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    Sport e ecologia integrale, per una conversione pastorale


    Collaboratori dell’ufficio turismo, tempo libero e sport della Conferenza Episcopale Italiana

    (NPG 2021-04-37)

    Il mondo dello sport sta mostrando da anni un profondo cambiamento, nelle modalità e negli approcci alla pratica sportiva, rispetto alla popolazione dei praticanti, alle finalità per cui si pratica, ai luoghi dove viene praticato. La pandemia ha ulteriormente accelerato questo processo di metamorfosi in atto, facendo vacillare l’intero sistema e creando ulteriore sconcerto. In questo contesto, il sistema sportivo italiano e le istituzioni politiche faticano ad offrire una visione nuova di sport, convincente e proiettata al futuro.
    Il magistero di Papa Francesco appare oggi come una delle poche bussole in grado di offrirci una strada sicura. È una bussola esigente, che stimola e sprona a fare un cambio di rotta deciso e talvolta radicale. La sfida è quella che il Papa nell’enciclica Laudato si’ chiama “ecologia integrale”: non si tratta di una questione esclusivamente ambientale legata alla preservazione del creato, ma si tratta essenzialmente di una questione antropologica e culturale:

    La cultura ecologica non si può ridurre a una serie di risposte urgenti e parziali ai problemi che si presentano riguardo al degrado ambientale, all’esaurimento delle riserve naturali e all’inquinamento. Dovrebbe essere uno sguardo diverso, un pensiero, una politica, un programma educativo, uno stile di vita e una spiritualità che diano forma ad una resistenza di fronte all’avanzare del paradigma tecnocratico[1].

    La “galassia sport” oggi è segnata da innumerevoli spinte centrifughe: lo sport spettacolo, il fitness, lo sport “fai da te”, lo sport dilettantistico… Saprà giocare un ruolo da protagonista nel costruire una ecologia integrale o sarà con-centrata su se stessa alla ricerca di mantenere questo equilibrio instabile?
    Quella lanciata da Papa Francesco è per lo sport una sfida complicata, ma che potrebbe rivelarsi anche un’occasione di ritrovare la propria identità vocazionale, frammentata e dispersa in molteplici finalità, spesso nemmeno troppo congeniali con lo sport stesso.
    Del resto… «direi che quella dello sport è una questione fondamentalmente ecologica. L’abitante di una città moderna sta oggi in una casa sua o in un luogo impervio, che costringe alla fatica quotidiana dell’adattamento? Forse lo sport è una prova di aggiustamento spontaneo»[2]. Oggi emerge sempre di più il disagio della civiltà metropolitana «a quella che W. Sombart ha chiamato la tassametrizzazione della vita, insomma a tutte quelle condizioni che, opprimendo, fanno desiderare la fuga all’aria aperta, la libertà dalla routine»[3]. Per questo risulta sempre più urgente la valorizzazione di contesti “puliti” dallo stress della ferialità, dalla logica strettamente funzionalista, materialista ed economica, con il recupero del senso della festa, del riposo, dello svago (nel senso del «vagare fuori dalle rotte ordinarie ed obbligate”), del divertimento (nel senso etimologico del divertere), del gioco. Lo sport oggi ha un valore di “compensazione” nella vita delle persone, rappresentando un'occasione di ri-generazione della qualità della vita. «Il riconoscimento della peculiare dignità dell’essere umano molte volte contrasta con la vita caotica che devono condurre le persone nelle nostre città»[4]. Pensare alla pastorale sportiva nell’ottica dell’ecologia integrale, da un lato obbliga ciascuno ad un cambio di stile e di mentalità dal punto di vista personale, dall’altro ci pone di fronte anche alla necessità di un cambio di stile e mentalità a livello comunitario e pastorale, di riorganizzazione e ripensamento strategico dei nostri gruppi sportivi, alle loro finalità e al loro rapporto con la parrocchia e il territorio. «La conversione ecologica che si richiede per creare un dinamismo di cambiamento duraturo è anche una conversione comunitaria»[5].
    A seguire si offrono alcuni spunti di riflessione alla luce della Laudato si’ che possono aiutare a delineare alcuni orientamenti per la pastorale sportiva all’interno delle nostre comunità ecclesiali, ma non solo.

    Liberare il tempo libero

    La nascita dello sport moderno nel XIX secolo fu profondamente legato e connesso alla nascita del tempo libero all’interno della società industrializzata: furono proprio quegli intervalli temporali che il lavoro nelle fabbriche lasciava liberi e al contesto di nuova urbanizzazione delle città a favorire forme di aggregazione ludiche e di svago come lo sport.
    Oggi, pur in un contesto epocale profondamente diverso, il ripensamento post-covid dello sport non può che passare ancora da un’analisi profonda relativa alla rimodulazione dei tempi di vita delle persone e quindi ad un’analisi sul tempo libero.
    La pandemia sembra evidenziare la necessità di liberare il tempo libero. Oggi ci troviamo a fare i conti con la commistione di spazi e tempi di vita, dovuta alla fusione degli spazi del tempo libero e del lavoro (lavoro a casa), che porta con sé la con-fusione dei tempi del lavoro e del riposo (tempo libero). Lo sport può contribuire ad aiutare a fare ordine in questa commistione, aiutando a creare spazi di rigenerazione, ricchi di prossimità fisica, di socialità, di divertimento, di improduttività, di gratuità e di senso.
    «L’essere umano tende a ridurre il riposo contemplativo all’ambito dello sterile e dell’inutile, dimenticando che così si toglie all’opera che si compie la cosa più importante: il suo significato»[6]. Lo sport, grazie proprio alla sua essenza ludica, rappresenta nel nostro tempo una opportunità per dare senso al tempo del riposo, del rigenerarsi. Il tempo dedicato alla pratica sportiva è un tempo improduttivo, inutile (nel senso di non utile a raggiungere un fine produttivo), tuttavia condiviso con altri nella gioia, nel divertimento, nella spensieratezza. Lo sport può rappresentare, concretamente e simbolicamente, una possibile “dieta dell’anima”[7] dove poter ritrovare (o forse per molti millennials addirittura “trovare”) spazi di serenità interiore.

    La via della gratuità: gioco e volontariato

    La categoria dell’inutilità, dell’improduttività che è insita nel gioco e quindi nello sport, aprono le porte ad un altro paradigma che lo sport nei prossimi anni sarà chiamato a recuperare con forza: la gratuità:

    Siamo chiamati a includere nel nostro operare una dimensione ricettiva e gratuita, che è diversa da una semplice inattività. Si tratta di un’altra maniera di agire che fa parte della nostra essenza. In questo modo l’azione umana è preservata non solo da un vuoto attivismo, ma anche dalla sfrenata voracità e dall’isolamento della coscienza che porta a inseguire l’esclusivo beneficio personale[8].

    In queste parole di Papa Francesco, sembra riaffiorare l’Homo ludens di Huizinga, in cui l’inutilità del gioco diventa generatrice di umanità e di cultura. A livello pastorale questo comporterà una scelta nell’impostazione di un progetto educativo e culturale per i gruppi sportivi delle parrocchie e degli oratori che anteponga il valore del gioco a quello del risultato, che faccia emergere la bellezza del giocare in sé, che dia ampio spazio al divertimento…
    Inoltre rimettere al centro la gratuità, significherà reimpostare i nostri gruppi sportivi ridando peso e slancio al volontariato sportivo. Lo sport necessita di professionalità e competenze specifiche per essere insegnato e promosso, ma il contributo del volontariato (che negli ultimi anni è stato spesso sacrificato sull’altare dell’efficienza organizzativa), sarà un valore aggiunto strategico:

    Il mondo dello sport è cresciuto e si è sviluppato grazie al contributo strategico dei volontari. Il volontariato gioca un ruolo fondamentale che va oltre la sfera delle competenze tecniche e organizzative. Esso tiene vivo, attraverso le scelte e la testimonianza, la cultura del dono e lo stile della gratuità. I volontari aiutano lo sport a rimanere orientato al servizio agli altri, senza focalizzarsi solamente sulla dimensione economica e organizzativa. Queste persone hanno bisogno di un sostegno per crescere, mantenere salde le motivazioni e per integrarsi al meglio nel tessuto organizzativo dello sport[9].

    Il volontariato sarà inoltre una fondamentale risorsa per mantenere la sostenibilità economica dei gruppi sportivi, permettendo di mantenere una accessibilità diffusa alla pratica sportiva ed evitando che lo sport diventi una opportunità solo per coloro che sono economicamente benestanti. Del resto la crisi economica che la pandemia produrrà nei prossimi anni, rischia pesantemente di ripercuotersi anche sul settore dello sport.
    Infine un rilancio del volontariato aiuterà i gruppi sportivi a rafforzare la propria “biodiversità” di competenze. Affiancare agli educatori sportivi e ai dirigenti provenienti dalle facoltà di Scienze Motorie persone volontarie che per professione o interesse hanno competenze provenienti da ambiti completamente diversi da quello sportivo, permetterà ai gruppi sportivi di incrementare la propria capacità di resilienza e di sviluppo.

    Costruire il patto educativo

    Lo sport è diventato un fenomeno così complesso, frastagliato, diversificato che fatica a trovare un senso unitario alla propria azione. Se da un lato questo dipende dalla crescita esponenziale che lo sport ha avuto in pochi decenni, dall’altro, lo sport, non fa altro che rispecchiare il contesto sociale in cui è immerso:

    La specializzazione propria della tecnologia implica una notevole difficoltà ad avere uno sguardo d’insieme. La frammentazione del sapere assolve la propria funzione nel momento di ottenere applicazioni concrete, ma spesso conduce a perdere il senso della totalità, delle relazioni che esistono tra le cose, dell’orizzonte ampio, senso che diventa irrilevante[10].

    Dalla rinascita moderna, lo sport ha rivestito il ruolo di portabandiera della propria epoca. Allen Guttmann, storico americano dello sport, ha tratteggiato le caratteristiche dello sport moderno[11]: la secolarizzazione, la competizione la specializzazione dei ruoli, la razionalizzazione, l’organizzazione burocratica, la quantificazione, la ricerca del record. Queste sono caratteristiche dello sport, ma anche paradigmi della modernità, della quale lo sport ne è divenuto testimone e veicolatore culturale, trovando così una sorta di “legittimazione sociale”. Questo sdoganamento culturale spalancò allo sport la strada nel suo processo di diffusione globale, garantendogli una sorta di consenso di fondo, nonostante le devianze che comunque lo sport stesso generava: violenza, doping, eccessi… furono peccati di fatto sempre perdonati allo sport, del quale si tendeva a far comunque emergere la dimensione positiva.
    Oggi, in un’epoca di transizione e di pandemia, questa capacità dello sport di essere portatore sano dei valori del proprio tempo, sembra essersi un po’ affievolito. Il rischio è che si indebolisca anche “quell’empatia a priori”. Per il movimento sportivo, questo non significa soltanto rischiare di perdere numeri e volume di attività, magari a scapito di altre attività ricreative reputate più “sicure” dal punto di vista della sicurezza della pandemia, ma significa anche rischiare di perdere efficacia educativa e ricaduta sociale. L’autorevolezza in termini educativi e sociali oggi riconosciuta ad un allenatore o ad un dirigente sportivo da un atleta, tifoso o genitore potrebbero cominciare a indebolirsi, così come abbiamo visto indebolire l’autorevolezza degli insegnanti nella scuola o degli stessi sacerdoti nella società.
    Lo sport nei prossimi anni non potrà più dare per scontato la propria legittimazione e autorevolezza sociale: vivere di “rendita di posizione” rispetto al passato è una strategia fragile. Lo sport sarà chiamato a scendere in campo e a rimettersi in gioco, cercando una nuova veste con cui presentarsi agli occhi della società.
    L’autoreferenzialità per il sistema sportivo è stato un tratto caratteristico, peraltro già evidente nella stessa denominazione di “sistema”. Lo sport è riuscito fino ad oggi a mantenere un regime di autarchia, vivendo in una “bolla” che gli ha permesso di superare indenne gli eventi più drammatici degli ultimi cento anni. La sensazione è che questa vita autonoma e parallela dalla politica e dalla società non sarà più concessa dopo la pandemia e che il modello di uno sport che “basta a se stesso” non potrà più essere sostenibile, né socialmente né economicamente. Un gruppo sportivo, per poter sopravvivere e svilupparsi, dovrà fare i conti con l’intero territorio. Avrà bisogno di “essere adottato” da una comunità territoriale, altrimenti rischierà di non reggere il peso della crisi economica nel breve termine, del calo demografico nel medio termine e delle trasformazioni culturali nel lungo termine. I piccoli gruppi sportivi potranno continuare ad operare solo stringendo un patto con la comunità in cui operano e solo se la stessa comunità li reputerà un bene sociale ed educativo da preservare; altrimenti il loro destino sarà quello di soccombere di fronte a logiche di scala, che prevederanno (e già in parte questo fenomeno è iniziato negli ultimi anni) grandi impianti e società sportive che fungeranno da poli attrattori, sicuramente più efficienti, probabilmente anche più impersonali e meno capillari.
    Una sfida pastorale del futuro sarà pertanto aiutare i gruppi sportivi ad inserirsi seriamente, strategicamente e strutturalmente all’interno della parrocchia e del proprio contesto territoriale, facendo rete con gli altri soggetti educativi e sociali presenti, in primis la scuola e le amministrazioni. Se un gruppo sportivo non farà lo sforzo di uscire dalla propria “autoreferenzialità dorata” rischierà di perdere posizionamenti all’interno del contesto sociale ed ecclesiale. Questa strategia dell’alleanza tra sport e territorio diventerà ancora più vitale quando la riforma del Codice del Terzo Settore prenderà realmente vita. Bisognerà formare dei mediatori sportivi, figure all’interno del gruppo sportivo in grado di dialogare con il territorio, di intercettarne i bisogni e di orientare le scelte amministrative e politiche, di mettersi a disposizione delle famiglie, della scuola e delle parrocchie stesse. I gruppi sportivi dovranno diventare costruttori del Patto educativo a cui Papa Francesco ci richiama continuamente: «Per avere efficacia, un progetto di pastorale dello sport deve essere un lavoro di rete tra le agenzie educative, partendo in primo luogo dalla famiglia, dalla scuola e dalle istituzioni pubbliche»[12].

    Lo sport generatore di relazioni

    «Questa mancanza di contatto fisico e di incontro, a volte favorita dalla frammentazione delle nostre città, aiuta a cauterizzare la coscienza e a ignorare parte della realtà in analisi parziali»[13]. Questa frase della Laudato si’ acquista ancora più peso e significato oggi che la pandemia ha ridotto ulteriormente le occasioni di incontro e contatto fisico. Una grande opportunità che la pastorale sportiva non dovrà sottovalutare, sarà il bisogno delle persone di socialità, di incontro, di relazioni interpersonali che la ripartenza al termine della pandemia farà riaffiorare.
    La pratica sportiva ha nella prossimità fisica, nella corporeità, nell’incontro in presenza uno dei suoi aspetti peculiari. Una società che diventerà sempre più digitale, in particolare nella sfera lavorativa, avrà bisogno di “compensare” nel tempo libero con una nuova cultura dell’incontro. Creare occasioni per stare insieme in presenza, restituirà “tridimensionalità” alle relazioni interpersonali schiacciate nella dimensione bidimensionale delle videoconferenze. La pratica sportiva è in grado di innescare con immediatezza e semplicità dinamiche relazionali e aggregative basate sulla leggerezza, sul divertimento che, accompagnate e orientate, potranno ricucire il tessuto delle relazioni lacerato da una società individualista e da una pandemia prolungata.
    La pastorale sportiva avrà la possibilità, e con questa anche la responsabilità, di giocare un ruolo da protagonista nel rigenerare le nostre comunità parrocchiali e territoriali e di aiutarci a superare un “antropocentrismo deviato”[14] che tende a ridurre la persona ad individuo, indebolendone la dimensione relazionale.

    L’agonismo e la scoperta di sé

    Attraverso lo sport è possibile aiutare le persone a compiere un percorso vocazionale, di scoperta di sé, dei propri limiti e dei propri talenti. Lo sport è un gioco della categoria dell’agon[15], ossia dalla sua spinta competitiva. Senza competizione non c’è sport: l’agonismo non è un semplice attributo descrittivo dello sport, ma ne è una caratteristica costituente. Molte volte, in particolare in contesti di natura ecclesiale, abbiamo osteggiato l’agonismo in nome dello “sport educativo”, come se lo spirito della competizione fosse un elemento ostativo per un percorso di crescita. L’agonismo, se non degenera verso la ricerca del risultato a tutti i costi, è invece una delle leve più efficaci ed importanti nel percorso educativo, e quindi pastorale, attraverso lo sport. Come infatti ci ricorda Luca Grion nel suo testo Filosofia del running spiegata a passo di corsa (Mimesis, Milano-Udine 2019), l’agonismo sano è un’esperienza che ci permette di indagare i confini delle capacità di un atleta e di svelarne i talenti, stimolando la ricerca dell’eccellenza e della perfezione, in un percorso di ascesi che molto a che vedere con l’invito di Gesù: «Voi dunque siate perfetti, com’è perfetto il vostro Padre celeste»[16]. La pastorale sportiva dovrà avere il coraggio di interrogarsi su quale ruolo potranno giovare gli allenatori e dirigenti sportivi anche all’interno di un percorso vocazionale.

    NOTE

    [1] Francesco, Laudato si’, n. 111.
    [2] F. Ravaglioli, La filosofia dello sport, Armando, Soveria Mannelli (RC) 2013, 6.
    [3] Ivi, 77.
    [4] Francesc, Laudato si’, n. 154.
    [5] Ivi, n. 219.
    [6] Francesco, Laudato si’, n. 237.
    [7] G. Ravasi, Una dieta dell’anima per trovare se stessi e Dio, Famiglia Cristiana, agosto 2018.
    [8] Francesco, Laudato si’, n. 237.
    [9] Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, Dare il meglio di sé. Sulla prospettiva cristiana dello sport e della persona umana (1 giugno 2018), punto 5.4.
    [10] Francesco, Laudato si’, n. 110.
    [11] Cfr. A. Guttmann, Dal rituale al record. La natura degli sport moderni, Edizioni scientifiche italiane, Napoli 1994.
    [12] Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, Dare il meglio di sé. Sulla prospettiva cristiana dello sport e della persona umana (1 giugno 2018), punto 5.5.
    [13] Francesco, Laudato si’, n. 49.
    [14] Ivi, n. 119: «La critica all’antropocentrismo deviato non dovrebbe nemmeno collocare in secondo piano il valore delle relazioni tra le persone. Se la crisi ecologica è un emergere o una manifestazione esterna della crisi etica, culturale e spirituale della modernità, non possiamo illuderci di risanare la nostra relazione con la natura e l’ambiente senza risanare tutte le relazioni umane fondamentali».
    [15] Cfr. R. Callois, I giochi e gli uomini. La maschera e la vertigine, Bompiani, Milano 2000.
    [16] Mt 5, 48.


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