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    Elena Buia Rutt *


    Lo straordinario esempio di Etty Hillesum che portò Dio nel campo di concentramento.

    Nel 1941, in un’Olanda pietrificata dall’orrore dell’occupazione nazista, una giovane donna ebrea, con una grafia minuta, veloce, quasi indecifrabile, dà voce, negli undici quaderni del suo diario, a una straordinaria ricerca spirituale, a una “sconcertante” risposta al male, a un inedito e intimo dialogo con Dio.
    Il suo nome è Etty Hillesum, giovane intellettuale, appartenente a una famiglia dell’alta borghesia ebraica: il nonno è un importante rabbino olandese, mentre il padre è professore di latino e greco. Etty vive dunque in un ambiente intellettuale: legge Jung, Rilke, Dostoevskij e, dopo la laurea in giurisprudenza, si iscrive alla facoltà di lingue. Lo studio delle culture slave la ricollega al ramo materno della famiglia: la madre, infatti, è un’ebrea russa, appassionata, di carattere istintivo e molto diversa dal padre, uomo lucido e razionale. Se Etty eredita da quest’ultimo la passione per il mondo intellettuale, dalla madre “riceve” una vena spirituale, emotiva, un interesse inquieto per la vita: Etty, infatti, appare, nelle prime righe del suo Diario, come una giovane donna colta e profondamente inquieta.

    Una lotta tutta interiore

    Quando la domenica del 9 marzo 1941 inizia a scrivere, la guerra e l’invasione nazista dell’Olanda sembrano essere lo sfondo lontano di un dialogo serrato e profondo volto alla scoperta del proprio sé. Etty sembra quasi non accorgersi delle nuvole nere che si addensano intorno a lei. Appare concentrata esclusivamente sulle sue depressioni e angosce improvvise, sul proprio lavorio interno, sul tentativo di imparare a vivere: «Io leggo per poter vivere», afferma, perché per lei vivere è molto doloroso.
    Da lì a poco Etty farà l’incontro che le cambierà la vita: a una serata musicale conosce infatti Julius Spier, ex allievo di Jung e fondatore della psicochirologia, lo studio e la classificazione delle linee della mano. Pur facendo riferimento alla scuola junghiana, Spier ha superato rapidamente i confini della psicoanalisi dell’epoca - circoscritti alla sfera dell’io e alla vita psicologica delle persone - per spostarsi sul piano del destino, letto attraverso l’analisi delle linee della mano. La terapia che suggerisce a Etty ha il merito di porre immediatamente i disagi psicologici della giovane donna sul piano spirituale e infatti, come rimedio, le dà da leggere l’Antico e il Nuovo Testamento, cosa oltretutto abbastanza singolare visto che entrambi sono ebrei.
    Non bisogna inoltre dimenticare che Spier è junghiano, ed è noto come il protestante Jung attingesse alle Sacre Scritture come a un luogo letterario metaforico di spiegazione della psiche: ma mentre Jung utilizzava tali metafore per spiegare esclusivamente problemi di tipo psicologico, Spier si era spinto molto più in là, spostando l’accento sul piano del destino e sul piano religioso.

    Difender Dio dentro di sé

    Lo psicochirologo appare ad Etty come una personalità singolare e carismatica: emigrato da Berlino dove è stato direttore di banca, ha fatto della propria vocazione per la lettura della mano una professione a tempo pieno. Etty, in preda a uno sfibrante malessere fisico, riflesso di profonde inquietudini interiori, diviene dapprima sua paziente, poi segretaria e amante. Da questo momento, le pagine del diario, di colei che fino a quel momento si definiva «la ragazza che non riusciva a inginocchiarsi», divengono sempre più un dialogo esclusivo con Dio, un’unica personalissima preghiera. Il suo percorso inizia a virare in direzione spirituale, non limitandosi più all’adesione razionale della lettura della Bibbia e dei vangeli, né al piacere provocato da questa lettura, ma tramutandosi immediatamente in quella che può essere considerata l’esperienza spirituale per eccellenza: la preghiera.
    Da lì a poco Etty riesce ad inginocchiarsi, a divenire protagonista di un’esperienza di tipo religioso-spirituale che entra nel suo intimo e cambia il suo modo di essere e di percepirsi: definisce la preghiera «un modo pazzo, forse bambino, per dialogare con la parte più profonda di me, che per comodità chiamo Dio», mostrando come la conoscenza di sé non sia una mera conoscenza narcisistica, ma vada di pari passo con la conoscenza di Dio. Come i grandi mistici, la giovane donna individua Dio dentro se stessa, impara ad ascoltarne la voce all’interno del proprio io.
    «Mi sento come un piccolo campo di battaglia su cui si combattono i grandi problemi del nostro tempo», scrive Etty, «Dobbiamo aprire il nostro spazio interiore senza sfuggire e fare sì che quei problemi trovino ospitalità in noi e in noi combattano e si plachino». Il sofferto lavorio interiore di Etty Hillesum approda a una fede talmente forte, da voler accogliere su di sé il male del mondo. Nonostante l’efferatezza dei tempi, la vita per la ragazza rimane un’esperienza talmente «ricca e piena di senso» da poter offrire il proprio sostegno a Dio: «Tu non puoi aiutarci, ma tocca a noi aiutare te, difendere fino all’ultimo la tua casa in noi». La battaglia di Etty non si combatte su un piano storico, ma spirituale: il male è dentro ognuno di noi e solo riconoscendolo nostro, solo disseppellendo «da pietre e sabbia» quel Dio che riposa dentro ognuno di noi, è possibile testimoniare anche nell’orrore più nero un raggio di luce, il senso di una vera umanità.

    Fino in fondo

    Ed è proprio questa consapevolezza che le fa maturare la decisione drammatica di unirsi al suo popolo: lei che potrebbe salvarsi, sceglie volontariamente la deportazione. Etty segue coscientemente la sua famiglia nel campo di smistamento di Westerbork, in Olanda, dove ogni giorno si vive nel terrore della deportazione finale ad Auschwitz. Proprio nel momento in cui l’ombra nera della morte raggela e distrugge, Etty, che si definisce «il cuore pulsante della baracca», presta soccorso, porta conforto nel campo: chi è sopravvissuto la ricorda come una presenza luminosa. Il raggio di luce e di amore da lei portato nel campo di sterminio testimonia la presenza di Dio nel campo di sterminio stesso. Etty difende la presenza di Dio non cercando la salvezza materiale, ma provando a salvare il nucleo di amore, di capacità, di rispetto e di riconoscimento dell’umanità degli altri.
    Il 7 settembre 1943 Etty, suo padre, sua madre e il fratello Micha vengono caricati sul treno dei deportati. Da un finestrino Etty getta una cartolina, poi raccolta e spedita dai contadini; cartolina le cui poche parole condensano il suo straordinario testamento spirituale: «Abbiamo lasciato il campo cantando».

    *poetessa e giornalista

    (Messaggero Cappuccino – Marzo/Aprile 2019)


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