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    Educare ancora, educare sempre



    Un decennio destinato a continuare nel tempo

    Introduzione di Rossano Sala


    (NPG 2021-03-6)

    Presentando il Dossier che occupa gran parte di questo numero di NPG, vorrei subito affermare che il “decalogo per l’educazione” è un convinto e coraggioso rilancio di un decennio dedicato dalla Conferenza Episcopale Italiana all’educazione. Come tutti sappiamo, gli “Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano” per il 2010-2020 erano intitolati Educare alla vita buona del Vangelo. Tutta la Chiesa italiana ci ha lavorato, a questo, per dieci anni in moltissime modalità.
    Ma evidentemente non possiamo pensare che, finito questo tempo dedicato esplicitamente a pensare e proporre l’educazione, finisca anche il compito educativo che, in realtà, non è mai finito. Invece, ne siamo davvero convinti, che bisogna educare ancora, per il semplice motivo che bisogna educare sempre!
    L’educazione ha un fine preciso, quello di far maturare ogni giovane verso la pienezza della vita; ma per questo compito non ha mai fine, perché abbiamo sempre davanti a noi degli spazi di perfezionamento, di crescita, di affinamento, di progresso. Si tratta appunto, di accompagnare il movimento della vita delle persone e la storia degli uomini, di un compito quindi permanente e ineludibile. Anche perché le giovani generazioni si susseguono continuamente e quindi è normale che siamo chiamati ogni volta a ripartire sempre di nuovo.
    Il decennio che abbiamo appena concluso ha avuto vari momenti che ci hanno aiutato a camminare: il Sinodo sulla “nuova evangelizzazione”, che ci ha reso tutti consapevoli del cambio d’epoca in cui siamo inseriti; l’esortazione apostolica Evangelii gaudium, con cui papa Francesco ci ha consegnato la “Magna Charta” del suo pontificato, tutto pensato e realizzato nel pressante invito alla “conversione missionaria” della Chiesa; al centro del decennio c’è stato, a livello italiano, il grande Convegno di Firenze, vissuto in una forma sinodale, che ci ha fatto prendere coscienza che la questione educativa affonda le sue radici in un terreno antropologico e ultimamente cristologico; poi abbiamo vissuto i due sinodi sulla famiglia, che ci hanno aiutato a maturare una sensibilità per il lavoro pastorale sulla fragilità e nella fragilità; infine – non dimenticando la Laudato sì’, che ci ha aiutato a maturare una sensibilità non solo per l’ecologia in generale, ma per una “ecologia integrale” – ci siamo concentrati sull’universo giovanile attraverso un percorso partito nel 2016 con l’indizione del Sinodo dal tema “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale” e rilanciato da papa Francesco con l’Esortazione Apostolica postsinodale Christus vivit del 25 marzo 2019.
    Mi piace introdurre questo decalogo riconsegnandovi, nella forma della testimonianza, alcune sensibilità educative maturate durante il Sinodo sui giovani. Chiamato ad essere “Segretario speciale” di questo evento ecclesiale anch’io sono cresciuto camminando insieme con i giovani.
    Sinteticamente, mi permetto quindi di offrire alcune piste di lavoro maturate al Sinodo in merito all’educazione, che per sua natura è una realtà poliedrica e dinamica, in quanto si presenta sempre in movimento e con una quantità enorme di differenti sfaccettature. Si tratta evidentemente di sfide, intendendo con questa parola sia una dinamica di opportunità positiva che di rischio da affrontare. Lo faccio riprendendo alcune parole chiave tra le tante che sono state valorizzate durante i tre anni di lavoro in cui il Sinodo sui giovani ha preso corpo.

    Il grande appello alla sinodalità

    Prima di tutto riconsegno la necessità di metterci di nuovo in cammino con i giovani. L’educatore è prima di tutto uno che si mette in cammino e che non ha paura di mettersi in gioco. Mi impressiona sempre il vangelo, perché ci presenta sempre Gesù in movimento, mai fermo, mai bloccato. Alla domanda “dove abiti?” i primi discepoli sono invitati a venire e a vedere, e pian piano scopriranno che Gesù ha per casa il mondo intero! Effettivamente al Sinodo siamo partiti dalla domanda pratica “che cosa dobbiamo fare con i giovani?” e siamo arrivati alla domanda esistenziale “chi dobbiamo essere con i giovani?”. Si tratta di una chiara conversione dal “fare per” all’“essere con”, e non è cosa da poco. L’educazione cristiana dei giovani si gioca prima di tutto qui, in questa prima e decisiva sfida dello stare con i giovani e camminare con loro!

    Il primato comunitario nell’educazione

    In secondo luogo desidero sottolineare con convinzione la forma comunitaria dell’educazione. Siamo partiti da una prospettiva piuttosto individualistica nel cammino sinodale, ma pian piano abbiamo riscoperto la bellezza di essere comunità che educa. Lo ripetiamo spesso, nel mondo dell’educazione, che “per educare ci vuole un villaggio”. Abbiamo riabilitato la forza e la fecondità dell’accompagnamento e del discernimento ecclesiale e comunitario. E solo dopo e dentro questo matura un’appartenenza ad un gruppo specifico e anche un cammino di approfondimento e discernimento personale. Creare luoghi ecclesiali aperti al confronto, al dialogo e alla condivisione è oggi sempre più essenziale per offrire solidità alle nostre proposte educative!

    L’ineludibile necessità di ascoltare

    Lungo il percorso sinodale papa Francesco ci ha invitato varie volte ad ascoltare i giovani con empatia. In Christus vivit si augura che ciascun educatore chieda il dono delle lacrime, che sole posso purificare il nostro sguardo (cfr. nn. 66-67). La sfida dell’ascolto empatico dei giovani è enorme, perché ci invita a metterci in discussione e ad uscire dagli stereotipi del mondo giovanile, riconoscendo che “la realtà è superiore all’idea”. Durante l’assemblea sinodale un delegato fraterno ci ha invitato a vivere lo stesso atteggiamento di Gesù quando ha incontrato la donna siro-fenicia (cf. Mc 7,24-30): ascoltando la parola di quella donna Gesù ha cambiato il suo sguardo verso di essa. L’ascolto, quando è autentico, modifica il nostro punto di vista!

    La presenza, chiave dell’educazione

    Uno degli interventi più semplici, profondi ed emozionanti durante l’assemblea sinodale è stato quello del priore di Taizé, Frère Alois Löser. Egli ci ha detto che il segreto di Taizé sta in una convinzione condivisa e radicata in tutti i membri della comunità: Dio è presente nella vita dei giovani! Molte volte noi educatori non pensiamo così né siamo davvero convinti di questo: diciamo spesso che i giovani sono lontani da Dio, mentre la sfida sta nel riconoscere e valorizzare la presenza di Dio che sempre precede, accompagna e nutre la nostra azione educativa. Dio non è il grande assente, ma il sempre presente e l’educazione è sempre un gioco a tre, perché Dio da sempre in Gesù e nel suo Spirito è tanto misteriosamente quanto efficacemente presente nella vita di ogni giovane! E se Dio è presente nella vita dei giovani, significa che il primo compito di ogni educatore è la presenza, la prossimità, la vicinanza e la condiscendenza.

    I giovani sono assetati di verità

    I giovani durante tutto il cammino sinodale si sono mostrati dei cercatori di verità. Sia il tema della “ricerca” che quello della “verità” sono sempre stati presenti in tutte le fasi del cammino. Padre Bruno Cadoré, il superiore generale dei domenicani, narrava con interesse come tutti i giorni, scendendo dalla Curia generalizia di santa Sabina sul colle Aventino per venire al Sinodo, passava davanti alla Chiesa di Santa Maria in Cosmedin, dove si trova la famosa “bocca della verità”. E diceva che ogni mattina c’era sempre fila davanti a quella bocca aperta, e in fila c’erano sempre moltissimi giovani. “Hanno sete di verità”, diceva, “e noi siamo chiamati ad incontrarli esattamente lì, nel loro desiderio di verità”. Penso che l’educatore, oggi più che mai, debba essere in qualche modo una “bocca della verità” per ogni giovane che intende accompagnare!

    L’educazione come “estasi”

    Concludo e rilancio con una parola che sembrerà un po’ strana o fuori luogo rispetto all’educazione, ma non lo è affatto. Sappiamo tutti che l’educazione ha una potente sfaccettatura maieutico-socratica: una delle radici dell’educazione viene da educere, parola che significa “tirar fuori”. Risvegliare qualcosa che sta sopito e come addormentato nell’interiorità di ogni giovane. Questo è senz’altro vero, perché siamo chiamati a ridestare i talenti che risiedono in ciascun giovane che incontriamo. Ma mi sia permesso di fare un passo avanti: Papa Francesco ci ha sfidato nell’educazione a tirar fuori il giovane da se stesso, e soprattutto ad invitarlo a vivere in forma “estatica”. Educere nel senso di liberare il giovane dal suo egocentrismo, da una concentrazione tendenzialmente patologica su di sé – questa del narcisismo è la grande malattia della nostra epoca, se ci pensiamo bene – per aprirsi generosamente agli altri. Francesco osa dire ad ogni giovane: «Che tu possa vivere sempre più quella “estasi” che consiste nell’uscire da te stesso per cercare il bene degli altri, fino a dare la vita» (Christus vivit, n. 163).
    Queste sei sfide emerse lungo il cammino sinodale sono semplici assaggi di un’esperienza ecclesiale che ha cercato di ridare coraggio e forza al nostro compito educativo. Mi pare che introducano bene il decalogo che segue, preparato dall’Ufficio educazione, scuola e università della Conferenza Episcopale Italiana e commentato autorevolmente da dieci esperti del campo educativo. In questo modo ognuno di noi può rinvigorire la convinzione che bisogna educare ancora perché bisogna educare sempre!
    Sia questa la certezza per ogni operatore di pastorale giovanile, per ogni comunità cristiana e per la Chiesa tutta nei primi decenni di questo nuovo millennio.


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    p a g i n A


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