SPORT E VITA CRISTIANA /2
Angela Teja
(NPG 2024-04-70)
P. Henri Didon (1840-1900), predicatore domenicano di grande fama in Francia nella seconda metà dell’800, per le sue famose dispute sui temi dell’attualità di allora, alcune delle quali (quella sul divorzio per esempio) gli erano costate un periodo di “ritiro” forzato in Corsica, ha mantenuto la sua fama nel tempo soprattutto per essere stato amico di Pierre de Coubertin. La menzione più frequente che se ne fa riguarda il famoso motto olimpico Citius, altius, fortius del quale gli si attribuisce la paternità. A voler essere pignoli, in realtà sono stati i suoi studenti a “inventarlo”, come vedremo, e a riportarlo su stendardo e bandierine ai primi giochi scolastici sportivi che si siano svolti a Parigi, desiderati e ottenuti da Coubertin presso l’istituto s. Alberto Magno di cui p. Didon era rettore, ad Arcueil, una zona periferica di Parigi.
Era il 1891 e Coubertin non riusciva a trovare accoglienza per le sue idee sportive negli altri istituti privati dove si era recato, per esempio dai Gesuiti dove aveva studiato, ma che a sua detta praticavano solo “giochi infantili”. Nella scuola pubblica sarebbe stato inutile andare, nelle sue palestre si praticava l’educazione fisica tradizionale, con la preponderanza nei curricula scolastici delle materie “intellettuali”, con un grosso disequilibrio che lo stesso Coubertin aveva iniziato da tempo a stigmatizzare come “surmenage intellettuale” per i giovani, a discapito della loro salute e soprattutto di una loro formazione integrale pronta e vivace. Quest’ultima era evidente infatti che non potesse derivare da un’istruzione libresca, piuttosto essa richiedeva la partecipazione di tutte le componenti della persona a una piena e completa educazione. L’educazione fisica che all’epoca si praticava nelle scuole francesi occhieggiava infatti quanto succedeva in Europa, e cioè la necessità di rinforzare il corpo (prevalentemente quello maschile, essendo i ragazzi quelli che in maggior misura frequentavano le scuole) a fini addestrativi alla guerra, insomma una ginnastica prussiana adattata all’ambito francese, con qualche attenzione in più agli aspetti salutistici, ma in fondo non molto lontana dai principi del Turnvater Friedrich Ludwig Jahn (1778-1852)[1]. Una preparazione che però non era stata sufficiente vista la sconfitta a Sédan (1870), che anzi aveva fortemente fiaccato lo spirito identitario francese mettendo in evidenza l’assoluta impreparazione dei suoi giovani alla guerra. Pertanto si iniziò a capire che era lo sport di stampo inglese quello che serviva alla gioventù, come poi ben si sarebbe manifestato con l’espandersi degli insegnamenti anglosassoni in tutta Europa a seguito della Grande guerra. Le truppe inglesi e americane avrebbero ben evidenziato infatti in quella occasione come, più che l’ubbidiente muscoloso ginnasta, sul campo di battaglia servisse lo sportivo ardimentoso, in grado di organizzarsi anche in assenza di un comandante, capace di strategie e soprattutto generoso nell’impegno, capace di lavorare in squadra. Ma torniamo alla fine dell’800.
Conosciamo l’attrattiva che i metodi educativi dei colleges inglesi, ricchi di momenti di recupero, alternativi allo studio, che consistevano prevalentemente in competizioni tra squadre in giochi all’aperto, oltre che in gare di tipo atletico, colpirono l’immaginazione di Coubertin e ancor prima di p. Didon, entrambi viaggiatori, ed entrambi attirati dal Regno Unito alla scoperta delle sue nuove tendenze pedagogiche, molto attente ai giovani, il futuro delle nazioni.
Sappiamo anche come sia stato il college della cittadina inglese di Rugby quello che ha attirato entrambi questi personaggi per i metodi educativi qui messi in atto da Thomas Arnold (1795-1842), il suo rettore, un padre protestante. Per cui quando Coubertin bussò alla porta dell’istituto di Arcueil, dove era stato iscritto suo nipote, alla ricerca di humus fertile all’idea sportiva, trovò in p. Didon un amico entusiasta dell’idea di poter mettere in pratica, con una guida esperta, quanto aveva osservato al di là della Manica.
Era dunque il 1891, gennaio per l’esattezza come ci racconta Jean Durry, uno degli studiosi più accurati di Pierre de Coubertin, quando il Padre dell’Olimpismo si trovò a correre con p. Didon «nelle paludi» circostanti il San Alberto Magno, svolgendo entrambi il ruolo di «lepri» in un rally-papier, «secondo una formula allora spesso in vigore, in base alla quale verrà fondata l’Associazione Atletica del Collegio di Arcueil»[2]. Ecco in nuce il primo gruppo sportivo scolastico, con tanto di motto che inizialmente era Citius, fortius, altius, come ci racconta Norbert Mueller[3] tra i maggiori esperti di storia dell’Olimpismo. Parole che furono ricamate sullo stendardo con l’invenzione anche di un inno ginnastico, un’abitudine per la verità già diffusa nelle società ginnastiche che dopo i turnen prussiani si erano diffuse in tutta Europa: piuttosto la novità ad Arcueil fu che il suo gruppo di studenti si sarebbe allenato per disputare gare di atletica all’aperto, con un passaggio dunque dalla ginnastica di stampo tedesco allo sport di tipo inglese. Il fatto che fossero stati gli studenti stessi a inventare il motto evidenzia la volontà pedagogica sottesa all’idea, nel senso che p. Didon, proprio come aveva visto fare nel college di Rugby, volle affidare ai ragazzi stessi la responsabilità di quella invenzione, come pure dell’organizzazione del gruppo sportivo, dei suoi orari, delle regole, dell’attenzione alla temperanza, alla prudenza, al coraggio, alla disciplina del loro vivere. Attraverso la pratica sportiva, dunque, p. Didon avrebbe dato corpo e visibilità all’atto educativo del “tirar fuori” dai ragazzi la loro volontà di autonomia e maturazione, consapevole di una prima attività sociale introduttiva al senso di responsabilità che, in un prossimo futuro, avrebbero dovuto manifestare come cittadini liberi, eguali e fratelli. Una consapevolezza quest’ultima che la Rivoluzione aveva impresso in maniera indelebile nell’anima dei francesi.
L’idea olimpica prese dunque vita in ambito scolastico con sorte analoga a quella dello sport nei colleges inglesi. L’istituto s. Alberto Magno era collegato ad altri due istituti parigini, il S. Domenico e il Lacordaire, scuole per la formazione delle élites destinate alle grandi carriere pubbliche (con le stesse finalità dunque dei colleges inglesi dove si educavano i futuri quadri dell’Impero britannico) e Didon a fine anno radunava studenti e genitori, autorità e maggiorenti per tirare le fila del suo metodo pedagogico con mirabili discorsi che sono stati poi raccolti in un unicum pubblicato nel 1898 a Parigi con il titolo di L’éducation présente. Discours à la jeunesse, per i tipi dell’Editore Plon. In questo volume, la cui lettura si presenta come molto utile per chi vuole meglio comprendere il metodo pedagogico attuato da p. Didon nei suoi istituti, si nota la sua insistenza sul richiamo alla volontà nell’esercizio delle virtù richieste ai suoi studenti, la principale tra tutte ma non l’unica. Tutto il pensiero di p. Didon è difatti intriso di tomismo, tanto il Domenicano aveva affiancato per i suoi studenti il fedele insegnamento della teologia tomista ad una lettura degli sport atletici come estrinsecazione di Virtù[4]. Lo stesso motto voleva infatti contraddistinguere le attività sportive come incarnazione delle Virtù stesse, laddove la palestra diventava essa stessa «palestra di Virtù». I suoi discorsi di fine anno sono espliciti al riguardo e ricchi di insegnamenti spirituali sulla falsariga di quelli di s. Tommaso, con l’evidenza che p. Didon abbia voluto rendere comprensibile ai giovani alcuni aspetti del pensiero del Dottor Angelico attraverso una lettura a loro accessibile dell’esercizio delle Virtù, e cioè attraverso lo sport.
NOTE
[1] Friedrich Ludwig Jahn, prussiano di nascita, è stato l’iniziatore di un metodo ginnico di stampo militare che fu molto diffuso in tutta Europa agli inizi dell’800 per la formazione del cittadino-soldato, futuro combattente nelle numerose guerre del XIX secolo. Cfr. M. Di Donato, Storia dell’educazione fisica e sportiva. Indirizzi fondamentali, Studium, Roma 19983, pp. 64-73.
[2] J. Durry, Le vrai Pierre de Coubertin, Comité Pierre de Coubertin, Paris 1997, p. 26. La gara era una corsa a inseguimento di «lepri» che lasciavano come tracce sul terreno per chi le inseguiva dei pezzetti di carta.
[3] P. de Coubertin, Olympism. Selected Wrintings, N. Müller (ed.), Cio, Lausanne 2000, p. 585. Norbert Müller ricorda che l’ordine dei comparativi in origine sarebbe stato questo, con fortius prima di altius, poi cambiato dal CIO.
[4] Per questa lettura si veda la ricca bibliografia in A. Teja, P. H. Didon, un domenicano alle radici dell’olimpismo. Citius altius fortius tra corpo e spirito, Ave, Roma 2024.