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    Passeggiate nel mondo contemporaneo /5

    Armando Matteo

    (NPG 2023-04-59)

     

    (Guido Mazzoni, I destini generali, Laterza, Roma-Bari 2015)


    Il libro I destini generali di Guido Mazzoni ha già qualche anno sulle proprie spalle. Questo, però, non ne fa un libro vecchio o superato. Tutt’altro. Con le sue poco più di 100 pagine, con il suo stile elegante e avvincente, ha ancora molto da dire al lettore odierno, curioso di sapere dove ci troviamo e verso dove ci stiamo muovendo: dove cioè ci troviamo come presenza umana su questa terra e verso dove ci stiamo muovendo sempre a questo livello. Il saggio si compone di due parti e di una breve introduzione: la prima è intitolata La mutazione, la seconda L’epoca delle persone medie.
    Anticipo subito che Mazzoni non giunge, al termine del suo testo, ad una qualche sorte di “giudizio universale” sui destini generali appunto dell’umano. Egli descrive, raccoglie indizi, evidenzia elementi portanti, suggerisce raffronti, commenta con delicatezza eventi recenti e alla fine lascia emergere, quale sentimento di fondo, una sorta di “disagio”.
    Tra le molte vie che si offrono ora per percorrere un tale denso e suggestivo testo, a me risulta assai pertinente quella di ricavarne un identikit del cittadino medio occidentale.
    A questo riguardo, la prima cosa che l’Autore ci invita a compiere è quella di riconoscere il seguente peculiare tratto delle attuali masse dei paesi occidentali. Si tratta di

    «un corpo fatto di individui, che si concepiscono come esseri puramente privati, persone scisse da ogni appartenenza che non sia legata all’oikos, alla famiglia, che hanno un grado di eterogeneità esteriore relativamente alto se paragonato a quell’omogeneità per sottrazione da cui il proletariato o la borghesia tradizionali erano resi uniformi, che rivendicano il diritto di esprimere se stessi, prendere la parola, distinguersi, muoversi liberamente in una piccola sfera di autonomia soggettiva, ma che rimangono accomunati da una logica di vita e da un sistema di mitologie inconsce» (11).

    Una tale condizione si è ottenuta per via di una progressiva ed efficace sottrazione alla condizione di subordinazione dell’esistenza dell’uomo agli schematismi gerarchici di diversa natura e forza che vigevano nelle epoche passate, e che proprio l’avvento della nostra età contemporanea ha letteralmente fatto saltare in aria.
    Per questa ragione, il cittadino occidentale medio è innanzitutto un soggetto senza trascendenza e senza trascendenze. Oggi, infatti, nota Mazzoni, grandi e piccole trascendenze non trovano più spazio nel tessuto vitale del soggetto contemporaneo. Costui, in verità, non considera più naturale il riferimento ad un ordine divino provvidenziale o ad un ordine semplicemente intramondano dell’essere e del cosmo destinato ad una qualche forma di progresso possibile. Più precisamente, la sua esistenza non appartiene più a nessun Padre eterno che abiti nei cieli né ad alcun destino generale della storia complessiva dell’umano. Egli è semplicemente un essere della terra, come la parola “umano”, dal latino humus (terra), in se stessa radicalmente afferma. L’uomo umano/terrestre è l’unico detentore di questa sua vita. La sua vita è semplicemente “sua”.
    Un secondo decisivo tratto del cittadino occidentale medio, nell’analisi portata avanti da Mazzoni, è quello che deriva dalla crisi totale dei legami, a partire proprio da quelli intrapsichici. Si deve, anzi, partire dal riconoscere che oggi

    «I primi legami a perdere consistenza sono quelli intrapsichici: oggi le persone appaiono più scisse, più schizofreniche di quanto non accadesse un secolo e mezzo fa; i giunti che tenevano insieme le parti dell’io si sono allentati; viviamo su piani molteplici e la pluralità non è percepita come un problema» (17).

    Ed è così che non si deve essere sempre e solo un padre o un marito o una moglie o una madre o un funzionario o un cristiano o un ateo o un liberale o un comunista o una persona matura e vecchia. Ciò che furono gli stati di vita, le età della vita, le professioni ideologiche o religiose, i mestieri solidi del passato si relativizzano e diventano “parti” del cosmo interiore dell’occidentale medio, senza che nessuna di esse possa più aspirare ad una qualche forma di regia o di primazia. L’unica eccezione che pare resistere a questo meccanismo sembra sia solo quella della tifoseria calcistica: ultimo relitto di ciò che fu non negoziabile.
    Nell’esistenza del cittadino occidentale medio viene in tal modo alla luce, quale elemento catalizzatore decisivo, una particolare sensibilità per la vita: per la vita in se stessa. Da ciò discende, da una parte, quella diffusa allergia contro ogni forma di morale, di regola, inibizione, frustrazione, limitazione, standardizzazione dei comportamenti, sacrificio. Prevale, invece, dall’altro, un immenso senso e sentimento di godimento e di ricerca del piacere che diventa esso stesso mezzo e fine, causa e compensa, percorso e meta ultima. Particolarmente calzante un’interessante osservazione offerta ancora da Mazzoni. A suo avviso l’attuale classe media dei paesi occidentali, anche grazie all’imporsi della logica del consumo e dello spettacolo, ha come riscoperto e si è appropriata di quel fondo di vitalismo popolare, da sempre contrapposto alla propria morale disciplinata, e mantenuto vivo grazie alle feste popolari e a un certo modo di menare la vita proprio delle classi più popolari, in cui si mischiavano facilmente una buona dose di cinismo, di disillusione e di fondo nichilistico. Un tale vitalismo popolare diventa oggi ethos diffuso, diventa la “morale” dell’occidentale medio e questi sono i suoi punti cardinali:

    «l’idea che la vita sia pura immanenza circondata dalla morte; che i fini ultimi, le cause collettive, le grandi mete siano delle illusioni o, più realisticamente, degli inganni inflitti dai potenti alle classi popolari; che ogni individuo persegua solo il proprio piacere e il proprio interesse personale o familiare; che la realtà sia immodificabile; che ogni regime politico si equivalga; che gli esseri umani siano troppo deboli per comportarsi coerentemente; che il problema stesso della coerenza sia insensato e astratto; che ci si debba godere la vita creaturale finché ce n’è, col sesso e col consumo, con gli spettacoli e col gioco, col cibo e con la droga» (37).

    Questa nuova cultura edonistica trova poi nella logica economica imperante non solo una sponda particolarmente generosa ma anche un istruttore e propagatore di impareggiabile maestria. La logica del consumo non riguarda perciò più soltanto i beni della vita ma la stessa vita come un bene da consumare, da godere, da assaporare sino in fondo, in una calzante sebbene puramente fittizia rincorsa sino all’ultima occasione veramente insuperabile, all’ultima moda, all’ultima creazione tecnologica, all’ultimo prodotto cosmetico per la cura della propria immagine, all’ultima applicazione per il proprio telefono cellulare, essendo la strategia di fondo della logica del consumo quella di mantenere il cittadino-consumatore in uno stadio di soddisfazione a termine e quindi in una condizione di permanente insoddisfazione. Il consumatore soddisfatto rappresenterebbe una vera tragedia per il mondo degli affari, in quanto risulterebbe poco sensibile al richiamo che grazie alla pubblicità il mercato gli rivolge di continuare ad affacciarsi su quel paradiso in terra incarnato dagli oggetti da acquistare, che mutano di stagione in stagione e che pertanto debbono offrire un senso di pienezza a termine.
    Il cittadino occidentale diventa infine l’uomo dopo la politica. Si assiste infatti in lui ad un allentamento decisivo e progressivo della forza di attrazione di tutte quelle sfere di socialità nelle quali il soggetto umano ha da sempre concretizzato la propria nativa apertura ai suoi simili. Entrano fortemente in crisi i legami familiari: la pratica del divorzio e della separazione non possiede più nulla di traumatico o di eccezionale; da parte sua poi il modello tradizionale di famiglia si sgretola sotto la pressione delle nuove configurazioni mentali e delle nuove istanze che i soggetti oppressi nel passato oggi incarnano e rivendicano, a partire dalle donne e dalle persone omosessuali. Emergono per tale via forme di convivenza meno rigide e regolamentate.
    In ogni caso non si può non certificare una vera e propria fuga dai legami a tal punto che, soprattutto nelle grandi città, il numero di coloro che vivono da soli supera il numero di coloro che vivono in famiglia. Non è un caso poi che si registri un costante abbassamento delle nascite: del resto nessun legame risulta alla fine dei conti così indissolubile come quello con i propri figli. Il cittadino occidentale medio, insomma, non pare più disposto a cedere molto del suo libero spazio di movimento a legami che assumano la forma di vincoli che pongono esigenze e rinunce particolarmente onerose. Per questo nessuno considera più riprovevole la condizione di chi decide di vivere da solo né giudica l’isolamento come forma di vita anomala e così «il linguaggio ordinario, sostituendo termini vagamente comici come “scapolo” o “zitella” con un termine emancipato e cool come “single”, prende atto della trasformazione» (21).
    Più incisivamente ciò che viene a perdere il suo valore di riferimento è il discorso politico. Di per sé risulta evidente che in una condizione esistenziale come quella che contraddistingue il soggetto occidentale contemporaneo per la quale la priorità all’affermazione di se stesso risulta, sempre e comunque, preminente rispetto ad ogni forma di legame e di vincolo, vengano a mancare in partenza le condizioni per un qualsiasi effettivo discorso della politica. Il quale, se ha un senso, ha senso proprio quando può prendere parola non a suo nome ma appunto a nome di coloro che, rinunciando alla propria parte, la delegano ad esso. Questo non si dà più.
    Quel che resta del discorso contemporaneo della politica funziona solo sulla base della promessa che esso può onestamente realizzare dell’aumento delle quote di benessere a disposizione di tutti i cittadini ed è per questo che le coloriture ideologiche di ciò che è sopravvissuto delle antiche formazioni partitiche si disperdono abbastanza facilmente in una notte in cui tutte le vacche sono bigie. Insomma, in riferimento alle masse occidentali contemporanee, dice Manzoni, il punto è che letteralmente scompare

    «l’idea che gli esseri umani siano animali fondamentalmente politici, che la politica sia ciò che può dare senso alla vita modificando l’esistente per produrre un mondo nuovo: nuovi modelli sociali, nuove forme di vita, nuova storia. Oggi nessun occidentale si aspetta qualcosa di decisivo dalla politica, i grandi avvenimenti sono vissuti come astrazioni, meccanismi o spettacoli e tutto quello che interessa, a cominciare dai conflitti etici fra legami e piacere, si gioca nel tempo presente e nello spazio del privato» (63-64).

    Ed ecco, infine, che grazie a tutta questa “mutazione”, siamo entrati “nell’epoca delle persone medie”, la cui presenza al mondo è sostanzialmente più leggera, più soft, rispetto ad ogni altra che abbia caratterizzato le generazioni del passato. La cifra delle persone medie è infine questa:
    «Liberati dalle trascendenze religiose e laiche, gli esseri umani non vogliono quello cui le interpretazioni nobili dell’Illuminismo li destinavano, non vogliono l’uscita dalla minorità, la partecipazione alla vita della polis o la creazione di un mondo più giusto; vogliono passare il tempo curando i propri affetti e inseguendo le proprie mete personali, le proprie costruzioni ausiliarie, i propri dada; vogliono il frigorifero, la vacanza al mare e una capsula di microautonomia; vogliono dimenticare la noia, la fatica e la morte che galleggiano nebulizzate sopra un tempo che non rimanda a nulla, e che proprio per questo va goduto; vogliono divertirsi e sognare» (99-100).

    Per dire le cose in modo semplice e con un’immagine, il cittadino occidentale medio è l’uomo che affronta l’esistenza “in tuta e scarpette da ginnastica”. Pur consapevole che da qualche parte vi sia un prezzo da pagare o un punto in cui tutto questo non potrà a lungo reggersi sugli standard attuali, nessuno vorrebbe più tornare indietro. Né muove un dito in tale direzione.
    Come anticipato, giunto alla conclusione, Mazzoni non avanza alcuna forma di giudizio. Manifesta piuttosto al lettore un suo personale disagio rispetto all’appena descritta condizione contemporanea del soggetto umano. E questo mi pare costituisca un’altra buona ragione per accostarsi al saggio che egli ha scritto.


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