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    «Ecco il tempo

    favorevole» [1]

    Juan Vecchi

    Carissimi Confratelli,
    Mi è impossibile dare inizio a questa lettera senza dirvi una parola sentita di ringraziamento per la vicinanza fraterna e per la preghiera in occasione della prova che il Signore ha predisposto per me.
    Egli ha voluto che da tutto risultasse una maggiore unione fraterna nella Congregazione e nella Famiglia Salesiana e una conoscenza da parte di tutti del nostro confratello coadiutore Artemide Zatti, per la cui beatificazione già sono sostanzialmente compiute tutte le condizioni. Presto dunque lo vedremo sugli altari.
    Questa mia lettera vuole continuare il tema capitolare sulla presenza e sulla vita della comunità salesiana, esservi di aiuto per le vostre riflessioni nei Capitoli ispettoriali e, più tardi, nel Capitolo generale.
    Avevamo già individuato tre dimensioni in cui la comunità salesiana deve qualificarsi e presentarsi visibilmente nell'ambiente: la vita fraterna, la testimonianza dei valori evangelici, l’accoglienza dei giovani e dei poveri.

    LE VOCAZIONI; UN PUNTO CHE CI FA PENSARE

    Tra i temi, a cui la Congregazione si è manifestata molto sensibile nel momento della consultazione sul tema del prossimo Capitolo generale, c’era anche quello della nostra capacità di suscitare vocazioni. E non a torto. È stato sempre considerato un punto qualificante della nostra testimonianza e per questo venne abbondantemente ripreso con diverse accentuazioni nel CG24: la nostra formazione per un discernimento vocazionale[2]; la promozione vocazionale unitaria nella Famiglia Salesiana[3]; la comunità salesiana capace di promuovere la vitalità del carisma e il dinamismo vocazionale, perché lo vive con profondità, consapevolezza e radicalità[4]; la raccomandazione di un accompagnamento che riproponga le motivazioni vocazionali nella CEP[5]. Era dunque una materia posta all’attenzione, da riprendere.
    Con più chiarezza e determinazione, il CG23 aveva messo quella vocazionale come una delle aree immancabili di lavoro del nostro cammino di fede con i giovani[6] e come una dimensione qualificante della Spiritualità Giovanile Salesiana[7].
    All’interno del tema del CG25, che si riferisce specificamente alla vita e missione delle nostre comunità, vogliamo verificare le condizioni di vita e di azione che possono favorire un’esperienza gioiosa e incoraggiante della vocazione, un’esistenza che sia testimonianza e profezia, un ambiente che diventi appello vocazionale per tutti coloro che si sentissero attirati dallo spirito e dalla missione di Don Bosco.
    Di fatto, la preoccupazione vocazionale è stata una delle piste che hanno portato alla scelta del tema del Capitolo. In certo modo, la crisi delle vocazioni alla vita consacrata, che stiamo esperimentando in una buona parte della Congregazione e della Chiesa, è “una cura” salutare, nel senso che ci obbliga a verificare la qualità della nostra vita personale e comunitaria, il significato delle nostre strutture e della nostra organizzazione, la possibilità di essere ancora significativi e propositivi oggi.
    I giovani hanno bisogno di testimoni, di persone e ambienti che mostrino, per via di esempi, le possibilità di impostare la vita secondo il Vangelo nella nostra società. Questa testimonianza evangelica costituisce il primo servizio educativo da offrire loro, la prima parola di annuncio del Vangelo.
    Questa lettera vuol essere un contributo alla verifica che le Ispettorie devono realizzare; vuole offrire alcuni elementi di illuminazione per incoraggiare il molto che già si fa, stimolare ogni comunità e confratello a impegnarsi in prima persona nella testimonianza e proposta vocazionale e aprire orizzonti perché la nostra pastorale non si limiti a proposte generiche e superficiali di impegno vocazionale, né si riduca soltanto a cercare, fuori dei nostri ambienti, candidati alla vita salesiana.
    Il tema delle vocazioni è emerso spesso, come primo interrogativo o come preoccupazione, nei dialoghi che ho fatto con i confratelli durante le mie visite: e non solo per la paura di estinguerci in vaste regioni del mondo nord-occidentale, nelle quali ogni anno si constatano la diminuzione, l’invecchiamento e gli esigui ingressi; ma forse perché nell’infecondità vocazionale si manifesta vistosamente sia la scarsa forza di attrazione delle nostre comunità, sia il modesto livello di profondità della vita cristiana che proponiamo ai giovani.
    Le domande dei confratelli si rivolgevano sempre, in maniera particolareggiata, alla fecondità vocazionale di ciascuna parte del mondo: alle possibilità di avere ancora vocazioni alla vita consacrata negli ambienti cosiddetti fortemente secolarizzati e benestanti, segnati dalla libertà, dalle molteplici opportunità per i giovani, dai progetti di vita temporanei; alle condizioni richieste per assicurare l'autenticità e la perseveranza nei contesti segnati dalla religiosità popolare, da una condizione demografica ancora numerosa o dalle limitate prospettive di vita per i giovani. Molti hanno chiesto di inserire, per il prossimo Capitolo, questa prospettiva nella riflessione sulla comunità.
    Ciò, d’altra parte, è in linea con quanto affermano le nostre Costituzioni, che mettono la promozione delle vocazioni tra le finalità della nostra missione: «Fedeli agli impegni che Don Bosco ci ha trasmesso, siamo evangelizzatori dei giovani specialmente dei più poveri, abbiamo una cura particolare per le vocazioni apostoliche»[8].
    Lo conferma l’articolo 28, nel capitolo che riguarda i nostri destinatari principali: «Rispondendo alle necessità del suo popolo, il Signore chiama continuamente con varietà di doni a seguirlo per il servizio del Regno. Siamo convinti che tra i giovani molti sono ricchi di risorse spirituali e presentano germi di vocazioni apostolica. Li aiutiamo a scoprire, ad accogliere e a maturare il dono della vocazione laicale, consacrata, sacerdotale, a beneficio di tutta la Chiesa e della Famiglia Salesiana. Con pari diligenza curiamo le vocazioni adulte»[9].
    Ogni salesiano è dunque uno scopritore ed accompagnatore di vocazioni. Ogni comunità ha questa tra le sue finalità principali. È da sottomettere a verifica se tale “dettato” costituzionale orienta l’azione di ogni comunità nelle singole Ispettorie ed ispira l’agire di ogni confratello. O se, al contrario, sulla vocazione e sulle strade che rendono possibile una decisione evangelica siamo così poco istruiti e attenti da non riuscire a portare la “nostra pastorale” al suo punto di maturità.
    Ciò raccoglie l’esperienza e la preoccupazione di Don Bosco. In lui era costante e operativo il pensiero delle vocazioni. Basti ricordare due fatti. Il primo è l’iniziativa di creare il settore studenti di Valdocco, proprio per favorire quelli che, per bontà di animo e capacità intellettuale, davano segni di vocazione allo stato ecclesiastico. Impegni di studio, ma soprattutto intensità nella vita di pietà e rapporto con lo stesso Don Bosco dovevano portare a maturare i germi che si erano individuati nei primi incontri.
    Il secondo fatto è la schiera di sacerdoti e religiosi usciti dall’Oratorio, di cui Don Bosco stesso presenta con gioia e con fierezza la statistica, come segno della buona formazione cristiana dei suoi giovani. Trascriviamo, dalle Memorie Biografiche: «Infatti nel 1883, noi presenti con D. Dalmazzo, abbiamo udito D. Bosco esclamare: – Sono contento! Ho fatto redigere una diligente statistica, e si è trovato che più di 2000 sacerdoti sono usciti dalle case nostre e sono andati a lavorare nelle Diocesi. Siano rese grazie al Signore e alla sua Santissima Madre, che ci hanno fornito abbondanza di ogni mezzo per fare questo bene.
    Il suo calcolo però non era compiuto. Altri 500 dei suoi giovani si ascrissero al clero prima della sua morte; e poi altri, dei quali egli aveva svolta la vocazione, negli anni seguenti alla sua dipartita da questo mondo, sceglievano per loro porzione il sacro ministero. Aggiungiamo quelli che da tante sue case figliali passarono al Seminario. Non omettiamo i molti che per suo consiglio entrarono a ripopolare le case religiose, e non vi sono Ordini e direi quasi Congregazioni in Italia che non abbiano sacerdoti un giorno figli di D. Bosco. Indirettamente poi non gli si deve negare il merito di aver con varii mezzi accresciuto di nuove forze l’esercito del Cattolicismo. Si può dire che fu dopo il suo esempio, e talvolta per le sue istanze e per la sua cooperazione, che si apersero e si sostennero i piccoli Seminari. È da lui che non pochi Direttori di questi e dei grandi Seminari, venuti a consultarlo, impararono il modo di coltivare gli alunni con amorevole e paterna assistenza, colla pietà e specialmente colla frequenza della Comunione, condizione indispensabile per la perseveranza nella vocazione, sicché ne ebbe grande vantaggio il clero delle rispettive diocesi […] Altre prove del nostro asserto riserbiamo pel corso della storia, dalle quali unite a queste noi possiamo dedurre di non essere lungi dal vero coloro i quali asseriscono aver D. Bosco formati seimila sacerdoti»[10].
    Dalla scuola di Don Bosco vennero un Rua, un Cagliero, un Domenico Savio e tanti altri. I Salesiani oggi sono convinti che la fecondità vocazionale, nei diversi contesti, curando a dovere la pastorale e il cammino di formazione cristiana, giudica la loro capacità di comunicare una conoscenza sufficiente ed un amore a Cristo che spingono alla imitazione e alla sequela. E, d’altra parte, si scorge quanto siano lontani dall’impostazione salesiana coloro che pensano che le vocazioni debbano essere ricercate in altri contesti o attraverso l’azione di persone particolarmente incaricate, mentre le comunità dovrebbero dedicarsi soltanto a “servizi”, fossero anche a favore dei più poveri.

    Un momento fecondo

    Ci sono molti punti da cui si può partire per comprendere adeguatamente il fatto vocazionale. Nella Sacra Scrittura troviamo dei paradigmi dove si vede bene la parte di Dio, che non viene mai meno, e le condizioni della risposta dell’uomo o della donna.
    La Bibbia ha pagine per i tempi vocazionalmente difficili o di sterilità. In essi Dio, garante della salvezza, parla direttamente al cuore delle persone per assicurare la memoria della sua alleanza. Mi piace ricordare l’episodio di Samuele. Egli, in un momento di decadenza dell’istituzione religiosa, in cui l’attenzione del popolo era concentrata sullo sforzo bellico, quando si era persino dimenticata la figura dei profeti, riceve direttamente, durante la notte, la chiamata da Dio. I modelli di identificazione non esistevano, le domande e le urgenze del popolo non erano quelle religiose. Eppure Dio parla al cuore del giovane direttamente, per renderlo suo testimone e portavoce.
    In questa lettera io desidero richiamare la vostra attenzione sul fatto che forse stiamo vivendo una fase di privilegiate possibilità vocazionali, se però il nostro amore per Gesù riesce ad esprimersi ed a comunicare.
    Nel contesto del Giubileo, abbiamo vissuto due avvenimenti che ci hanno fatto pensare all’apertura interiore dei giovani a Gesù e alla forza che ha la figura e il progetto di Cristo su di loro.
    Il primo in ordine di tempo è stato il Forum 2000 del Movimento Giovanile Salesiano. Mentre mi trovavo al Colle Don Bosco, un giovane ha rivolto al Rettor Maggiore una domanda esplicita: «Dal Movimento Giovanile Salesiano e in particolare dagli animatori non escono vocazioni per il sacerdozio e la vita consacrata?».
    La risposta del Rettor Maggiore è stata: certo, sono maturate vocazioni; ma è anche vero che questa dimensione della spiritualità giovanile salesiana non è stata sufficientemente coltivata: dall’annuncio alla proposta, dall’invito all'accompagnamento personale di coloro che dimostrano attitudine, segni o primi desideri. Nel suo messaggio per il cammino del MGS nel 2000, il Rettor Maggiore ha voluto includere proprio questo aspetto. Potete leggerlo in questo stesso numero degli Atti.
    Il secondo avvenimento è stato la Giornata Mondiale della Gioventù di Roma. Nell’omelia durante la celebrazione dell’Eucaristia il Papa ha esortato i giovani a pensare anche alla possibilità di donare tutta la propria esistenza nel ministero sacerdotale e nella vita consacrata: «Possa esservi sempre, in ogni comunità, un sacerdote che celebri l’Eucaristia. Chiedo per questo al Signore che fioriscano tra di voi numerose e sante vocazioni al sacerdozio»[11]. E, più avanti, richiamava ancora: «Dalla partecipazione all'Eucaristia scaturisca una nuova fioritura di vocazioni anche alla vita religiosa, che assicuri nella Chiesa forze fresche per la nuova evangelizzazione»[12] .
    Le conversazioni individuali con i giovani hanno fatto emergere quanto il pensiero di seguire Cristo radicalmente si affacci nella loro anima. Ma sovente li trova impreparati per una risposta e, secondo quanto già altre volte si è commentato, li trova insicuri di fronte alle possibilità reali di trovare spazi sulla misura delle loro attese, nei quali esprimere una tale vocazione per tutta la vita.
    È vero: la gioventù presente nei due avvenimenti non rappresentava tutta la gioventù del mondo, nemmeno quella cattolica. Erano, specialmente nel Forum 2000, giovani scelti. Ma proprio questi sono i giovani che offrono uno spazio di dialogo vocazionale impegnativo e hanno confessato che tale dialogo non sempre è stato fatto con loro.
    Forse stiamo vivendo un “tempo nuovo”, nel quale è determinante un adeguamento della pastorale vocazionale in termini di immagine, di linguaggio e di proposta.
    Non voglio qui ripetere la dottrina teologica sulla vocazione e nemmeno descrivere le condizioni sociologiche e religiose di certe zone nelle quali sembrano concentrarsi le difficoltà. Le abbiamo già sentite a sufficienza. Si è detto, con ragione, che bisogna passare dalla analisi alle proposte.
    C’è un fenomeno che ci deve far pensare. In zone, che si dicono difficili, convivono insieme comunità, centri di spiritualità o movimenti ecclesiali che attirano fortemente e altre comunità od opere che non riescono a provocare desideri di unirsi all’esperienza che i giovani hanno pure davanti ai loro occhi.
    Anche nelle aree ancora fertili si dà una differenza tra i “tipi” di giovani e ragazzi che vengono attratti dalla nostra vita e la loro tenuta una volta che si inseriscono nelle comunità: si tratta di autenticità di motivazioni, di formazione spirituale cristiana, di progetto di vita in Cristo, di fede interiorizzata.
    Dobbiamo pensare seriamente questo aspetto. Effettivamente le vocazioni rappresentano il principale problema della nostra come di altre Congregazioni ed Ordini religiosi. Campi di lavoro ce ne sono in abbondanza, in tutti continenti: la cosa più facile è individuarli ed enumerarli. Si è pure avviata ed è cresciuta la collaborazione dei laici, per rispondere alle urgenze dei numerosi fronti. La dinamica di animazione è diffusa. Ma senza persone, che testimonino fino in fondo il carisma, niente di questo si muove!
    «Pregate il Signore, perché la messe è molta e gli operai sono pochi»[13]. Questa espressione di Gesù, vera sempre, si applica più che mai al nostro momento storico.
    Il Signore ci sta dando una nuova opportunità, ma allo stesso tempo ci chiede una purificazione, una sottolineatura dell’essenziale, una capacità di mettere in contatto vivo con Cristo, piuttosto che soltanto coinvolgere in amicizie personali o prestazioni di servizio.

    In sintonia con la Chiesa

    Sulla pastorale vocazionale in Europa è stato fatto un convegno a Roma dal 5 al 10 maggio 1998. Previamente era stato diffuso un documento di lavoro che rilevava, nel modo più oggettivo possibile, l’andamento quantitativo e qualitativo delle vocazioni, ma anche la coscienza vocazionale delle Chiese e le modalità di pastorale e proposta vocazionale che esse hanno sviluppato.
    Il documento si soffermava naturalmente sulle condizioni umane, sociali e religiose dei giovani; ma raccoglieva anche i segnali positivi, le risorse attuali, i germi di una stagione nuova che chiede una cura sapiente da parte di tutte le comunità, in particolare degli educatori.
    Alla conclusione dei lavori è stata pubblicata una relazione finale veramente nuova e ricca di proposte.
    Un lavoro simile è stato fatto in America e alla fine di febbraio la Congregazione per l’Educazione Cristiana ha pubblicato un numero della rivista Seminarium riguardante la situazione delle vocazioni nel futuro, per il quale è stato richiesto al Rettor Maggiore dei Salesiani un articolo dal titolo “Pastorale giovanile ed orientamento vocazionale”[14], un segno di come la nostra esperienza sia apprezzata.
    Da parte nostra, abbiamo dedicato un lungo tempo di studio alla Ratio, che comprende anche il prenoviziato e i criteri di discernimento per l'accettazione.
    Direi che è inutile fingere: il problema vocazionale è un problema che scotta! Ciononostante, l’intenzione generale dei convegni è di “promuovere la speranza”. Tale è il tono dei documenti previ; tale fu pure l’aria dei congressi. Abbiamo fiducia che il Signore continuerà a suscitare profeti e uomini secondo il suo cuore.
    Anche l’Unione dei Superiori Generali degli Ordini e Congregazioni religiose ha voluto mettere a fuoco la riflessione sulle possibilità e condizioni per proporre oggi la vocazione e maturare i candidati alla vita consacrata, in particolare là dove la dimensione religiosa sembra di pochissima rilevanza sociale, in balia dell’elaborazione soggettiva.
    Con tutto questo si è avuta una visione generale delle nuove condizioni nelle quali le vocazioni nascono e si sviluppano[15]. In qualche parte si vive la prova della sterilità, come quella di Sara o anche di Anna, madre di Samuele. Non è accettabile però decretare la propria estinzione e programmare semplicemente il passaggio della propria eredità carismatica ad altri, per esempio ai laici, e bloccarsi quanto alla proposta di vita cristiana e di sequela Christi nella cultura secolare!
    Se Cristo è stato per noi senso e cammino, se la nostra esperienza con Lui è stata felice, è meglio, come ha fatto Abramo, supplicare per un figlio che assuma la discendenza e darsi da fare per suscitarlo. È necessario, si è detto, convocare ed anche provocare, tornando a presentare, nella loro realtà paradossale, i percorsi di un’esistenza conforme al Vangelo, come le beatitudini, la croce, la libertà di realizzarsi in Dio.

    L’orientamento vocazionale nel nostro rinnovamento pastorale

    Lungo questi anni la Congregazione ha sviluppato una riflessione sull’orientamento dell’educazione dei giovani alla fede. Ne ha individuato nell’orientamento vocazionale la dimensione fondamentale e qualificante[16]. Vogliamo aiutare i giovani a collocarsi di fronte al proprio futuro in atteggiamento di disponibilità e generosità, predisporli ad ascoltare la voce di Dio, accompagnarli nel formulare il proprio progetto di vita.
    In questo impegno vocazionale privilegiamo alcuni aspetti che si appoggiano e si completano a vicenda: l’orientamento offerto a tutti i giovani all’interno del discorso educativo; la costante attenzione per scoprire e accompagnare con iniziative differenziate e appropriate vocazioni di particolare impegno nella società e nella Chiesa; l’attenzione speciale alle vocazioni di servizio alla Chiesa (vocazioni per le diocesi, per altri istituti religiosi) e della mondialità (vocazioni missionarie, anche laiche); una particolare responsabilità verso il carisma salesiano nelle sue molteplici forme, mediante il discernimento e la cura dei semi di vocazione salesiana, sia consacrata che laicale, presenti nei giovani.
    È nostra convinzione che regaliamo un gran tesoro alla Chiesa quando procuriamo una buona vocazione. Non importa che questa vocazione vada in diocesi, nelle missioni o in una casa religiosa. È sempre una risorsa che si mette a disposizione della Chiesa e del Regno[17].
    La situazione non è facile. Il Congresso “Nuove vocazioni per una nuova Europa”[18] ha segnalato alcune cause o radici della difficoltà: una cultura pluralista complessa, senza fondamento, che tende a produrre nei giovani un’identità fragile; una cultura della distrazione, che rischia di sommergere o annullare gli interrogativi sul senso della vita; una mentalità che porta a pensare che le possibilità della vita devono consumarsi in fretta; il nomadismo nelle idee e negli impegni, che non si preoccupa dei riferimenti orientativi definitivi. Ma è in questo contesto che il Vangelo va comunicato ed offerto come norma e cammino.
    In tali circostanze noi cerchiamo di vivere con un atteggiamento di fede serena, di speranza e senza colpevolizzazioni. Ad Abramo, quando era triste perché non vedeva realizzarsi il dono della discendenza, Dio rivolge l’invito ad uscire dalla sua piccola capanna per mettersi sotto la grande tenda del Signore, il cielo, e con quell’orizzonte più vasto interpretare e credere alla storia che Dio, fedele alle sue promesse, gli sta preparando.
    Questo atteggiamento di speranza deve anche guidarci nella lettura dei segni dei tempi: la carenza di vocazioni (un male) si può cogliere come un invito ad una purificazione delle intenzioni, a riconoscere la necessità di centrarsi sull’essenziale della vita consacrata e della nostra specifica vocazione nella Famiglia Salesiana.
    Quando preghiamo il Signore della messe, è importante che siamo mossi più dal suo Regno e dal desiderio che si adempia la sua volontà, che dalla necessità o dall’angoscia di avere successori per ciascuna delle nostre attuali opere, che prendano il nostro posto nei molti progetti apostolici che stiamo animando.
    Intanto, tra i giovani, nella Famiglia Salesiana, tra la gente, diffondiamo una cultura vocazionale. È un termine, questo, lanciato dal Papa[19]. Successivamente è stato anche da noi approfondito[20]. Si tratta di promuovere una forma di vita e di impostazione delle scelte personali davanti al futuro secondo un insieme di valori come la gratuità, l'accoglienza del mistero, la disponibilità a lasciarsi chiamare e coinvolgere, la fiducia in sé e nel prossimo, il coraggio di sognare e desiderare in grande. Accanto all’azione di contenimento, ci sono delle proposte ed esperienze educative sulla linea dei valori proposti.
    Questa cultura diventa oggi il primo obiettivo della Pastorale Vocazionale, e forse della pastorale in genere, afferma il documento conclusivo del Congresso sulle vocazioni nell'Europa[21].

    Un nuovo approccio

    Attraverso questo cammino di riflessione e le esperienze in corso, si percepisce una disponibilità dei giovani ancora viva per l’esperienza di Dio e si scoprono nuove dimensioni e nuovi elementi, importanti per il nascere e il crescere delle vocazioni.
    Vi si scorge soprattutto il nuovo soggetto destinatario e interlocutore principale del discorso vocazionale: è soprattutto l’adolescente adulto, sia per l’allargamento dell’obbligo scolastico, sia per la maggiore età in cui si decide lo stato di vita. Per noi è importante inserire elementi vocazionali in ogni età, ma abbiamo uno spazio privilegiato tra gli animatori, i volontari, i giovani collaboratori, gli universitari, gli allievi degli ultimi corsi.
    Questa novità ne comporta un’altra che ci riguarda molto da vicino: il discorso di vita cristiana e l’orientamento vocazionale per questi adolescenti adulti è molto più esigente e specifico. Essi non entrano in un’équipe di lavoro o di servizio. Se si tratta di fare un lavoro laicale, anche gratuito, sanno che possono disporre di altri spazi e strutture di volontariato. È la visione e il senso della vita che determina il loro orientamento. Soltanto se sono attirati da Gesù e hanno appreso la vita che Egli propone, si decidono a seguirlo.
    Siamo, si è detto, in un’epoca “selvaggiamente religiosa”. È necessario far sentire ai giovani la grande novità di Gesù Cristo, l’oltre e non solo il piacere della gratuità a tempo limitato. È inutile, per l’appello vocazionale, la clandestinità religiosa del gruppo che si è costituito nel nome di Cristo. È meglio che dichiariamo, apertamente con parole e opere, quale è stata la nostra scelta e la gioia con cui la viviamo.
    Nel libro degli Atti leggiamo che, mentre la comunità dei seguaci di Cristo dava i nuovi segni tipicamente cristiani, il Signore orientava verso di essa coloro che dovevano essere salvi[22]. Le due cose sono necessarie e complementari: la voce o grazia del Signore e i segni della comunità.
    Alcune costanti ricorrenti nelle conversazioni di cui vi parlavo prima, presenti anche nelle esperienze fatte dalle Ispettorie, possono aiutare pure alla riflessione sulla capacità vocazionale delle nostre comunità. Eccole.
    La vocazione è un’attrazione. Se il carisma e la vita di quelli che oggi ne sono i portatori e rappresentanti non è, per così dire, affascinante, vengono meno le condizioni per suscitare seguaci. Ciò era capitato già con Gesù. Gli apostoli sono rimasti legati a Lui da un’ammirazione non comune; avevano percepito la bontà che si sprigionava da Lui e perciò gli hanno domandato: «Dove abiti?»[23]. Andando poi a stare con lui.
    Nell’adunanza dei Superiori Generali, diversi Istituti hanno presentato esperienze di comunità aperte ed accoglienti, frontiere di missione audaci e nuove, esperienze di vita consacrata espressive del primato di Dio che avevano suscitato l’interesse nei giovani.
    Torno ad insistere sulla genuinità e il carattere comunitario delle esperienze di Dio, particolarmente vicine ai giovani “religiosi” di oggi, anche se debbono capire le condizioni quotidiane del nostro rapporto con il Padre alla luce dell’avvenimento dell’Incarnazione, liberandosi dal fascino momentaneo dello straordinario.
    La vocazione è una chiamata e una grazia; è fuori dalle nostre possibilità ispirarla e farla nascere. L’iniziativa è di Dio. È una costante nelle vocazioni bibliche e lo ripete Gesù: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi»[24]. È necessario pregare e lavorare, accogliere e ringraziare, anche solo per una vocazione, osservare e scoprire. In tal senso non ci lamentiamo, ma il nostro cuore si rivolge grato al Signore per i circa 500 giovani che anche quest’anno sono entrati nei nostri noviziati.
    La vocazione è un cammino strettamente legato alla maturazione nella fede, in un dialogo con Dio che dura tutta la vita. La condizione basilare perché essa sorga è di sviluppare la vita cristiana in ogni aspetto: verità, costumi, preghiera. Sono quasi sparite le vocazioni di carattere “sociologico”. Una forte personalizzazione della fede e una vita interiormente legata a Cristo sono indispensabili perché maturino proposte secondo la parola del Signore. Ricordate il dialogo del giovane ricco con Gesù? Ebbene, non basta essere onesti. Si tratta di cogliere misteriose dimensioni della nostra esistenza.
    Ognuno sperimenta questa chiamata, perché Dio ha un progetto per ogni persona. È necessario che tutti ne diventino consapevoli. A noi tocca aiutare ciascuno a sviluppare la sua vocazione con un programma appropriato: per la vita laicale, per il sacerdozio, la vita consacrata, la secolarità consacrata. È vero, comunque, che l’accompagnamento verso il sacerdozio e la vita consacrata costituisce un aspetto specifico e non bisogna diluire tutto in un discorso genericamente vocazionale.
    C'è bisogno di un lavoro diretto ed esplicito per le vocazioni di particolare consacrazione o servizio. Spontaneamente non sorgono, nemmeno dagli ambienti religiosi. Sono poco conosciuti i modelli di vocazioni ecclesiali, anche tra i giovani catechizzati. Per questo le Diocesi e le nostre Ispettorie organizzano un servizio di animazione. E si vede che, dove tale servizio funziona, le cose vanno meglio, sempre che le comunità non deleghino ad esso ciò che invece esse stesse possono e debbono fare. Non bisogna cadere nel genericismo e non distinguere più i diversi tipi di appelli o chiamate che Gesù stesso ha fatto.
    Ogni comunità ed in essa ogni persona dev’essere profondamente coinvolta secondo le proprie possibilità, nello scoprire ed aiutare le vocazioni. Lo sforzo di un “reclutatore” o incaricato o delegato è assolutamente insufficiente e non offre garanzie riguardo alla quantità e all'autenticità.
    Al di là della inadeguatezza per ottenere un risultato desiderato, è in gioco la continuità della missione della comunità e del singolo. Ciascuna comunità rappresenta Don Bosco nel contesto dove vive ed opera ed è deputata a prolungare il suo carisma e la sua missione. È un alibi dire che la nostra missione potrà passare ai laici o programmare la propria estinzione, anche con motivazioni religiose.
    Dio dirà quale sarà la nostra sorte; ma è importante che in essa non influisca né la nostra trascuratezza, né scelte sbagliate, come può essere quella di rinunciare a proporre ai giovani forme di intensa vita cristiana e di sequela radicale di Cristo.
    I giovani sentono la necessità di una esperienza diretta e di contatto con le realtà di contenuto vocazionale. In tal senso gioca un ruolo importante l'ambiente dove il giovane si impegna: vi può trovare modelli, gustare valori e amicizie e soprattutto esercitare responsabilità che sono tipiche delle vocazioni ecclesiali. Le nostre parrocchie, scuole, oratori, gruppi di volontariato debbono costituirsi come comunità dove si sperimentano ministeri a servizio di una missione e vi si aiuta ad un incontro con Gesù.
    Molte vocazioni, come si è detto, maturano ad un'età più alta e ciò significa un periodo di accompagnamento più lungo. Si deve infatti cominciare con una catechesi a sfondo vocazionale già nella fanciullezza e nella adolescenza. Ma non bisogna abbandonare il lavoro quando i giovani sono entrati nell’università o in ambienti equivalenti. La media di età di coloro che entrano al noviziato sta oscillando tra i 21 e 27 anni.
    Oltre ad essere più lungo, l’accompagnamento dev’essere più consistente, per quanto riguarda la fede e la pratica cristiana. Deve corrispondere allo sviluppo intellettuale del giovane, alle domande che gli pongono la vita e la società. Due Encicliche di Giovanni Paolo II – la Veritatis Splendor e la Fides et Ratio – danno un’idea delle questioni di mentalità e di abitudini sulle quali il giovane sente le più svariate opinioni, espresse con estrema sicurezza e in nome del diritto della persona a pensare e ad esprimersi.
    Sono ambiti dove è necessario l’accompagnamento. È chiaro, infatti, che mentalità ed abitudini, se non vengono illuminate ed orientate dal Vangelo, impediscono le seguenti decisioni vocazionali e ostacolano il cammino da intraprendere. Per questo nel documento conclusivo del convegno sulle vocazioni in Europa si accumulano indicazioni su un orientamento cristiano deciso: presentare Cristo come progetto dell’uomo, invitare alla sequela, coltivare il primato dello Spirito, favorire il radicalismo evangelico come profezia, dare direzione spirituale.
    Il riferimento a un ambito comunitario è indispensabile. Nessuno ha vocazione alla solitudine e all’isolamento. Perciò anche alle chiese locali viene raccomandato di organizzare la comunità come una articolazione ricca di ministeri o servizi per la missione.
    Anche noi, negli ultimi tempi, abbiamo potuto trarre delle conclusioni utili, constatando la percentuale di giovani chiamati che hanno fatto l’esperienza della comunità educativa salesiana, del gruppo, di una comunità giovanile, in un servizio di volontariato.
    Al contatto con l’ambiente educativo si sta aggiungendo oggi l’esperienza di vita nella comunità salesiana per giovani che hanno fatto già un certo cammino.
    Si segue il criterio: “Vieni e vedi”. Per un tempo breve o medio questi giovani partecipano alla preghiera, alla progettazione e realizzazione del lavoro, alla vita fraterna. È superfluo dire che si tratta di comunità scelte, che si dimostrano atte a questa accoglienza. Ma in non poche Ispettorie si è cercato di moltiplicarle. L’ideale è che ogni comunità possa essere spazio di esperienza vocazionale.
    Nel cammino di fede ci sono esperienze che sono particolarmente rivelatrici delle caratteristiche ed esigenze delle vocazioni e che aiutano a maturare più rapidamente le capacità vocazionali: possiamo includere in queste l’impegno in un lavoro pastorale, l’apprendimento della preghiera, la rimeditazione della fede, il volontariato, gli esercizi spirituali. In tali esperienze si sente in maniera più immediata la dimensione religiosa. Sono chiamate esperienze “forti” proprio per la loro intensità e non dovrebbero mancare in un programma vocazionale.
    In molti casi è necessario l’invito esplicito. L’ambiente sociale non suggerisce una vocazione religiosa. La rilevanza e il significato sociale di essa oggi è scarso; i modelli di riferimento per immaginare come sarà la propria vita in un futuro lungo sono confusi, quando non scoraggianti. In qualche parte la Chiesa, presa come istituzione, è presentata come erede di un passato di soggezione intellettuale e morale.
    Il giovane può avere desiderio di impegnarsi, ma si orienta verso i movimenti e le cause oggi più gettonate: la pace, l'ecologia, i poveri. Sarà sempre il fascino di Cristo quello che determina un altro orientamento. E qui sta la nostra prova di pastori - educatori di giovani.
    Il giovane inoltre spesso non arriva alla conclusione che egli realizza le condizioni per una vocazione di speciale servizio o consacrazione. I discepoli si sentirono affascinati da Gesù. Ma per capire che potevano mettersi al suo seguito hanno dovuto ascoltare l’invito: «Seguimi!».
    Nelle conversazioni con i nostri giovani confratelli vediamo che quasi tutti hanno trovato qualcuno che ha fatto loro una proposta, che ha pronunciato l’appello. C’è da pensare quanti di essi non sarebbero venuti senza questo invito provvidenziale e quanti effettivamente non sono entrati perché nessuno ha rivolto loro la chiamata o almeno l’interrogativo.
    L'accompagnamento o direzione spirituale diventa necessario. Lo affermava già il congresso vocazionale del 1982, riportando un'affermazione di Paolo VI: «Non c'è vocazione che maturi senza un direttore spirituale che l’accompagni».
    Possiamo pure prendere l’espressione “Direttore spirituale” non in forma tecnica, ma aperta, riferendoci a chi è capace di accompagnare. Purché questo accompagnatore conosca la storia del soggetto e le esigenze della vita spirituale e sia capace di portare i giovani verso nuovi traguardi nella vita di grazia. E qui forse abbiamo un altro punto debole: la nostra capacità di mostrare, entusiasmare, indicare i passi e le condizioni, invitare perché vengano assunte mete più esigenti, sanando ciò che non è conforme a Dio ed aiutando ad assumere tutto quello che contribuisce a fargli spazio nella vita, rivedere periodicamente la strada fatta. Abbiamo bisogno di accompagnatori spirituali che siano non solo comprensivi, ma propositivi, esperti nella vita spirituale.
    Tutto ciò è stato ribadito anche nel documento conclusivo del convegno sulle vocazioni in Europa, cui già accennavo. Il giovane sente il bisogno di confrontare molti punti della fede con tante idee e proposte che gli vengono dal contesto. Ha bisogno di un interlocutore. Ha bisogno di chiarire aspetti della morale cristiana. Ha bisogno di sostegno e orientamento. Soprattutto, non avendo esperienza del cammino della grazia e delle possibilità che ha la vita in Cristo, necessita di qualcuno che gli apra questi orizzonti.
    È provato che attorno ad alcuni direttori spirituali, ad alcuni cenacoli o case di ritiri, ad alcune esperienze di fede stanno nascendo candidati alla vita sacerdotale, consacrata, laicale.
    Noi ci troviamo nella situazione di tutti. In alcune parti viviamo la prova dell’infecondità. Abbiamo però un campo privilegiato nei nostri destinatari: i giovani. Sviluppiamo un’attività molto adeguata per il discorso vocazionale: l’educazione. Possediamo ambienti che possono offrire stimoli interessanti: le comunità educative. Possiamo pure estendere le offerte di coinvolgimento e di lavoro apostolico oltre le nostre opere
    Il MGS del 2000 dovrebbe esprimersi in gruppi di volontariato, di preghiera, di riflessione di fede, di approfondimento culturale. Tutto ciò potrebbe essere un campo fertile per l’interrogativo vocazionale. Se non ci è consentito di raccogliere, cerchiamo almeno di seminare abbondantemente.

    LA COMUNITÀ SALESIANA: SPAZIO DI ESPERIENZA E PROPOSTA VOCAZIONALE

    Esaminati a volo d’uccello e senza pretese di completezza la situazione delle vocazioni e alcuni suggerimenti generali di pastorale, ci riferiamo più direttamente al tema che sarà oggetto dei nostri Capitoli, per riflettere su quali elementi della comunità possono diventare appelli vocazionali.
    Quando pensiamo all’origine della nostra Congregazione e Famiglia, da dove è partita l’espansione salesiana, troviamo soprattutto una comunità, non soltanto visibile, ma addirittura singolare, atipica, quasi come una lucerna nella notte: Valdocco, casa di comunità originale e spazio pastorale conosciuto, esteso, aperto. Vi arrivavano, per interessamento o per curiosità, personaggi del mondo civile e politico, cristiani ferventi ed ecclesiastici che vedevano in essa un risveglio religioso, vescovi del mondo.
    In tale comunità si elaborava una nuova cultura, non in senso accademico, ma nella direzione di nuovi rapporti interni tra giovani ed educatori, tra laici e sacerdoti, tra artigiani e studenti, un rapporto che rifluiva sul contesto del quartiere e della città. E, secondo quanto leggiamo, tale cultura sollevava degli interrogativi, che arrivavano fino a mettere in dubbio la salute mentale di Don Bosco.
    Inoltre, lì avevano luogo nuove esperienze educative: esempi da tutti conosciuti sono il pensionato per giovani che andavano a lavorare in città, l’insegnamento delle arti e mestieri, il tipo di vita che vi si era instaurato.
    Tutto questo aveva come radice e motivazione la fede e la carità pastorale, che cercava di creare all’interno uno spirito di famiglia, e orientava verso un affetto sentito al Signore ed alla Madonna.
    Il termine “Religione” nel trinomio del Sistema Preventivo era tutt’altro che formale. Comprendeva l’invito ad intraprendere una vita in Dio, come ci ricorda l’episodio di Magone Michele in lacrime, fino ad orientare per le strade della santità i giovani capaci, come ci mostra la conversazione tra Don Bosco e Domenico Savio.
    Ciò suscitava nei giovani desiderio di appartenere ad una tale singolare comunità e lavorare in un’opera così originale. La parola opportuna di qualche salesiano o dello stesso Don Bosco aiutava poi a maturare la decisione.
    Così la Congregazione salesiana fu composta all'inizio, in gran parte, da “oratoriani”, persone che avevano fatto, con Don Bosco e nella sua casa, l’esperienza educativa.
    Saranno le nostre comunità oggi capaci di provocare un fenomeno simile, anche se di minori proporzioni?
    In questo lavoro di Don Bosco per le vocazioni appaiono alcuni elementi importanti che possono illuminare la nostra riflessione, anche il suo linguaggio va letto nel contesto della sua epoca culturale e teologica.
    Egli si prende speciale cura di far sorgere e sviluppare i semi vocazionali nei giovani. Non si affida al caso, ma collabora attivamente per far percepire il dono di Dio.
    Costruisce, con svariati mezzi ed interventi, un ambiente adatto, in cui la proposta vocazionale possa essere favorevolmente accolta e giungere a maturazione; elemento centrale di questo ambiente era lo spirito di famiglia: sentirsi benvoluto, a casa, valorizzato.
    Promuove un intenso clima spirituale nel quale guida alla relazione personale con Gesù, alla frequenza ai sacramenti, alla devozione a Maria, alla preghiera che porta a radicare sempre di più nel cuore e nella vita l’adesione personale al progetto di Dio. In questa linea vanno anche le brevi raccomandazioni per favorire le vocazioni.
    Aiuta a purificare e maturare le motivazioni della scelta dello stato di vita, centrandole nella gloria di Dio e nella salvezza delle anime, attraverso esperienze di impegno generoso ed entusiasta per la salvezza dei giovani.
    Don Bosco s’impegna inoltre ad essere l’animatore e guida spirituale dei giovani chiamati, in modo speciale attraverso la confessione, ma anche facilitando diversi incontri e colloqui con loro. In questo ministero uno dei tratti che maggiormente colpisce è la sua grande prudenza nel discernimento, che sa orientare i candidati con realismo e consapevolezza delle esigenze spirituali.
    Mette sempre alla base la convinzione, profondamente radicata, che ogni successo in campo vocazionale è da attribuirsi a Dio e alla materna protezione di Maria SS. Ausiliatrice. Perciò raccomanda a tutti una costante e fervente preghiera per le vocazioni.
    L’intensissimo lavoro che Don Bosco ha svolto a favore delle vocazioni, di cui già si è parlato, sottolinea il suo senso di Chiesa ed una fiducia aperta alle sorprese per la generosità dei giovani. Ci permette di comprendere la sua insistenza perché da tutti concordemente si lavori e si fatichi per procurare alla comunità ecclesiale quei grandi tesori che sono le vocazioni[25].
    Il movimento vocazionale oggi non è diverso, anche se riconosciamo che è meno sentito dalla stessa comunità cristiana. Si va dove ci si sente attirati. Certamente non sarà per la nostra organizzazione, né per il nostro servizio o lavoro che oggi i giovani si sentiranno affascinati da una vita consacrata, ma proprio per l’intensità della dimensione religiosa. «Il Signore orientava verso la comunità coloro che voleva salvare», dicono gli Atti degli apostoli[26], come già ricordavamo. C’è una coincidenza tra i segni che pone la comunità, quello del radunarsi per la fractio panis, del mettere le cose in comune, e la voce che Dio fa risuonare nel cuore delle persone che sono potenziali membri di tale comunità. È il profilo del cammino vocazionale.
    Risulterà inutile che noi offriamo comunità laiche o secolari a giovani che cercano il senso e l’esperienza calda di Dio, a coloro che hanno incominciato a gustare il Vangelo e desiderano viverlo con maggiore intensità. È necessario offrirsi come luogo di esperienza del Vangelo!

    La logica del “Vieni e vedi”[27]

    La cultura odierna è molto sensibile ai segni e ai testimoni, alle prove e alle esperienze, poco alle parole e alle promesse.
    Oggi la proposta vocazionale si realizza nello stile evangelico del “Vieni e vedi”. Questo è stato anche il cammino percorso da Don Bosco, come dicevamo. Egli voleva mostrare ai giovani una forma di vita cristiana che li rendesse felici. Per questo curò che nell’ambiente dell'Oratorio regnasse una grande allegria e uno stile di famiglia che attirava i cuori dei giovani.
    Un obiettivo importante è di costruire una comunità salesiana che renda visibili i valori della vita religiosa incarnati nei confratelli, evidenzi le motivazioni delle opzioni ed impegni di educazione; una comunità dove si senta la gioia della fraternità e dello spirito di famiglia, che sappia comunicare la sua esperienza con la propria vita, oltre che con le parole; una comunità capace di coinvolgere in un clima, ma ancora di più in una storia, perché racconta efficacemente le sue gesta, i suoi incontri con missionari, condivide i suoi momenti di preghiera, dà testimonianza con esperienze qualificanti e con appropriate attività e soprattutto con il tono della sua vita.
    Un tempo si diceva che la rovina di una comunità arriva quando sopraggiunge la rilassatezza. Oggi si afferma che siamo in tempi di mistici e profeti e occorre molto di più per dar futuro alla vita religiosa. Dopo il Vaticano II, in genere, le Congregazioni hanno fatto sforzi di rinnovamento dottrinale, strutturale e operativo, ma non per questo i giovani vi aderiscono. Il problema non sta tanto nella correttezza e nella serena coerenza, ma in quel “di più” che attira; non nel normale e onesto che serve per poter conservare le cose come stanno, ma in quel “di più” che è incluso nella profezia, nella significatività, nella radicalità; o in quella che si può chiamare l’“esperienza calda”, dalla quale sorgono intuizioni e voglia di impegnare la vita.

    La forza vocazionale della vita della comunità

    È facile constatare che la vita consacrata in alcune parti ha perso visibilità o per la forte secolarizzazione dell’ambiente o talvolta per la volontà stessa di coloro che hanno pensato di non esporsi come “uomini religiosi” e hanno puntato soltanto sul valore “umano” della loro scelta.
    Gli stessi cristiani non sempre capiscono la portata della consacrazione e più ancora non percepiscono il senso e il valore della vita consacrata. Molte volte essa viene ridotta ad una più ampia disponibilità per il servizio agli altri; sfugge la sua testimonianza del primato di Dio e il suo significato profetico.
    Anche questo è stato un punto di interesse nella riflessione sulla vita religiosa: si chiede qual è il contributo della testimonianza e l’azione specifica di un consacrato/a nell'ambito della salute, dell'educazione, del servizio sociale a confronto di quello che fanno onesti “laici”.
    L’Esortazione Vita Consecrata afferma ripetutamente l’urgenza di dare visibilità alla vita consacrata: «anche lo stile di vita (delle persone consacrate) deve far trasparire l’ideale che professano, proponendosi come segno vivente di Dio e come eloquente, anche se spesso silenziosa, predicazione del Vangelo»[28].
    «I giovani non si lasciano ingannare: venendo a voi, essi vogliono vedere ciò che non vedono altrove. Avete un compito immenso nei confronti del domani: specialmente i giovani consacrati, testimoniando la loro consacrazione, possono indurre i loro coetanei al rinnovamento della loro vita. L’amore appassionato per Gesù Cristo è una potente attrazione per gli altri giovani, che Egli nella sua bontà chiama a seguirlo da vicino e per sempre. I nostri contemporanei vogliono vedere nelle persone consacrate la gioia che proviene dall'essere con il Signore»[29].
    Nell’adunanza del Superiori Generali del maggio 1999, ci siamo interrogati sulla capacità dei giovani a comprendere come la nostra è una sequela Christi. Soprattutto abbiamo riflettuto sulle modalità o forme di vita che possono suscitare nei giovani l’immagine di una esistenza evangelica. Si vede infatti che la solennità istituzionale o il succedersi normale delle giornate non dice molto a loro. Ecco alcuni elementi, che dovrebbero connotare le nostre comunità e rendere visibile la loro vita consacrata.

    - Mostrare la gioia della fraternità e dello stile di famiglia
    Il clima di famiglia, di accoglienza e di fede, creato dalla testimonianza di una comunità che si dona con gioia, è l’ambiente più efficace per la scoperta e l’orientamento delle vocazioni[30]. Tale testimonianza suscita nei giovani il desiderio di conoscere e seguire la vocazione salesiana[31]. Questo dicono le nostre Costituzioni.
    Occorre rendere più visibile il fatto di essere comunità religiosa che vive e che lavora insieme. Spesso i giovani non incontrano una comunità di persone, ma dei singoli salesiani che agiscono individualmente.
    Conviene ricordare che la missione salesiana non è mai un fatto individuale o privato, ma è sempre espressione di una comunità. Don Bosco stesso ha subito pensato ad un gruppo di collaboratori e si è preoccupato molto dell’unità della sua Congregazione. Anche oggi i giovani hanno bisogno di vedere Gesù attraverso una comunità visibilmente unita, fraterna e gioiosa. Questo richiede di curare le relazioni personali e la comunicazione fraterna.
    In un mondo diviso e lacerato, in una società di massa dove le persone sovente vengono trattate come numeri, la testimonianza di fraternità evangelica che offrono le nostre comunità può risultare sempre più significativa.

    - Testimoniare la gioia della vocazione.
    «La vostra gioia nessuno ve la potrà togliere»[32], dice Gesù. Siamo chiamati a vivere ed a comunicare l’esperienza di un dono ricevuto: «Tu mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre»[33]; «Sono stato conquistato da Gesù Cristo»[34]. «Vidimus Dominum». Abbiamo avuto un’esperienza di incontro, svelamento, “visione” del Signore.
    «La vivacità di questa esperienza non deve diminuire col crescere dell’età o il radicarsi dell'abitudine. È chiamata anzi a maturare e riempire la vita. Se cadesse, la vita religiosa perderebbe la sua motivazione e si trascinerebbe nel funzionalismo, cioè nel solo adempimento corretto dei propri doveri. Capiterebbe a noi quello che capita alle coppie stanche, che continuano a convivere in pace, ma che da tale convivenza non si attendono né novità né felicità»[35].
    Dobbiamo esaminarci per scoprire se qualche stanchezza, qualche delusione ci ha tolto, se non la voglia di vivere seriamente la consacrazione, forse la convinzione e l’iniziativa di proporre la nostra vita ad altri in maniera efficace. Questa gioia ed entusiasmo ci deve portare a superare, nella nostra vita ordinaria e nei nostri rapporti con i giovani e con la gente, la legge del minimo sforzo o dell’appiattimento ed a proclamare i motivi di soddisfazione, di contentezza, di speranza, più che quelli di scontento, di malumore e di scoraggiamento.

    - Manifestare, nella nostra forma di vivere, il valore umano ed educativo dei consigli evangelici [36].
    Oggi si insiste sul significato antropologico dei consigli: non limitano la persona, ma aprono un campo più vasto alle sue aspirazioni ed energie. «La scelta di questi consigli, infatti, – leggiamo nell’Esortazione Vita consecrata – lungi dal costituire un impoverimento di valori autenticamente umani, si propone piuttosto come una loro superiore realizzazione, una trasfigurazione… Così coloro che seguono i consigli evangelici, mentre cercano la santità per se stessi, propongono, per così dire, una “terapia spirituale” per l’umanità, poiché rifiutano l’idolatria del creato e rendono in qualche modo visibile il Dio vivente»[37].
    Questo esige da noi uno sforzo per viverli non solo con coerenza e verità, ma anche in dialogo attento con la cultura odierna, in modo che appaia con chiarezza il loro valore umanizzante, in particolare di fronte ai giovani.
    Le nostre Costituzioni sottolineano nei voti questo valore educativo: «L’obbedienza conduce alla maturità facendo crescere la libertà dei figli di Dio»[38]. «La testimonianza della nostra povertà, vissuta nella comunione dei beni, aiuta i giovani a superare l'istinto del possesso egoistico e li apre al senso cristiano del condividere»[39]. «La castità ci fa testimoni della predilezione di Cristo per i giovani, ci consente di amarli schiettamente in modo che conoscano di essere amati, e ci rende capaci di educarli all'amore e alla purezza»[40].
    Come traduciamo nella realtà della nostra vita comunitaria questi valori?[41] Come facciamo diventare contenuti educativi originali i consigli evangelici? Se i religiosi, nelle opere educative, nel confronto coi laici, avessero soltanto una maggiore disponibilità di tempo o il possesso delle strutture, ben poco di sostanziale vi apporterebbero. La domanda ricorrente sul valore specifico della loro presenza nell’educazione, sarebbe giustificata. È compito nostro, dei singoli e della comunità, far sì che la nostra sequela Christi diventi energia, lezione e proposta educativa non generica, ma specifica: nel confronto della mentalità e dell’uso dei beni, in un’epoca segnata dalla finanza e dall’economia; circa l’orientamento della sessualità e dell’amore e il significato della libertà, in un tempo in cui vige il principio del piacere e delle scelte individuali; riguardo al rapporto con Dio in ogni passaggio della vita, in un momento in cui parte della religiosità è “disincarnata”, assente.
    Questo valore profetico si manifesta anche pronunciandosi sui grandi temi della storia umana e del mondo giovanile, intervenendo per creare opinione evangelica sulla realtà e le situazioni. La professione deve diventare annuncio, sereno ma decisivo, dei beni che il Vangelo propone per la sessualità, la ricchezza, la libertà.

    - Animare spiritualmente un’ampia comunità educativa.
    Ciò vuol dire essere segni di Dio ed educatori ad una relazione personale con Lui[42] per giovani e adulti, singoli ed istituzioni.
    La manifestazione più evidente della nostra presenza di consacrati negli ambienti educativi è l’orientamento di tutti – destinatari ed educatori – verso il Padre. La consacrazione ci invita a ripensare e realizzare l’evangelizzare educando; formula nella quale l’evangelizzare indica la finalità e la parola “educare”, la via globale preferita.
    Comunità capaci di comunicare e di condividere la spiritualità salesiana, di creare ambienti di forte qualità evangelica, di incoraggiare i giovani verso la santità, di offrire alle comunità educative motivazioni ed esperienze che animino e incoraggino, malgrado le limitazioni e difficoltà: tali sono le comunità che oggi pensiamo, aperte e propositive, non sprovviste di una loro identità e di dimensioni visibili: proprio come Valdocco.
    Oggi molti giovani e laici desiderano “vedere” e “partecipare” della nostra vita fraterna e prendere parte con noi alla preghiera e al lavoro. Dobbiamo ordinarla in modo tale che sia possibile pregare con i giovani, condividere momenti di fraternità e di programmazione con i laici collaboratori e persino accogliere alcuni giovani disponibili a fare con noi un’esperienza temporanea di vita comunitaria.
    Così la nostra comunità «diviene fermento di nuove vocazioni, sul modello della prima comunità di Valdocco»[43].
    Questa apertura si può realizzare in diversi modi e con differenti livelli complementari: attraverso un ambiente comunitario accogliente e attento alla qualità dei rapporti personali; con momenti intensi di comunione e di condivisione tra di noi, anche limitando altre occupazioni e servizi, come segno dell'importanza della vita comunitaria; parlando sempre positivamente ai giovani e ai laici della nostra vita comunitaria, dei confratelli, dei progetti comuni. Si realizza pure efficacemente: condividendo come comunità le preoccupazioni e progetti della comunità educativo - pastorale, dell’opera e della comunità umana del territorio; partecipando ai momenti più importanti della vita del nostro contesto e dando con generosità la nostra collaborazione; offrendo ai giovani ed ai laici momenti di condivisione, ai quali partecipano con interesse tutti i confratelli; curando anche l'immagine esterna della propria opera e della Congregazione, ed altre simili iniziative.

    L'azione pastorale della comunità

    Le nostre comunità, oltre a presentare la vita salesiana ed offrirsi come spazio di esperienza spirituale, svolgono un’azione educativa - pastorale. Ci sono in merito aspetti da ricordare, per non sbagliare direzione e bersaglio.
    Aiutare a vivere la propria vocazione, suscitare vocazioni di speciale consacrazione – come già si è accennato – è una delle finalità della missione della Congregazione ed è quindi una dimensione essenziale in ogni presenza, progetto o processo pastorale; costituisce il vertice della nostra azione educativo - pastorale ed è la forza che la orienta, le dà unità e la qualifica. È come l'asse portante di tutto il cammino, in ognuna delle sue tappe.
    Il soggetto garante di tale impegno è la comunità salesiana, come responsabile della genuinità del progetto educativo e, insieme ad essa, la CEP, convenientemente motivata ed istruita dal suo nucleo animatore[44].
    Una delle discriminanti tra le Ispettorie che hanno un certo numero di vocazioni, secondo che le circostanze consentono, e quelle nelle quali la sterilità si prolunga, è la presenza nell’Ispettoria di comunità attive che si prendono cura di scoprire ragazzi e giovani con attitudini, di accompagnarli perché maturino e finalmente di chiamarli. Dove le comunità hanno semplicemente delegato questo lavoro ad un incaricato, i risultati sono magri.
    Dove tutti si impegnano, mettendo in gioco anche quei confratelli che sono particolarmente predisposti a tale lavoro, si va raccogliendo il poco che ogni presenza può dare. Oggi, soprattutto nel mondo nord-occidentale – ma il fenomeno si va estendendo –, non ci sono luoghi da dove attingere molte vocazioni. Bisogna raccogliere in ogni ambiente quelle che Dio pone sul nostro cammino: diverse per età, condizione, vissuto religioso, storia personale, rapporto con la Congregazione.
    Questa attenzione vocazionale è un servizio fondamentale in primo luogo per ogni giovane, perché egli riesca a discernere il progetto di Dio e così realizzare la sua vita in pienezza: in tal senso richiede di sviluppare in lui la disponibilità ad assumere la vita come dono e servizio, a scoprire i doni e qualità le seminati in lui, a risvegliare la responsabilità verso gli altri.
    È anche un servizio alla Chiesa. Questa diventa segno e strumento di salvezza nella misura in cui ogni battezzato vi aggiunge nuove possibilità ed energie. Perciò si deve aiutare ogni cristiano a scoprire le ricchezze della vocazione alla santità e ad essere corresponsabile della missione nella Chiesa per il mondo.
    È un servizio, infine, al carisma salesiano, eredità che abbiamo ricevuto da Dio per la Chiesa e per i giovani.
    Della sua autenticità e sviluppo siamo responsabili. Questo carisma ci unisce nella Famiglia Salesiana, i cui diversi gruppi si arricchiscono vicendevolmente mediante lo scambio dei diversi modi di viverlo, apportando un contributo originale all’insieme. Con gioia cerchiamo di comunicare ad altri le diverse forme (religiosa, sacerdotale, secolare, maschile, femminile) di assumere la spiritualità salesiana, curando insieme la proposta vocazionale[45].
    Da quanto abbiamo detto, si vede lo stretto legame tra Pastorale Giovanile ed orientamento vocazionale, da stabilire intenzionalmente e da tradurre nell’azione.
    La pastorale giovanile è fin dall’inizio orientata ad un obiettivo: rendere il credente attento alla chiamata del Signore e pronto a rispondergli. Rendere “vocazionale” tutta la pastorale è fare in modo che ogni sua espressione conduca la persona a scoprire il dono di Dio nella sua vita – la fede, l’appartenenza alla Chiesa, le qualità particolari ricevute, la propria vocazione-missione – e l’aiuti a riconoscerlo, a svilupparlo, a metterlo al servizio della comunità.
    Seguendo l’obiettivo fondamentale sopra enunciato, il lavoro con i giovani in ogni presenza deve privilegiare alcune opzioni.
    Metto in primo luogo l’attenzione preferenziale alle persone, piuttosto che al compimento dei programmi preparati, alla trasmissione di contenuti intellettuali, alla preoccupazione dominante dell’amministrazione o al mantenimento di strutture. Attenzione alle persone vuol dire avvicinarle, farne la conoscenza, rendersele amiche, stimolarle ad assumere un progetto di vita.
    Accanto a questo si deve mettere il primato dell'evangelizzazione, il fare conoscere Cristo ai giovani, motivarli a lasciarsi illuminare ed interpellare da Lui, orientarli verso l'incontro con Lui e verso un’adesione sempre più convinta al senso di vita che Egli rivela. Ciò va legato ad un cammino di educazione unitario e progressivo che aiuti a personalizzare la fede e i valori del Vangelo, come bene lo ha descritto il CG23 che a partire dall’incontro con Cristo indicava, con dovizia di suggerimenti, di avviare i giovani verso un impegno per il Regno.[46]
    In tale percorso è importante la partecipazione attiva degli stessi giovani, stimolati a porsi domande e riflettere, invitati ad esprimersi e ad assecondare il desiderio di provarsi e osare nel vivere radicalmente in conformità al Vangelo.
    Può capitare che, presi da una moltitudine di attività, preoccupati delle strutture e indaffarati nell’organizzazione, corriamo il rischio di perdere di vista l’orizzonte della nostra azione, e apparire come attivisti o “movimentisti” pastorali, gestori di opere o strutture, ammirevoli benefattori, ma poco come testimoni espliciti di Cristo, mediatori della sua azione salvifica, formatori di anime, guide nella vita di grazia.
    Urge oggi che in ogni nostra presenza si dia il primato all’evangelizzazione, mediante una manifestazione chiara ed esplicita delle motivazioni evangeliche della nostra azione, l’annuncio significativo della persona di Gesù, il contatto diretto e pedagogicamente curato con la Parola di Dio, i momenti di celebrazione e di preghiera personale e comunitaria, incontri e comunicazioni significative con credenti e comunità cristiane o di coloro che sono in ricerca.
    C’è anche da sottolineare che l’orientamento vocazionale di cui stiamo parlando si fa secondo alcuni criteri: non circoscriversi esclusivamente a raccogliere candidati per un certo tipo di vita, ma – senza trascurare una pastorale vocazionale specifica – proporsi piuttosto di rendere un servizio di orientamento ad ogni giovane; favorire in ambito ecclesiale e civile una cultura vocazionale, cioè una visione della vita come dono e servizio, piuttosto che un desiderio eccessivo di realizzazione individuale, quasi tutto lo sforzo personale dovesse puntare sull’arrivare ad essere qualcuno; suggerire e sviluppare alcuni atteggiamenti umani ed evangelici fondamentali per un’opzione responsabile sulla linea del servizio, come la capacità di gratuità e donazione, di relazione e dialogo, di collaborazione e condivisione. Da ultimo, si deve aprire il panorama vocazionale della Chiesa, anche attraverso incontri e contatti che ne facciano conoscere da vicino portatori e testimoni eminenti.
    Si possono ancora ribadire alcune insistenze particolarmente importanti perché la nostra azione pastorale non smarrisca l’intenzione, l’anima e l'obiettivo vocazionale che la deve guidare.
    – Ogni comunità salesiana è responsabile prima e principale dell'animazione vocazionale dei giovani con i quali lavora. Ribadisco che l’orientamento vocazionale non è soltanto competenza di alcuni confratelli che hanno ricevuto un incarico speciale, ma una dimensione qualificante dell'azione educativo - pastorale di tutta la comunità e di ogni salesiano, come ci ricordava il CG23[47].
    I giovani devono sperimentare la comunità salesiana, non solo come gruppo di lavoro per un servizio in loro favore, ma soprattutto come comunità fraterna e di fede, con desiderio di comunicare la sua singolare esperienza, capace di contagiare la sua vocazione: questa è la prima e più efficace proposta vocazionale.
    – Non trascuriamo di pregare costantemente per le vocazioni e di desiderarle. È la lezione di Gesù e la sua reazione davanti alle folle che lo seguivano e all’esiguo gruppo degli apostoli che dovevano collaborare con Lui nella missione. Prima di inviarli, chiede loro di pregare il Padre che moltiplichi gli operai: «Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore. Allora disse ai suoi discepoli: “La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe”. Chiamati a sé i dodici discepoli, diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattie e di infermità…»[48].
    La comunità che non prega incessantemente per le vocazioni, coinvolgendo altre persone e specialmente i giovani, non può vivere pienamente il mandato apostolico di Cristo.
    La Diocesi di Roma ha vissuto un capovolgimento vocazionale, che ha avuto come perno i giovedì di preghiera per le vocazioni, ai quali partecipavano anche i giovani. Certo il Signore ci chiede anche di darci da fare. Ma le notti di pesca senza di Lui sono stancanti e sterili!
    – Si tratterà poi di saper essere propositivi. A volte abbiamo un certo pudore, una specie di timore riguardo all’accettazione che potrebbe incontrare un nostro discorso vocazionale, o siamo mossi da un falso rispetto della libertà dei giovani. Ciò ci impedisce di fare loro proposte chiare ed esplicite, che per altro verso essi ricevono con abbondanza, e spesso con scarso senso educativo, dall'ambiente circostante. Ci perdiamo nei primi passi dei processi, raggiungiamo una formazione cristiana piuttosto generica, quasi new age e poco personalizzata, con scarsi stimoli e accompagnamento per coloro che cercano di più e tendono verso vette più alte.
    Scriveva D. Egidio Viganò: «La testimonianza silenziosa e l’invito implicito non sempre bastano a risvegliare le vocazioni. […] C’è stato purtroppo, e forse persiste ancora in qualcuno, il dubbio e la negligenza di voler esprimere apertamente, in forma opportuna, l'invito personale. Il non farlo risulta, di fatto, un pernicioso “silenzio vocazionale”; si potrebbe parlare anche di codardia o di incoscienza circa il proprio ministero, perché un giovane cristiano ha oggettivamente il diritto di conoscere le proposte vocazionali della Chiesa»[49].
    Si è propositivi anche mediante la cura di ambienti dove si vive con chiarezza e con gioia il progetto di Gesù secondo le diverse scelte vocazionali, con un atteggiamento positivo di fronte al mondo dei giovani, dei poveri e in genere dei valori umani; dove c’è l'offerta di proposte di spiritualità a chi fosse disponibile, come l'iniziazione alla preghiera, all’ascolto della Parola, alla partecipazione ai sacramenti, alla liturgia e alla devozione mariana; dove si promuovono i gruppi e le associazioni nel Movimento Giovanile Salesiano, luoghi privilegiati di maturazione cristiana e vocazionale; e dove si fa esperienza di impegno, gratuità, volontariato. Non vanno trascurati la cura dei ministeri ecclesiali, anche quelli liturgici, come ministranti, animatori, lettori e guide dell’assemblea liturgica, e l’invito personale a coltivare la vocazione attraverso la partecipazione a qualche comunità di riferimento vocazionale.
    – In un contesto di prima evangelizzazione o di rievangelizzazione assume importanza speciale la significatività della Chiesa e dunque la nostra partecipazione all’animazione della comunità cristiana che deve farsi presente nell’ambiente, in particolare tra i giovani. Se essa appare propositiva e vicina ai giovani dal punto di vista sociale, culturale e religioso, anche la proposta vocazionale diventa più viabile. Va dunque sostenuta la formazione e lo sviluppo di un nucleo robusto di corresponsabili cristiani capaci di proposte specifiche, esigenti e profonde.

    Accompagnare

    L’accompagnamento si è dimostrato determinante nel cammino educativo e pastorale, che colloca al centro la persona del giovane. Lo è in maniera singolare nel sistema educativo salesiano, che si fonda sulla presenza dell’educatore tra i giovani e su una relazione personale basata sulla mutua conoscenza e interesse, sulla comprensione e la fiducia.
    Don Bosco ne fu maestro impareggiabile. Le principali espressioni del suo volere e saper accompagnare sono la ricerca di contatti con il giovane nel suo ambiente, il colloquio educativo, la direzione spirituale, l’incontro sacramentale.
    Nel nostro tempo si è fatta molto sentire l’urgenza di accompagnare, di essere interlocutore valido, per la complessità dei problemi che i giovani affrontano e per l'attenzione personale che essi richiedono.
    Conviene, dunque, andare oltre il lavoro di massa (pur tanto valido e indispensabile) ed accompagnare ciascuno secondo il livello a cui è giunto, soprattutto quelli che manifestano desiderio e volontà di progredire nel cammino di educazione nella fede. Ciò sfida la nostra preparazione.
    Sappiamo fare la catechesi; ma conosciamo i percorsi della grazia per saper indicare le abitudini da lasciare e quelle da assumere? Ci diamo il tempo per orientare non in una vaga religiosità, ma nella vita spirituale coloro che lo desiderano? Don Bosco ha potuto dare a Domenico Savio delle indicazioni per un percorso di santità; come ci sentiamo al riguardo?
    A scanso di equivoci e per tranquillità, è bene ricordare che, quando parliamo di accompagnamento, non ci riferiamo soltanto al dialogo individuale, ma a tutto un tessuto di relazioni personali che aiutano il giovane ad interiorizzare i valori e le esperienze vissute, ad adeguare le proposte generali alle proprie condizioni, a chiarire e approfondire motivazioni e criteri.
    Così l’accompagnamento include l’ambiente educativo che la comunità salesiana promuove per favorire l'interiorizzazione delle proposte educative e, collegata ad esse, la crescita vocazionale, la presenza tra i giovani, con volontà di conoscerli e di condividere con fiducia la loro vita, curata da tutta la comunità e da ogni confratello, la promozione di gruppi dove i giovani sono seguiti dall'animatore e incoraggiati dagli stessi compagni.
    C’è un campo importante per l’accompagnamento, possibile alla maggioranza dei confratelli: sono i contatti brevi, occasionali, che mostrano l’interesse per la persona e il suo mondo; l’attenzione educativa a certi momenti di speciale significato per il giovane; i momenti di dialogo personale sistematici, secondo un piano prestabilito, attorno ad un progetto di vita semplice ma esigente; il contatto con la comunità salesiana, per condividere e imparare da essa la vita di preghiera, la fraternità e lo stile di apostolato.
    Quali opzioni si dovrebbero privilegiare perché nelle nostre opere ci sia un’attenzione preferenziale ai singoli e opportunità diversificate di contatto e dialogo personale?

    Alcune aree di speciale attenzione

    Da tempo e dopo non poche ambiguità nel pensiero è nell’azione, si è affermata la distinzione tra pastorale vocazionale generale, cioè per tutti, e pastorale vocazionale specifica, cioè quella che cerca di scoprire e accompagna le vocazioni di speciale significato nella dinamica del Regno.
    Noi dobbiamo promuovere tutte le vocazioni nella Chiesa. Oggi però, afferma il documento “Nuove vocazioni per una nuova Europa”, ci sono alcune vocazioni che richiedono una speciale attenzione da parte nostra. «In un tempo, come il nostro, bisognoso di profezia, è saggio favorire quelle vocazioni che sono un segno particolare di “quel che saremo e non ci è stato ancora rivelato”[50], come le vocazioni di speciale consacrazione.
    È pure saggio e indispensabile favorire l’aspetto profetico tipico di ogni vocazione cristiana, compresa quella laicale, perché la Chiesa sia sempre più, di fronte al mondo, segno delle cose future, di quel Regno che è “già adesso e non ancora”»[51].

    – La vocazione alla vita consacrata
    La nostra società, e spesso la stessa comunità cristiana, non possiede una conoscenza adeguata della vita religiosa per capirne il senso e il valore.
    La nostra forma di vivere la vita consacrata ha perso visibilità ed in non pochi aspetti sembra indecifrabile. Ciò diventa ancora più preoccupante di fronte alla crescente presenza dei laici nella Chiesa e, per noi, nella missione salesiana. È vero che essi possono dare molto, ma è altrettanto vero che Don Bosco volle al centro della sua famiglia una comunità di consacrati.
    La proposta vocazionale salesiana, dunque, richiede oggi più che nel passato di vivere e presentare, nella fedeltà al progetto di Don Bosco, una figura di consacrato che sia significativa per i giovani e che faccia emergere gli aspetti fondamentali della vita consacrata, piuttosto che quelli ministeriali o funzionali.
    Non è sufficiente parlare di Don Bosco e della missione salesiana, ma si deve anche presentare l’importanza e il valore che nel progetto di Don Bosco ha la vita in Dio, come punto di riferimento preciso del carisma. «Don Bosco ha voluto persone consacrate al centro della sua opera, orientata alla salvezza dei giovani e alla loro santità. … Con la loro dedizione totale essi avrebbero dato solidità e slancio apostolico per la continuità e per l’espansione mondiale della missione»[52].

    – La vocazione alla vita laicale e familiare
    Spesso la nostra azione educativo-pastorale è poco propositiva dal punto di vista degli sbocchi vocazionali. Sembra che soltanto ci preoccupino alcune opzioni speciali di vita, e la vita laicale e familiare non sia considerata come una vera vocazione.
    Molti giovani impegnati e disponibili, coppie di fidanzati e giovani sposi, universitari e giovani lavoratori ci chiedono di essere accompagnati con più cura nei momenti della loro ricerca e scelta vocazionale. Per questo la Pastorale Giovanile e l’animazione vocazionale devono presentare a questi giovani i diversi modelli vocazionali nella Chiesa, dando il giusto valore all’opzione vocazionale alla vita laicale e familiare. Noi stessi dobbiamo valutare di più il matrimonio cristiano come una vera vocazione e impegnarci ad accompagnare i giovani nel loro cammino di discernimento e maturazione di questa opzione.

    – I giovani adulti: animatori e volontari
    Sono giovani che condividono generosamente molti aspetti della missione salesiana, hanno un'autentica volontà di servizio e sono in ricerca di un progetto di vita significativo per loro, anche se poi toccherà a loro stessi affrontare il cammino di realizzazione del primo sogno. Bisogna aiutarli perché l’esperienza di animazione o di volontariato sia di portata ed apertura vocazionale, e li stimoli a pensare la loro vita secondo il Vangelo e il piano di Dio su di loro.
    Questo richiede da noi l’impegno perché ognuno di essi possa approfondire la fede e riflettere sulle proprie esperienze di animazione, offrendo loro opportunità concrete di accompagnamento personale e facilitando proposte di momenti forti di spiritualità e di vita cristiana. A volte può capitare che siamo più preoccupati della loro azione di servizio che delle loro persone e del loro sviluppo vocazionale.

    – Le famiglie
    Un’altra categoria di persone che mi pare importante collegare all’animazione vocazionale sono le famiglie. Per cause e situazioni diverse molte di esse, anche cristiane, fanno difficoltà nel comprendere, rispettare, incoraggiare e promuovere la scelta vocazionale dei figli e figlie. Molte volte pensano al loro futuro con criteri diversi, se non contrari, ai valori evangelici che costituiscono la cultura vocazionale. Per questo, è importante da parte nostra conoscere e interessarci dell’esperienza familiare che vivono i nostri giovani, accompagnare e aiutare i genitori nella loro responsabilità di educatori della fede, approfondire con loro il senso della vocazione e interessarli al cammino educativo e pastorale che si va proponendo ai loro figli. Esistono nella Congregazione esempi ammirevoli di famiglie che si radunano per appoggiare con la preghiera e con l’accompagnamento la vocazione dei figli: sono iniziative da promuovere!

    L’angelo portò l’annuncio a Maria

    Concludo, come sempre, con un riferimento mariano.
    Tra le vocazioni bibliche, quella di Maria non è soltanto la più determinante nella storia, ma anche quella ricamata con più luce e semplicità. La narrazione è costruita con accenni della Bibbia che richiamano antiche speranze, esprimono attese attuali e anticipano i sogni di salvezza dell'uomo. Maria, che impersona l'umanità, risente in sé tutto ciò ed è chiamata a mettersi a disposizione di Dio per realizzarlo.
    Sovente ci fermiamo sugli atteggiamenti e sulle parole di Maria. E con ragione. Lei è icona della Chiesa e modello di disponibilità.
    C’è, nell’Annunciazione, un’immagine di Dio. Un discusso film ha cercato di esplorarla. È un Dio “personale” che segue le vicende dell’uomo e lo salva con il suo amore attraverso interventi e mediatori riconoscibili.
    Dio manda un angelo: si comunica a Maria, come in molte pagine bibliche, attraverso un messaggio e una voce che risuona prima interiormente che all’esterno. Dio ci fa conoscere i suoi disegni non solo, e forse non principalmente, in momenti solenni o con modalità vistose, ma nella vita ordinaria. L'annunciazione avviene a Nazareth, in una casa privata, a una giovane fidanzata, che fa l’esperienza umana dell’amore, della famiglia e della responsabilità.
    Sentiremo Dio in noi stessi nello scorrere della vita e nello snodarsi degli impegni. Ma, anche vedendo attorno a noi ragazzi e ragazze, dovremo pensare che una comunicazione con Dio sta avvenendo nel loro cuore. Le mediazioni sono importanti, ma nella storia della salvezza il Signore sovente ne ha fatto a meno, come nel caso di Abramo, Samuele e in quello di Maria. È forse questa una delle esperienze del Forum 2000 e della GMG. Il Signore ci aveva preceduto nella mente e nei desideri di molti giovani.
    Dio ha poi la misteriosa potenza di rendere fecondo quello che, ad occhio umano, è sterile, limitato o perduto. E si tratta di una fecondità non comune, ma pregiata, da cui hanno origine i figli di Dio.
    È questo un invito a rivedere la nostra fede nell'azione e nell’energia dello Spirito. Proprio come una vergine può concepire un figlio, così il nostro mondo, apparentemente sterile, può essere fecondo – per opera dello Spirito – di possibilità che non oseremmo sognare.
    Spesso ci soffermiamo a scrutare l’anima di Maria attraverso il suo contegno e le sue parole, per scorgere qualcosa oltre la scena esterna. Capiamo che la cosa più importante e misteriosa avviene nel suo cuore e nella sua mente. La sua conversazione con l’angelo, si tratti di una rivelazione, visione, audizione o solo ispirazione interna, è privata e nascosta. È certamente attenzione alla propria vita, ascolto attento in forma di discernimento di quello che risuonava dentro di Lei. È dialogo fiducioso con Dio circa il suo destino; è disponibilità alla proposta di Dio; è affidarsi a Lui per la realizzazione di quello che ora le chiede, per le tappe intermedie e per il risultato finale.
    In ogni vita c’è un’annunciazione, anzi parecchie e collegate: propongono una novità, danno una luce per comprendere e invitano ad aprirsi ad una speranza.
    L'annunciazione ci ricorda che la nostra risposta a Dio, docile, fiduciosa e continua, è personale. Niente l’uomo o la donna producono che non sia stato concepito e maturato interiormente. Pensieri, sentimenti, desideri, progetti, avvenimenti vengono elaborati nel nostro cuore. Lì c'è il santuario di Dio. Da quel santuario Maria confessa il suo proposito di verginità, la sua disponibilità, il suo affidarsi.
    Lo Spirito non opera per forza, né meccanicamente, ma per suggerimento, dialogo interiore, ispirazione: si prende tutto il tempo necessario per fare con calma, a ritmo umano, un’opera completa e ben combinata.
    È anche il percorso nostro e quello che aiutiamo a fare ai giovani. Ci conceda Maria di saper “amplificare” ed essere mediatori della parola personale del Signore che risuona, non sempre comprensibile, nel cuore dei giovani.
    È questo l’augurio che, insieme al mio fraterno saluto, desidero farvi giungere: la riflessione sul tema del prossimo Capitolo Generale rafforzi la capacità vocazionale di ogni comunità e di ciascun confratello.
    Con la protezione di Don Bosco e dell’Ausiliatrice

    Roma, 8 settembre 2000
    Festa della Natività di Maria

    NOTE

    [1] cf. 2 Cor 6, 2
    [2] cf. CG24, 141-142
    [3] cf. CG24, 143. 146
    [4] cf. CG24, 159
    [5] cf. CG24, 165
    [6] cf. CG23, 149-157
    [7] cf. CG23, 178-180
    [8] Cost. 6
    [9] Cost 28
    [10] MB V, pag. 411-412
    [11] Giovanni Paolo II, Omelia del 20 agosto 2000, Osservatore Romano 21-22 agosto 2000
    [12] Ib.
    [13] cf. Mt 9, 38
    [14] Seminarium Anno XL n. 1 Gennaio-Febbraio 2000, pag. 67-80
    [15] USG - 55° Conventus Semestralis. “Le vocazioni alla vita consacrata nel contesto della società moderna e post-moderna”, Ed. Il Calamo, Maggio 1999
    [16] cf. CGS, 374 e 692; CG21, 110ss; CG23, 149 ss e 247
    [17] cf. MB XVII, pag. 262
    [18] cf. “Nuove vocazioni per una nuova Europa”, n. 11c: Uomo senza vocazione
    [19] Giovanni Paolo II, Messaggio della XXX Giornata Mondiale di preghiera per le vocazioni (1993)
    [20] cf. vecchi j., “La vocazione tra cultura e culture: crisi del modello occidentale?”, in Cultura e Vocazioni, Rogate, Roma 1994, pag. 31-63
    [21] cf. “Nuove vocazioni per una nuova Europa”, n.13b
    [22] cf. At 2, 42-48
    [23] Gv 1, 38
    [24] Gv 15, 16
    [25] cf. Le vocazioni nella Famiglia Salesiana. IX settimana di Spiritualità della Famiglia Salesiana. Gennaio 1982. Elle di ci , Torino 1982, pag. 145-183
    [26] cf. At 2, 48
    [27] cf. Gv 1, 39
    [28] VC 25
    [29] VC 109
    [30] cf. Cost. 37
    [31] cf. Cost. 16
    [32] Gv 16, 23
    [33] Ger 20, 7
    [34] Fil 3, 12
    [35] ACG 365, pag.15
    [36] cf. Cost. 62-63
    [37] VC 87
    [38] Cost. 67
    [39] Cost. 73
    [40] Cost. 81
    [41] cf. anche CG 24, 152 e ACG 363, pag. 36-37
    [42] cf. Cost. 62; CG24, 151 e 159
    [43] Cost. 57
    [44] cf. CG24, 252
    [45] CG24, 143
    [46] cf. CG23, 149-156
    [47] cf. CG23, 247ss
    [48] Mt 9,36 - 10,1
    [49] ACG 339, pag. 29
    [50] 1 Gv 3, 2
    [51] cf. “Nuove vocazioni per una nuova Europa”, n. 22
    [52] CG24, 150


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