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    Generare

    al senso della vita

    Paola Bignardi

    L'educazione può costituire una straordinaria avventura umana, quella che segna la maturità di un adulto, qualunque siano le sue scelte esistenziali e la sua condizione.
    Essa è legata alla generazione: «Esiste un nesso stretto tra educare e generare – la relazione educativa s'innesta nell'atto generativo e nell'esperienza di essere figli. L'uomo non si dà la vita, ma la riceve. Allo stesso modo, il bambino impara a vivere guardando ai genitori e agli adulti. Si inizia da una relazione accogliente, in cui si è generati alla vita affettiva, relazionale e intellettuale» (CEI, Educare alla vita buona del Vangelo, n. 27). Si genera alla vita in senso biologico; attraverso l'educazione si genera al senso della vita. San Paolo, scrivendo ai Galati, dice: «Figlioli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore finché non sia formato Cristo in voi!» (Gal 4,19). Pone così in evidenza come il suo impegno a far crescere le comunità della Galazia altro non fosse che un modo per generare questi cristiani alla vita, e alla vita in Cristo. Paolo, che ha evangelizzato le sue comunità e ora vuole farle crescere nella fede del Signore, si sente di esse padre e madre. L'educazione è una generazione spirituale che ha le caratteristiche della maternità in senso fisico: dedizione, sofferenza, cura, distacco; è un passare attraverso la fatica e i dolori del parto; è dare la vita in senso umano e spirituale; è esperienza di gratuità, connotata dal vincere e superare se stessi - per usare un termine evangelico, dovremmo dire dal "rinnegare" se stessi; è sacrificio e rinuncia perché è dono di sé, perché altri abbiano la vita.
    La relazione educativa tra genitori e figli può essere intesa come paradigma di ogni esperienza educativa (Cfr. G. Angelini, Educare si deve, ma si può?, Vita e Pensiero, Milano 2002, pp. 226-227.), non tanto rispetto alle sue forme concrete, quanto piuttosto al suo significato e alla sua fondamentale struttura.
    L'educazione è dono, dare e darsi: affetto, tempo, fiducia, energie, parole, valori. Si offre il proprio esempio, la propria tradizione, la propria cultura, il proprio modo di dare senso all'esistenza, nella gratuità che contraddistingue un'esperienza di libertà. Generare è dare la vita perché l'altro ne divenga responsabile. L'educazione è responsabilità che si esprime attraverso la cura, il far intravedere il profilo di un'umanità realizzata e interessante. È accompagnare verso la maturità, perché ciascuno sia disposto e capace di andare con fiducia nel mondo, a renderlo migliore.
    L'educazione è distacco, necessario perché un figlio divenga se stesso. Generare è "mettere al mondo": non si genera per se stessi. Nel corso degli anni, dalla nascita alla maturità di un figlio, sono diverse le forme del distacco: quelle che toccano il legame affettivo, e soprattutto quelle che riguardano la propria immagine del figlio, per accettare che sia se stesso, e non la copia di noi o la realizzazione dei nostri desideri su di lui.Tutto questo, che nella relazione tra genitori e figli ha la sua realizzazione tipica, vale in forme proprie e specifiche per tutti i contesti educativi: la scuola, la parrocchia, l'associazione.Tante delle parole usate fino qui per delineare il senso dell'educazione si riconducono ad un atteggiamento antico: quello che ha identificato l'educazione come una forma del voler bene e che don Bosco riassumeva nell'espressione: "educare è cosa del cuore".

    Voler bene è espressione semplice, che appartiene al linguaggio comune e che indica la disponibilità di mettere l'altro prima di noi, di dedicarsi a lui per il suo bene, anche a costo di sacrifici e di rinunce. È quello che si vede con evidenza nelle situazioni critiche: una malattia, un dolore, una crisi. È quello che avviene senza clamore e in maniera ordinaria nel giorno per giorno: dedicare tempo; esercitare l'autorità per insegnare a camminare nella libertà; ricominciare con pazienza; cercare e costruire alleanze con umiltà. Voler bene rende disponibili all'ascolto e al dialogo che accoglie e nella pazienza offre ragioni, convince, apre alla prospettiva della verità.
    È facile voler bene, quando i figli sono piccoli e la loro ingenuità suscita la tenerezza degli adulti; certamente meno facile quando il voler bene deve misurarsi con le provocazioni degli adolescenti e leggere al di là di ciò che si vede: leggere nelle chiusure, nelle ostilità, nel conflitto, il desiderio di diventare se stessi e il timore di non farcela.
    Diverso è il voler bene dell'educazione familiare da quella della scuola, o da quella del catechista o dell'educatore di un gruppo associativo: il voler bene della famiglia è carico di affetto, di calore, di coinvolgimento.
    A scuola lo stesso affetto sembrerebbe una caricatura; il voler bene a scuola è simpatia e interesse per i ragazzi, è aver a cuore la loro crescita, in tutta la loro personalità, comunicando loro tutto questo attraverso atteggiamenti di cordialità, di ascolto, di accoglienza, di fiducia.
    Gli educatori di parrocchia, di associazione o di altri contesti extrafamiliari giocano tutta la loro efficacia educativa sulla qualità e sulla forza della relazione, del legame, dell'autorevolezza.
    Queste diverse forme dell'amore che educa sono accomunate da alcuni elementi. Innanzitutto la scelta divolere il bene dell'altro. È ciò che rende l'educatore acuto, intuitivo, sollecito, in un atteggiamento di servizio che unisce il calore dell'affetto e della vicinanza con l'intelligenza che ispira gli atteggiamenti più utili al bene dell'altro e alla sua crescita. L:amore che educa in effetti è volto a far sì che l'altro diventi il meglio di ciò che può diventare; e questo non sempre passa attraverso l'immediatezza del voler bene, ma richiede un discernimento più complesso, che sceglie atteggiamenti, che decide le parole più adatte, che sa alternare silenzio e indicazioni, fiducia e regola, in base a ciò che serve a far crescere.
    Per questo l'amore che educa sa stabilire una relazione (CEI, Educare alla vita buona del Vangelo, nn. 26-28), un legame che toglie le persone dalla reciproca indifferenza e le fa essere l'una per l'altra. Nella relazione l'adulto mette se stesso, la sua esperienza, la sua persona, la sua cultura; questo lo fa autorevole, in grado di sostenere la crescita dell'altro. Il legame mi dice che l'altro c'è, c'è sempre, che attraverso il legame lui è dentro di me e la sua presenza influisce sulla mia vita di persona adulta, la arricchisce con la sua novità e la sua freschezza e la vincola, con le sue esigenze e la sua presenza.
    Nel linguaggio poetico che lo caratterizza, l'incontro tra il Piccolo Principe e la volpe rende con efficacia i caratteri di questa relazione. L'educatore deve saper "addomesticare" le persone che gli stanno a cuore e che gli sono affidate, costruendo una relazione che per loro lo renda unico al mondo: «Tu, fino ad ora – dice la volpe al Piccolo Principe – non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini! E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l'uno dell'altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo» (A. De Saint-Exupéry, Il piccolo principe, Bompiani, Milano 2008, p. 96.).
    La relazione raggiunge lo scopo di aiutare l'altro a crescere attraverso la parola e oltre la parola. Educazione è parola – ora familiare, ora formale – che suscita la passione per la verità e il bene; che apre agli orizzonti dell'interiorità, della responsabilità; che fa scoprire il valore della propria vita; la responsabilità di realizzare se stessi secondo un progetto; che inserisce nella storia da cui veniamo facendo scoprire quella sapienza che realizza l'umanità di ciascuno; e che suscita a poco a poco il desiderio di divenirne i protagonisti del futuro. Educazione è parola che motiva e contesta; che dà certezze e pone domande; che spiega e provoca; che apre alla vita orizzonti nuovi e affascinanti. Ma vi è una parola più penetrante e persuasiva di quelle pronunciate con le labbra: è quella degli atteggiamenti, dei gesti, dello stile di vita degli adulti, che mostrano, al di là delle parole, qual è il senso che essi danno alla vita. La forza che si sprigiona dal loro modo di vivere dà autorevolezza a loro e alla loro proposta educativa.
    In ogni contesto, il voler bene che educa stabilisce una relazione che fa respirare quella fiducia, indispensabile perché si accenda l'amore alla vita e ai suoi valori. La fiducia è ingrediente essenziale per crescere: dice che gli altri credono in me e sono disposti a scommettere sulle mie risorse e sulle mie possibilità di bene; questo aiuta anche me a credere in me stesso. Così si scoprono i propri desideri più nobili, si impara a osare e a credere nella proprie possibilità. È un'esperienza decisiva, perché i veri cambiamenti e le vere crescite in una persona non sono prodotti dall'esterno; ogni persona sceglie dentro di sé chi vuole essere, in una decisione in cui la componente determinante è la fiducia di coloro che si hanno attorno. Al tempo stesso, la crescita ha bisogno del calore di una relazione, di un legame con qualcuno che diventa importante: "Mi impegno, perché ho qualcuno per cui farlo". L'assoluta mancanza di impegno che talvolta si riscontra, soprattutto nell'ambito scolastico, da parte di certi ragazzi, è un linguaggio per dire la loro desolata solitudine: appunto quella di chi non ha nessuno per cui fare le cose.
    Sono delineati qui i tratti di un'esperienza umana intensa e coinvolgente, che segna l'interiorità di una persona adulta e contribuisce a continuare a costruirla. Lo si direbbe il profilo di una spiritualità dell'educazione, come esperienza che realizza giorno per giorno il dono di sé, come percorso per vivere quel progressivo distaccarsi – dalla nascita fino all'ultimo giorno – che fa parte della vita. La generazione, dimensione della vita adulta, la connota in senso profondo e tipico. Se l'educazione è una forma di generazione, contribuisce anch'essa a realizzare e a dare forma all'esperienza adulta della vita.
    L'adulto che si affida con disponibilità e maturità alla sua responsabilità educativa scopre a poco a poco di essersi lasciato coinvolgere in un'avventura che fa crescere anche lui, che gli restituisce centuplicato, in termini di maturità umana, ciò che ha dato. Il dedicarsi nella gratuità alla vita degli altri e alla loro crescita chiede di diventare se stessi, come adulti: più liberi, più capaci di voler bene nel disinteresse e - se occorre - anche nel sacrificio. L'educatore può sperimentare la bellezza di veder fiorire la libertà dell'altro, come un tu che sta di fronte a lui, suo interlocutore, generato alla libertà. Diventa testimone possibile di storie straordinarie di umanità, siano esse storie di ricchezza o di dramma; storie di crescita o di umiliazione. Educare è un modo per coinvolgersi in storie di vita che danno profondità alla stessa umanità di chi educa.
    L'educazione aiuta una persona a trarre fuori da sé il dono della sua originale personalità, che è unica e irripetibile, non assimilabile a quella di nessun altro, fossero pure il padre e la madre. Ai genitori è chiesto di accogliere questo aspetto fondamentale dell'educare: accettare che il figlio non sia la ripetizione della loro vita, ma che sia il passo nuovo, inedito, della storia. La stessa cosa vale in forme diverse anche per la scuola, per la parrocchia, per l'associazione.
    L'educazione è proiettata sul futuro perché è esperienza di novità: non può accontentarsi di consegnare un patrimonio da conservare, ma deve suscitare il desiderio di far fruttare un talento che genererà nuova vita. Questo vale anche a livello sociale. L'educazione è per il cambiamento, perché fa prendere coscienza anche dei limiti del livello di sviluppo realizzato, del modello di civiltà cui si è dato vita; coltiva un sogno sul mondo; rende coscienti dei passi avanti che occorre fare. L'esercizio critico nei confronti di ciò che si è conseguito e il gusto della novità che spinge sempre in avanti, in un continuo superamento, fanno dell'educazione una chiave fondamentale di ogni possibile cambiamento. In questo modo si possono aprire le persone alla novità, senza che essa sia solo l'ultima moda, partendo dal fatto che ognuno è una realtà originale, fondata su due pilastri essenziali: la coscienza e la libertà. Oggi si può vivere all'altezza della dignità dell'essere persone solo passando attraverso processi formativi che si prendano cura non solo della quantità di informazioni da possedere o delle competenze da acquisire, ma che siano capaci di dare alla coscienza la forza e il gusto della libertà, ragioni per sceglierla e determinazione a vivere da persone libere.


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