Vivere la fede
da fuorisede
Erica Scuma e Alessia Caiezza («FUCI Pavia»)
Lasciare casa a 18 anni, percorrere più di mille chilometri e trovarsi catapultati in una nuova realtà: è questo lo scenario che si prospetta alla maggior parte dei ragazzi una volta finito il liceo. Decidere di fare l’università fuori casa comporta delle scelte forti e grandi responsabilità, significa avere il coraggio di mettere da parte la vita che si è sempre condotta, salutare amici e parenti, riempire la valigia e partire. Il mondo universitario, la facoltà dei sogni e tante opportunità di lavoro molto spesso si trovano troppo distanti da casa propria, e non c’è soluzione diversa se non trovare dentro di sé il coraggio di partire, pronti a cominciare una nuova grande avventura. È così che si entra a far parte di una categoria ben definita di studenti, è in questo modo che si diventa “fuori-sede”.
Per tutti coloro che hanno vissuto questa esperienza, resteranno per sempre indimenticabili i momenti di smarrimento e di paura che si provano all’inizio di questo percorso. Le lezioni da seguire, una casa da curare, le faccende di casa, le bollette e tantissime altre responsabilità che piombano sulle spalle tutte insieme, tutte in una volta. Sembra di essere diventati adulti in un solo colpo, con tutti gli oneri annessi, e le cose da sbrigare sembrano non finire mai. Ma nonostante tutto ciò, è allo stesso modo indimenticabile quell’entusiasmo tipico di chi comincia per la prima volta qualcosa di nuovo e avvincente. Una città che aspetta solo di essere scoperta, un nuovo giro di amici, le serate organizzate per gli universitari, gli aperitivi fuori, la libertà, il non dover rispettare più nessun orario, l’essere libero da ogni vincolo e il poter finalmente affermare di essere padroni di sé stessi e del proprio tempo. Ci si sente estremamente invincibili durante i primi mesi della vita da fuori sede, si assapora una libertà totale che mai prima di quel momento si aveva avuto la possibilità di sperimentare, si pensa di avere il mondo in mano, di essere finalmente diventati adulti. Come si fa poi a non amare l’ambiente universitario? Un chiostro antico e pieno di storia posizionato nel centro della città, un viavai continuo di ragazzi e di docenti, un continuo pullulare di gente, idee, manifestazioni e attività organizzate. La bacheca in università appare sempre allo stesso modo, in ogni periodo dell’anno: carica e coloratissima per tutte le attività e le iniziative che sono proposte ai giovani studenti universitari, un ventaglio di opzioni pressoché illimitato tra cui scegliere, la possibilità reale di mettersi in gioco e di spendere il proprio tempo per fare qualcosa che davvero abbia un senso.
In particolare, lo studente universitario credente va alla ricerca di qualcosa che gli permetta di continuare ad “esercitare” la propria fede. Si può parlare di un vasto spettro di possibilità, ma che forse si dividono in due parti: da un lato vivere la propria fede come qualsiasi altro cristiano, limitandosi ad adempiere a quelli che sono gli “obblighi” che scaturiscono dalla fede; dall’altro lato si apre il mondo della pastorale universitaria che comprende le molte realtà ecclesiali impegnate nel mondo universitario. Il servizio che offre la pastorale è quello di conoscere la realtà universitaria della città in considerazione, di accogliere e formare in generale gli studenti, essere luogo di confronto e culla di iniziative di approfondimento della fede.
La fede è senza dubbio un cammino personale, ma un’esperienza associativa pone delle condizioni di favore a quella che è la ricerca dei giovani in quest’ambito. Oggi, l’uomo, potremmo dire, è senza legami, è indifferente. È facile infatti inaridire la visione della realtà in cui viviamo. Stando alle parole di Baumann, l’uomo oggi è «senza parentesi». Bisogna quindi riacquistare la capacità di entusiasmo, essere coinvolgenti, essere tessitori di relazioni.
In particolare in questa sfera si colloca la FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana), la quale riunisce e mette in rete gruppi di studenti universitari cattolici di tutta Italia. Ciò che contraddistingue la Federazione, come dice il nome stesso, è la capacità di coniugare la fatica che accompagna la maturazione di una coscienza credente nell’attività dello studiare universitario, l’essere cristiani in una realtà ricca di diversità.
Fuci vuol dire approfondimento, condivisione della conoscenza, incontro tra impostazioni culturali differenti. Confrontarsi con studenti, che cercano come ognuno di noi un modo per interrogarsi, è aprire la mente e imparare a guardare il mondo anche da altri punti di vista. La Fuci in questo senso implica un mettersi in gioco nell’ambito di un gruppo: si tratta di impegnarsi per organizzare collaborando, quindi mettendo insieme le risorse di ognuno; Fuci è pertanto amicizia, cibo condiviso, notti interminabili a lavorare, a giocare e a scherzare, responsabilità, mille cose da fare e impegni da conciliare, viaggi in treno lunghissimi con troppi cambi per risparmiare qualche euro, posti belli da visitare.
Un ex fucino, raccontando la sua esperienza, diceva che la FUCI insegna il significato di essere «lievito nella massa», ossia cercare di apprendere uno stile fatto di approfondimento, riflessione, studio, ma anche piacere di stare insieme, divertimento e preghiera. Tutto questo “per onorare la nostra intelligenza”.
Seguendo le parole di Papa Paolo VI, in un discorso alla Federazione del settembre 1963, l’essere parte di una tale realtà per uno studente implica il “non essere chiuso in sé stesso e sequestrato dal campo culturale e sociale in cui si svolge la propria vita, ma essere comprensivo, accogliente” pronto a vivere un cammino di crescita umana, spirituale e culturale.
* Rispettivamente, 3° anno Medicina e 3° anno Giurisprudenza.