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    L'emergenza educativa

    Simone D'Agostino [1]

    Il Simposio vuole affrontare la questione educativa a metà strada tra due importanti iniziative: alcuni mesi fa abbiamo celebrato il IX Forum del Progetto culturale, dedicato alla Emergenza educativa [2], in cui è stato possibile discutere insieme le Linee guida del Rapporto-proposta sull'educazione che il Comitato per il Progetto culturale presenterà il 22 settembre prossimo, con il titolo La sfida educativa [3]. Tutto ciò confluisce nella scelta di fare dell'educazione l'orientamento di fondo per le iniziative della Chiesa italiana per il prossimo decennio. Nel mio intervento vorrei offrire qualche spunto di riflessione proprio sulla «emergenza educativa» [4], secondo l'espressione lanciata da Benedetto XVI.
    Anzitutto mi preme rilevare la complessità semantica dell'espressione emergenza educativa. Infatti la parola emergenza assume comunemente un significato piuttosto "negativo" - ed è questo indubbiamente a registrare il più alto uso nella lingua italiana - con il quale si intende designare una «improvvisa difficoltà che impone di intervenire rapidamente» [5]; e ciò spesso avviene quando si verifica una «circostanza imprevista» che pertanto richiede una soluzione immediata. Di fronte a un'emergenza, perciò, si usano mezzi eccezionali, che contrastino il problema nel tempo più breve e con l'efficacia maggiore. Succede, ad esempio, quando si verifica un evento climatico anomalo, o sopraggiunge una malattia eccezionalmente violenta, che, se non fosse contrastata immediatamente e con una medicina altrettanto forte, potrebbe portare al decesso del paziente.
    Parlare di emergenza educativa in questo senso, e solo in questo senso, sembrerebbe quasi triviale. Chi di noi non ha avvertito la forte preoccupazione che desta l'educazione nel nostro paese, particolarmente quella delle nuove generazioni? Troppo facile sarebbe denunciare lo sbandamento, lo smarrimento dei nostri ragazzi, citando questo o quel fatto di cronaca, fino a scomodare indagini sociologiche e psicologiche le più diverse per sottolineare una problematica che è da tempo sotto gli occhi di molti, se non di tutti. E in tal senso - lasciatemelo dire - sarebbe quantomeno scorretto, se non ipocrita, parlare di emergenza, perché le difficoltà che gravano sull'educazione oggi non sono né improvvise né, in un certo senso, impreviste; al contrario direi che per larga parte erano prevedibili, persino quasi annunciate. Neppure si tratta, in questo senso, di una peculiare esigenza cattolica, quasi che per i non cattolici la situazione dell'educazione sia del tutto florida e tranquilla, mentre noi saremmo come quel folle di cui Elie Wisel narra all'inizio de La notte, il quale cerca di convincere gli abitanti del suo villaggio del «disastro» che incombe su di loro, ma non viene ascoltato da nessuno [6]. Purtroppo, nel denunciare l'emergenza educativa ci troviamo in una relativamente nutrita compagnia.
    Possediamo, tuttavia, anche un altro significato di emergenza, che andrebbe accompagnato al precedente e articolato con esso in una dialectique fine, direi con Paul Ricceur, ovvero in una dialettica sottile, raffinata, non sempre facile da cogliere e da sostenere. Il significato primario, originario di emergenza - di cui però registriamo l'uso più basso, più raro - è quello che indica «l'emergere e il suo risultato» [7]; emergere che in latino significa letteralmente «l'uscire dal profondo, l'irrompere fuori di qualcosa» [8], al contrario dell'immergere che indica lo «sprofondarvi dentro».
    Emergenza è, perciò, anzitutto e "positivamente" sinonimo di prominenza, di sporgenza, indica il protendersi fuori di qualcosa rispetto alla superficie delle cose; ed è per questa sua resistenza rispetto allo scorrere degli eventi del mondo - al mainstream - che essa desta la nostra attenzione e ci impone una vigilanza. L'emergenza è finalmente anche sinonimo di quello skandalon, che è pietra d'inciampo per alcuni e occasione di salvezza per altri [9]. L'emergenza, nel suo significato più proprio, non è qualcosa che accade per poi semplicemente restare lì. Non è un avvenimento tra i tanti che fluiscono, che entrano ed escono, nella nostra esperienza, lasciandola sostanzialmente invariata. Ogni vera emergenza si intromette nei nostri piani, rappresenta un'intrusione destabilizzante, un evento capace di ridefinire il flusso dell'esperienza secondo un prima e un poi.
    Se non riusciamo a cogliere insieme anche questo significato - secondo, ma in realtà primario -di emergenza, corriamo il rischio di trasformare l'emergenza educativa in un'operazione difensiva, di retroguardia, cadendo in un atteggiamento di sterile condanna della situazione odierna. Cogliendo, invece, insieme anche il lato positivo dell'emergenza, e a partire da esso gli aspetti negativi più urgenti, possiamo sperare di assumere un atteggiamento realistico: capace sì di denunciare, cioè di chiamare le cose con il loro nome; e capace, allo stesso tempo, di cogliere nell'emergenza l'opportunità: direi quasi il kairos, il tempo proprio.
    Giunti a questo punto, dobbiamo chiederci di quale evento si tratta, quando si ha la pretesa di parlare pro-positivamente di emergenza educativa? Per rispondere a ciò è imprescindibile chiarirsi almeno un poco le idee su cosa intendiamo per educazione, l'altra parola che compone il sintagma che è al centro della nostra riflessione. Vorrei muovere dalla radice culturale del concetto di educazione, e tornare a quella paideia venuta alla luce nella culla della civiltà occidentale, nell'antica Grecia. Quasi ovvio qui riprendere un classico come quello che Werner Jàger ha pubblicato in tre volumi tra il 1933 e il 1947: Paideia, die Formung des griechischen Menschen. Nell'introduzione leggiamo:

    In tedesco la parola Bildung rende con grande evidenza il senso greco, cioè platonico dell'essenza dell'educazione: essa comprende in sé il rapporto tanto all'elemento plastico, del modellamento artistico, quanto alla figura normativa («idea» o «tipo») interiormente presente al modellatore. Dovunque quest'idea si riaffaccia dipoi nella storia, è un'eredità dei Greci, e si presenta sempre là dove lo spirito umano, dall'addestramento rivolto a determinati scopi esteriori, ritorna all'essenza vera dell'educazione. Ma il fatto che ai Greci questo compito apparisse tanto grande e arduo, e che essi vi si consacrassero con un intimo slancio senza pari, sta da sé e non si spiega né con la loro attitudine artistica, né con la loro mente speculativa. Sin dalle prime tracce che abbiamo di loro, troviamo l'uomo al centro del loro pensiero. [...] I Greci furono così il popolo antropoplasta per eccellenza. [...] La loro scoperta dell'uomo non è la scoperta dell'lo soggettivo, ma l'acquistar conoscenza delle leggi universali della natura umana'' [10].

    Vorrei fermarmi a riflettere brevemente su questo testo. Due sono i concetti principali che mi sembra esprimere: anzitutto per i greci, che Jager riconduce immediatamente al pensiero platonico, educare significa essenzialmente modellare il singolo secondo una forma universale; e in secondo luogo, la ragione di questa concezione dell'educazione come, letteralmente, forma-zione (Formung/Bildung dice Jager) è dovuta al fatto che i greci hanno posto al centro di tutto l'uomo: l'uomo beninteso, non un suo qualche bisogno o emozione, non una sua qualche ispirazione o progetto, bensì l'uomo; anzi, precisa il filosofo tedesco, le «leggi universali della natura umana». Avendo a cuore l'uomo in sé, di conseguenza ogni singolo uomo nasceva per essere plasmato, modellato progressivamente per realizzare quel modello.
    Ciò significa, ribaltando il punto di vista, che laddove non vi sia alcun ideale o modello di uomo, oppure dell'uomo vi sia solo una concezione individuale, parziale, estemporanea, neppure vi può essere paideia [11]. E capiamo bene, d'altra parte, come la fede cristiana possa aver trovato in questo umanismo un interlocutore privilegiato. Qui echeggia, così mi sembra, quella «necessità intrinseca di un avvicinamento tra la fede biblica e l'interrogarsi greco» [12] di cui ha parlato Benedetto XVI a Regensburg.
    Tuttavia, una deriva incombe anche su tale concezione della paideia, ed è assai pericolosa: se per Uomo noi intendiamo un ideale astratto, artificiale, allora la paideia intesa come realizzazione di esso diventa uno spossessare l'uomo particolare della sua stessa singolarità; questo ideale diventa allora qualcosa che incombe in modo estrinseco, e può divenire facilmente manipolabile da parte di chi detiene le chiavi della produzione dei significati, della comunicazione, del potere in generale. Conosciamo fin troppo bene le conseguenze tragiche del fabbricare un modello di uomo secondo caratteristiche utili a un determinato scopo o ideologia, per poi imporre estrinsecamente a una massa d'individui la realizzazione di esso, per "il loro bene".
    È indispensabile perciò che quella norma che determina la formazione dell'uomo sia reale e concreta; occorre che quella natura, quella legge universale sia immanente. Dobbiamo passare dall'ideale astratto all'universale concreto, ovvero dobbiamo in un certo senso passare dall'uomo alla persona. Solo la persona raccoglie in sé appieno le caratteristiche di quella emergenza in senso positivo, di quella sporgenza irriducibile, di quella inoppugnabile resistenza a qualunque tentativo di riduzionismo. La persona è propriamente quel di più che emerge. La persona è più della pura forma universale, perché è ricolma anche di tutta la ricchezza della singolarità, ed è più della corporeità che la individua singolarmente. La persona è l'emergenza, nel senso più pieno e originario che abbiamo indicato: è l'emergere e il suo risultato, ovvero il luogo in cui il di più emerge e, allo stesso tempo, è quel di più stesso che emerge. E nella persona, infatti, che le singole emozioni attestano lo sfondo passionale ove si orienta il complesso dell'affettività; è nella persona che le semplici opinioni affermano l'intenzionalità veritativa; è nella persona che le molteplici transazioni comunicative svelano il nostro essere già da sempre aperti verso un orizzonte di senso.
    L'aver così focalizzato il significato positivo di emergenza, ci rende a questo punto anche meno oscuro il suo lato negativo. L'emergenza educativa riguarderà allora tutte quelle situazioni formative che più o meno stabilmente si ispirano e mettono in atto una visione riduttiva della persona, della sua complessità e della sua unità. Mi fermerò su tre punti, corrispondenti a quelli appena indicati: la riduzione dell'affettività a un complesso divergente di pulsioni individuali; la riduzione dell'intenzionalità veritativa a un terreno omogeneo di opinioni equivalenti; la riduzione della comunicazione a un reticolo di transazioni informative. Tutti questi aspetti sono caratterizzati da una dispersione e parcellizzazione che non fa altro che moltiplicare indefinitamente i contenuti a tutto svantaggio della unità della persona. Non a caso, scriveva con grande lungimiranza il beato Antonio Rosmini in Sull'unità dell'educazione:

    Lo spirito dell'educazione antica tendeva all'unità degli oggetti, perché tutto riduceva, come a un solo fine e principio, a Dio: lo spirito della educazione moderna all'opposto tende alla molteplicità degli oggetti, perché considerando le cose naturali e sensibili senza riferirle alla loro cagione primitiva, esse si disgregano e spargono fra di loro [13].

    E su questa stessa scia, qualcuno ha giustamente fatto notare che spesso si attribuisce alle giovani generazioni un vuoto di valori, di significati, di affetti; mentre forse sarebbe più giusto parlare di un troppo pieno, di interazioni, di linguaggi, di esperienze. Forse - me lo chiedo da padre prima ancora che da filosofo - abbiamo riempito troppo la vita dei nostri figli, l'abbiamo troppo anticipata e programmata, sottraendogli di fatto lo spazio del raccoglimento, della scoperta, della noia persino. Perciò, alla fine di questo mio breve intervento, amerei lasciarvi con una parola tratta dalla profonda sapienza della pedagogia ignaziana - e che spero possa essere un piccolo vademecum nel prosieguo dei lavori del Simposio - scrive sant'Ignazio di Loyola nella seconda delle Annotazioni che si trovano all'inizio degli Esercizi spirituali:

    La persona che dà modo e ordine a un altro per meditare o contemplare, deve narrare fedelmente la storia di tale contemplazione o meditazione, discorrendo solamente per punti con una breve e semplice spiegazione; affinché la persona che contempla, cogliendo il vero senso della storia, riflettendo e ragionando da sé, e scoprendo qualche aspetto che glielo fa capire o sentire un po' meglio, o con il proprio ragionamento o in quanto l'intelletto è illuminato dalla luce divina, ricavi in questo modo maggior gusto e frutto spirituale di quanto ne avrebbe se chi propone gli esercizi avesse spiegato e sviluppato ampiamente il senso del mistero; perché non il molto sapere sazia e soddisfa l'anima, ma il sentire e gustare le cose internamente [14].


    NOTE

    1. Prof. Straordinario di Storia della Filosofia moderna alla Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Gregoriana, Roma; Consulente del Servizio nazionale per il Progetto Culturale della CEI.
    2. L'emergenza educativa, persona, intelligenza, libertà, amore. Atti del IX Forum del Progetto Culturale, a cura del SERVIZIO NAZIONALE PER IL PROGETTO CULTURALE DELLA CEI, EDB, Bologna 2009.
    3. La sfida educativa, a cura del COMITATO PER IL PROGETTO CULTURALE DELLA CEI, pref. di C. Ruini, Laterza, Roma -Bari 2009.
    4. BENEDETTO XVI, Discorso al Convegno della Diocesi di Roma (11 giugno 2007).
    5. Cfr. T. DE MAURO (ed.), «Emergenza», in Grande dizionario italiano dell'uso, UTET, Torino 1999-2007, Il, p. 834b.
    6. Cfr. E. WIESEL, La notte, pref. di F. Mauriac, trad. di D. Vogelmann, Giuntina, Firenze 1996.
    7. T. DE MAURO, «Emergenza», cit.
    8. «A) Active emergere est facere, ut quis in aqua mersus, rursus exeat: et occurrit fere emergere se pro exire, eo modo quo erumpere se dicimus [...]. B) Neutrorum more emergere dicitur qui in aqua mersus, rursus exit, adeoque est existere, evadere, exire e profundo» (Forcellini, Il, p. 258c).
    9. Cfr. 1or 1,23-24; Rm 9,32-33.
    10. W. JAGER, Paideia, la formazione dell'uomo greco, 1-111, La Nuova Italia, Firenze 1943-1970, pp. 15-16.
    11. W. Jager aveva anticipato tale tesi neo-umanistica in alcuni scritti pubblicati subito dopo la Grande guerra, come Humanismus und Jugendbildung (Berlin 1921) e Antike und Humanismus (Leipzig 1925). Uno dei primi a discutere queste tesi, in Italia, fu Ernesto Grassi - che diverrà poi un paladino dell'umanesimo in Germania e non solo - nell'articolo «Il problema filosofico del ritorno al pensiero antico», in Rivista di Filosofia 23 (1932) pp. 136-154; poi ripreso in appendice a ID., Il problema della metafisica platonica, Laterza, Bari 1932, pp. 209-223. Qui leggiamo: «Il legame che corre tra questo ideale educativo [quello umanistico] e l'antichità classica, non è casuale in quanto poggia su tutta una particolare interpretazione dell'atteggiamento del pensiero greco di fronte ai problemi pedagogici. Infatti, chi ad es. crede che la natura sola sia in prima linea la vera formatrice dell'uomo, "potrà sì ammirare molto nei greci, ad es. Diogene nella sua botte, ma mai convertirsi ad un umanesimo. Chi crede che l'attuale e soggettivo bisogno dell'uomo sia l'ultimo criterio per le vie che la sua educazione deve percorrere, dovrà sentire il lavoro e il processo educativo umanistico come assolutamente insopportabile. Chi ritiene possibile e di un certo valore l'educazione non fondata su un oggettivo contenuto, un idea, ma sulla "Stimmung" e sensibilità, deve sentire come opprimente l'ideale educativo che prende le mosse da un oggettivo contenuto e da fisse idee educatrici che non si ridurrebbero che ad un materiale estraneo ed opprimente» (W. Jager, Antike und Humanismus, p. 8, Leipzig 1925, p. 211). Nel seguito dell'articolo, Grassi - da buon discepolo dell'attualismo gentiliano - si sforzerà di dare un'interpretazione filosofica «non oggettivista» della teoria platonica delle idee, con ampia approvazione di un suo giovane collega a Marburg: cfr. H. G. GADAMER, «Recensione a E. Grassi, Il problema della metafisica platonica, Laterza, Bari 1932», in Kant Studien 39 (1934) pp. 66-70.
    12. BENEDETTO XVI, Discorso ai rappresentanti della scienza nell'Aula Magna dell'Università di Regensburg (12 settembre 2006).
    13. A. ROSMINI, Scritti pedagogici, a cura di G. Picenardi, Ed. Rosminiane, Stresa 2009 (rprt. Torino 1857), p. 27.
    14. «la persona que da a otro modo y orden para meditar o contemplar, deue narrar fielmente la historia de la tal contemplatión o meditación, discurriendo solamente por los punctos con breue o sumaria declaración; porque la persona que contempla, tomando el fundamento verdadero de la historia, discurriendo y raraciocinando por si mismo, y hallando alguna cosa que halga un poco rils declarar o sentir la historia, quier por la raciocinación propria, quier sea en quanto el entendimiento es illucidado por la virtud diuina, es de ms gusto y fructo spiritual, que si el que da los exercicios hubiese mucho declarado y ampi iado el sentido de la historia; porque no el mucho saber harta y satisfaze al mas el sentir y gustar de la cosas internamente » (IGNATIUS DE LOYOLA, Exercitia spiritualia, textuum antiquissimorum nova editio lexicon textus hispani, ed. I. Calveras - C. de Dalmases, Institutum Historicum Societatis lesu, Romae 1969, n. 2; trad. it. di G. Raffo, ADP, Roma 1991, modificata).


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