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    Una comunicazione sapiente per dare senso alla vita



    Mario Pollo

    (NPG 1992-01-36)


    Uno dei problemi più inquietanti del nostro mondo occidentale è la diffusa e profonda crisi sul senso.
    Senso significa ragioni per vivere e per sperare, insieme di ideali in cui riconoscersi e a cui ispirarsi. Siamo in crisi di senso perché non riusciamo più a decifrare bene a chi affidare questa impegnativa esperienza.
    La crisi è violenta e, per molti aspetti, inedita. Per tanto tempo, gli adulti hanno trasmesso alle giovani generazioni, attraverso processi spontanei e tranquilli, quel senso dell'esistenza che avevano faticosamente costruito. Poi, è esplosa la rottura del dialogo e il confronto è stato sostituito dalla soggettivizzazione sfrenata. Gli adulti hanno messo sotto giudizio valori e significati che avevano resistito all'onda lunga del tempo. I giovani hanno sperimentato difficoltà gravi ad assumere, con procedure pacifiche, proposte e progetti di cui contestavano la pertinenza.
    E così ci siamo trovati giovani e adulti, anche se per motivi differenti, a corto di speranza. Chi crede alla vita e sente la responsabilità di generarla continuamente offrendo ragioni per vivere, persegue con decisione una inversione di tendenza.
    In una cultura, violentemente segnata dalla complessità, sembra veramente impossibile comunicare. La crisi dell'evangelizzazione, denunciata con forza in molti contesti, è prima di tutto crisi di possibilità e di modelli di comunicazione sapiente. In una comunicazione disturbata e, spesso, spenta, non possiamo certamente scambiarci ragioni di senso per credere alla vita e sperare oltre la morte.
    Come ricostruire la trama di una comunicazione interpersonale, capace di dare senso all'esistenza?

    LA COMUNICAZIONE COME EVENTO TEMPORALE

    Il tempo è il luogo in cui si dipana il filo che costruisce la possibilità della vita umana. Il telaio che lo tesse è l'evento della comunicazione.

    Il tempo come luogo del senso della vita umana

    L'uomo ha avuto in dono da Dio il dominio dello spazio del mondo all'interno del fluire del tempo. Il tempo, tuttavia, sfugge completamente al suo controllo: esso appartiene esclusivamente a Dio.
    L'uomo abita il tempo, come una casa che non gli appartiene.
    Per questo, il tempo è l'espressione più piena del vivere dell'uomo: della sua fragilità, della sua precarietà e dell'effimericità dei suoi sogni di potenza.
    Del tempo l'uomo può solo parlare. Può infatti osservarlo, definirlo e speculare su di esso. Ma nessuna di queste attività gli offre una qualsiasi possibilità di dominarlo.
    Anche quando fantastica su un suo possibile sottrarsi all'inesorabile fluire del tempo, l'uomo, di fatto, non fa altro che confessare ancora una volta la sua impotenza.
    L'uomo può solo vivere il tempo e lasciarsi trasportare dal suo mistero alla soglia di ciò che è ineffabile. E questo è già un enorme dono.
    Il fluire del tempo nel mondo attraverso le stagioni e i giorni, leggibile nel clima, nel cielo, nella luce, nelle piante e negli organismi animali ha, sin dai primordi, rivelato all'uomo frammenti di senso sulla sua vita.
    Attraverso il ciclo della vita vegetale e della luna, ad esempio, l'uomo ha intuito che la sua vita poteva rinascere dopo la morte.
    Il tempo è il luogo del senso, il luogo cioè in cui Dio manifesta la sua prossimità all'uomo.
    Questa consapevolezza che l'uomo privo della rivelazione esprimeva in forme mitiche, alcune volte aberranti, trova la sua formulazione compiuta nella rivelazione divina depositata nel Libro.
    Indicazioni sul tempo come luogo del senso della vita umana sono, ad esempio, rintracciabili nel versetto 12 del salmo 90:
    «Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore».
    In questo versetto, infatti, si esprime la risposta dell'uomo di fede dell'Antico Testamento allo sgomento che gli provoca la meditazione intorno alla caducità ed alla precarietà dell'esistenza umana e delle cose mondane.
    Questa risposta, come si vede, non si manifesta nella richiesta a Dio del prolungamento, al di là dell'ordine naturale, della durata della vita, ma solo nell'acquisire la capacità di imparare a contarne i giorni.
    Dove il contare i giorni può essere interpretato come la capacità di capire (non solo con la mente ma anche con il cuore, come vuole la vera sapienza) che il senso della vita umana è nel suo scorrere all'interno del tempo, e non nelle cose di cui è costellata e, per molti versi, fatta.

    La comunicazione nello sviluppo del tempo

    La comunicazione umana è una delle forme attraverso cui il tempo si rende presente nella vita individuale e sociale dell'uomo.
    Per questo essa tesse l'esistenza umana.
    Infatti ogni linguaggio umano è costruito sulla sequenza nel tempo di segni. Questo vale in modo particolare per la lingua parlata, ma può essere applicato, se si riflette bene, ad ogni linguaggio.
    Anche la pagina scritta, in cui i segni sono presenti tutti nello stesso istante, rivela il suo significato solo quando da un punto di essa inizia la sequenza temporale della sua lettura.
    Senza tempo non si avrebbero né racconti, né deduzioni logiche, né dialettiche argomentazioni. Il tempo è la condizione necessaria della comunicazione umana e, quindi, il suo luogo costitutivo.
    D'altronde il linguaggio più importante dell'uomo, la parola parlata, è nel suo accadere la rappresentazione del fluire del tempo nella vita umana.
    La parola, infatti, quando sta per essere pronunciata è ancora futuro. Diviene presente nel momento in cui viene pronunciata e scompare nel passato subito dopo.

    La parola parlata per scandire il tempo

    Il suono di una parola è, quindi, una rappresentazione molto fedele di quello scorrere del tempo a cui vanamente l'uomo cerca di opporsi.
    Proprio per questo sin dalle età più arcaiche l'uomo ha cercato di esorcizzare la caducità del suono delle parole con vari strumenti. La scrittura è, indubbiamente, quello più evoluto.
    Il motto «verba volant, scripta manent» rappresenta il senso di questa apparente vittoria dell'uomo sulla caducità della presenza delle sue parole nel tempo.
    Ma, nonostante i molti tentativi, la comunicazione attraverso la parola parlata mantiene una capacità unica di esprimere il mistero del tempo. Infatti, se il tempo può essere considerato la presenza di Dio nel mondo, la parola parlata, che abita il tempo, appare come il medium privilegiato attraverso cui questa presenza risuona.
    Non per nulla la presenza di Dio all'uomo si manifesta nell'oralità della parola: sin dall'Antico Testamento e in modo sconvolgente nella vita di Gesù nello spazio e nel tempo del mondo. Nell'Antico Testamento «Dio chiama Abramo: Abramo! Abramo risponde: Eccomi!» (Gen 12, 14) . Nel Nuovo Testamento addirittura la Parola di Dio si compie facendosi Persona in un essere umano con un nome umano, Gesù Cristo.
    Attraverso questa Parola l'uomo della storia può comunicare con il «Padre che sta nei cieli».

    La comunicazione per il senso della vita

    La comunicazione, in tutte le sue forme e linguaggi germinati dal tronco della lingua parlata, non è perciò solo l'espressione della temporalità dell'uomo; essa soprattutto è ciò che rende possibile e dotata di senso la sua vita nel tempo: questo vale per il senso ultimo della vita e per quelli più contingenti che orientano l'esistenza quotidiana dell'uomo nel mondo.
    Nella comunicazione, infatti, l'uomo crea la cultura sociale attraverso cui elabora il progetto della sua vita individuale e sociale e media il suo rapporto con la realtà del mondo. Essa, dando forma al tempo, consente di leggere e orientare il suo agire: può essere considerata una sorta di telaio, che attraverso azioni successive nel tempo, tesse un ordito che consente all'uomo di decifrare il senso della sua vita e di individuare le direzioni verso cui orientare il suo agire quotidiano.
    La comunicazione è quindi qualcosa di più del semplice scambio di segni teso a produrre dei significati comuni. Essa, specialmente nella sua forma più compiuta che è la lingua umana, è il dono che consente all'uomo di conquistare e realizzare la sua umanità, e il luogo in cui la potenza creatrice ha lasciato impressi i segni dell'amore di Dio per l'uomo e per la sua vita.
    La comunicazione è, quindi, sempre un fenomeno complesso, portatore di differenti ed a volte incommensurabili significati e livelli di senso: può rivelare, a seconda di chi la promuove e di chi la riceve, differenti significati e può produrre una pluralità di interpretazioni che si collocano a differenti livelli di senso.
    Questa particolarità della comunicazione è la ragione per cui essa è velata di mistero e ciò che rende la sua piena comprensione sempre irriducibile a ogni paradigma scientifico o semplicemente razionale.
    Ma proprio questa sua irriducibilità affascinante spinge l'uomo, al pari di un viaggiatore dei tempi mitici in cui il viaggio era una forma di ricerca dell'essere del suo senso, ad esplorarla e renderla sempre più potente e presente nella vita umana, anche se così facendo, molto spesso, la svuota della sua capacità di rivelare il senso più profondo che tesse la sua temporalità.
    Sta proprio accadendo così nella vita sociale contemporanea. Stiamo assistendo ad un prodigioso dispiegarsi della comunicazione e dei mezzi che la realizzano, unito ad un impoverimento della capacità delle persone di cogliere il senso più profondo della loro presenza nel mondo e, quindi, di «contare i loro giorni», contemplando l'ordito del tempo tessuto e della comunicazione.

    TECNOLOGIA E COMUNICAZIONE

    Questi ultimi decenni sono stati caratterizzati da un impetuoso e, per alcuni versi, imprevedibile sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa. La stampa, per quasi mezzo millennio l'unica tecnologia della comunicazione, è stata, quasi di colpo, affiancata da nuovi potenti mezzi quali il telegrafo, la fotografia, il cinema, la radio, il telefono, la macchina da scrivere, la televisione, le telescriventi, i sistemi di registrazione e di riproduzione audio e video sempre più sofisticati, i computers, i telefax. Il tutto, oggi, assistito da una rete di satelliti, di ripetitori, di antenne, di cavi e di trasporti che assicurano vari tipi di comunicazione istantanea, o al massimo differita di poco, tra tutte le aree del globo terracqueo.
    La rivoluzione tecnologica dei mezzi di comunicazione è tutt'altro che giunta la termine. Laser, fibre ottiche, alta definizione, ecc., non sono che i facili indizi di una evoluzione tecnologica che riserverà ancora, al di là dell'immaginabile, ulteriori sorprese e stupori.
    Oltre a questi mezzi di comunicazione dell'informazione la tecnologia in questo ultimo secolo si è arricchita anche di strabilianti mezzi di trasporto che, come è evidente, sono anch'essi strumenti di comunicazione. L'insieme integrato dei mezzi di trasporto e dei mezzi di comunicazione rappresenta il complesso sistema di comunicazione del mondo contemporaneo.
    In conseguenza di questa rivoluzione tecnologica il sistema di comunicazione odierno tende a trasformare il mondo, in accordo a quanto sosteneva Mc Luhan, in una sorta di villaggio globale all'interno del quale le persone dedicano sempre più tempo e risorse alla attività di comunicazione, magari solo come passivi ricettori.
    Attraverso il sistema di comunicazione si sta disegnando un nuovo mondo abitato da un nuovo uomo in possesso di un sistema nervoso che si estende in tutto il globo terracqueo e di organi motori in grado di fargli percorrere in poco tempo distanze enormi.

    È aumentata la potenza comunicativa dell'uomo a scapito della profondità

    Le nuove tecnologie hanno prodotto una reale estensione degli organi sensoriali e motori: è nato un uomo nuovo, dotato di occhi, orecchie, corde vocali, gambe, braccia e mani tecnologiche che può vedere, sentire, parlare e agire anche al di là dello spazio-tempo che il suo corpo è in grado di dominare direttamente.
    La tecnologia della comunicazione non può perciò essere considerata solo come un insieme di mezzi esterni all'uomo che egli può utilizzare secondo le sue esigenze, ma come una vera e propria parte costitutiva della sua natura fisiologica.
    L'uomo del nostro tempo ha, di fatto, incorporato nel suo stile di vita i mezzi di comunicazione trasformandoli in protesi. Ciò ha modificato la sua fisiologia e ha dilatato il suo dominio spazio-temporale.
    La modificazione della fisiologia umana non è però avvenuta solo a livello metaforico ma si è manifestata anche a livello della struttura del sistema nervoso.
    L'utilizzo intensivo di alcune tecnologie comunicative ha indubbiamente modificato il sistema nervoso degli esseri umani odierni rendendolo significativamente diverso da quello degli uomini vissuti in epoche passate. La rapidità delle percezioni, delle reazioni ed il livello di complessità del coordinamento psicomotorio e visomotorio degli uomini dei nostri tempi è senza dubbio molto più sviluppata di quella degli uomini di un passato anche recente. Al contrario alcune abilità umane possedute dagli uomini del passato sono scomparse o sono divenute oltremodo rare.
    Per esempio i mass media hanno, da un lato, dilatato le capacità quantitative di elaborazione, di trasmissione e di conservazione dell'informazione dell'uomo e, dall'altro lato, hanno ridotto la sua capacità di interpretazione delle stesse informazioni.
    La comunicazione, ridondante per molti versi, a cui è soggetto l'uomo contemporaneo è infatti poco profonda nelle risonanze del significato.
    Questo perché la comunicazione contemporanea considera l'uomo come una sorta di macchina per comunicare, soggetta a più o meno rigorose leggi, ma aliena dalle risonanze del mistero e della poesia. L'uomo attraverso la comunicazione di massa odierna può essere persuaso, manipolato, condizionato e indotto a certi consumi e, quindi, a certi comportamenti, tra cui anche la commozione, ma non può però essere stupito e meravigliato nel senso antico di queste espressioni. Quello che i mass media provocano, infatti, non è vero stupore ma il suo surrogato. Un surrogato, tecnicamente perfetto, ma che non tocca le radici dell'essere perché non offre nessun senso e nessun sentimento utile a comprendere la vita dell'uomo nel mondo.
    I mass media, pur con la loro strabiliante potenza, rischiano di impoverire invece di arricchire la vita umana. Essi rischiano, cioè, di svuotare l'essere umano, di alienarlo dalla sua interiorità e di isolarlo dagli altri esseri umani.

    È urgente ritrovare la profondità della comunicazione

    Milioni di persone vedono gli stessi programmi televisivi, ma il fatto non contribuisce assolutamente ad avvicinare e rendere solidali tra di loro queste persone. Le persone consumano le stesse informazioni, gli stessi spettacoli, gli stessi cibi, gli stessi valori e le stesse idee all'interno di un isolamento che assume ogni giorno di più l'aspetto di una povertà spirituale.
    È un isolamento che non diviene mai solitudine, che non diviene, cioè, mai il luogo dell'incontro dell'uomo con se stesso, con i propri dubbi, con le proprie paure, con le proprie aspirazioni e speranze perché non è nutrito da quel particolare linguaggio che può aiutarlo a contemplare, se non a decifrare, il mistero di se stesso e della propria vita.
    È necessario, perciò, che l'uomo riaffianchi all'estensione l'intensione, che recuperi, cioè, la profondità della comunicazione che, molto spesso, alberga lontano dalle dimore lussuose dei mass media.

    LA SOLITUDINE E IL SILENZIO COME PREMESSA ALLA SAPIENZA

    L'isolamento non è solitudine, spesso è proprio il suo contrario.
    Solitudine significa capacità di incontro con se stesso. Isolamento significa spossessamento.
    L'uomo per riscoprire una comunicazione autentica con se stesso, con gli altri uomini e con il mistero trascendente di Dio deve per prima cosa uscire dall'isolamento attraverso la scoperta della solitudine.
    La solitudine non richiede che l'uomo abbandoni i luoghi tradizionali del suo abitare, che si isoli in luoghi impervi ed inaccessibili, ma solo che sia in grado di far tacere, in alcuni momenti, il rumore in cui è immersa la sua vita per aprirsi alla comprensione di se stesso, degli altri e, quindi, del mistero che avvolge la sua presenza nel mondo e che manifesta la presenza di Dio pur nella sua radicale alterità.
    Far tacere il rumore significa ricavare nel conto dei giorni, dei tempi in cui l'utilità, la necessità, i bisogni, i desideri e le fantasie vengono tenute lontane dalla mente dell'individuo. Sono i tempi in cui il calcolo razionale, il flusso disordinato dell'affettività e delle angosce superficiali e profonde lascia lo spazio alla contemplazione, alla meditazione ed alla serenità dell'amore gratuito.
    Sono i tempi in cui l'uomo, con molta fatica, impara a conoscere quella parte di sé che non è direttamente funzionale al suo agire, al suo consumare ed alla sua posizione sociale.
    Questo silenzio non deve però essere assolutamente inteso come assenza di comunicazione. Al contrario, esso è luogo di una particolare comunicazione. Essere soli non significa essere isolati dagli altri ma vivere una relazione con gli altri in cui la persona scopre autenticamente se stessa, gli altri e vive la presenza di Dio.
    Una relazione di autentica solidarietà, un momento di amore reciproco intenso tra le persone, una preghiera vissuta nella pienezza della comunità... sono tre esempi di solitudine anche all'interno della vita di relazione. È chiaro che la solitudine "classica", nonostante queste possibili estensioni del concetto di solitudine, rimane sempre quella in cui l'uomo si separa dagli altri e dalla natura e tenta di ascoltare ciò che abitualmente non ode, di vedere ciò che solitamente non vede, di toccare ciò che normalmente sfugge alla dimensione materiale dello spazio, di odorare i profumi perduti o mai percepiti e di assaporare cibi e bevande che non nutrono il metabolismo corporeo.

    LA COMUNICAZIONE A CARATTERE SAPIENZIALE

    La profondità della comunicazione ha sede nella Sapienza.
    La comunicazione che tesse la solitudine, rendendola reale è la comunicazione a carattere sapienziale.
    La comunicazione sapienziale è quella comunicazione attraverso cui si manifesta la presenza di Dio attraverso i segni dell'amore per l'uomo, per la sua vita e per quella della natura. La comunicazione sapienziale privilegia la manifestazione dell'amore attraverso i segni che indicano all'uomo la via della sua unione con se stesso, gli altri, la natura ed il suo Creatore. In altre parole la comunicazione sapienziale è una comunicazione dialogica, in quanto, come atto d'amore, rispetta l'autonomia, la libertà e l'integrità sia di ciò che comunica, sia di chi comunica. Si può perciò affermare che essa è una comunicazione che, pur non essendo prigioniera della soggettività, valorizza sino in fondo la soggettività di chi comunica. E questo il motivo, tra l'altro, che rende la capacità di vivere la solitudine ed il silenzio la condizione fondamentali della comunicazione sapienziale. Infatti il dialogo richiede sempre sia la capacità di essere autenticamente se stessi, sia la capacità di capire e di rispettare la realtà dell'altro.
    Concludendo si può affermare che il silenzio è il paradigma della capacità di comprensione e del rispetto dell'altro e che la solitudine, invece, è il paradigma della comprensione e dell'accettazione autentica di sé.

    LA COMUNICAZIONE SAPIENZIALE IN UNA SOCIETÀ COMPLESSA

    Nella comunicazione sapienziale si intrecciano profondamente due dimensioni. La prima è quella costituita dalla valorizzazione della soggettività nella comunicazione e, quindi, nell'apertura difficile dell'individuo verso gli altri. La seconda è quella del senso.
    Senso ed incontro di soggettività sono le due dimensioni forti che rendono l'esperienza della comunicazione sapienziale assolutamente non sostituibile nella vita umana. Almeno per chi considera la vita umana un qualcosa di più del "racconto di un idiota, pieno di strepito e di paura".

    Le difficoltà

    La cultura sociale è oggi, invece, caratterizzata da una crisi della capacità di produrre questo tipo di senso, che si intreccia con una valorizzazione della soggettività come centro del senso dell'esistenza umana.
    Incapacità di produrre senso e valorizzazione estremizzata della soggettività sono alla base di quegli atteggiamenti culturali, oggi diffusi, che vanno sotto il nome di relativismo, pensiero debole e nichilismo e di quei comportamenti che hanno il loro centro in un individualismo esasperato che sfiora, e alcune volte tocca, il narcisismo.
    È interessante notare come questa estremizzazione della soggettività, che la rende la fonte esclusiva del senso della vita umana, si rivolti contro la stessa soggettività distruggendola alla radice attraverso la messa in crisi della identità del soggetto che la vive.
    La soggettività viene ad essere vissuta, nei casi più gravi, come grido disperato da parte di un soggetto disperso e frammentato che non riesce più a dare senso a niente perché non sa più chi è e si percepisce come l'incongruo insieme di tanti frammenti di vita disomogenei che non riescono a ricomporsi in un disegno unitario.
    Se l'oggettività non è più esterna all'individuo, in quanto non è più depositata nell'impersonale convenzione sociale ma pretende la sua fonte nel vissuto soggettivo dell'individuo stesso, allora i criteri tradizionali attraverso cui il giusto, il buono ed il vero assumevano la loro validità sono in crisi. Questo fatto è fonte di una profonda insicurezza, perché il soggetto si rende conto che da solo non è in grado di stabilire i confini che danno al proprio agire un valore universalmente riconosciuto e, quindi, oggettivo, nonostante egli stesso e gli altri componenti la formazione sociale lo pretendano.
    Ma la soggettività, nonostante questi travagli, sta divenendo il luogo della formazione di una nuova oggettività. Questo processo, ancora precario, sviluppato per ora da una minoranza del corpo sociale, nasce dalla vicinanza delle soggettività e dalla loro interazione reciproca all'interno di una comunicazione il cui senso è oltre i comunicanti.
    I mondi soggettivi per uscire da se stessi senza rinnegarsi e riscoprire la loro realtà all'interno di una dimensione oggettiva che li trascende devono, oltre che aprirsi ad altri mondi soggettivi, essere fecondati da significati che hanno la loro realtà nella tradizione e nel mistero.
    Questa operazione, complessa e semplice allo stesso tempo, avviene quando le persone riescono a comunicare nella dimensione della sapienza.
    La comunicazione sapienziale diventa, di conseguenza, generatrice di futuro all'interno della crisi della complessità.

    Prospettive e compiti

    La comunicazione sapienziale si sviluppa se le persone sanno rigenerare il loro linguaggio, liberandolo dalle spire distruttrici della soggettività alienata dalla superficialità utilitaristica e narcisistica. Due operazioni permettono questa rigenerazione. La prima è quella dell'aiutare le persone a compiere con il loro linguaggio un viaggio all'origine del senso, attraverso la riscoperta dei simboli e delle immagini che sono depositati nella sua struttura più profonda. La seconda è quella di ridare storia, memoria collettiva oltre che individuale alle parole ed ai discorsi della lingua.
    Si tratta in entrambi i casi di intraprendere un viaggio nelle regioni dimenticate del senso, di esplorare, cioè, quell'universo misterioso e sconosciuto che è dentro di noi e che può essere evocato dalle parole gravide sia di memoria che di significati simbolici.
    Ora è però necessario sottolineare che la comunicazione sapienziale non è solo il prodotto di un linguaggio che ha riscoperto la patria del senso, ma è anche lo strumento principale per mezzo del quale le persone riscoprano la patria del senso.
    La comunicazione sapienziale è infatti causa ed effetto allo stesso tempo della capacità del linguaggio di produrre senso. L'esercizio della comunicazione sapienziale aiuta le persone a scoprire la patria del senso arricchendo il loro linguaggio e, consentendo loro, quindi, di accedere agli ulteriori significati di cui la comunicazione sapienziale è portatrice.
    Si tratta di una sorta di spirale, in cui l'acquisizione di un linguaggio dotato di un senso più profondo consente alle persone di cogliere una ulteriore dimensione della "sapienza" della comunicazione e dove quest'ultima, arricchendo il linguaggio consente di ottenere la scoperta di un ulteriore livello di sapienza.
    Questa è una spirale che non ha mai fine, se non laddove la sapienza introduce alla contemplazione del mistero nel luogo dove il silenzio svela il suo regno.
    È questa paradossalità che testimonia l'appartenenza della comunicazione sapienziale ad un livello particolare dell'esperienza comunicativa umana: a quel livello, cioè, di cui si può affermare l'esistenza ma la cui comprensione è oltre il confine della vita umana.

    RESTITUIRE AI SIMBOLI LA LORO FORZA EVOCATIVA

    Il linguaggio umano nella sua zona di ambiguità irriducibile che, sfugge, almeno per ora ad ogni tentativo di esplorazione scientifica, svela dei segni il cui significato non può essere ricondotto all'interno delle esperienze razionali ed esistenziali in cui si articola, normalmente, il significato di un segno.
    La persona, quando entra in contatto con questi particolari segni, di solito in situazioni particolari quali quella del sogno, del rito religioso, dell'esperienza artistica o di eccezionali eventi, vive nelle profondità della sua psiche un'esperienza emotiva di cui non sa dare una spiegazione razionale.
    L'unica cosa che riesce, sovente, a percepire è che una certa immagine, una certa parola o un dato suono musicale la spingono verso una particolare esperienza emotiva e che questa esperienza, pur priva di nome e di spiegazione razionale, si riverbera nei suoi comportamenti quotidiani, nel suo vissuto cosciente.
    Questa esperienza, che per gli abitanti delle società cosiddette evolute dell'occidente appare sempre più rara, ma che era molto comune per l'uomo antico ed arcaico, ha sede nella funzione del linguaggio ed è quella del cosiddetto simbolo.

    Il simbolo: la patria del senso oltre la storia

    Il simbolo è quel segno che accanto ad un significato manifesto, letterale, possiede un significato nascosto che rinvia ad una particolare esperienza esistenziale che di solito riguarda la sfera affettivo-emotiva.
    Il significato del simbolo non è però dello stesso tipo di quello dei segni, anche se oggi esiste molta cattiva letteratura che tratta il simbolo allo stesso modo del segno. L'unica differenza che questi testi propongono è solo quella per cui il significato del segno sarebbe conosciuto dai più, mentre quello del simbolo sarebbe conosciuto da pochi iniziati.
    In questa prospettiva per accedere al significato del simbolo è sufficiente la consultazione di un buon dizionario dei simboli, e oggi sul mercato ne esistono molti.
    Questa sorta di omologazione del significato del simbolo a quello del segno è oltremodo fuorviante e soprattutto opera una indebita riduzione della funzione dello stesso simbolo. Infatti un simbolo non ha un significato preciso come un normale segno linguistico, in quanto indica alla persona una relazione con una particolare realtà spirituale ed esistenziale e, quindi, si propone semplicemente come l'innesco di una particolare esperienza esistenziale.
    Da questo punto di vista il simbolo è come una freccia che indica alla persona la direzione a cui deve volgersi per incontrare una determinata realtà spirituale o, semplicemente, psichica.
    È questo il motivo per cui la conoscenza del significato presunto di un simbolo non è per le persone che lo percepiscono fonte di alcuna esperienza particolare, se non a livello puramente intellettuale.
    Oltre a questo occorre dire che il simbolo si svela solo all'interno di situazioni particolari.
    Normalmente le situazioni che consentono al simbolo di essere fonte di un'esperienza forte di relazione con una realtà psichica o spirituale sono quelle del rito, della meditazione, della contemplazione e della narrazione autentica.
    In queste situazioni la persona vive l'esperienza del simbolo non a livello di intenzionalità razionale e cosciente ma a livello spontaneo e inconscio. Il simbolo, infatti, normalmente parla direttamente alla regione più profonda della personalità dell'individuo saltando la mediazione della coscienza razionale.
    L'esperienza del simbolo, se non quando si riflette su di esso, non è mai una esperienza razionale e cosciente.
    Un simbolo mostra il suo significato solo quando si vive un'esperienza di relazione con una data realtà favorita da esso.
    Parlare del simbolo in termini razionali, e quindi trattare il suo significato come quello di un segno, appartiene perciò alla dimensione metasimbolica e non a quella simbolica.

    Il simbolo: ricordo di un passato arcaico o sogno di un futuro salvato?

    La capacità del simbolo di indicare la direzione che conduce ad una esperienza esistenziale profonda gli deriva dal suo essere il ponte che collega la storia dell'uomo con il mondo del prima e del dopo la storia.
    La tesi che il simbolo evochi dei significati legati alla arcaica storia dell'uomo nel mondo ha il suo interprete più noto e profondo in Jung, il quale affermava: "Come il corpo umano costituisce un complesso museo di organi, ciascuno dei quali possiede una lunga storia evolutiva dietro di sé, così dobbiamo prevedere che la mente sia organizzata in modo simile. Essa deve essere un prodotto storico alla stessa stregua del corpo in cui si trova ad esistere. Per "storia" non intendo il fatto che la mente venga sviluppando da sola attraverso riferimenti coscienti al passato tramite il linguaggio e altre tradizioni culturali. Io mi riferisco bensì allo sviluppo, preistorico ed inconscio della mente dell'uomo arcaico, la cui psiche era altrettanto chiusa di quella animale. Questa psiche straordinariamente antica costituisce la base della nostra mente, così come la struttura del nostro corpo è fondata sul modello anatomico del mammifero".[1]
    È necessario sottolineare che Jung non identifica la mente con il cervello così come del resto farà più tardi lo scienziato del cervello, premio Nobel, John Eccles. La mente viene perciò riconosciuta come una parte immateriale e misteriosa dell'essere umano la cui presenza è però leggibile nella vita umana.
    Tuttavia la tesi che il simbolo sia semplicemente il risultato della storia arcaica dell'uomo non è accettata, ad esempio, da uno studioso di storia delle religioni come Mircea Eliade il quale, a questo proposito, sostiene:" Oggi si comincia a vedere che la parte astorica di ogni essere umano non affonda, contrariamente a quanto si pensava nel XIX secolo, nel regno animale e, in fin dei conti, nella "vita", anzi al contrario, devia e si innalza ben al di sopra di essa: questa parte astorica dell'uomo porta, come una medaglia, l'impronta del ricordo di una esistenza più ricca, più completa e più beatifica".[2]
    In altre parole secondo Eliade il simbolo non condurrebbe l'uomo a "ridiscendere alle fonti più profonde della vita organica" ma a ritrovare le tracce della felice condizione umana nel paradiso perduto.
    Il mito del paradiso perduto appartiene, infatti, in forme diverse a tutte le cultura umane ed è la base di quella nostalgia che fonda la speranza che la vita dell'uomo, in quanto lo è già stata, potrà essere più felice e beatifica.
    Ora non ha alcuna importanza che il paradiso perduto sia esistito realmente prima della storia o, più semplicemente, sia il sogno della felicità umana al termine della storia, quello che conta è che esso introduce nella vita umana la nostalgia per una condizione che anche se non è alla portata nell'oggi è comunque nell'orizzonte delle possibilità dell'esistenza umana riconciliata con la volontà del Dio creatore.

    Il Simbolo che salva: Gesù

    In altre parole il simbolo è la ciò che lancia l'uomo oltre i limiti e le angustie del presente e che lo apre sulla possibilità di una vita emancipata dalla finitudine del peccato e di nuovo in unione con la potenza salvifica divina.
    Gesù è da questo punto di vista il Simbolo che si fa storia sia perché rende già presente nella storia umana quella salvezza che i sogni degli uomini collocavano oltre la storia, sia perché appartiene nello stesso istante alla condizione umana nella storia ed alla condizione divina oltre la storia.
    Il simbolo, invece quale realtà linguistica umana, è stato da Gesù salvato al pari delle altre realtà umane e reso disponibile a far scoprire all'uomo la ricchezza dei segni che già accompagnano il suo presente e che possono indirizzarlo sulla via della salvezza.
    Dopo la venuta del Cristo non è abita più al di la dei confini della storia ma indica la via del suo compimento.
    Questa precisazione è importante perché per molti uomini il simbolo ha assunto il volto dell'idolo. Ciò è avvenuto in quanto molti uomini lo hanno trasformato da indicatore di un cammino verso una realtà trascendente nella stessa realtà indica.
    Ciò è avvenuto anche perché il simbolo non indica solo all'uomo la via del cielo ma anche quella degli inferi, ovvero delle regioni della distruttività in cui alberga il delirio di potenza umana che è alla base del peccato originale. Questa funzione il simbolo perché ha in se depositata la memoria del tentativo dell'uomo di farsi come Dio. Infatti l'esperienza beatifica del paradiso terrestre ha termine per il cedere dell'uomo alla tentazione di divenire come Dio. Il simbolo, oltre che la memoria dello stato beatifico, contiene anche quella della suprema tentazione e, quindi, della caduta nella distruttività della morte. Molti idoli nascono da questa tentazione, dalla volontà di ritrovare nel regno della morte quella potenza che non appartiene all'uomo.

    L'immagine: la memoria che si fa presente

    Nella sua funzione di apertura ad un senso altro rispetto all'orizzonte dell'utilità e della razionalità del quotidiano, il simbolo ha come compagna di strada l'immagine.
    L'immagine è una rappresentazione, una imitazione di un modello esemplare che viene continuamente riattualizzata attraverso l'immaginazione, e cioè attraverso la facoltà di rappresentare cose non date attualmente alla sensazione.
    Il potere dell'immagine è quello di mostrare tutto ciò che rimane refrattario al concetto. Di solito l'immagine non è portatrice di un solo significato ma di un fascio di significati interdipendenti anche se appartenenti a piani diversi.
    L'immagine condensa in una percezione istantanea un insieme di significati esistenziali complessi. L'immagine della madre, ad esempio, condensa e fa vivere a chi la elabora o la percepisce una esperienza esistenziale legata da un lato al suo vissuto concreto della figura materna e da un altro lato a quella che è depositata nella tradizione e nella memoria della cultura che abita.
    Avere immaginazione non è, quindi, fantasticare ma cogliere l'esperienza di significato che le immagini veicolano nella vita di ognuno.
    Avere immaginazione è vivere il presente nutrito dai significati sedimentati nella memoria delle esperienze esistenziali personali e della civiltà in cui si abita.

    Simboli, immagini e senso del quotidiano

    Restituire al linguaggio umano la sua potenza simbolica e immaginifica significa, di fatto, far risuonare nella vita quotidiana di chi lo utilizza memorie, sensazioni, suggestioni, aperture ed esperienze che lo inviano al di la del suo presente e lo aiutano a collegare la sua vita all'universo di senso nella quale essa si dice.
    L'ambiguità del linguaggio che i simboli e le immagini esprimono non è, in questa prospettiva, un limite ma la ricchezza che consente all'individuo di sentirsi parte di una storia, che pur essendo più grande della sua personale non può dirsi senza questa.
    In sintesi questo significa che i simboli e le immagini rilanciano l'individuo verso una sorta di solidarietà cosmica senza negare la sua soggettività e la sua individualità. Solidarietà cosmica che ha la sua origine nell'unico evento della creazione e nell'unico cammino che può salvare la vita dell'uomo dall'abisso della distruttività della morte.
    Tutto questo alla condizione, però, che tutti i simboli e le immagini siano rispecchiati nel Simbolo, ovvero nella persona di Cristo che, in quanto compiutamente uomo e compiutamente Dio, vive contemporaneamente sia la vita nella storia che quella Assoluta oltre la storia.
    Il linguaggio simbolico è, quindi, necessario ad ogni comunicazione che voglia collocare il senso del contingente nel senso universale e, quindi, divenire sapienziale.

    RESTITUIRE MEMORIA ALLE PAROLE

    Il secondo percorso che consente alle persone di rigenerare il proprio linguaggio e di aprirlo alla Sapienza è, come si è detto prima, quello della restituzione alle parole ed ai segni linguistici in generale della memoria collettiva che ha intessuto la loro storia, prima di venire in possesso degli odierni utenti del linguaggio.

    Il rapporto tra lingua e storia

    La lingua e gli altri linguaggi umani hanno attraversato il tempo, nascendo da altre lingue e linguaggi, evolvendo e regredendo all'interno di una storia sociale, oltre che individuale, che hanno in ogni modo contribuito a fare.
    Le parole che oggi noi utilizziamo hanno attraversato il tempo contribuendo a fare la storia che le generazioni che le hanno utilizzate hanno vissuto ed essendo da questa stessa storia modificate nei significati di cui sono portatrici.
    La lingua, in primo luogo, e gli altri linguaggi sono lo strumento principale attraverso cui le persone ed i gruppi sociali danno forma alla realtà, la organizzano e la interpretano attraverso la loro particolare cultura. Tutte le visioni del mondo sono fondate sull'utilizzo di una particolare lingua e di specifici linguaggi e traggono dalle caratteristiche di questi il loro fondamento costitutivo. Si può dire che le persone nelle varie epoche storiche hanno vissuto la realtà che la loro lingua ed i loro linguaggi hanno reso loro disponibile attraverso le particolari culture del tempo e del luogo che hanno abitato.
    Se si accetta questa concezione, oggi ampiamente provata, del ruolo del linguaggio e della cultura sociale in cui si esprime nella vita umana, si deve dire che la lingua e gli altri linguaggi hanno contribuito a fare la storia.
    Ma il linguaggio, mentre aiuta la persona ad interpretare la realtà ed a agire in essa, viene modificato dalla stessa realtà, dall'impatto che la comunicazione ha nella vita delle persone nei loro rapporti con se stessi, con gli altri e con la natura.
    L'uso del linguaggio lo modifica sia nella sua struttura grammaticale sia nel significato di cui sono portatori i suoi segni.
    Di questa solidarietà tra linguaggio e storia, tra vita delle persone e parole rimane traccia sia nelle trasformazioni della struttura dei vari linguaggi che del significato di cui sono portatori i loro segni. Questo è evidente in modo particolare nel principale linguaggio umano: la lingua.
    Le trasformazioni della lingua sono la testimonianza della sua avventura della storia. Di questa avventura è rimasto traccia, o almeno dovrebbe esservi rimasta, nel significato delle parole, nelle sua trasformazioni che pure hanno mantenuto il ricordo dei significati più antichi. Ogni parola ha in ogni momento della sua vita un significato che è in parte nuovo ed in parte antico.
    Infatti il significato delle parole è una realtà complessa, ancora solo parzialmente spiegata, che è formato dal gioco complesso sia delle relazioni della parola con l'oggetto mentale e/o fisico che in qualche modo rappresenta e con le altre parole che formano il sistema della lingua, sia dalle catene emotivo-affettive che la parola innesca in quanto evoca esperienze individuali e collettivi che la persona ed il suo gruppo sociale hanno vissuto intorno alla stessa parola o all'oggetto da questa rappresentato.
    In entrambe queste relazioni gioca un ruolo non indifferente la storia, il passato della parola e dei suoi significati, che non è andato perduto anche se dimenticato in quanto è alla base del processo che ha portato la significato odierno. Il significato attuale di una parola non è comprensibile se non è riferito alle trasformazioni del significato antico della stessa parola. Il significato di una parola, come la superficie terrestre è formata da molti strati, che sono il risultato delle trasformazioni di una certa epoca storica. Lo strato più recente è quello dove vivono nel presente le persone eppure esso non esiterebbe e non sarebbe come è se non ci fossero, al di sotto, gli strati più antichi. Non per nulla il paesaggio, la flora e la fauna di un terreno morenico sono diversi da quelli di un terreno in cui anticamente vi era il mare.
    È questa una considerazione talmente ovvia da apparire banale, eppure la maggioranza delle persone oggi tende a usare il linguaggio come se i suoi significati fossero generati solo dal presente, come se non avessero storia e, spesso, addirittura, come se fossero quasi esclusivamente legati all'esperienza soggettiva.
    Questa mancanza di riconoscimento dello spessore storico del significato e, quindi, della sua capacità di padroneggiarlo criticamente, è alla base sia della caduta della capacità evocativa profonda della lingua, sia di quella perdita di condivisione del significato tra i parlanti a cui si è accennato all'inizio del primo capitolo. A proposito di quest'ultima osservazione è necessario sottolineare che oltre all'interazione la possibilità di condivisione della comunicazione nasce anche in gran parte dalla condivisione delle stesse radici storici della lingua.

    La riscoperta dei significati radicati nel passato

    La comunicazione sapienziale per svolgersi nella sua pienezza ha bisogno di un linguaggio ben radicato nella fonte dei suoi significati nella storia sociale e nelle storie individuali che lo hanno prodotto.
    Solo se il significato delle parole, delle frasi e dei testi può giocare su questa stratificazione profonda di significati un racconto può evocare, nelle loro sfaccettature poliedriche, i significati relativi all'essere ed al senso della vita tipici della narrazione sapienziale.
    Solo chi ha appreso lo spessore storico dei segni utilizzati nella comunicazione, è in grado di trasformare anche la soggettività da limite in ricchezza.
    Dobbiamo poi riscoprire la nostalgia per quel luogo del tempo in cui il figlio di Dio fatto uomo onorò la parola del senso totale della vita.
    Nostalgia che spinge l'uomo contemporaneo a percorrere i sentieri del suono alla ricerca di quella verità che le immagini non possono rivelare e che solo la Parola può donare.
    Oggi questa nostalgia spinge, magari inconsapevolmente, la persona a cercare quella comunicazione ravvicinata e personale che è tipica delle esperienze dei piccoli gruppi umani, anche se molti di essi non conoscono o non sanno quel che Gesù stesso ha affermato: «Perché se due o tre persone si riuniscono per invocare il mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18, 20). C'è anche un detto di Gesù simile a questo, riportato in un manoscritto emerso alla fine del secolo scorso dalle sabbie dell'Egitto, che amplia ulteriormente questa affermazione: «Là dove due sono riuniti, non manca Dio».
    Questi detti di Gesù sono delle inequivocabili affermazioni circa il fatto che dove almeno due persone sono in comunicazione diretta, personale ed autentica, Egli è in mezzo a loro solo che lo vogliano riconoscere.
    E, forse, il significato della comunicazione sapienziale è tutto qui.


    NOTE

    [1] C.G. Jung, L'uomo e i suoi simboli, Milano 1967, p. 51
    [2] M.Eliade, Immagini e simboli, Milano 1981, p .16


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