Pastorale Giovanile

    Campagna
    abbonamenti
    QuartinoNPG2024


    Letti 
    & apprezzati


    Il numero di NPG
    maggio-giugno 2024
    600 cop 2024 2


    Il numero di NPG
    marzo-aprile 2024
    600 cop 2024 2


    Newsletter
    maggio-giugno 2024
    NL 3 2024


    Newsletter
    marzo-aprile 2024
    NL 2 2024


    P. Pino Puglisi
    e NPG
    PPP e NPG


    Pensieri, parole
    ed emozioni


    Post it

    • On line il numero di MAGGIO-GIUGNO di NPG sui "buchi neri dell'educazione" e quello di MARZO-APRILE sulla narrazione biblica.  E qui le corrispondenti NEWSLETTER: maggio-giugnomarzo-aprile.
    • Attivate nel sito (colonna di destra "Terza paginA") varie nuove rubriche per il 2024.
    • Linkati tutti i DOSSIER del 2020 col corrispettivo PDF.
    • Messa on line l'ANNATA 2020: 118 articoli usufruibili per la lettura, lo studio, la pratica, la diffusione (citando gentilmente la fonte).
    • Due nuove rubriche on line: RECENSIONI E SEGNALAZIONI. I libri recenti più interessanti e utili per l'operatore pastorale, e PENSIERI, PAROLE

    Le ANNATE di NPG 
    1967-2024 


    I DOSSIER di NPG 
    (dall'ultimo ai primi) 


    Le RUBRICHE NPG 
    (in ordine alfabetico
    e cronologico)
     


    Gli AUTORI di NPG
    ieri e oggi


    Gli EDITORIALI NPG 
    1967-2024 


    VOCI TEMATICHE 
    di NPG
    (in ordine alfabetico) 


    I LIBRI di NPG 
    Giovani e ragazzi,
    educazione, pastorale

     


    I SEMPREVERDI
    I migliori DOSSIER NPG
    fino al 2000 


    Animazione,
    animatori, sussidi


    Un giorno di maggio 
    La canzone del sito
    Margherita Pirri 


    WEB TV


    NPG Facebook


    NPG Twitter



    Note di pastorale giovanile
    via Giacomo Costamagna 6
    00181 Roma

    Telefono
    06 4940442

    Email


     Il buon pastore

    La pericope del capitolo decimo contiene una forte accusa contro i dirigenti giudei (in continuità con le altre prese di posizione di Gesù in 2,13ss. e 8,31ss.), sfruttatori del popolo e guide cieche, che esercitano oppressione in piena colpevolezza perchè, pur avendo davanti la luce, la respingono, ecco perchè lui stesso si presenta come modello unico di guida e di pastore.
    È l’ultima volta che Gesù è nel tempio, e qui espone per l’ultima volta la qualità della sua missione (v.10 “io e il Padre siamo una cosa sola”): è l’ultimo confronto di Gesù con i dirigenti giudaici, con il giudaismo e le sue istituzioni.
    Al rifiuto dei capi giudaici corrisponde l’uscita di Gesù dal tempio (v.39) e dal territorio giudaico (v.40: “al di là del Giordano”): è il simbolo questo che la missione di Gesù non si identifica più con Israele e con il tempio.
    Il discorso del buon Pastore viene subito dopo l'episodio del cieco nato come se fosse una sua naturale continuazione. Non c'è infatti alcuna frase di transizione che indica uno spostamento di Gesù in un altro luogo.
    C'è una precisazione da fare: noi traduciamo "buon Pastore"; in greco però non c'è scritto agatòs=buono), ma kalòs=bello), dove l'aggettivo "bello" sta per "che va bene", "giusto". La traduzione esatta sta ad indicare che Gesù non si presenta solo come il Pastore mite e affettuoso, ma come il Pastore giusto, bravo: egli è il modello di pastore. Non si vuol sottolineare tanto la tenerezza del pastore, quanto la guida di un pastore affidabile. Tale interpretazione deriva anche da quanto si dice nell'AT. Nel linguaggio dell'antico oriente i re erano chiamati pastori del loro popolo. Nell'AT si parla del pastore e del gregge, un'immagine molto diffusa e rimasta viva fino ad oggi nella chiesa. In Ezechiele 34,1-6 si dice che i pastori di Israele sono venuti meno al loro dovere e sono colpevoli dello stato di dispersione del gregge. In questi versi non si allude solo ai re di Israele ma anche ai sacerdoti. Essi saranno tutti destituiti dall'ufficio di pastore e si dice che JHWH stesso assumerà l'ufficio di pastore del suo gregge: Ez 34,7-10 "Io stesso sarò il pastore del mio gregge e lo farò riposare in luoghi tranquilli. Lo dico io, Dio, il Signore. Cercherò le pecore perdute, ricondurrò nel gregge quelle andate lontano, fascerò quelle ferite, curerò quelle malate." Gesù quindi porta a compimento le parole dette in Ezechiele 34,7-10 dichiarandosi come il Buon pastore. Gesù comincia il suo doscorso con la formula di rivelazione: 10,1-6 "In verità, in verità vi dico chi non entra nel recinto delle pecore per la porta, ma vi sale da un'altra parte, è un ladro e un brigante; chi invece entra per la porta è il pastore delle pecore. A lui il guardiano apre, e le pecore ascoltano la sua voce; egli le chiama per nome e le conduce fuori.
    E dopo averle spinte fuori cammina innanzi a loro, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguono anzi fuggono da lui perché non conoscono la voce degli estranei." Questa similitudine disse loro Gesù, ma essi non capirono cosa significava ciò che diceva loro" Questo racconto, come si osserva dall'ultimo versetto citato, è chiamato dall'evangelista "similitudine", "proverbio". In greco è detto paroimìa). Nei Vangeli sinottici è stata adoperata una parola simile, parabolè). Perché Giovanni non ha usato la parola parabolè? Alcuni commentatori sostengono che, anche se è detto "similitudine", si tratta comunque di una parabola. Bisogna far notare che però in tal caso questa sarebbe la seconda parabola nel Vangelo di Giovanni, dopo quella dell'artigiano ("Il figlio non fa nulla di se stesso ma soltanto ciò che vede fare dal padre..."). Nel Vangelo di Giovanni infatti non ci sono molte parabole, e questa è un'altra delle caratteristiche che sorprende e che lo differenzia dai sinottici. Altri commentatori invece dicono che avendola qualificata "similitudine", Giovanni voleva dire che questa non è una parabola come quella dei sinottici, ma è proprio una similitudine in senso stretto, cioè una specie di allegoria. Le allegorie sono un tipo di discorso nel quale ad ogni elemento della raffigurazione ne corrisponde in parallelo uno che riguarda la realtà spirituale oggetto dell'insegnamento. Quindi ogni elemento dell’allegoria significa una cosa ben precisa.
    L'allegoria è un puro schema di traduzione. La parabola invece è un racconto che dev'essere interpretato come una storia verosimile che va vista in sé stessa, nella sua struttura naturale ed umana. Se un racconto è una parabola gli attori della vicenda non rappresentano nulla direttamente, ciò che interessa è il senso globale della vicenda raccontata; sarà questo, il nocciolo, ad essere accostato e paragonato alla realtà spirituale di cui si sta discutendo per comprenderne il senso didattico. In una parabola che parla di pecore e pastori, le pecore sono pecore ed i pastori sono pastori. Nei sinottici si legge la parabola della pecorella smarrita: "Un pastore aveva cento pecore, ne perde una..." . Qui bisogna immedesimarsi nella situazione del pastore, non si deve pensare a Dio. E quando si dice: "e quando la trova chiama i vicini e gli amici", i vicini e gli amici sono i vicini e gli amici del pastore, non rappresentano niente. Se invece il racconto è allegoria le pecore ed il pastore rappresentano qual cos'altro. In definitiva il criterio di interpretare le parabole è quello di rifarsi alla realtà umana raccontata, mentre il criterio di interpretare le allegorie è quello di tradurre i termini allegorici nei corrispondenti termini reali. È importante fare la distinzione fra parabola ed allegoria poiché il divario esistente fra gli esegeti nell'interpretazione del brano del buon Pastore si basa proprio su questo: va interpretato come parabola o come allegoria ? "Chi non entra per la porta del recinto..." è un ladro di pecore? Le pecore che "ascoltano la voce" sono quelle che il pastore chiama ? Oppure il significato è metaforico? Il problema è che a seconda che si segua l'una o l'altra interpretazione la differenza di significato non è poca. Chi sostiene l'ipotesi della similitudine ha osservato che se questa fosse una parabola che racconta dell'allevamento di pecore da parte di pastori palestinesi ci sarebbero alcune incongruenze. Una incongruenza sarebbe nella frase: 10,4 "Quando ha condotto fuori tutte le sue pecore cammina innanzi a loro e le pecore lo seguono." Ora di solito i pastori camminano dietro le pecore. Chi invece sostiene l'ipotesi della parabola dice che questa non è una incongruenza in quanto i pastori occidentali seguono il gregge, quelli orientali lo precedono. Se è una similitudine, il racconto pur non essendo inverosimile, presuppone degli usi di cui però non esistono documentazioni: per esempio l'esistenza di recinti comuni per più greggi dove alla sera più pastori portano le pecore, affidandole a dei guardiani. Al mattino poi ogni pastore riprende le proprie pecore facendo uscire con un segnale. Chi vede nel racconto una parabola invece ritiene che esistevano dei custodi soprattutto se i recinti erano in aperta campagna. Un'altra possibile inverosimiglianza è data dalla frase "le chiama per nome": se un pastore ha centinaia di pecore è un po' difficile immaginare che adoperi questo criterio, cioè che faccia un segnale diverso per ogni pecora. Di contro si può supporre che l'espressione si riferisce all'uso dei pastori di dare un nome alle proprie pecore, specie alle più grosse o alle più carine (usanza ancora oggi riscontrabile in Palestina). Ammettendo che si tratti di una parabola le parole di Gesù sono la descrizione della normale giornata di pascolo dove risalta la reciproca conoscenza fra il pastore e le pecore, tanto che il pastore è in grado di chiamarle per nome e guidarle, e le pecore lo distinguono dagli estranei e lo seguono. Secondo l'interpretazione allegorica, invece, il pastore è il Messìa; le pecore sono i fedeli; il recinto indica l'atrio del Tempio di Gerusalemme. Quest'ultima associazione deriva dal fatto che la parola greca usata per dire "recinto" è aulè) che letteralmente vuol dire "cortile", "atrio". Essa non è la parola normalmente utilizzata per indicare il recinto delle pecore. Aulè è un termine che veniva usato per indicare l'atrio del palazzo del re e che può essere adoperato anche per indicare il cortile del Tempio. Nell'allegoria il guardiano del recinto è il Levita che sta alla porta del tempio e che custodisce l'ingresso al Tempio dei fedeli. All'epoca infatti c'era un vero e proprio cerimoniale per l'ingresso al Tempio, un dialogo predefinito fra il sacerdote-Levita e il pellegrino che si accingeva ad entrare. Nel brano si vuol dire che chi entra nel Tempio non approvato dal sacerdote-custode è un ladro e un brigante. Questa interpretazione si riferisce all'avvento dei falsi messìa che all'epoca abbondavano, ed abbondarono anche dopo nei primi anni dell'apostolato. Questi personaggi sono entrati nel "recinto" dove c'è il "gregge", nel mondo ebraico, ma non per la via giusta, per quella che mette in comunicazione con Dio. Infatti poi si sono dimostrati degli ingannatori, istigando le "pecore" a rivolta in nome della salvezza. L'importanza di questo tema risiede nel fatto che non bisogna dimenticare che quando Giovanni scrive questo Vangelo è già avvenuto l'effetto tremendo causato dai falsi messìa, cioè la distruzione di Gerusalemme ad opera dei Romani (fatto storico ben documentato). Questa distruzione avvenne perché ci furono delle persone che proclamandosi messìa, incitarono il popolo alla ribellione.
    Con questo discorso allora Gesù intende qualificarsi come il "buon Pastore", il Pastore "vero", l'unico ed autentico Messìa che almeno i guardiani del Tempio dovrebbero riconoscere, perché entra dalla porta. Allora acquista senso la frase "Egli chiama le sue pecore una per una e le conduce fuori": è la chiamata che Gesù fa a coloro che credono, ai discepoli. Ed anche il "cammina innanzi a loro, e loro lo seguono" ha senso poiché si tratta di uomini, non di pecore. Anzi, l'immagine è la stessa dell'Esodo, di Dio che cammina innanzi al suo popolo sotto forma di nube. È logico di conseguenza che trattandosi di un condottiero di uomini, cammini davanti. La raffigurazione delle pecore per indicare il popolo è molto significativa poiché serve ad indicare che, come le pecore hanno quell'intuizione per capire chi è il vero pastore e chi debbono seguire per non perdersi, allo stesso modo deve comportarsi il popolo di Dio.
    È importante valorizzare l'immagine di Gesù che "conduce fuori": Si potrebbe pensare al recinto delle pecore come al recinto di Israele. Alcuni esegeti dicono che questa è un'immagine antitetica a quella tradizionale della storia di Israele, perché tutta la storia di Israele è stata un "andare dentro": Dio con le varie vicende precedenti, fa riunire il popolo ebraico e gli dà una terra in cui vivere. Adesso invece si dice che Gesù è venuto inviato da Dio per portar fuori quelle pecore che sono nel recinto. Essendo questo Vangelo stato scritto intorno al 90 d.C., questo racconto potrebbe essere la raffigurazione di ciò che è accaduto in quegli anni: i cristiani sono usciti dalla Giudea e si sono sparsi per tutto il mondo per seguire il loro Pastore Gesù Cristo. Potrebbe essere quindi un'allusione ai fatti accaduti; come dire che veramente Gesù è stato il Pastore bravo, perché li ha fatti uscire. Oppure si potrebbe fare l'ipotesi che qui Gesù presenta il piano di Dio, che è opposto al precedente, senza però per questo condannare il precedente. Adesso le cose sono cambiate; non c'è più bisogno di terre, di tempii, di pecore, di feste, per la salvezza. Adesso la chiave della salvezza è Gesù, adesso l'unico riferimento è Gesù. Entrambe le interpretazioni sono valide e legittime poiché Gesù dice "Io sono il pastore vero".
    Sarebbe allora il culmine delle sostituzioni di Gesù all'ebraismo, perché non è più sufficiente alla salvezza umana. Questa sostituzione però viene fatta senza alcun disprezzo, senza sottovalutare la storia precedente, tenendo presente che quanto è accaduto prima ha avuto un suo ruolo. Adesso però c'è Gesù. Continuiamo il commento.
    10,7-13 "In verità, in verità vi dico, io sono la porta delle pecore, tutti coloro che sono venuti prima di me sono ladri e briganti ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta; se uno entra attraverso di me sarà salvo... Io sono venuto perché abbiano la vita e la abbiano in abbondanza.
    Io sono il buon pastore; il buon pastore offre la vita per le pecore; il mercenario invece, che non è pastore, e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e il lupo le rapisce e le disperde. Egli è un mercenario e non gli importa delle pecore." Interpretando in chiave allegorica, questa parte significa che Gesù è la porta attraverso cui i credenti possono avere accesso a Dio, attraverso cui possono avere la salvezza. Gesù è Colui che dà veramente l'accesso a Dio. Prima dell'avvento di Gesù per avere l'accesso a Dio bisognava andare a Gerusalemme ed entrare nel Tempio: gli Ebrei infatti usavano l'espressione "andare a vedere il volto di Dio" per indicare la visita al Tempio, per indicare la grande vicinanza spirituale che in quel luogo si instaurava con Dio. Adesso invece per vedere Dio bisogna uscire da quelle strutture e tradizioni, incontrare Gesù, e stando con Gesù e mediante Gesù si vede Dio. In questi versetti ci sono temi particolari che hanno destato l'interesse degli esegeti. A chi si riferisce la frase: 10,8 "Tutti coloro che sono venuti prima di me sono ladri e briganti, ma le pecore non li hanno ascoltati." La polemica sembra essere con tutti quegli agitatori del popolo che promettono vita, salvezza e prosperità e invece poi nel momento della difficoltà fuggono e abbandonano il popolo; quindi la polemica è con i falsi messìa, i mercenari. La motivazione primaria per cui Gesù si definisce "buon Pastore" è che lui offre la vita per le pecore, mentre gli altri pastori si servono delle pecore per difendere la loro vita, e quando le pecore non servono allo scopo, le abbandonano.
    A questa idea centrale del dare la vita se ne aggiunge un'altra. Gesù offre la sua vita non come un martire, cioè costretto dagli avvenimenti, non come una persona a cui la vita viene strappata e che in nome dei suoi ideali se la lascia strappare. Giovanni dice che Gesù, senza alcuna necessità, senza alcuna costrizione, senza alcun legame morale che lo spinga a dare la vita per gli altri, in assoluta piena libertà offre la propria vita, pur potendone fare a meno. E che questo non sia pura velleità lo sta a dimostrare il fatto che può riprenderla. Offre la vita in piena libertà, tanto è vero che ha il potere di riprenderla di nuovo. Il dono della vita viene fatto da Gesù per comandamento di Dio, e non perché vittima della volontà degli uomini e delle circostanze.
    L'offerta è di assoluto valore in se stessa. Anche nel racconto della passione lo sforzo di Giovanni è quello di mettere in evidenza che Gesù non è stato vittima degli avvenimenti, ma che tutto quello che gli è accaduto è la conseguenza della sua libera volontà, della sua sovrana libertà. Gesù non ha offerto la vita perché in quelle circostanze è stato spinto all'eroismo. Tanto è vero che nella scena dell'arresto di Gesù, Giovanni scrive che Gesù già sapeva ciò che gli doveva accadere: "I soldati vennero con spade e lance. Allora Gesù, conoscendo tutto quello che gli doveva accadere, ...". Gesù già sa.
    Nell'ultima parte del capitolo 10 si parla di un'ultima festa giudaica, la festa della Dedicazione, e si parla di nuovo delle dispute fra Gesù e il popolo ebraico: 10,24 "Gli si fecero attorno i Giudei e gli chiesero: "Fino a quando terrai il nostro animo sospeso ? Se tu sei il Cristo, dillo apertamente" Qui si vede chiaramente come il problema ebraico fosse quello del Messìa che deve venire. Allora si capisce il confronto che Gesù fa con ladri e briganti, per indicare il confronto con i falsi messìa.
    E Gesù risponde: 10,25-27 "Rispose Gesù: "Ve l'ho detto e non credete: voi non credete perché non siete mie pecore; le mie pecore ascoltano la mia voce, e io le conosco, ed esse mi seguono" Ritorna la similitudine col buon Pastore: Gesù è l'unica mediazione perché si possa raggiungere Dio ed essere il suo popolo. In queste parole c'è il netto superamento della mediazione del giudaismo come unico popolo in grado di comunicare con Dio. E qui la cosa diventa esplicita poiché l'identificazione di Gesù con Dio è portata alla chiarezza assoluta: 10,30 "Io e il Padre siamo una cosa sola".
    Per questa risposta i Giudei, che questa volta hanno capito bene, lo vogliono lapidare, per la bestemmia: 10,33 "Gli risposero i Giudei: "Non vogliamo lapidarti per un'opera buona, ma perché tu bestemmi. Sei soltanto un uomo e pretendi di essere Dio ! " Per capire la risposta di Gesù voleva dire occorrerebbe una comprensione del contesto dell'epoca che noi oggi non abbiamo più. L'unica cosa che riusciamo a comprendere è che la risposta di Gesù è ironica e dispregiativa. E come accade sempre nel Vangelo di Giovanni, Gesù non spiega cosa intende dire, ma insiste ripetendo. E questo perché, secondo Giovanni, la verità che si rivela in Cristo è una verità che si giustifica per se stessa: è come la luce. Niente può illuminare la luce; è la luce che illumina il resto


    T e r z a
    p a g i n A


    NOVITÀ 2024


    Saper essere
    Competenze trasversali


    L'umano
    nella letteratura


    I sogni dei giovani x
    una Chiesa sinodale


    Strumenti e metodi
    per formare ancora


    Per una
    "buona" politica


    Sport e
    vita cristiana
    rubrica sport


    PROSEGUE DAL 2023


    Assetati d'eterno 
    Nostalgia di Dio e arte


    Abitare la Parola
    Incontrare Gesù


    Dove incontrare
    oggi il Signore


    PG: apprendistato
    alla vita cristiana


    Passeggiate nel
    mondo contemporaneo

     


    NOVITÀ ON LINE


    Di felicità, d'amore,
    di morte e altro
    (Dio compreso)
    Chiara e don Massimo


    Vent'anni di vantaggio
    Universitari in ricerca
    rubrica studio


    Storie di volontari
    A cura del SxS


    Voci dal
    mondo interiore
    A cura dei giovani MGS

    MGS-interiore


    Quello in cui crediamo
    Giovani e ricerca

    Rivista "Testimonianze"


    Universitari in ricerca
    Riflessioni e testimonianze FUCI


    Un "canone" letterario
    per i giovani oggi


    Sguardi in sala
    Tra cinema e teatro

    A cura del CGS


    Recensioni  
    e SEGNALAZIONI

    invetrina2

    Etty Hillesum
    una spiritualità
    per i giovani
     Etty


    Semi e cammini 
    di spiritualità
    Il senso nei frammenti
    spighe


    Ritratti di adolescenti
    A cura del MGS


     

    Main Menu