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    Che cosa posso fare? I diritti individuali


    Educare alla Costituzione /2

    Raffaele Mantegazza

    (NPG 2011-02-56)


    I diritti sono del singolo ma non è possibile che siano rispettati se non all’interno di una collettività; questo è l’apparente paradosso dell’idea di diritto: ho diritto a essere me stesso se e solo se c’è qualcun altro che mi riconosce come soggetto portatore di diritti. I diritti individuali possiedono necessariamente un volto sociale in quanto l’idea di diritto nasce all’interno di una società, di una organizzazione di uomini e donne, e quindi occorre sempre ricordare che anche se sono individuali i diritti non sono mai semplicemente legati al singolo perché nella vita di ogni individuo si riflette, come in uno specchio, la vita dell’intera società. All’interno di una organizzazione sociale, dunque, non c’è nessuna persona o gruppo di persone (ad eccezione dei bambini) che goda di diritti particolari, speciali, specifici. Un esempio: si parla tanto dei diritti dei disabili, ma le persone disabili non hanno diritti specifici (si tratterebbe di una forma di tutela che riconoscerebbe a questi soggetti una cittadinanza di livello «minore»), esse godono di tutti i diritti degli uomini e delle donne, solo che hanno bisogno di particolari strutture per far sì che i loro diritti siano realmente rispettati. Tutti gli individui, disabili e non, godono del diritto a muoversi liberamente per la città (Art. 16 della Costituzione: «Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale»), ma per fare ciò alcune persone disabili hanno bisogno di scivoli, elevatori, rimozione di barriere architettoniche, ecc. Non sono i diritti ad essere declinati a partire dalla condizione dei singoli, ma sono gli strumenti di implementazione dei diritti a modificarsi, mentre questi rimangono sempre gli stessi a prescindere da chi ne gode.
    Una moda piuttosto diffusa nel mondo del volontariato e del Terzo Settore consiste nel sostituire l’idea di bisogno all’idea di diritto. A parte l’estrema fumosità del concetto di bisogno (che cosa è? chi lo rileva? qual è il suo tasso di oggettività e di misurabilità? qual è la differenza tra bisogno autentico e bisogno indotto?), occorre sottolineare che un diritto è qualcosa di esigibile e dunque non ha nulla a che fare con un favore, anzi che scambiare un diritto con un favore è un’azione irresponsabile e che può portare a conseguenze molto gravi (sostanzialmente alla perdita dell’oggetto al quale si aveva diritto!). Quando l’articolo 3 della Costituzione dice: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese», questo significa che i diritti sono qualcosa che non è possibile modificare, semmai, al contrario, è l’organizzazione dello Stato (e delle istituzioni, della scuola, del lavoro, della società) a dover cambiare se violano anche solo in parte i diritti.
    Un esempio che ci sta molto a cuore: gli studenti e le studentesse universitari hanno diritto a partecipare alla vita accademica, i decreti delegati sanciscono questo diritto attraverso l’organizzazione delle lezioni, delle rappresentanze studentesche; è diventato di moda creare organi più o meno ufficiosi che sostituiscono gli organi collegiali, organi consultivi all’interno dei quali gli studenti non hanno diritti di rappresentanza ma viene loro ipocritamente «assicurato» (in base a cosa? alla buona fede dei docenti?) che saranno prese in considerazione le loro proposte e richieste: con il risultato che l’Università è sempre più la terra di dominio per l’aristocrazia dei professori.
    L’unico gruppo umano che gode di diritti specifici è l’infanzia: la tutela dei bambini e delle bambine, concepiti come esseri fragili e bisognosi di protezione, ha portato alla definizione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza che, occorre ricordarlo, sono diritti aggiuntivi rispetto agli altri e non certo sostitutivi; un bambino gode dei diritti dell’uomo e della donna e inoltre dei diritti dei bambini e delle bambine: dunque esiste un diritto al nome (che significa diritto alla propria storia e alla propria unicità, alle radici e al futuro); un diritto a non essere separato dai genitori (ad esempio in caso di sfollamenti o di migrazioni – e la prassi italiana sui ricongiungimenti è ben lontana dall’implementare in modo soddisfacente questo diritto); un diritto all’informazione (si pensi al consenso informato per i trattamenti ospedalieri che devono essere spiegati anche al bambino e non solo ai genitori e con parole adeguate e comprensibili); un diritto al gioco (l’articolo 31 della Convenzione per i Diritti dell’Infanzia recita: «Gli Stati parti riconoscono al fanciullo il diritto al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età e a partecipare liberamente alla vita culturale e artistica». Se pensiamo che nel mondo[1] 211 milioni di bambini e bambine lavorano e dunque non hanno la possibilità materiale di giocare, capiamo quanto sia importante questo diritto); un diritto all’istruzione (e i 123 milioni di bambini – per la maggioranza femmine – che non possono frequentarla e che spesso ne sentirebbero il più profondo desiderio possono testimoniare della sofferenza che si prova quando questo diritto è negato, come qualche personaggio ha cercato di fare proponendo ignobilmente di espellere i figli degli immigrati irregolari dagli asili nido milanesi); un diritto alla protezione dai pericoli legati ai mass-media (si pensi alla spesso nefasta influenza causata dal vero e proprio assedio cui la TV, internet, i telefoni cellulari sottopongono i nostri ragazzi: è stata firmata ad esempio nel 1990 la Carta di Treviso, che dovrebbe garantire che la stampa e la televisione non forniscano i nomi e i cognomi dei bambini che sono in qualche modo coinvolti in episodi di cronaca nera); un diritto alla protezione da ogni forma di sfruttamento e di abuso (ricordiamo che 300 mila bambini sono stati reclutati e combattono in diversi paesi africani, asiatici e del Medio Oriente in eserciti regolari e gruppi armati di opposizione, e che oltre 1 milione di bambini ogni anno sono vittime dei trafficanti, vengono «comprati» e costretti a subire abusi e sfruttamento).

    Alcuni tra i diritti individuali ci sembrano particolarmente degni di trattamento pedagogico.
    - Il diritto al corpo: declinato in senso pedagogico significa che nessuno è padrone del mio corpo: non solo nel senso che nessuno può colpirmi e farmi del male (e una recente statistica afferma che le punizioni corporali per bambini e adolescenti in ambito famigliare non accennano a diminuire)[2] ma anche nel senso che nessuno può usare il mio corpo senza il mio consenso per pubblicizzare o vendere un prodotto, che nessuno può utilizzare il corpo come veicolo di umiliazione o mercificazione (si pensi all’immagine del corpo femminile ignobilmente esibita in migliaia di trasmissioni, film, pubblicità), che nessuno può imporre al mio corpo condotte che lo violino o lo facciano stare male (si pensi alle pubblicità delle sigarette e dell’alcool, al fumo passivo, al doping, all’istigazione a diete al limite delle possibilità umane);
    - Il diritto al genere: questi diritti, che sono soprattutto a vantaggio delle donne perché storicamente è il genere femminile ad esser stato discriminato, hanno avuto un cambiamento negli anni; si è passati dal reclamare, da parte delle donne, un diritto all’uguaglianza (nel senso di permettere alle donne di accedere a tutti i ruoli e tutte le carriere consentite ai maschi a parità di stipendio) al suo affiancamento a un più moderno diritto alla differenza, che sottolinea come proprio il fatto che uomini e donne sono diversi richieda interventi specifici a tutela delle seconde (basti pensare a tutti i diritti specifici legati alla gravidanza e alla maternità, o alle «quote rosa» introdotte nella politica che prevedono una percentuale fissa obbligatoria di donne nelle liste dei candidati alle elezioni); a una ulteriore modificazione dell’idea di genere sopravvenuta quando persone omosessuali e transessuali hanno posto la questione del loro pieno accesso all’universo dei diritti;
    - Il diritto all’espressione delle proprie idee, che è spesso tutelato e reclamato dalla stampa (che non sempre ne fa buon uso: il «giornalista»[3] di turno che sbatte un microfono in faccia alla vittima di una violenza che sta ancora sanguinando, o il suo «collega» che ricostruisce nei particolari più sanguinosi, con tanto di plastico con criminologo allegato un crimine efferato, stanno realmente godendo del diritto all’informazione? O non stanno invece facendo ignobile intrattenimento a base di sangue?), molto meno spesso messo in campo invece quando si tratta della libertà di espressione del singolo, magari del cittadino meno dotato economicamente e con un minore accesso ai media, che si trova spesso squalificato quando cerca di esprimere il suo parere, in particolare sul luogo di lavoro;
    - Il diritto alla privacy: essa è garantita dalla Costituzione, che tutela dalle invasioni o della indiscrezioni il nostro corpo (Art. 13: La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dall’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge), la nostra casa (Art. 14: Il domicilio è inviolabile. Non vi si possono eseguire ispezioni o perquisizioni o sequestri se non nei casi e modi stabiliti dalla legge), la nostra posta (Art. 15: La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili); il garante della privacy, che si trova a dover affrontare nuove e inediti situazioni da quando le tecnologie avanzate hanno reso più complicato l’intervento per proteggere la privacy dei cittadini: si pensi alla tutela dei cosiddetti «dati sensibili»; all’utilizzo del bancomat e delle Carte di Credito, strumenti che lasciano la traccia elettronica del nostro acquisto, una traccia che potrebbe illegalmente essere trasmessa ad altri soggetti; ai «post» sui «blog» in internet o su siti come i «social forum»; all’uso di telecamere per filmare eventuali reati nelle città, ecc. (pensiamo ai casi in cui le telecamere sono state installate illegalmente all’interno di una mensa di una azienda e in un caso – negli USA – addirittura nei servizi igienici di un liceo!).
    Come si vede, la tutela dei diritti non può prescindere dall’educazione ai diritti: non sapere di possedere un diritto è il primo passo perché questo diritto venga negato. Come diceva ironicamente Pasolini: «Le persone più adorabili sono quelle che non sanno di avere dei diritti».[4]


    NOTE

    [1] Tutti i dati sono tratti dalla fonte www.unicef.it
    [2] Cf rivista Conflitti, Centro Psicopedagogico per la Pace, novembre 2010.
    [3] Le virgolette sono d’obbligo per il nostro profondo rispetto per questa professione.
    [4] Pier Paolo Pasolini, intervento al Congresso del Partito Radicale del 1975 (mai effettuato per l’assassinio del poeta).


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