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    I segni del futuro dentro i segni della necessità (cap. 6 di: Una spiritualità per la vita quotidiana)



    6. I segni del futuro dentro i segni della necessità

    Meditando sull'evento dell'Incarnazione, abbiamo scoperto con gioia che la vita quotidiana è il sacramento fondamentale della nostra esistenza di credenti. Sotto il velo, povero e opaco, della nostra umanità, Dio si comunica a noi, come il padre buono e accogliente che ci chiama alla salvezza. Lì, ancora, - come vedremo meglio nel prossimo capitolo - accogliamo questo invito e gli diciamo il nostro impegno di vivere da figli suoi, o gli ributtiamo in faccia la sua offerta di amore liberante, con il gesto inconsulto di chi preferisce restare ad intristire nella propria presunzione.
    Una ricerca sulla spiritualità non può fermarsi però alla costatazione di una sacramentalità «diffusa» nella vita quotidiana.
    Nell'esistenza cristiana possediamo una serie di eventi che esprimono una sacramentalità tanto originale che nel linguaggio abituale si riserva spesso solo ad essi la qualifica di «sacramenti».
    Secondo la tradizione ecclesiale sono la Parola «scritta» di Dio, la Chiesa come luogo di una comunione oltre «la carne e il sangue» (come dice una bella pagina del Vangelo di Giovanni: Gv 1,13) e soprattutto i sette sacramenti.
    All'interno di una spiritualità della sacramentalità diffusa viene spontaneo interrogarsi sul loro significato.
    Su questo tema è stato scritto moltissimo: nelle pagine elaborate dei libri e nella sapienza vissuta dei cristiani.
    Molte indicazioni ci hanno aiutato a maturare la nostra risposta; altre, invece, ci sono sembrate troppo lontane dal modello teologico che l'Incarnazione ci ha suggerito.
    E così, operando tra rivisitazione e cernita, traccio una proposta. Ha l'unica pretesa di riaffermare e motivare l'importanza dei «sacramenti» (in senso stretto), anche nella logica di una spiritualità centrata sulla vita quotidiana.

    1. SACRAMENTI E SALVEZZA CRISTIANA

    Tentiamo di avvicinarci al mistero di Dio per decifrare i suoi progetti. L'impresa è certamente difficile e rischiosa. Non possiamo arrenderci, rifugiandoci in una professione di fede che rinuncia a capire, perché il nostro Dio vuole figli adulti. Neppure però possiamo lasciarci catturare dalla presunzione di chi vuol spiegare tutto e ha paura di saltare nell'abisso insondabile del mistero di Dio.
    Qualcosa di questo mistero lo conosciamo: Gesù ce lo ha rivelato, utilizzando le nostre povere parole quotidiane. Qualche altro frammento siamo capaci di ricostruirlo, giocando con la fede pensosa di credenti saggi.
    Consapevole di questo limite, invalicabile ed esaltante, tento l'avventura.
    Per rispettare meglio l'originalità della ricerca, preferisco utilizzare espressioni più evocative che denotative. Si dimostrano infatti con parole sapienti il teorema di Pitagora o la terza legge della termodinamica; al mistero di Dio possiamo solo avvicinarci con le parole dell'amore e della personale esperienza di autocoinvolgimento.

    1.1. Il senso della ricerca

    Tra vita quotidiana e sacramenti (in senso stretto) c'è qualcosa di profondamente comune. Tutti e due mettono la salvezza di Dio davanti alla libertà e responsabilità dell'uomo. E tutti e due lo fanno non direttamente e immediatamente, come quando un amico mi chiede in faccia se sono d'accordo con lui. Essi operano per la salvezza attraverso quel processo di visibile e mistero, di cui ho già parlato a lungo, che in gergo ecclesiale si chiama «sacramentale».
    Sacramento significa infatti «segno efficace» della salvezza: qualcosa che si vede e si può manipolare, che si porta dentro misteriosamente la salvezza di Dio come proposta alla decisione personale. Chi l'accoglie entra nella salvezza: non per la potenza della sua scelta, ma sulla forza del «dono» di Dio, che sostiene la decisione e trasforma in uomini nuovi.
    Ho detto cosa hanno in comune.
    Il problema non sta a questo livello. Sta invece sul fronte opposto. Cosa li distingue? Perché sono tanto differenti che non possono essere confusi? La distinzione è una cosa seria e pregiudiziale.
    Se infatti i sacramenti producessero la salvezza secondo lo stile con cui l'opera la vita quotidiana, sarebbero superflui. E inutile, infatti, fare cose un po' strane, quando il frutto è già tutto assicurato nel ritmo ordinario dell'esistenza.
    La conclusione sembra forzata. Ma purtroppo ogni tanto risuona nelle battute di qualche cristiano frettoloso. Non si può certo incolpare di questi modelli la spiritualità della sacramentalità diffusa... ma se c'è da mettere in crisi uno dei due interlocutori, questo è innegabilmente la sacramentalità della vita quotidiana. E il modello teologico più sbarazzino e meno elaborato, mentre l'irrinunciabile importanza dei sacramenti è sottolineata da moltissimi pronunciamenti ufficiali del magistero ecclesiale.
    Proprio per comprendere adeguatamente il significato della sacramentalità diffusa è perciò indispensabile ricomprendere quello dei «sacramenti».

    1.2. La salvezza cristiana

    Sacramentalità diffusa e sacramenti si qualificano e si specificano in ordine alla salvezza: sono, in modo diverso, segni della salvezza di Dio.
    La mia ricerca si concentra, di conseguenza, su questo problema fondamentale: come Dio opera per la salvezza dell'uomo?
    Il modello teologico tradizionale distingueva tra mondo sacro e mondo profano. Il mondo sacro è quello di Dio, tutto avvolto nella sua grazia di salvezza. Il mondo profano è il nostro mondo quotidiano, quello che in cui si svolge l'avventura della vita di tutti i giorni. Da questa visione nasce un modello di spiritualità: ne ho già parlato. Prima di tutto però sorge un modo di comprendere la funzione dei sacramenti in ordine alla salvezza.
    Essi sono infatti pensati come gli interventi diretti e quasi databili di Dio, mediante cui egli sottrae frammenti di profano e li colloca nel sacro. Si fa salvezza perché viene travalicato il confine, sotto la spinta potente del gesto divino. Il mondo, nel suo insieme, resta profano, immerso nel peccato e lontano da Dio. Segmenti di questo mondo sono trasformati radicalmente: diventano realtà nuove, ormai pienamente del mondo sacro, anche se per il momento ancora parcheggiate nel mondo profano.
    È tipico, a questo proposito, il modo in cui viene compreso il rapporto tra amore e matrimonio.
    Tutti riconoscono nell'amore che accende la vita di due persone la sostanza del sacramento del matrimonio.
    La teologia tradizionale e la spiritualità che ne scaturisce considera però questo amore in una visione piuttosto pessimistica. Lo circonda di preoccupazioni e di raccomandazioni che vanno molto oltre il doveroso riconoscimento della costitutiva ambiguità di ogni esperienza umana. Della sua funzione salvifica si parla molto raramente.
    Quando questo amore viene «santificato» nella celebrazione sacramentale, si scatena la litania degli elogi: sotratto dal mondo profano e trascinato in quello sacro, ha perso ogni ambiguità e viene riconosciuto capace di grandi novità.
    La trasformazione non è l'esito della decisione dei due innamorati, sostenuta dalla presenza di Dio che nel sacramento si è manifestata attraverso un'espressione specialissima e misteriosa. È invece il frutto originale e irrepetibile del sacramento, che ha reso «santo» quello che prima era solo «umano».
    La teologia dell'Incarnazione ci ha aiutato a vedere le cose in modo molto diverso.
    La distinzione tra mondo sacro e mondo profano è vera, ma ormai vecchia e definitivamente superata, almeno come dato di fatto in cui siamo costituiti oggettivamente e come possibilità aperta alla responsabilità personale. Il mondo profano è diventato, in qualche modo, la tenda in cui Dio ha preso dimora, per essere il Dio-con-noi, intimo ad ogni uomo più di se stesso. Con questo gesto, gratuito e imprevedibile, l'ha trasformato in mondo sacro, luogo della sua presenza ed evento della sua grazia che salva.
    Nella vita quotidiana Dio è presente come offerta imprevista, come amore silente. La presenza diffusa della grazia dell'autocomunicazione di Dio è una esperienza vissuta ma non detta, percepita ma non formalizzata. Questa sacramentalità diffusa ha bisogno di esprimersi, per consolidarsi e per inverarsi. Quando viene «celebrata», il cristiano ne resta più intensamente posseduto.
    Non possiamo dimenticare, infatti, un dato fondamentale per comprendere in modo cristiano l'azione salvifica di Dio. La salvezza non opera mai in modo magico e automatico, come se fosse sufficiente porre il gesto per ottenere il risultato. Dio la propone misteriosamente ma irrevocabilmente alla libertà e responsabilità personale. Si è nella salvezza solo quando pronunciamo la nostra decisione per il dono di Dio.
    Il processo ha due protagonisti: Dio e l'uomo. Si incontrano in una esplosione di libertà. Tutto il resto (Gesù stesso, la vita quotidiana, la Chiesa e i sacramenti) sono manifestazioni concrete e storiche in cui l'evento di salvezza si fa appello alla decisione personale, invitando ad accogliere il dono contenuto nella manifestazione stessa. Il segno sacramentale non ha una funzione estrinseca; esso «contiene» veramente l'evento di salvezza. Lo contiene e lo comunica però non in modo strumentale, ma come appello ad una decisione personale.
    Nella sacramentalità diffusa la comunicazione avviene in un clima di facile distrazione. Lo costatiamo tutti i giorni, presi dalle nostre preoccupazioni o disturbati dal fascino sinistro di quello che manipoliamo. Solo un orecchio finissimo è in grado di percepire la voce sommessa che proviene dal mistero profondo della vita.
    I sacramenti sono invece come una «esplosione simbolica» nella storia personale e collettiva della grazia intimissima e sempre presente nel mondo, grazia che è Dio stesso.
    Non si contrappongono alla sacramentalità diffusa. Al contrario, la ricercano, la sostengono, la rendono trasparente e per questo la pongono più intensamente davanti alla decisione dell'uomo.
    Giustamente la tradizione ecclesiale riserva ad essi una funzione tutta speciale e originale.

    2. L'ESPLOSIONE SIMBOLICA

    Per comprendere il rapporto tra sacramentalità diffusa e sacramenti in senso stretto, ho scelto una espressione evocativa: «esplosione simbolica». Qualche precisazione la devo però spendere, se non altro per scatenare la capacità di coinvolgimento personale.
    Il simbolo è un intreccio di «cosa significante» e di «cosa significata»: qualcuno dice qualcosa (la cosa significante) a qualche altro su qualcosa (la cosa significata).
    Normalmente la «cosa significata» è muta per i due interlocutori. Le ragioni di questo silenzio possono essere molte: la realtà di cui si vuole parlare è indicibile o è passibile di diverse e svariate comprensioni o sfugge all'attenzione pratica dell'interlocutore.
    Il silenzio viene infranto quando si pone un segnale dotato soggettivamente di maggiore espressività, per convenzione sociale, per particolare forza evocativa, per costitutiva capacità.
    Questo segnale (la cosa significante) rende «più» presente la cosa significata, perché le toglie il velo di opacità che la nasconde agli occhi distratti dell'uomo e la fa così esplodere in tutta la sua forza interpellante e propositiva.
    In questo modo, il silenzio viene rotto. La parola pronunciata risuona, alta e interpellante, costringendo ad una scelta personale.
    Il sacramento non aggiunge nulla a quello che è già presente diffusamente nella vita quotidiana. L'esperienza di salvezza la riempie e la pervade già tutta.
    Nello stesso tempo c'è qualcosa di profondamente nuovo e originale, che fa del sacramento un evento specialissimo della grazia di Dio.
    L'esplosione simbolica infrange infatti il velo del silenzio. La voce di Dio risuona solenne come esperienza di salvezza. Senza questo evento, il silenzio renderebbe vano e inefficace il dono.
    L'uomo distratto resterebbe, triste e solo, fuori da ogni personale esperienza di salvezza.
    Lo svelamento assicura un'altra importante funzione del simbolo: il coinvolgimento intersoggettivo.
    Normalmente il coinvolgimento è un puro gioco di intenzionalità, come il simbolo è un puro gioco linguistico. Nel ricordo o nel gioco «facciamo finta» di realizzare qualcosa di nuovo. Ma è solo un modo di fare che non cambia la realtà delle cose. Chi è lontano resta lontano; il silenzio continua ad avvolgere la realtà; ciascuno è inesorabilmente alle prese con i suoi limiti e le sue responsabilità.
    La tradizione cristiana afferma invece che nei sacramenti Pio è presente realmente ed agisce efficacemente.
    Il coinvolgimento non è solo un gioco di intenzionalità, ma attinge misteriosamente alla sostanza delle cose. Per questo essi rappresentano una esperienza tutta privilegiata dell'autocomunicazione di Dio all'uomo.
    Sono qualcosa «oltre» la presenza diffusa: assicurano una presenza ed un'efficacia capace di sostenere un autocoinvolgimento tutto speciale.
    Rimandano alla sacramentalità diffusa, perché «celebrano», in una esplosione di significato che fonda un autocoinvolgimento originalissimo, quello che avviene sempre e dappertutto, quello che la contemplazione ha svelato e permesso di possedere.

    3. IL PROTAGONISMO SALVIFICO DELLA COMUNITÀ CRISTIANA

    Spiegando la formula «esplosione simbolica» (un po' strana come sono tutte quelle che vogliono provocare la riflessione personale), ho messo in evidenza il dono e il compito tutto speciale dei sacramenti. L'ho fatto pensando soprattutto alla loro struttura fondamentale.
    C'è però un'altra importante ragione.
    Tutti sappiamo che la salvezza cristiana ha nella comunità ecclesiale il segno e il luogo privilegiato di realizzazione. Lo dice in modo solenne il Concilio: la Chiesa «è in Cristo come un sacramento o segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano» (LG 1). Per questo «del Regno costituisce in terra il germe e l'inizio» (LG 9).
    I sacramenti mettono in primo piano il protagonismo salvifico della comunità ecclesiale, con una carica simbolica molto più grande ed eloquente di quella presente nella sacramentalità diffusa della vita quotidiana.
    Nella vita quotidiana la decisione per la salvezza si esprime in quello spazio, intimassimo e misterioso, dove ci ritroviamo soli di fronte a Dio e a noi stessi. La solidarietà con gli altri, diffusa e innegabile, si ferma alle soglie della nostra esperienza soggettiva.
    Nel silenzio della nostra solitudine ci chiediamo spesso: mi sono veramente deciso per la salvezza o sto ancora giocando a rimpiattino con la mia presunzione e con il timore di rischiare troppo, saltando nell'abbraccio di Dio?
    Tocchiamo quotidianamente con mano il nostro fallimento, l'incoerenza e il peccato. Solo nella speranza la nostra esistenza può proclamarsi salvata. Ma è una speranza assalita dal dubbio e dall'incertezza.
    Siamo in una continua, sofferta ricerca di un segno chiaro e sicuro.
    Non vogliamo rassicurazioni che ci spossessino della nostra responsabilità. Non siamo disposti a pagare questo bisogno di certezze al prezzo, troppo alto, di una fiducia riposta magicamente nelle cose o negli altri.
    Ma una ragione più consolidata di speranza la dobbiamo trovare, per poter convivere con la nostra soggettività.
    I sacramenti collocano nella Chiesa il dono della salvezza; le danno un respiro collettivo e quasi strutturale. Per questo sono un segno di sicura speranza per la nostra esistenza.
    Il gesto della comunità che accoglie la nostra richiesta di pentimento ricostruisce, nell'oggi e per noi, l'abbraccio con cui il padre festeggia il ritorno del figlio, fuggito di casa per ubriacarsi di libertà.
    Nella celebrazione dell'eucaristia ci scopriamo con le nostre piccole e grandi morti quotidiane nel vortice della vittoria della vita, per il mistero della pasqua di Gesù, diventato nostro contemporaneo.
    Lo sappiamo bene e ci teniamo ad affermarlo. Questi avvenimenti non sono «la» salvezza che andiamo cercando. Sono suoi segni, potenti ed eloquenti. Il dono della salvezza investe sempre l'intima decisione personale. Nella salvezza siamo sempre «soli», anche quando la sperimentiamo nella comunità.
    Sperimentandola nella comunità, in compagnia dei tanti amici che con noi la cercano e nello spazio autorevole dell'esistenza ecclesiale, la costatiamo più vicina, più rassicurante: ci sentiamo più immersi nella vita nuova che ci è donata.
    A queste ragioni, ancora sbilanciate verso la nostra soggettività, danno risonanza quelle più strutturali, che riguardano la natura stessa della Chiesa.
    Nei sacramenti la comunità ecclesiale si propone come il soggetto, storico e visibile, del dono della salvezza ad ogni uomo e della sua capacità di accoglienza.
    Essa esiste perché è questo dono e perché l'uomo è stato fatto capace di accoglierlo.
    Attraverso i sacramenti, la comunità ecclesiale si proclama davanti al mondo come il luogo in cui Dio gratuitamente opera la salvezza per tutti e testimonia la reale possibilità di vivere la vita quotidiana come accoglienza di questo dono. Denuncia la presunzione di poter vivere senza la salvezza di Dio, ricordando ad ogni uomo che egli è debitore, in tutto e per tutto, all'amore di Dio che gli si dona in Gesù Cristo. Mette la responsabilità personale al centro di ogni incontro di salvezza, perché riconosce di essere essa stessa esito della salvezza di Dio. Rassicura la timida speranza dell'uomo che invoca salvezza, perché propone in modo autorevole le fonti sicure dell'azione salvifica di Dio.
    Celebrando i sacramenti per la vita e la felicità dell'uomo, la Chiesa esiste come comunità di fede e di salvezza: il Dio di Gesù si fa vicino alla inesauribile fame di vita e di felicità di ogni uomo e, nel gesto concreto e verificabile della Chiesa, lo assicura sul dono, insperato e gratuito.

    4. UNA FESTA NEL PRESENTE TRA PASSATO E FUTURO

    Per vivere pienamente la nostra vita quotidiana, la dobbiamo immergere nel passato verso il futuro.
    La vita è presente: piccoli frammenti di esistenza che produciamo e ci lasciamo alle spalle. Vissuta così è muta e senza prospettiva. Ci lascia nel buio di ogni presente: senza passato restiamo anche senza futuro.
    Abbiamo perciò un gran bisogno di riallacciare, sul tempo che vivendo produciamo, il passato al presente e al futuro.
    La festa è uno degli spazi di libertà che ci permette di vivere così il tempo. Nella festa usciamo volontariamente dal presente, collegando nella memoria e nella fantasia il passato e il futuro.
    Il passato è rievocato come sorgente e ragione della festa nel presente. Non è il greve condizionamento che pesa sul presente; ma l'avvenimento che gli dà senso e lo riempie di ragioni.
    Viene anche anticipato il futuro. La festa è scoperta gratuita e entusiasta dei segni della novità anche tra le pieghe tristi della necessità del presente. Per questo, possiamo vestire nel presente i panni fantasiosi del futuro, senza passare per uomini che fuggono le responsabilità a cui li chiama ogni presente. Essa è quindi una grande esperienza trasformatrice. Aiuta a spezzare le catene del presente, senza fuggirlo. E un piccolo gesto di libertà, che sa giocare con il tempo della necessità e sa anticipare il nuovo sognato: il regno della convivialità, della libertà, della collaborazione, della speranza, della condivisione.
    I sacramenti sono la grande festa cristiana del presente tra passato e futuro, tra memoria e profezia: il tempo del futuro dentro i segni della necessità, tanto efficace e potente da generare vita nuova.
    Memoria solenne ed efficace del passato, riscrivono nell'oggi i grandi eventi della nostra salvezza. Restituiscono così il presente alla sua verità per la forza degli eventi. E immergono nel futuro la nostra piena condivisione al presente: in quel frammento del nostro tempo che è tutto dalla parte del dono insperato e inatteso.
    Pensiamo, per parlare in termini concreti, alla eucaristia. Una eucaristia «fuori» della storia quotidiana sarebbe un gesto inutile e vuoto. L'eucaristia sollecita di conseguenza i cristiani, sempre tentati a leggere la propria esperienza solo dalla prospettiva del suo esito, quando asciugata ogni lacrima vivremo nei cieli nuovi e nella nuova terra, a misurarsi coraggiosamente con i gesti della necessità, nel tempo delle lacrime e della lotta.
    L'eucaristia però immerge nel futuro la nostra piena condivisione al tempo: in quel frammento del nostro tempo che è tutto dalla parte del dono insperato e inatteso. Dalla parte del futuro, il presente ritrova la sua verità, il protagonismo soggettivo accoglie un principio oggettivo di verificazione.
    Nell'eucaristia il passato ritorna come memoria, efficace e solenne, delle cose meravigliose che Dio ha compiuto per noi, prima fra tutte la trionfante vittoria di Gesù sulla morte, per la vita di tutti.
    Nella celebrazione dell'eucaristia e di tutti i sacramenti, immergiamo il nostro presente nel passato e lo lanciamo verso il futuro. In questa discesa verso la sua verità, siamo sollecitati a restare uomini della libertà e della festa, anche quando siamo segnati dalla sofferenza, dalla lotta e dalla croce.
    Impariamo così a cantare i canti del Signore anche in terra straniera. Riusciamo a cantarli, in una convivialitù nutrita di speranza, in questa nostra terra.
    Cantando i canti del Signore in terra straniera, la riscopriamo la nostra terra, provvisoria e precaria, ma l'unica terra di tutti.
    Cantando i canti del Signore, la «terra straniera» diventa la nostra terra, proprio mentre sogniamo, cantando, la casa del Padre.


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