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    Don Puglisi, un amico

    attraente, umile e grande

    Matteo Zuppi

    puglisi

    Il 15 settembre, a Palermo, il Card. Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna e Presidente della CEI, ha presieduto la Celebrazione Eucaristica in occasione del 30° anniversario della morte del Beato Pino Puglisi. Di seguito il testo dell’omelia.

    Che gioia ritrovarsi in tanti in questa magnifica Cattedrale, in comunione con il Vescovo Corrado, che ringrazio di cuore per l’invito: mi permette di condividere questa grazia con i Vescovi della Sicilia, con i confratelli di Padre Pino e con tutto il Popolo di Dio, rendendo lode a Dio per un fratello la cui beatitudine ci indica qual è la via per non perdere la nostra vita e trovare anche noi felicità. È un amico attraente, umile e grande. Continua con il suo sorriso a farci vergognare di tanta nostra sufficienza, prudenza, paura e con la sua indiscussa passione evangelica ci spinge, individualmente e insieme, a metterci a servizio di Dio e del prossimo, a lavorare nel campo di questa nostra città, bellissima e piena di sofferenze. Riviviamo anche il dolore e l’intimo senso di sdegno per la violenza brutale che lo ha ucciso. Quella violenza ha un nome che contiene tanti nomi, ma tutti di morte: mafia. Il suo assassinio lo unisce a tanti martiri che si sono contrapposti alla mafia e alle mafie, composte tutte da vigliacchi, da uomini senza onore, che sono forti perché si nascondono, untuosi e abili a corrompere e che si arricchiscono vendendo morte. Hanno ucciso a freddo un povero indifeso che ha solo amato e lo ha fatto fino alla fine. Il sorriso è stato la sua risposta, per certi versi il suo perdono. Vale ancora oggi, però, per loro e per tutti noi il monito, che incute timore e tremore, lanciato con commovente sdegno e incredibile forza, proprio trenta anni fa, da San Giovanni Paolo II: “Convertitevi! Verrà il giudizio di Dio!”.
    Oggi le mafie sono meno evidenti, ma diffuse e ramificate in molti Paesi, penetrate nell’economia con affari e metodi di corruzione (i regali che legano e condizionano, le minacce evidenti o raffinate, le convenienze opache o i vari modi per intimorire!). Le mafie gestiscono traffici di persone ridotte a merce, di droghe che disumanizzano e creano schiavi e schiavitù. Sono produttori di morte e guadagnano sulla morte. E la vostra Chiesa, con Padre Puglisi e tanti testimoni, aiuta tutta la Chiesa, specialmente in Italia, a comprendere e contrastare con consapevolezza il fenomeno. Sono passati trent’anni da quel 15 settembre, giorno del suo compleanno e giorno della sua nascita al cielo, giorno nel quale la Chiesa celebra la Madre di Dio addolorata. La nostra madre Chiesa resta con Lei sotto tutte le croci che gli uomini insensati continuano a fabbricare per distruggersi. Molti di voi custodiscono ricordi personali di Padre Pino, indelebili nell’anima. Altri, come me, non lo hanno conosciuto personalmente, ma spiritualmente e direi anche umanamente, affettivamente, perché sentiamo la sua esperienza di vita e di fede fraterna e personale. È sempre così la santità: si diffonde da sola e fa sentire amico e vicino chi la trasmette. Questa è la comunione dei santi, legame affettivo che ci unisce e supera il tempo e le distanze, generativa di vita e di amore. La Chiesa è comunione tra i suoi figli e tra la comunità del cielo e quella della terra. La voce di Padre Pino, schiva ma chiarissima, non urlata, non esibita, da innamorato di Cristo che per questo faceva innamorare del Vangelo, ci incoraggia a spenderci per il bene e richiama le nostre coscienze assopite o pavide a non abituarci o giustificare atteggiamenti e sistemi ingiusti, disumani e non cristiani. Il male lo vincono gli umili e i semplici. Padre Pino lo ha vinto anche con il sorriso, che ricorda la gentilezza indicata da Papa Francesco come il primo modo per essere fratelli tutti. Il sorriso mette a proprio agio il prossimo, fa sentire chi lo riceve accolto e libera dal sussiego e dall’alterigia chi si prende troppo sul serio invece di prende sul serio l’altro.
    Padre Pino con il sorriso disarmato disarmava e dava cuore a chi incontrava, creava casa. Non era un prete antimafia secondo le etichette sociali e mediatiche. Peraltro, un cristiano, se è tale, è sempre contro le mafie! Era un prete, un prete buono, un cristiano, che divorava la Parola di Dio e non si è mai stancato di spezzarla per tutti e, proprio perché uomo di preghiera, combatteva per la libertà dei suoi ragazzi. Non condannava nessuno, ma cercava di salvare tutti come poteva, più che poteva. Non si è mai risparmiato. Amava farsi aiutare da tanti, chiedendo a ciascuno di fare un pezzo, il proprio, dando valore a questo. E lui era sempre il primo a fare la sua parte. Ecco la differenza tra il protagonista e l’umile lavoratore: il primo si serve degli altri, il secondo li serve; uno brilla di luce e la tiene per sé, il secondo accende di luce il fratello e la dona a chi è nel buio. Il primo ha sempre bisogno di farsi vedere, l’altro vuole far vedere chi non è visto, far parlare chi non è ascoltato, far conoscere la sofferenza che non trova comprensione.
    Le mafie, cioè il male, si vincono tutti i giorni e con un amore fedele, che educa all’amore, senza opportunismi. Nella battaglia contro il male nessuno sia lasciato solo. Penso ai presbiteri, ai religiosi, ai laici che rischiano quotidianamente; così come penso ai magistrati e alle Forze dell’ordine che tengono fede al proprio dovere di uomini e donne dello Stato, che è di tutti e per tutti. Lo fanno ordinariamente, tutti i giorni, perché tutti i giorni siano normali la giustizia e il diritto. Abbiamo proprio bisogno di Gesù per capire e scegliere. Ci è davvero “necessario”. Anche noi oggi poniamo la stessa domanda del Vangelo: «Vogliamo vedere Gesù» (Gv 12,21). In realtà ogni persona la pone, spesso in modi contraddittori e indiretti, qualche volta inconsapevoli. Significa: «Voglio vedere Dio con noi, con me; trovare la luce nel buio, accendermi di speranza nella desolazione, afferrare la vita e vincere la morte». Anche dopo anni non smettiamo di chiedere: «Dove trovo Gesù? Aiutami a vederlo! Cerco un amico vero, che mi ama per quello che sono, che non mi usa o non giudica, ma che non mi lascia solo, uno per cui desidero essere diverso!». Gesù risponde parlando di sé in modo inaspettato. Non descrive le sue personali capacità, non convince con promesse mirabolanti o soluzioni che si impongono da sole, non mostra prestazioni indiscutibili.
    No! Parla di sé come di un seme. «Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,24). Per capire la vita bisogna prendere quel seme, credendo che in esso già c’è tutto il frutto che ci sarà solo perdendola, generando vita in altri, regalandola, amando. Se la teniamo per noi, possederemo sì il nostro seme ma perderemo la vita! E l’amore è un seme che non smette di crescere e dare frutto! Gesù sembra dire: «Mi cerchi, vuoi vedermi, vuoi conoscere me e il Padre che mi ha mandato? Cerca il chicco caduto in terra. Cerchi te stesso? Lasciati cadere in terra per amore e troverai chi sei!». Se a Palermo qualcuno vuol trovare Dio, quel Dio-Amore che Gesù ha mostrato, che non finisce e dona beatitudine, oggi lo trova nel corpo caduto in terra di Padre Pino Puglisi. Lui è il chicco di grano, caduto in terra e morto e lui, amico di Gesù, ci aiuta a non avere paura di amare sino alla fine. Il suo frutto lo viviamo anche noi oggi ed è la speranza che nelle situazioni più disperate si può sempre fare qualcosa, iniziando dalle cose piccole. Il suo frutto è un Vangelo vivo che ci fa scegliere di stare, senza pericolose titubanze che rendono vulnerabili, dalla parte della giustizia e, quindi, dei ragazzi per sottrarli alla strada, per educarli ad amare amando Gesù e rendendoli consapevoli del valore che ognuno di loro è, della bellezza nascosta in ognuno di loro, che il male però cancella.
    «Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. Chi ama Dio, ami anche suo fratello» (1Gv 4,20-21). È l’esigente semplicità evangelica di Padre Pino: spiritualità e umanità, fede e vita, eucarestia e amore per i fratelli piccoli di Gesù, parola letta, riletta e condivisa, cura per i poveri amati fino alla fine. Mi colpisce pensare che Padre Pino abbia inciso nella vita di tante persone, soprattutto dei giovani, soltanto spiegando il Padre nostro. L’aver fondato il “Centro di Accoglienza Padre nostro” è stato uno dei gesti evangelicamente più rivoluzionari che potesse fare. Lo possono testimoniare i suoi ragazzi, che sono ormai adulti formati, molti dei quali sono presenti quest’oggi. Padre Pino li conosceva uno ad uno. Era loro amico. Non erano per lui una categoria o dei casi, ma dei nomi e delle storie. Diceva: «Oggi alcuni pensano che l’amicizia sia una cosa da ragazzi, una esperienza poetica di gioventù, un’idea consolatoria per chi non ha cose serie da fare, o un trucco sofisticato per fare carriera e buoni affari. Al contrario l’amicizia è l’espressione di quella briciola di sacro, di etico, di spirituale presente in ciascuno di noi». Ecco cosa chiedono a tutti i recenti fatti di cronaca che hanno ferito anche la città di Palermo: serietà, educazione a una vita bella, più bella e appassionante di quella della strada e di quella strada che sono le pornografie digitali. E soprattutto tanta comunità! Così Padre Pino ci insegna che l’amore non è possesso o fisicità senza cuore, ma è sentimento, educati da Dio che insegna agli uomini ad essere umani. Padre Pino organizzò la mostra dal titolo “Sì, ma verso dove?”. È una domanda che ci riguarda e che poniamo a tutti, in particolare ai ragazzi. «Verso l’amore gratuito, verso la fraternità e l’amicizia vera». Verso una città umana e solidale. Verso il Regno che è già in mezzo a noi e che ci attende. «Se il chicco di grano, caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore produce molto frutto». Padre Pino il tuo frutto rimane. Grazie, Beato Puglisi. Insegnaci a scrutare la Parola di Dio e il cuore degli uomini, a servire e amare fino alla fine, a sorridere al prossimo e a costruire tanti centri Padre Nostro dove i giovani possano trovare il loro valore, la bellezza che hanno dentro, formare una comunità che sia una famiglia ed essere figli e fratelli. Amen.


    CRONACA
    Roberto Greco |venerdì 15 Settembre 2023

    Trent’anni, un attimo. In realtà l’attimo è stato quello in cui don Pino Puglisi ha girato il capo e ha guardato negli occhi i suoi assassini. Un attimo è stato il tempo per il proiettile uscire dalla canna della pistola e conficcarsi nella sua nuca. Un attimo che durerà per sempre è il sorriso di don Pino Puglisi. Era il giorno del suo cinquantaseiesimo compleanno, quel giorno per don Pino. Oggi a Palermo, si celebra un triste anniversario, quello della morte del primo sacerdote che viene ucciso a causa del suo ministero. Alle iniziative partecipano i massimi esponenti delle istituzioni sia civili sia religiose e in prima fila ci sarà don Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza Episcopale Italiana. Le indagini relative all’omicidio di don Pino Puglisi, sin da subito, avvalendosi del contributo del collaboratore di giustizia Salvatore Cancemi, che indicò come mandanti dell’omicidio i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano. Furono due i processi istruiti a Palermo per l’omicidio di don Padre Puglisi, entrambi già arrivati da tempo alla sentenza definitiva da parte della Corte di Cassazione.
    Come mandanti sono stati condannati all’ergastolo i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, boss di Brancaccio. Come esecutori il carcere a vita è stato inflitto a Gaspare Spatuzza, Nino Mangano, Cosimo Lo Nigro, Luigi Giacalone, al tempo tutti detenuti. L’uomo che ha sparato a don Puglisi, Salvatore Grigoli, ha deciso di collaborare con la giustizia subito dopo l’arresto. Con gli sconti di pena, ha avuto una condanna a 18 anni. Nel luglio del 2004 ha ottenuto gli arresti domiciliari. Nel 2008 anche Gaspare Spatuzza ha iniziato a collaborare con i magistrati. “Gaspare Spatuzza lo affianca alla sua sinistra, Salvatore Grigoli alla destra. Padre Puglisi, con un sorriso, prima guarda Spatuzza, poi Grigoli. Allora Spatuzza, cercando la mano di padre Puglisi, per rubargli il borsello che teneva con la sinistra, gli intima: Padre, questa è una rapina. Puglisi, sorridendo dolcemente e con serenità, dice: Lo avevo capito. A quel punto Spatuzza prende il borsello di padre Puglisi e china la testa per far capire a Grigoli che può sparare. Salvatore Grigoli, che nel frattempo aveva puntato l’arma alla nuca di padre Puglisi, spara un solo colpo, come prestabilito, per farlo apparire un incidente nel corso di una rapina. Padre Puglisi cade a terra. Gli assassini, con passo regolare, si allontanano dal luogo del delitto, a bordo delle autovetture che li aspettavano”.
    Questo è quanto lo stesso Gaspare Spatuzza scrisse nel suo memoriale, un memoriale in cui parla di sé in terza persona. La ricostruzione dell’efferato delitto da parte di Grigoli e Spatuzza entrò violentemente nell’aula del Tribunale di Caltanissetta in cui stava celebrando il processo “Capaci bis”. Lo ricorda al QdS il dottor Antonio Balsamo, oggi sostituto procuratore generale presso la Corte di Cassazione, che presiedeva la corte: “Quando, più di venti anni dopo, nel nuovo processo sulla strage di Capaci, abbiamo interrogato i due killer che lo hanno assassinato, Salvatore Grigoli e Gaspare Spatuzza, il primo ha detto, con una espressione impossibile da dimenticare sul volto, ‘ho ucciso un santo’ mentre il secondo ha spiegato che la sua scelta di collaborare con la giustizia nacque durante una messa celebrata in carcere, dove ‘c’erano proprio dei riferimenti di don Puglisi. Bellissimi perché nella sua preghiera diceva che quando Dio… non forza il cuore di nessuno, quando il cuore è pronto si aprirà tranquillamente’, ed ha aggiunto: ‘undici anni di 41 bis a me mi hanno dato la possibilità, l’opportunità di essere oggi la persona che sono. Personalmente dico che quegli undici anni di 41 bis sono stati benedetti’.
    Antonio Balsamo aveva conosciuto personalmente don Pino Puglisi. “Facevo parte dell’Azione Cattolica che, al tempo, organizzava durante l’estate dei ritiri spirituali con un sacerdote che aveva il ruolo di guida, in realtà amico. Don Pino era responsabile della Pastorale Giovanile della Diocesi e in diverse occasioni ho avuto lui come guida. Aveva una grande cultura e, contemporaneamente era dotato di una semplicità e, nel tempo, continuai a incontrarlo perché il piacere di parlare con lui era enorme”.
    “Don Pino Puglisi – prosegue il dottor Balsamo – si era messo a studiare con grandissimo interesse una serie di elaborazioni sulla psicologia umanistica di Carl Rogers, che facevano capire fino in fondo le persone con cui entra in contatto, ai fini di calarsi nella sua realtà. L’obiettivo era riuscire a permettere quindi di rapportarsi con loro non con la figura autoritaria del prete ma come amico, come persona che ti sta accanto nei momenti difficili, come persona cui potrai rivolgerti nel momento di un dubbio interiore o un bisogno di orientamento sul tuo comportamento. Questo voleva dire potersi rapportare con l’altro da pari a pari. L’ultima volta che ci vedemmo fu in occasione di un convegno all’Istituto delle Ancelle, in via Marchese Ugo. Lo andai a trovare e, alla fine del convegno, rimanemmo assieme e parlammo. Il 15 settembre 1993, quando arrivò questa tragica notizia, mi trovai a vivere un lungo momento di dispiacere terribile, accompagnato dalla consapevolezza che le nostre chiacchierate, da quel giorno, sarebbero diventate un evento irripetibile”.

    https://qds.it/ho-ucciso-un-santo-trentanni-omicidio-don-pino-ancora-piu-forte-mafia/


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