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    Tempo di Natale

    Tomáš Špidlík

    tempodinatale

    25 dicembre: Natività del Signore

    Il Natale

    Il Natale: festa religiosa o civile, umana? Festa della famiglia o festa di Dio? La risposta è facile: è la festa divino-umana, ricordo di Dio che si fece uomo. Da questo fatto unico seguono grandi conseguenze sia per l'idea su Dio che per quella sull'uomo. Entrambi vi si rivelano in un'insolita grandezza.
    Non sono solo i cristiani a credere in Dio. È un termine comune per tutte le religioni e anche per la filosofia. Tutte queste realtà hanno in comune il credere nell'esistenza di Dio che dimora nel cielo o almeno in certi luoghi inaccessibili. Egli non avrebbe interesse ad avvicinarsi agli uomini. Al contrario, gli uomini devoti cercano di raggiungerlo nelle difficoltà della vita e sperano che dopo la morte troveranno un'abitazione nella sua dimora eterna, lontano dalla terra. La filosofia ha accentuato l'abisso fra Dio e gli uomini ancora di più. Per i grandi filosofi antichi Platone e Aristotele, Dio non può occuparsi della terra, perché smetterebbe di essere il puro spirito e il puro ideale al quale cerchiamo di elevarci. Gli antichi stoici, materialisti, cercavano al contrario di spostare Dio dal cielo sulla terra. Ma in quel momento egli divenne la legge della natura e smise di essere Dio.
    Il cristianesimo porta un messaggio essenzialmente diverso. Crede in Dio Padre che abita nei cieli in una luce inaccessibile. Ma lo stesso Dio irraggiungibile ha deciso di scendere liberamente sulla terra e si è fatto uomo. Il fondatore del marxismo russo, Belinskij, arrivò a credere questa verità partendo dalla propria esperienza. All'inizio smise di credere in Dio e accettò l'opinione dei marxisti che il pensiero di Dio distraesse l'umanità dall'interesse per il mondo concreto nel quale viviamo. La religione diviene allora non solo inutile, ma anche dannosa. Ma quali conseguenze derivano poi dal fatto che l'uomo rivolge tutta la sua attenzione alla terra? Non può essere così cieco da non vedere quante miserie incontriamo sulla terra nonostante le belle teorie su un ordine migliore nella società. E se anche si raggiunge qualche progresso sociale, verrà la morte come vincitore inesorabile. È dannoso pensare alla morte, ma è ugualmente penoso, dicono i marxisti, pensare alla vita eterna insieme con Dio. Come risolvere questa contraddizione?
    Belinskij arrivò a professare la fede cristiana. Il pensiero sul Dio assoluto che dimora nei cieli non può consolare la gente che sulla terra soffre e muore. Cercare dí raggiungerlo significa non amare la vita presente e disprezzare la lunga storia dell'umanità, piena di una grande varietà. Per salvare il nostro mondo, era necessario che Dio scendesse, che nascesse come uomo, subisse la morte e risorgesse. Scrive: "Per rinnovare l'umanità era necessario che il caos della morte e della perdizione sentisse l'annuncio dato con le parole del Figlio dell'uomo, parole piene di grazia: 'Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò' (Mt 11,28)". Ma questo annuncio ci pone un doppio problema: Dio che scende nel mondo, resterà anche il vero Dio? E contemporaneamente: l'uomo che è Dio è anche un vero uomo? Filosoficamente il problema non si potrà mai risolvere. Ma quando accettiamo la fede del vangelo, essa ci rivelerà Dio e l'uomo nella loro vera grandezza.
    Riflettendo con la forza naturale della nostra ragione, arriviamo facilmente a convincerci che Dio rappresenta l'ideale al quale tutti aspiriamo. Con la logica della ragione non potremo però concludere che Dio è amore. Cosí si è rivelato nella sua incarnazione. Negli Esercizi di sant'Ignazio si indica un modo in cui possiamo meditare questo mistero. Dobbiamo immaginare le tre Persone divine in cielo nel loro colloquio. Divenuto uomo, Gesú continuava il suo discorso con il Padre anche sulla terra. Nota il teologo Sergej Bulgakov che non ci può essere contraddizione fra ciò che Dio fa sulla terra e la sua volontà in cielo. E qual è il tema del dialogo celeste fra le tre Persone divine? Sant'Ignazio lo propone in questo senso, ricordando come "le Tre persone divine guardano tutta la superficie e rotondità del mondo intero pieno di uomini; e come, vedendo che tutti andavano all'inferno, decidono nella loro eternità che la Seconda Persona si faccia uomo per salvare il genere umano". È interessante che in modo simile anche Pavel Evdokimov interpreti la famosissima icona della SS. Trinità di Rublév. Scrive: "le tre Persone sono in colloquio e il tema di questo colloquio può essere il testo di san Giovanni (3,16): Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna'. Qui, allora, Dio si rivela nella sua vera grandezza, cioè come carità".
    Ma nell'incarnazione si rivela anche la vera grandezza dell'uomo. Siamo soliti considerare come eroi quelli che hanno fatto qualcosa di grande, sia in senso fisico che morale: un grande edificio, un'opera d'arte, un'opera per il popolo, per tutta l'umanità. Non è consigliabile cercare che cosa sia più o meno nobile. Ciò nonostante, conosciamo un fatto al quale non si può non attribuire una grandezza superiore. Una semplice ragazza di Nazaret acconsenti alla voce dell'angelo, concepì dallo Spirito Santo, divenne madre di Dio e partorì a Betlemme il Dio-Uomo. Esiste un antico inno, composto da san Giovanni Damasceno, che apostrofa Maria con le parole: "Di te si rallegra tutta la creazione". Le icone lo illustrano in questo modo. Raffigurano il giardino paradisiaco, un bel tempio e una fila di santi e di sante. In tutto ciò si rivela la grandezza dell'opera divina nel mondo: nella natura, nella Chiesa, nei santi e nelle sante. Ma al centro, su di un trono, siede la Madre di Dio. Può la natura umana raggiungere un atto più grande che portare Dio dal cielo in questo mondo?
    Eppure il grande privilegio della Vergine Maria non è un fatto isolato. In una certa misura vi partecipiamo noi tutti. Ogni buona opera è infatti contemporaneamente opera comune della grazia di Dio e dell'uomo. Per mezzo delle buone opere, Dio entra nel mondo e l'uomo che compie il bene partecipa alla funzione della Deipara. In lui si rivela quindi la nobile grandezza umana.
    Oggi si parla spesso dei diritti umani e si sentono tante lamentele perché non sono osservati. Questo non deve sorprenderci. Là dove si perde il senso per la dignità di Dio, non si conosce neanche la dignità umana. Il Natale cristiano è la festa nella quale entrambe queste realtà si devono commemorare e vivere.

    I domenica dopo Natale: la Sacra Famiglia – Lc 2,41-52

    La mistica del matrimonio

    Uno studente di teologia stava raccogliendo testi dei Padri della Chiesa sulla castità, sul celibato, sul matrimonio. Ne raccolse tanti. Ma quando cercò di ordinarli, si meravigliò che i Padri avessero scritto tanto sulla castità perfetta, sul celibato, e cosi poco sui doveri matrimoniali, nonostante la maggior parte dei cristiani vivano da sposati.
    Come spieghiamo questa parziale prospettiva? È data dalla circostanza che gli autori che scrivevano di cose spirituali provenivano prevalentemente dall'ambiente monastico. Parlavano quindi meno del matrimonio. Inoltre, capivano che non è facile dire quali siano gli obblighi degli sposati se non ci rendiamo prima conto qual è il vero scopo, il fine del matrimonio. Come in tutti gli altri casi, bisogna avvicinarsi alla questione spiritualmente e misticamente.
    Per un uomo religioso, tutte le cose visibili e carnali devono essere il simbolo di qualche realtà superiore. Perciò anche l'unione dell'uomo e della donna è immagine di una realtà più profonda. Anche al di fuori del cristianesimo troviamo dei testi che parlano del cosiddetto matrimonio spirituale. Un filosofo ebreo del tempo di Cristo, Filone di Alessandria, sviluppa largamente l'idea che l'unione dell'anima con Dio assomigli ad un matrimonio. In tale matrimonio spirituale l'anima diventa feconda e partorisce le buone opere. Il pensatore ebreo fa una sintesi fra il Simposio di Platone e il pensiero della Bibbia, dove l'amore di Dio per il popolo d'Israele assomiglia all'amore di un uomo per la sua sposa.
    Il pensiero prosegue nella tradizione cristiana in varie applicazioni. La prima la conosciamo già da san Paolo, che ammonisce i mariti cristiani ad amare le loro mogli come Cristo ama la Chiesa (cf Ef 5,25). Ad ogni paragone si può accedere da due parti: che cosa si compara con che cosa? Si paragona la relazione di Cristo con la Chiesa al matrimonio, o piuttosto, all'inverso, il matrimonio deve essere riflesso dell'amore di Cristo per la Chiesa? Possiamo considerare queste due relazioni sia dal basso all'alto che dall'alto al basso. I Padri della Chiesa preferivano guardarle dall'alto.
    Vedevano la carità di Cristo che scende verso gli uomini per salvarli. È il mistero rivelato dalla Scrittura attraverso i libri sacri. Ma, dall'inizio, Dio rivela le sue proprietà nei simboli della natura. L'unione del marito e della moglie è un simbolo misterioso privilegiato dell'amore di Dio, un simbolo che ci fu spiegato da Cristo.
    Ciò che si riferisce alla Chiesa intera vale per ogni cristiano. San Gregorio di Nissa apre la fila della letteratura mistica che spiega in senso spirituale il libro del Cantico dei Cantici. Lui vede la sposa come simbolo dell'anima umana e come Sposo Cristo, così che la loro unione è inseparabile, come è inseparabile la sorte del marito e della moglie nel matrimonio. Abbandonare Dio è paragonato quindi all'adulterio.
    Questo matrimonio spirituale comincia nel battesimo. San Giovanni Crisostomo pronunciò otto omelie battesimali. La prima è interamente dedicata a questo tema. Come durante le nozze la sposa si trasferisce nella casa dello sposo, riceve il suo nome, diviene madre dei suoi figli, il patrimonio del marito diviene il suo, così anche il cristiano viene unito con Cristo. Meno frequente è l'applicazione all'eucarestia. La sviluppa Teodoreto di Ciro. Il pranzo matrimoniale è il primo pasto comune con il quale comincia la vita in comune e la comune sorte. Misticamente la comunione con Cristo si realizza nella cena eucaristica.
    Tertulliano chiama le vergini "spose di Cristo" perché non conoscono altro marito e aspettano la venuta del loro unico Sposo con le lampade accese. Questo tema si svilupperà in seguito nei discorsi in occasione dei voti religiosi.
    Forse ci sorprende che si paragoni al matrimonio anche ciò che temiamo: la morte e la fine del mondo. Ma, proprio per convincere i cristiani che non hanno occasione di temere neanche questi momenti, si paragonano alla venuta dello Sposo aspettato. La metafora si trova già nell'Apocalisse di san
    Giovanni: "Lo Spirito e la sposa dicono: 'Vieni!'" (Ap 22,17). Ma non è forse pericoloso che con tutte queste belle metafore spirituali si dimentichi la realtà prima e concreta, che il simbolo assorba così tanto ciò che significa da consumarlo? Si tratta della vita quotidiana del marito e della moglie, nelle gioie e nei dolori. Non è una vita facile. Ma proprio per questo dobbiamo darle un senso più profondo.
    Il matrimonio cristiano è un sacramento. Secondo il catechismo, il sacramento è definito un segno visibile della grazia invisibile. È facile imparare a memoria questo insegnamento catechetico. Ma comprenderne il suo significato? Il segno visibile è ciò che osserviamo con gli occhi, ma al di là c'è una realtà misteriosa piú profonda. Durante il battesimo, il bambino è portato in chiesa e il sacerdote gli lava la testa con l'acqua. È un atto simbolico di ciò che visibilmente succede nell'anima, lavata dalle macchie del peccato. E alla messa non accediamo all'altare per mangiare un pezzettino di pane, perché questo tipo di pane lo abbiamo già a casa. In chiesa, sotto il simbolo del pane, l'anima si sazia con il cibo celeste, con la grazia di Dio.
    Quando due giovani si sposano, può accadere che non comprendano facilmente il senso sacramentale del matrimonio. Si sposano per vivere insieme, ciò che è al di là non è a loro troppo chiaro. Talvolta considerano pure l'unione dei corpi come il fine ultimo della convivenza. Quando uno è fissato su questa attitudine, è difficile parlargli del carattere sacramentale del matrimonio. È come spiegare il battesimo a chi non crede, o insegnare ad un bambino che cos'è la prima comunione solo spiegandogli come prendere l'eucarestia in bocca. Potrebbe risponderci che un pezzettino di pane non può sfamarlo.
    Ma anche il matrimonio non può saziare quelli che lo considerano solo in modo carnale. La catechesi matrimoniale deve mirare a far comprendere che, al di là dell'amore carnale, al di là delle gioie e delle difficoltà della vita comune, è Dio che dà agli sposi la sua grazia e la forza di eseguire fedelmente il loro proposito di essere in questo mondo riflesso e immagine dell'amore e della fecondità divina, che per mezzo della loro vita familiare, scende sulla terra. Allora ogni famiglia è sacra, come la Sacra Famiglia di Nazaret.

    1 gennaio: Solennità di Maria Santissima, Madre di Dio e inizio dell'anno nuovo

    L'anno nuovo

    "È cominciato l'anno nuovo, ma se non hai cominciato una nuova vita, rimani nell'anno vecchio". Sono parole del mistico Angelo Silesio. A prima vista, sembra una battuta spiritosa che si ascolta volentieri e si dimentica presto. In realtà, pone un serio problema: siamo noi a dipendere dal tempo, o il tempo dipende da noi? Per rispondere, dobbiamo prima renderci conto che cosa è il tempo e come lo consideriamo. Si possono distinguere diverse concezioni. Parliamo di un tempo reale, di un tempo psicologico, morale e infine ci possiamo chiedere che cosa dice del tempo la teologia. Proviamo quindi ad analizzare questi diversi "tempi".
    Il tempo reale sarebbe quello che misuriamo con l'orologio e con il calendario. Aristotele, e dopo di lui gli scolastici, lo definivano come la numerazione del movimento. La terra gira intorno al suo asse in un giorno che abbiamo diviso in 24 ore. Questo tempo sembra assolutamente valido, ma non lo è. Se il movimento della terra e di tutto l'universo rallentasse, noi probabilmente non ce ne accorgeremmo.
    Il tempo corre secondo il proprio ritmo, e a noi non rimane altro che approfittarne per la nostra utilità. "Non perdiamo tempo! ", ammoniscono tutti, sia quelli che lavorano che quelli che si divertono. Già gli antichi dicevano: "Coroniamoci di rose finché fioriscono. Il tempo corre senza pietà!". Chi non ha utilizzato bene il suo tempo, ha perduto la vita, è piú disgraziato di tutti. Il suo orologio è stato caricato invano.
    Ma da ciò segue un'altra conclusione. A chi utilizza con diligenza il suo tempo, il tempo stesso sembra correre piú velocemente. In questo senso parliamo di "tempo psicologico". Lo conosciamo dall'esperienza. Se una occupazione ci piace, il tempo sembra breve. La gente sospira: "Dio mio, come vola il tempo! Quanti anni sono già passati! Sembrano ieri! ". Il contrario succede quando soffriamo. I malati si lamentano: "Com'è lunga la notte!". E i sani che si annoiano sanno anche loro che il tempo è lungo. Lo osserviamo ad esempio durante una conferenza, dove coloro che non sono interessati guardano continuamente l'orologio e sospirano. Come è felice quindi la vita di colui che dice: "È passato così veloce, non me ne sono neanche accorto!".
    Allora, se vogliamo davvero passare il nostro tempo felicemente, dobbiamo concentrarci su qualche cosa che attira il nostro pieno interesse. Ma che cosa sarà? Il lavoro, il divertimento, la preghiera? In questo contesto, parliamo di "tempo morale", cioè di quello che è riempito da qualche cosa buona. Per questo motivo stimiamo gli uomini non secondo la lunghezza della loro vita, ma secondo il bene che hanno fatto. La Chiesa venera come santi anche parecchi giovani e nella liturgia si dice di loro, come ad esempio di san Stanislao, che "in breve ha riempito molti anni".
    Va da sé che gli autori spirituali danno molta importanza a questo aspetto morale del tempo e giudicano il valore della vita non secondo la sua lunghezza, ma secondo le opere di cui è stata riempita. Ma, d'altra parte, anche l'opera subisce la determinazione del tempo. Il padre che ha costruito una casa per i suoi figli ha fatto un'opera meritevole. Per quanto tempo? Probabilmente per una sola generazione. Un libro scritto da un poeta o da un filosofo è più duraturo. Platone ha vissuto molti secoli fa, ma i suoi scritti sono ancora oggi stampati e letti; sono piú duraturi delle piramidi dei faraoni. Ma Platone è uno dei pochi privilegiati. La maggior parte dei libri scritti cade nella dimenticanza.
    Questo ci porta all'ultima considerazione sul senso teologico del tempo, cioè sulla relazione del tempo con l'eternità. Guardiamo, sotto questo aspetto, la vita di Gesú. Si è svolta nel tempo. È nato sotto il regno di Augusto, la sua morte è datata all'epoca del procuratore Pilato. Ma siccome la sua vita umana è contemporaneamente vita divina, è misurata dal tempo e insieme è vita eterna. E il suo valore? È assoluto, indistruttibile: la salvezza del mondo.
    Al seguito di Cristo, anche la vita di noi cristiani è misurata con il tempo, ma si apre alla prospettiva eterna. Le opere con le quali riempiamo i nostri giorni e i nostri anni in unione con Gesù diventano eterne e acquistano un valore indelebile. Ciò vale, in primo luogo, per la preghiera. Recitando i testi delle preghiere, uniamo i nostri pensieri e desideri alla preghiera eterna che il Figlio di Dio, nella vita trinitaria, rivolge al Padre. Anche se le nostre preghiere sono pronunciate durante un tempo brevissimo, sono inserite nel valore eterno della volontà di Dio, che è assoluta. Lo stesso vale per le nostre opere, se sono veramente buone. Sono opere nostre, eseguite oggi, domani o in qualsiasi altra data, ma unite con la volontà di Dio sono eterne; costituiscono ciò che in linguaggio popolare chiamiamo "il nostro tesoro nei cieli". Sono anche il tesoro comune di tutta la Chiesa e si commemorano per sempre nella liturgia celeste. Accade così che nella nostra vita incontriamo un miracolo. Il tempo ci ha partorito, il tempo ci inghiottisce. Ma noi, insieme con Cristo, vinciamo la tirannia del tempo e la morte che il tempo porta con sé e la trasformiamo in risurrezione per la vita eterna.

    II domenica dopo Natale – Gv 1,1-18

    Il sasso e il dolore

    Con il titolo Il sasso e il dolore un autore ceco, Schulz, scrisse un bel romanzo su Michelangelo. C'è una scena graziosa. Il giovane Michelangelo guadagnò i suoi primi soldi con i quali comprò un grande sasso di marmo. Il padre si arrabbiò. Che belle cose si potevano comprare con questi soldi per la casa, e lui, imprudente, aveva comprato un sasso! Ma Michelangelo non ascoltò i rimproveri e il brontolio dei familiari. Camminava intorno al suo sasso, lo toccava in diversi punti, lo carezzava. La gente pensava che avesse perduto la testa. Come si può carezzare un brutto pezzo di sasso! Ma l'artista carezzava un'altra cosa: non la superficie del marmo, ma le belle forme che lui stesso ne avrebbe fatto uscire fuori con un grande desiderio e un grande dolore.
    È interessante riscontrare che troviamo un simile pensiero anche presso uno degli antichi monaci. Qui non si parla di un sasso, ma di un tronco d'albero caduto per terra. La gente gli salta sopra brontolando, ma un intagliatore cerca di rialzarlo, se lo porta a casa e nella sua testa si moltiplicano idee e immagini di ciò che sarà capace di fare con quel pezzo di legno. Il vecchio monaco non usa quell'esempio per spiegare l'origine di un'opera d'arte umana, ma per illustrare l'azione creativa di Dio continuamente attiva nel mondo per mezzo della sua provvidenza.
    La provvidenza è la proprietà del Dio della Bibbia. I filosofi antichi, come Platone e Aristotele, la negavano. Secondo loro, Dio non può interessarsi del mondo e degli uomini, perché perderebbe la sua assoluta felicità e contentezza, e con ciò la sua perfezione. Dio è come il sole. Gli uomini amano il sole, ma il sole non ama gli uomini. È contento del suo splendore.
    Per questo motivo il Dio dei filosofi non è artista, non fa niente al di fuori di sé. Al contrario, il Dio della Bibbia è creatore del cielo e della terra, del mondo visibile e delle anime degli uomini.
    Sarebbe però un errore credere che Dio abbia prodotto la sua opera d'arte soltanto all'inizio e poi si sia ritirato nella solitudine celeste. Egli, al contrario interviene continuamente nel mondo con la sua provvidenza. Possiamo in un certo senso paragonarlo al giovane Michelangelo che carezza il sasso e all'intagliatore che porta sulle sue spalle a casa il tronco d'albero pensando che cosa può diventare questa materia grezza. E, quando si tratta degli uomini, la sua idea è chiara: vuole imprimere in loro la sua immagine e somiglianza.
    Ogni artista, lavorando, incontra la resistenza della materia, deve dolorosamente lottare con essa. Ma non cede finché non supera la durezza del sasso o del legno. La materia del cuore umano nel quale la Provvidenza divina lavora con il suo scalpello è talvolta più dura del marmo o più fragile della sabbia o del legno putrido. Ma il grande Artista non perde la pazienza. Lavora lentamente, progressivamente, durante tutta la storia dell'umanità per scegliere la materia più adatta e obbediente alla sua azione.
    Vi fu, durante la storia, un momento del tutto felice, privilegiato. Fu "dal tempo che Dio ha creato il cielo e la terra nell'anno 5199, dal diluvio nell'anno 2015, dal tempo di Mosè e dall'uscita del popolo d'Israele dall'Egitto nell'anno 1057, dall'unzione di Davide a re nell'arma 1032, nella settimana 65 secondo la profezia di Daniele, nell'olimpiade 94, dalla fondazione di Roma nell'anno 753, nell'anno 42 del governo dell'imperatore Augusto, quando tutto il mondo stava nella pace, nel sesto periodo del mondo" (Martirologio Romano, 25 dicembre). In quella data, l'Artista divino trovò un cuore umano malleabile come cera, docile al contatto della sua mano, capace della risposta: Fiat, sia fatto secondo la tua volontà!
    In quel momento non ci fu nessun ostacolo all'idea dell'Artista, che perciò poté realizzare la sua opera in piena gloria. Il pensiero del Padre, Parola interiore di Dio, s'incarnò nella materia umana: "il Verbo si fece carne... e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità" (Gv 1,14). La grazia, in greco charis, significa originariamente bellezza. Vi sono, quindi, in questo atto divino-umano le due fondamentali proprietà di ogni opera d'arte: la bellezza e la veridicità. I teorici dell'arte aggiungono che c'è anche il dolore. Esso appare nel momento in cui l'idea dell'artista urta con la durezza del sasso che gli resiste, quando l'entusiasmo iniziale del Creatore diviene impotente a causa della resistenza della materia. L'onnipotente Dio dipinse la sua perfettissima immagine nella persona di Gesù Cristo. Lo sottolinea san Giovanni Damasceno contro gli iconoclasti. È l'immagine piú pura, bella e vera. Fu però destinata a divenire esempio (in greco prototypós) di tutti gli uomini che devono, secondo questo esempio, essere rinnovati, restaurati, ritornare alla bellezza della prima creazione. La massa umana però è un duro sasso, un marmo che resiste all'idea dell'Artista. Allora qui comincia il dolore, un dolore immenso, acerbo, inesprimibile, il dolore del Figlio dell'uomo. Come ogni dolore creativo, è però una forza redentiva. Fin dall'inizio c'è la ferma speranza che la durezza sarà vinta, che il marmo cederà, che l'ideale del Creatore risplenderà nella bianchezza accecante. "L'inesprimibile Parola del Padre si è espressa in te, Madre di Dio, durante l'incarnazione. Con ciò fu rinnovata secondo la sua prima similitudine l'immagine macchiata, cosí che essa risplende nella bellezza divina" (testo dalla liturgia bizantina).

    6 gennaio: Epifania del Signore – Mt 2,1-12

    Il senso delle rivelazioni

    Epifania significa rivelazione. Quante e quali sono? Spesso sentiamo che la gente semplice dice: "Là si è rivelata la Madonna, quella persona ha avuto una visione...". Che cosa ne dicono a Roma? La risposta è semplice: "Niente". L'atteggiamento della Chiesa ufficiale verso le cosiddette rivelazioni private è molto riservato. È vero che anche ai nostri giorni Dio vuol dire qualcosa agli uomini. Lo fa per mezzo della Chiesa ufficiale, ma anche per mezzo delle persone che sceglie lui stesso, dando loro speciali ispirazioni o anche visioni. Va da sé che dobbiamo convincerci sulla credibilità del loro messaggio. Ma anche se non ci sono dubbi, se sono scartati i casi di illusioni o di inganno, la Chiesa non attribuisce a queste rivelazioni private mai tanto peso come a quella contenuta nella Sacra Scrittura e nella tradizione custodita dal magistero ecclesiale.
    Ma dove sono i limiti fra la rivelazione privata e quella ufficiale, pubblica? Anche le rivelazioni di cui parla la Scrittura erano all'inizio private. Così leggiamo ad esempio negli Atti degli Apostoli che a san Pietro fu insegnato da Dio in sogno di ricevere nella comunità dei credenti il centurione pagano Cornelio (cf At 10,1-8). A san Paolo Gesù appare privatamente sulla via di Damasco (cf At 9,1-9) e più spesso in seguito. Ma questi avvenimenti furono ripresi nella Scrittura, sono testimonianze dei primi apostoli. Accanto agli apostoli, nella prima Chiesa c'erano parecchi che avevano il dono della profezia. San Paolo li apprezza (cf 1Cor 14,1-5). Ma, proprio come nell'Antico Testamento, anche nel Nuovo bisognava distinguere fra i veri e i falsi profeti. Circa nell'anno 172 divenne famoso un certo Montano, fondatore della "nuova profezia", di un movimento che praticava preghiere esaltate e attribuiva alle ispirazioni dei suoi adepti piú peso che all'autorità dei vescovi. Perciò la Chiesa si distanziò da loro. Sant'Agostino ed altri Padri ammoniscono i fedeli di non cercare questi profeti e visionari.
    Ammonimenti del genere li sentiamo anche durante il medioevo, quando Gioacchino da Fiore cominciò a propagare il suo "eterno vangelo dello Spirito Santo". Ma accanto a questo è vero che le anime devote leggevano volentieri le rivelazioni scritte da santa Ildegarda, da santa Brigida e da altre anime mistiche. Gli autori di questi scritti erano persone degne di fiducia, e tuttavia san Giovanni della Croce, lui stesso un grande mistico, è assai severo nel giudicare tali fenomeni straordinari. Martin Lutero li rigetta del tutto e consiglia di accontentarsi di ciò che è contenuto nella Sacra Scrittura.
    In tempi più recenti si moltiplicano le notizie sulle rivelazioni della Vergine Maria, e alcune di queste sono diventate famosissime come quelle di Lourdes e di Fatima. La Chiesa non obbliga i fedeli a credervi, lascia il giudizio sulla credibilità alla prudenza degli uomini saggi.
    Ma, dato che essi in certi casi concordano nel loro giudizio positivo e che questi luoghi diventano centri di pellegrinaggi, la Chiesa si vede costretta ad assumere qualche atteggiamento ufficiale. Si chiede in primo luogo se non vi si propaghi qualcosa di contrario alla fede comune. Lo Spirito Santo non può contraddirsi. In secondo luogo, le autorità ecclesiali riflettono su quale utilità ne derivi per la vera devozione e per la vita religiosa. Se le risposte sono positive, si può ottenere ciò che si chiama approvazione ecclesiale. Che valore possiede?
    Il papa Benedetto XIV, nell'opera classica Sulla beatificazione dei servi di Dio e sulla canonizzazione dei beati (1734 -1738) scrive che l'approvazione ecclesiale data a qualche rivelazione privata non dice altro che si permette ai fedeli, dopo un prudente esame, di farsi una conoscenza di questa rivelazione, perché serva al bene. Ma anche dopo una tale approvazione non si può esigere che il fatto della rivelazione sia articolo di fede divina. La Chiesa vi acconsente per ragioni di prudenza e per la credibilità dei testimoni. Se poi qualche fedele non vuole credere e accettare questa rivelazione privata, esprima il suo giudizio con la dovuta modestia e non con il disprezzo degli altri fedeli.
    Se dobbiamo con prudenza credere ad un testimone, va da sé che ci chiediamo chi è questa persona che rende testimonianza. Si devono scartare gli inganni e le illusioni. Questo, in genere, non è difficile. Chi mente, prima o poi viene scoperto.
    Spesso succede però che le persone privilegiate che ebbero la rivelazione non erano in grado di capire pienamente loro stesse la serietà del messaggio che era loro confidato. Santa Bernadette a Lourdes non capiva la parola "immacolata concezione". Non poteva quindi inventarla da sola. Allo stesso modo i bambini a La Salette annunciavano un messaggio che loro stessi non potevano comporre e neanche ripetere senza sbagli, tanto si trattava di un testo difficile.
    Ma, come abbiamo detto, per l'atteggiamento della Chiesa è decisiva l'utilità comune che proviene dalla diffusione di una certa rivelazione per la devozione del popolo. Un bell'esempio lo vediamo nella visione di santa Margherita Maria Alacoque a Paray-le-Monial. La devozione al Sacro Cuore che ne risultò ebbe un grande influsso sulla vita devota ecclesiale. In questo modo le rivelazioni private ebbero una importanza pubblica.
    D'altra parte, dobbiamo essere sempre attenti a non cedere al sensazionalismo che nasce quando si diffondono le notizie sulle visioni. Anche i buoni cristiani, in tali casi, si chiedono come comportarsi. Una penitente tutta affannata corse una volta da un confessore anziano ed esperto: "Reverendo, è vero che la Madonna è apparsa in quel luogo?". La risposta: "Lo sento per la prima volta da lei! ""Ma dovrebbe essere un messaggio importante!-"Benissimo. E cosa ha detto la Madonna? "-"Che si deve fare penitenza"-"Sono d'accordo, la faccia! "-"Ma la Madonna è apparsa davvero?"-"A che cosa serve saperlo, se sa già che cosa deve fare?".
    Il colloquio può sembrare dispregiativo, ma corrisponde allo spirito della Bibbia. Dio non si rivela per una sensazione, ma per comunicare agli uomini una cosa importante per la vita. Chi non desidera correggersi e fare del progresso spirituale, non sarà aiutato da nessuna rivelazione, proprio come la Sacra Scrittura non serve a chi la apre solo per curiosità. Dio è vita eterna, e solo attraverso la vita e il desiderio del bene si possono comprendere i suoi messaggi, il loro significato e collocarlo sul cammino del progresso spirituale vero, nella crescita della carità di Dio e del prossimo.

    Domenica dopo l'Epifania: Battesimo del Signore – Lc 3,15-16.21-22

    Il battesimo

    Un buon cristiano di Roma prese male l'atteggiamento del suo parroco in occasione della nascita di suo figlio. Voleva farlo battezzare da un sacerdote straniero in una cappella privata. Il parroco resisteva, dicendo che non poteva permetterlo, che che ci sarebbe stato bisogno di un permesso del vicariato e avere qualche ragione speciale, ma che lui non raccomanderà il caso. Il battesimo non è una cosa privata, è accettazione nella Chiesa, nella comunione dei santi. Inoltre, il parroco spiegava al suo fedele la pratica già introdotta da parecchi anni, quella cioè del battesimo solenne durante il quale vengono battezzati più bambini insieme. Si tratta solo del rinnovamento di un'antica usanza. Dal tempo dei Padri si conservano molte solenni prediche che furono pronunciate durante il battesimo.
    Qualsiasi modo si sceglie nei casi concreti, rimane certo che il battesimo non è una piccola devozione privata. È il primo e fondamentale sacramento. Gli altri sacramenti si possono dare solo a chi è già battezzato. Ma che cosa è esattamente un sacramento? Nel catechismo leggiamo che è un segno visibile della grazia invisibile. Si tratta quindi di un rito ecclesiale che possiamo osservare con gli occhi. Durante il battesimo si versa l'acqua sulla testa del bambino, viene simbolicamente lavato nel suo corpo. Ma crediamo che nello stesso tempo accada qualcosa che non vediamo: la grazia divina lava l'anima del battezzato dal peccato. Nell'eucarestia vediamo il pane e il vino, cibo per nutrire il corpo, e contemporaneamente si nutre l'anima per crescere nella vita spirituale. Durante l'unzione degli infermi usiamo l'olio, che è medicamento per le ferite del corpo, per guarire le ferite dell'anima.
    I sacramenti sono quindi segni visibili sotto i quali si nasconde una realtà più profonda. Conosciamo l'uso dei segni dalla vita ordinaria, ma non attribuiamo loro troppo peso. Vediamo su un crocevia una freccia che indica che bisogna andare a destra. La freccia è come una parola abbreviata visibile detta all'autista. Ma questa freccia non muove la macchina. Deve capirla l'autista e fare lui ciò che essa gli ha indicato. I segni sono parole visibili, ma le parole da sole non sono operanti, sono voci vane. Questo però non si può dire delle parole divine. All'inizio Dio Creatore pronunciò la sua parola e nacque l'universo con tutta la sua bellezza. Anche Gesú, Uomo-Dio, con la sola parola guariva i malati e risuscitava i morti. Le sue parole continuano a parlarci nel vangelo. Perciò, nota Origene, la lettura della Scrittura non è uguale a quella degli altri libri, ad esempio di Omero. Ciò che ha scritto il poeta pagano sono parole con le quali egli ci parla, ma non fa niente. Tutt'altra è la lettura dei salmi. Essi parlano alla nostra mente, ma di Dio, e quindi sono parole efficaci.
    I sacramenti sono, come abbiamo detto, segni, parole visibili, ma sono parole di Dio e perciò hanno una forza infallibile: fanno ciò che significano. Questa forza soprannaturale dei sacramenti era oggetto di discussione al tempo della Riforma. La tendenza radicale nel protestantesimo la nega. La celebrazione della Cena del Signore è esternamente uguale al rito cattolico. Ma, per il protestantesimo radicale, si tratta di un puro segno che da solo non ci santifica. Semmai, come ogni parola buona, ha il vantaggio di rafforzare la nostra fede, e la fede ci santifica. Per questo motivo i riformatori erano contro la liturgia in lingua latina. Non si capisce, quindi non è efficace. Certi puritani ironizzavano sulla messa latina come se fosse il gioco di un prestigiatore. Si copre il calice con il velo, si dice una parola magica, si toglie il velo e il pane e il vino dovrebbero essere trasformati.
    Ora, è chiaro che questa ironia era blasfema, e si può spiegare anche con le radicalizzazioni portate dalle dispute. I segni sacramentali, con le parole, trasformano davvero la realtà. Da dove prendono la forza? Devono essere parole di Cristo stesso, riti che traggono origine da lui. Fu Cristo stesso ad ordinare di celebrare l'eucarestia. Quanto al battesimo, la fede della Chiesa è simbolicamente espressa sulle icone del battesimo di Gesù nel Giordano. L'acqua, che con la sua forza naturale trascina tutti giù, nell'abisso, ha sull'icona la forma di una tomba. Ma, per mezzo del contatto con il sacro corpo di Gesù, le sue onde sembrano fluire verso l'alto. L'acqua battesimale è quindi destinata a riportarci dall'abisso verso il cielo nella comunità dei figli di Dio. Nei sacramenti vediamo quindi preannunciato il mondo futuro, così come sarà durante la seconda venuta di Cristo, quando Dio sarà presente in tutto. È anche il ritorno al Paradiso. L'universo è stato creato per sollevarci verso Dio. Con il peccato, il mondo è stato desacralizzato, ci attira in giù. Con la redenzione deve ritornare alla perfezione originale.
    Quanti sono i sacramenti? La tradizione ne enumera sette. Ma non li separiamo dagli altri riti e preghiere. Tutta la Chiesa è come una specie di sacramento. Infatti il Concilio Vaticano II la definisce proprio così: "mistero e sacramento". Ci sono nella Chiesa molte cose esterne, ma il loro scopo è simile a quello dei sacramenti: condurre gli uomini alla santificazione interiore.
    Oggi esistono alcuni-come d'altronde sono sempre esistiti-che criticano le cose esterne e le accusano di essere una sorta di pratiche magiche: con un gesto misterioso e con una parola magica dovrebbe capitare qualche cosa. Dicono che le preghiere si sono sviluppate nelle religioni a partire da queste antiche formule magiche. La risposta a tale obiezione è facile. La preghiera è proprio il contrario della magia. La magia suppone che le parole stesse, i gesti in sé abbiano una forza speciale. Si pronunciano, e abbiamo già il risultato. Nella preghiera, al contrario, le parole sono il mezzo per un dialogo. Non diciamo parole invano, nell'aria, ma con esse parliamo a Dio che ci ascolta perché ci rivolgiamo a lui per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo. Ogni dialogo è da due parti: da una parte si pronuncia la parola, dall'altra c'è la risposta. Un dialogo è necessario anche nei sacramenti. Nel segno sacramentale, Dio ci parla ed aspetta la nostra risposta nella forma di una libera e consapevole accoglienza, nell'interna disposizione necessaria affinché il sacramento sia valido.
    Come si manifesta questo dialogo nel battesimo? Per mezzo del simbolo dell'acqua, Dio ci rinnova, è come se ci creasse di nuovo, ci accetta come suoi figli, come ha espressamente annunciato nel battesimo di Gesú nel Giordano. La nostra risposta si esprime nella recita del Padre Nostro. È ugualmente un ingresso nella Chiesa, Corpo mistico di Cristo. E la risposta è la nostra professione della fraternità universale con tutti gli uomini, perché tutti sono chiamati ad essere figli dell'unico Padre. Il simbolo dell'abluzione è la purificazione dal peccato. La nostra risposta deve essere la decisione di conservare la purezza dell'anima e del corpo. Alcuni sacramenti si ripetono: la confessione, l'eucarestia.
    battesimo si conferisce una sola volta. È il sacramento della nascita per la vita in Dio. Quindi non si ripete, ma esiste nella Chiesa il rinnovo delle promesse battesimali, con le quali vogliamo rafforzare la vita eterna che nel battesimo ci è stata data e pregare con piú fede il Padre Nostro ringraziandolo di averci adottati come figli.


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