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    Vivere di fede nella vita quotidiana /5

    Le opere della fede

    Riccardo Tonelli


    N
    on basta « dire» bene la fede.

    Il cristiano è chiamato a « fare» la sua fede: a porre, cioè, nel ritmo della vita quotidiana, le opere della fede.
    Come abbiamo fatto per gli altri temi, anche per scoprire in quale direzione siamo impegnati a « fare» la fede « teniamo lo sguardo fisso in Gesù: è lui che ha aperto la strada della fede» (Eb 12,2).
    Gesù pone con forza davanti alla nostra fede la causa che ha appassionato la sua vita: l'impegno di far nascere vita dove c'è morte, nel nome e per la gloria di Dio.
    Su questo tema, tanto importante, vogliamo riflettere un poco, per lasciarci provocare da esigenze che inquietano una gestione tranquilla della vita cristiana e spalancano sulla nostra esistenza gli abissi imprevedibili della croce di Gesù.

    1. LA CAUSA DI GESÙ

    I vangeli ci presentano un ritratto speciale di Gesù. Ci tengono nascosti tanti particolari della sua persona che un pizzico di curiosità vorrebbe farci conoscere. Non si preoccupano mai di dirci cosa ha fatto, dove ha vissuto, come si è mosso, con la precisione che ci piace ritrovare nel ricordo degli amici.
    A differenza di tanti uomini grandi, che sono ricordati per le cose che hanno scritto o per i progetti culturali che hanno sognato, Gesù si presenta come un uomo appassionato per una causa. Ne ha parlato spesso, ma soprattutto ha dato tutta la sua vita per realizzarla. Un po' per volta, i suoi discepoli hanno incominciato a chiamare questa passione di Gesù con la formula « il regno di Dio».
    Gesù è l'uomo per il regno di Dio.
    Una pagina molto nota del Vangelo ci aiuta a comprendere il senso di questa esperienza.
    Quando i discepoli di Giovanni hanno chiesto a Gesù le sue credenziali, per rassicurare la fede del loro maestro, condannato a morte dalla tracotante malvagità di Erode, Gesù risponde senza mezzi termini: « Andate a raccontare quel che udite e vedete: i ciechi vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono risanati, i sordi odono, i morti risorgono e la salvezza viene annunciata ai poveri. Beato chi non perderà la fede in me» (Mt 11,2-6).
    Per parlare di sé, Gesù parla della sua causa e dei fatti che sta compiendo per realizzarla. Ed è un impegno tutto sbilanciato dalla parte della promozione della vita. Qui dentro nasce una autentica esperienza di fede: « Beato chi non perderà la fede in me», ricorda Gesù.
    In questo modo, Gesù ha rivelato chi è Dio e quale era la sua missione. Ha dato un contenuto preciso alla sua « causa»: riconoscere la sovranità di Dio su ogni uomo e su tutta la storia, fino a confessare che solo in Dio è possibile possedere vita e felicità. Questo Dio, però, di cui ha proclamato la signoria assoluta, non è il Dio dei morti, ma dei vivi. È il Signore della vita. Fa della vita e della felicità dell'uomo la sua « gloria».
    Gesù di Nazaret è la scommessa di Dio sulla vita, il segno sconvolgente della sua passione perché « tutti abbiano la vita e ne abbiano in abbondanza» (Gv 10,10; 11,25).

    2. LA FEDE È CONDIVIDERE CON I FATTI LA CAUSA DI GESÙ

    Sul Regno di Dio misuriamo la nostra fede e le esigenze che da essa investono la nostra esistenza.
    Di fronte alle cose meravigliose che Dio compie continuamente per noi e che la fede ci svela quando leggiamo la vita con il suo sguardo penetrante, ci chiediamo: quale risposta può esprimere, in modo corretto e impegnativo, la nostra decisione di accogliere il suo dono e il suo progetto sulla nostra esistenza?
    La nostra risposta è la condivisione appassionata della causa che ha travolto la vita di Gesù. In questo gesto che segna tutta l'esistenza, accogliamo, con i fatti, l'amore di Dio come fondamento della nostra vita e obbediamo, ancora con i fatti, alla qualità esigente di questo amore. Su questo impegno verifichiamo l'autenticità di quell'incontro con Gesù, diverso da tutti gli altri incontri, in cui cresciamo e maturiamo nella fede.

    2.1. La passione per la vita

    La fede si esprime, prima di tutto, in una passione sconfinata per la vita: perché tutti abbiano vita, soprattutto coloro a cui è stata più violentemente tolta; perché ne abbiano tanta, da spegnere ogni incertezza; perché la vita offerta a tutti sia quella vera e autentica che possiamo sperimentare solo sprofondati nel mistero di Dio.
    Questa passione riempie il cuore e la vita del credente.
    E lo pone di fronte alle esigenze della vita con lo stesso atteggiamento che i vangeli ci raccontano di Gesù.
    Gli dà un fiuto specialissimo verso la vita, fino a renderlo capace di individuare il grido della morte, anche quando sale tanto disturbato e soffocato che solo un udito finissimo può essere in grado di avvertirlo. Ha fatto così Gesù tante volte.
    Ha interrotto il suo pellegrinaggio per raggiungere quel paesino sperduto di Nain, solo perché non poteva sopportare il trionfo della morte sul figlio unico della donna vedova (Lc 7,11-17).
    Premuto dalla folla, schiacciato da tante mani che lo strattonavano da tutte le parti, si è accorto subito del tocco leggero della donna che sperava di essere guarita dal flusso noioso di sangue, passando magari inosservata (Mc 5,25-34).
    Nota subito la modestissima offerta di quella vecchietta che dava un pezzo della sua vita, piena di vergogna di fronte alle grosse somme gettate nel tesoro del tempio dai potenti di turno (Lc 21,1-4).
    La passione per la vita dà al credente la fantasia necessaria per inventare i gesti giusti, nel momento giusto, per promuovere la vita e contrastare coraggiosamente l'insorgere della morte. Di fantasia e di coraggio ce ne vuole tantissimo, soprattutto quando non sono affatto chiare le trame della morte o quando sembra che non ci si possa ormai fare più nulla, perché buon senso e rassegnazione hanno coperto tutto di una spessa coltre di indifferenza.
    Anche questo coraggio inventivo il credente lo scopre alla scuola di Gesù, lui che sconvolge le leggi più sacre, come erano quelle del sabato, dopo aver affermato la responsabilità di osservare le leggi fino ai particolari più insignificanti (Mt 12,1-8).
    La passione per la vita dà al credente la certezza, intessuta di speranza e di rischio calcolato, che può stare, con i fatti, con tutti coloro che amano la vita e la vogliono promuovere seriamente, anche se non riescono ancora a farlo nel nome di Gesù. Alla scuola della passione di Gesù per la vita, il credente sa che nel Regno di Dio il confine non passa tra chi riconosce Gesù e chi lo ignora; passa molto più nel profondo, tra chi vuole la vita e chi invece genera morte (Mc 9,38-40).
    Purtroppo, spesso le situazioni di morte restano, tragiche e assurde, nonostante l'impegno di tanta gente. Chi è appassionato per la vita nel nome di Gesù ne soffre e lotta con decisione.
    Pronuncia però parole buone, rispettose, accoglienti, aperte alla speranza, per non offendere la sofferenza dell'uomo.
    Afferma la libertà di credere alla vittoria della vita anche contro quelle situazioni di male e di morte che sono il limite invalicabile della nostra esistenza. Nella sua fede, ha il coraggio di lanciarsi verso il futuro di Dio, consapevole che possiamo possedere la vita solo se, come ha fatto Gesù, accettiamo di consegnarci al suo mistero.

    2.2. Comprendere cosa è vita e cosa è morte

    Lo so che anche vita è una espressione pregiudicata. Un uso frequente e spesso insensato la svuota ogni giorno di significato. Persino i mercanti di morte tentano di venderci i loro prodotti nel nome della vita.
    Va compresa, per essere detta e vissuta con cognizione di causa.
    Possiamo farlo, mettendoci ancora una volta alla scuola di Gesù. Non solo egli si pone dalla parte della vita nel nome di Dio. Nelle parole e nei gesti dice in termini concretissimi cosa è per lui vita e contro quale immagine di morte vuole lottare.
    Basta rileggere quell'episodio bellissimo, tutto carico di simboli, che Luca racconta: « Una volta Gesù stava insegnando in una sinagoga ed era di sabato. C'era anche una donna malata: da diciotto anni uno spirito maligno la teneva ricurva e non poteva in nessun modo stare diritta. Quando Gesù la vide, la chiamò e le disse: Donna, ormai sei guarita dalla tua malattia. Posò le sue mani su di lei ed essa si raddrizzò e si mise a lodare Dio». Di fronte alle proteste del capo della sinagoga «nel nome di Dio» (perché Gesù l'aveva guarita di sabato), Gesù risponde: « Satana la teneva legata da diciotto anni: non doveva dunque essere liberata dalla sua malattia, anche se oggi è sabato?» (Lc 13,10-17).
    Nel nome della vita, Gesù rimette « in piedi e a testa alta» tutti coloro che vivono piegati sotto il peso delle sopraffazioni. Restituisce dignità a chi ne era considerato privo. Ridà salute a chi è distrutto dalla malattia. Contrasta fortemente ogni esperienza religiosa in cui Dio viene utilizzato contro la vita e la felicità dell'uomo. Egli è davvero il segno di chi è il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe: «Io sono il Signore vostro Dio, che vi ho fatto uscire dall'Egitto, perché non siate più schiavi. Da quando ho spezzato il giogo del dominio egiziano che pesava su di voi, potete camminare a testa alta» (Lv 26,13).
    Per chi crede in Gesù di Nazaret, vita è dominio dell'uomo sulla realtà, creazione di strutture di vita per tutti, comunione filiale con Dio. Morte è il suo contrario.
    Il dominio dell'uomo sulla realtà implica la liberazione dell'uomo dal potere schiavizzante delle cose per impadronirsi di tutte le potenzialità insite in esse. Costruire vita significa perciò restituire ogni persona alla consapevolezza della propria dignità. Significa rimettere la soggettività personale al centro dell'esistenza, contro ogni forma di alienazione e spossessamento. Comporta di conseguenza un rapporto nuovo con se stesso e con la realtà, per fare di ogni uomo il signore della sua vita e delle cose che la riempiono e la circondano.
    Questo obiettivo richiede però un impegno fattivo, giocato in una speranza operosa, perché tutti siano restituiti alla piena soggettività. Lavorare per la vita significa di conseguenza lavorare perché veramente ogni uomo si riappropri di questa consapevolezza e perché il gioco dell'esistenza sia realizzato dentro strutture che consentano efficacemente a tutti di essere « signori».
    La creazione di strutture per la vita di tutti (e dei più poveri, soprattutto) esige che scompaiano dal mondo gli atteggiamenti, i rapporti e le strutture di divisione e di sopraffazione.
    Chi vive in Dio è nella vita; chi lo ignora, chi lo teme, chi lo pensa un tiranno bizzarro, è nella morte. Nel nome della verità dell'uomo che intende servire e ricostruire, il credente si impegna a restituire a ciascuno libertà e responsabilità in strutture più umane, proclamando a voce alta il Dio di Gesù e sollecitando esplicitamente a un incontro personale con lui. Nello stesso tempo e nello stesso gesto, ricostruisce nell'autenticità quel volto di Dio che spesso anche i cristiani hanno deturpato. Per questo si impegna a sradicare ogni forma di paura e di irresponsabilità nei suoi confronti e ogni tipo di idolatria: solo in questo spazio liberato è possibile poi far crescere adeguati rapporti affettivi e operativi.

    2.3. Nel nome di Gesù e nella sua logica

    Il credente non solo genera vita dove constata la presenza di morte. Non solo si ritaglia una sua comprensione di cosa sia vita e cosa sia morte alla scuola esigente di Gesù.
    La fede ci chiede di collocare il duro quotidiano duello tra vita e morte nell'evento del Crocifisso risorto. Per questo, il credente lotta per la vita e resiste alla morte nella logica con cui Gesù stesso ha vissuto l'esperienza di morte.
    Nella cultura che ogni giorno respiriamo, il possesso contempla la necessità di conquistare, di arraffare, di tenere ben strette le cose. In questa logica, possiede la vita chi se la tiene stretta, come un tesoro prezioso. Magari la nasconde sotto terra, per paura dei ladri, come ha fatto il servo sciocco della parabola dei talenti (Mt 25,14-28).
    Nel progetto di Gesù, possiede invece la vita chi la sa donare, chi la butta per amore: come il chicco di grano che diventa vivo solo quando muore (Gv 12,24; cf anche Mt 16,25).
    Perdere la vita così è amore alla vita. Non è rinunciare alla vita, disprezzarla, fuggire la mischia delle cose alla ricerca di uno spazio sicuro e protetto. L'esito è il possesso pieno e assoluto. Perdere diventa la condizione per assicurare più intensamente il possesso.
    Il credente offre il suo servizio alla vita perché si impegna a costruirla dove constata morte e perché si ostina a proporla nella logica, sconvolgente ed esaltante, di Gesù.

    2.4. Soltanto «servi»

    Le opere della fede sono la costruzione della vita e della speranza dove c'è morte e disperazione. Esse mostrano con i fatti che il Dio di Gesù è il Signore della vita: il credente, nel nome di Dio, libera e risana, rimettendo a testa alta chi procede distrutto sotto il peso degli avvenimenti, personali e collettivi; restituisce dignità a coloro a cui è stata sottratta; dà a tutti la libertà di guardare al futuro, in una speranza operosa, verso quei cieli nuovi e nuove terre dove finalmente ogni lacrima sarà asciugata (Ap 21).
    Questo è il Regno di Dio, la causa grande che ha appassionato la vita di Gesù.
    Tra passione per la vita e riconoscimento di Dio c'è un legame molto stretto. Romperlo o svuotarlo ci riporta nel regno triste della morte, dove dominano l'angoscia e la paura o dove l'impegno dell'uomo diventa arrogante e violento.
    Gesù descrive tutto questo, e lo stile di esistenza che ne consegue, con l'invito ad assumere l'atteggiamento del « servo»: « Quando avete fatto tutto quello che vi è stato comandato, dite: Siamo soltanto servitori. Abbiamo fatto quello che dovevamo fare» (Lc 17,10).
    Soprattutto nei testi evangelici, quando viene caratterizzato il rapporto tra Dio e l'uomo, si distingue chiaramente tra lo schiavo e il servo. L'esperienza della schiavitù è del mondo pagano: l'uomo in stato di schiavitù è collocato al livello degli animali e delle cose. Per il popolo ebraico invece il servo è un uomo, libero e responsabile, membro della famiglia, capace persino di risultare il confidente e l'erede del padrone (Gen 24,2; 15,3).
    Il servo tiene in ordine la casa, imbandisce la mensa, organizza le feste, assicura tutte le condizioni perché la vita e la gioia possano esplodere in pienezza. Certo, il servizio è duro e richiede fatica e disponibilità. Richiede capacità di decentrarsi sugli altri, facendosi attenti ai loro bisogni e alle loro richieste.
    Il primo grande servitore è Gesù di Nazaret. Nella fatica della croce ha imbandito la festa della vita, perché tutti - e soprattutto i più poveri - possano essere in festa. La sua esistenza è stata il servizio totale per la festa di tutti.
    Chi vuole la vita si pone come lui al servizio della vita, con la coscienza che la vita è il grande dono di Dio. Nella festa della vita tutti sono perciò «soltanto servi».
    Con Gesù condividiamo il servizio alla vita; per questo siamo «amici» suoi: amici di Gesù e servi della vita.


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