale norma morale regolativa della vita.
    La soggettivizzazione dell'etica è un processo di espropriazione del valore oggettivo della realtà. Sottrarre l'etica alla misurazione ultima soggettiva, per riconsegnarla alla sua natura di scienza e coscienza del bene oggettivo, è il servizio che l'educazione può rendere alle nuove generazioni e alla costruzione di una ordinata convivenza sociale» [33].
    In tale luce mi sembra significativo riportare le parole del fisico tedesco Planck Max Karl (18581947) e della scrittrice Madame de Staèl (Germaine Necker, baronessa di Staèl-Holstein, 1766-1817) nelle quali si coglie il riconoscimento dell'oggettività delle cose e il riconoscimento dei limiti inerenti alla nostra creaturalità.
    Il grande fisico tedesco, studiando l'universo, riconobbe che non tutto poteva essere esplorato per cui disse: «Esplorare l'esplorabile e venerare silenziosamente l'inesplorabile»  [34].
    E Madame de Staél di fronte alla bellezza che offre Ancona, con la sua cattedrale ben visibile anche da lontano, scrive: «Le montagne e il mare fanno bellissima la posizione di Ancona. La chiesa cattolica è in alto, sulla montagna e domina a picco sul mare. Il rumore delle onde si mescola spesso ai cantici dei sacerdoti. La chiesa all'interno è sovraccarica di una massa di ornamenti di pessimo gusto. Ma, quando ci si sofferma sotto il porticato del tempio, si ama avvicinare il più puro sentimento dell'anima, la religione, con lo spettacolo di questo mare superbo sul quale l'uomo non può imprimere la sua traccia» [35].
    "Venerare silenziosamente l'inesplorabile" ...; "questo mare superbo sul quale l'uomo non può imprimere la sua traccia" ...

    NOTE

    1. BENEDETTO XVI, Lettera enciclica Caritas in veritate del sommo pontefice Benedetto xvi ai vescovi ai presbiteri e ai diaconi alle persone consacrate ai fedeli laici e a tutti gli uomini di buona volontà sullo sviluppo umano integrale nella carità e nella verità, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana 2009, n. 21. 
    2. BENEDETTO XVI, Uno sviluppo umano integrale per dare voce a ogni popolo (Lettera del Santo Padre Benedetto XVI all'onorevole Silvio Berlusconi, Presidente del Consiglio italiano, in occasione del G8 (L'Aquila, 8-10 luglio 2009) 1° luglio 2009, in L'Osservatore Romano (5 luglio 2009) 8.
    3. Saluto del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in occasione del pranzo ufficiale in onore dei Capi di Stato dei Paesi del G8 e dei Capi di Stato e di Governo dei Paesi ospiti e dei vertici delle Organizzazioni internazionali, L'Aquila, 9 luglio 2009, in www.quirinale.it/elementi/Continua.aspx?tipo-Discorso&key=1592.
    4. BROCCOLI UMBERTO, Con parole mie del 30 giugno 2009. Con parole mie è la trasmissione di e con Umberto Broccoli che recupera e analizza fatti e persone del quotidiano di ieri, per leggere il quotidiano di oggi. Va in onda su Rai Radio 1 tutti i giorni da lunedì a venerdì dalle 14.05 alle 14.45.
    5. GIUSTI Francesca, Lettera di una professoressa. Trent'anni dopo Barbiana, Roma, Donzelli Editore 1998, 24. Vittorino Andreoli, noto psichiatra italiano, nella sua relazione del 15 maggio 2008 al Teatro Rosmini di Rovereto, ebbe a dire: «Ai giovani manca il senso del futuro (molti di loro intravedono solo il sabato sera come futuro, cioè un orizzonte immediato) perché omettiamo di trasmettere il passato. Se non comunichiamo le radici, che cosa resta? Penseranno che il mondo cominci e finisca con loro. Talvolta si tace sulla storia per paura: un padre non dice che il suo era un analfabeta. Abbiamo smesso di raccontare la nostra storia perché non era moderna. Ma quel nonno era uomo che faticava da mattina a sera. La storia non si compra e non si inventa. È lì che si deve investire» (ANDREOLI VITTORINO, Della fragilità e del sorriso, a cura di PERER Corona, in Sentire [2008] n. 2,5).
    6. ANDREOLI VITTORINO, La vita digitale, Milano, Rizzoli 2007.
    7. RAIA Giovanni, Vittorino Andreoli e il mondo digitale, in Il tremisse pistoiese 32(2007)3, 7.
    8. ANDREOLI, La vita digitale 212.
    9. MAGRIS CLAUDIO - BARICCO ALESSANDRO, La civiltà dei barbari, in Corriere della Sera (7 ottobre 2008) 44. Nell'articolo si fa riferimento al volume di BARICCO A., I barbari. Saggio sulla mutazione, Milano, Feltrinelli 2008.
    10. BENEDETTO XVI, Lettera enciclica Caritas in veritate n. 26.
    11. BENEDETTO XVI, Ai partecipanti al Convegno della Diocesi di Roma nella basilica di san Giovanni in Laterano, in Insegnamenti di Benedetto XVI, III, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana 2008, 1071.
    12. BENEDETTO XVI, La parola della Chiesa, la testimonianza e l'impegno pubblico delle famiglie cristiane possono contrastare il predominio del relativismo e della libertà anarchica, in Insegnamenti di Benedetto XVI, 12005, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana 2005, 207. Vedi anche ID., La secolarizzazione nella Chiesa snatura la fede e lo stile di vita dei credenti. Discorso del Papa alla plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura, in L'Osservatore Romano (9 marzo 2008)1.
    13. Appello: Se ci fosse una educazione del popolo tutti starebbero meglio, in Atlantide (2005) 4, 119.
    14. Lettera del Presidente Napolitano al Papa sulla "Caritas in veritate", 16 luglio 2009, in www.zenit.org/article-
    19000?1=italian.
    15. «La crisi occasione straordinaria ci libererà dal pensiero unico», in Repubblica (29 dicembre 2008) 12.
    16. La scuola è il nostro futuro, a cura di Fabio Gambaro in Repubblica (28.1.2004).
    17. BENEDETTO XVI, Lettera enciclica Caritas in veritate n. 34.
    18. ROSMINI ANTONIO, Sulle leggi secondo le quali sono distribuiti i beni ed i mali temporali, in ID, Opuscoli Filosofici, vol. I, Milano, Tip. Pogliani 1827, 202.
    19. ROSMINI ANTONIO, Sull'Unità dell'educazione, Edizione Nazionale e Critica a cura di Lino Prenna, Roma, Città Nuova 1994, 234-235 e nota 6.
    20. PRENNA LINO, Dall'essere all'uomo. Antropologia dell'educazione nel pensiero rosminiano (Quaderni della "Cattedra Rosmini" xl), Stresa-Roma 1979, 31.
    21. Rossi Guido, Prefazione, in ID. e collaboratori, Antologia rosminiana I, Torino, SEI 1955, 5.
    22. Cfr. PRENNA, Dall'essere all'uomo 39.
    23. Lettera a S. A. F. S. Luschin Principe Vescovo di Trento, Roma, 29 giugno 1829, in ROSMINI Antonio, Epistolario completo di Antonio Rosmini-Serbati, prete roveretano III, Casale Monferrato, Tipografia Giovanni Pane 106.
    24. PRENNA LINO, Introduzione, in ROSMINI, Sull'Unità dell'educazione 208.
    25. ROSMINI, Sull'Unità dell'educazione 222.
    26. Per questo tema si può vedere LANFRANCHI RACHELE, Genesi degli scritti pedagogici di Antonio Rosmini, Roma, Città Nuova 1983.
    27. PRENNA, Introduzione, in ROSMINI, Sull'Unità dell'educazione 211.
    28. ROSMINI, Sull'Unità dell'educazione 236.
    29. Ivi 235.
    30. RosmiNI ANTONIO, Opuscoli filosofici I, Milano, Pogliani 1827, x.
    31. BRAIDO PIETRO, Filosofia dell'educazione, in Enciclopedia delle scienze dell'educazione, Zürich, Pass-Verlag 1967, 112.
    32. LABERTHONNIERE LUCIEN, Sicut Ministrator, Ouvres de Laberthonnière, Vérin, Paris, 1947, 3-4.
    33. PRENNA LINO, Le "verità educative" di Rosmini e il nostro tempo, in BUTTURINI EMILIO - CANTERI GERMANA (a cura di), Le ali del pensiero: Rosmini e oltre. Le sfide della modernità, Verona, Mazziana 2009, 139.
    34. Citazione proposta dal prof. Marco Bersanelli dell'Università degli Studi di Milano nella sua relazione Bellezza e vastità del cosmo in occasione del convegno internazionale su Astronomy: a common Ground for Sharing Humanity's Concerns, organizzato dalla Specola Vaticana nell'Anno Internazionale dell'Astronomia, Roma 24 giugno 2009.
    35. Citazione letta da Umberto Broccoli nella trasmissione di Rai Radio 1 Con parole mie, 6 agosto 2009.

    CENTRO INTERNAZIONALE DI STUDI ROSMINIANI
    SIMPOSI ROSMINIANI
    DECIMO CORSO DEI "SIMPOSI ROSMINIANI" STRESA, COLLE ROSMINI, 26-29 AGOSTO 2009
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