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    A cena con i proff

    Denise Drago

     IMG 1013

    Perché non incontrarsi tra docenti e studenti per poter dialogare e riflettere insieme su un tema che ci interessa? E come? Attorno ad un tavolo, durante una cena?
    Nasce così l’iniziativa A cena con i Proff, in maniera molto semplice e colloquiale, durante lo svolgimento di un tavolo culturale convocato a inizio anno accademico 2016-2017 dall’equipe di pastorale universitaria di Perugia e rivolto a studenti, docenti, responsabili dei gruppi giovanili, presenti in diocesi, interessati a collaborare insieme per favorire un processo di crescita integrale della fede dei giovani universitari, i quali non esitano in questo periodo particolare della loro vita a porsi domande di senso il più delle volte sollecitate da quanto apprendono o viene proposto loro attraverso le lezioni accademiche.
    Una cena in cui imparare a pensare facendo dialogare fede e cultura, un’iniziativa dunque che intende assolvere pienamente la missione specifica della Pastorale Universitaria: avviare processi di inculturazione del Vangelo.
    L’attività si svolge durante una cena di circa due ore; gli studenti, previa prenotazione, sono chiamati a scegliere, tra i diversi temi offerti, quello che più interessa loro e che verrà trattato secondo l’ambito di competenza del docente presente al tavolo (politico, sociale, storico, medico, giuridico, teologico, ecc…). Perciò per una sera i locali della sede di Pastorale Universitaria perugina assumono i tratti di una vera e propria universitas in miniatura: una casa comune in cui studenti e docenti condividono il desiderio di sapere e di rispondere ai bisogni veri della nuova società[1].
    Il primo passo che dà avvio ad una “cena pensosa” è la ricerca di professori. Sono gli stessi ragazzi dell’equipe organizzativa che, dopo aver individuato i temi d’interesse universitario attraverso un sondaggio somministrato ai loro colleghi, scelgono e contattano i docenti che ritengono adeguati all’iniziativa; si incontrano, riflettono, discutono e, insieme definiscono il taglio specifico con cui affrontare l’argomento. Le caratteristiche essenzialmente richieste ai professori sono due: la competenza sul tema, qualunque sia l’ambito, e un’onestà intellettuale nell’affrontarlo. La “cena pensosa” infatti non si struttura come una lezione frontale in cui il docente universitario espone la sua conoscenza, ma come una serie di piccoli cantieri in cui si cerca di camminare insieme per un tratto di strada tracciato da domande, considerazioni e condivisioni di esperienze personali. Si sperimenta dunque nel piccolo che la cultura non è solo patrimonio che la generazione presente ha il diritto di ereditare dal passato, considerandolo come un insieme di competenze da acquisire e custodire; essa è invece una “promessa”, cioè un invito e un’offerta di conoscenze e di strumenti, di competenze e nozioni, di strumenti e di testimonianze che rendono possibile sentirsi parte del cammino di un popolo, di una civiltà e più in generale dell’umanità.
    Questo circolo comunicativo, che sarà al centro della cena pensosa, innesca primariamente due processi di rilevante importanza. Il primo è un processo educativo: il docente riscopre il gusto dell’essere educatore, cioè colui che è capace di tirar fuori la vita che abita il ragazzo; egli dovrebbe essere in grado di ascoltare e decodificare le domande implicite dei giovani che si trovano al tavolo. Nel migliore dei casi si instaura una relazione interpersonale, inclusiva di tutti i partecipanti, animata dall’ascolto reciproco, dal dialogo e dalla condivisione, quasi alla pari. Si sperimenta perciò una delle condizioni essenziali per la riuscita di tale processo: poter camminare insieme, sostenuti “dalla vita che accende la vita” come direbbe Romano Guardini. L’uomo contemporaneo infatti “ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono testimoni. […] Chi educa deve farsi prossimo: la luce della vita si trasmette nella reciprocità delle coscienze, nella pazienza di accettare i tempi dell’altro e di stimolare le scelte”[2].
    Il secondo processo invece riguarda più propriamente lo studente universitario. L’esperienza di ascolto e accoglienza reciproca aiuta il giovane non solo a ricevere il patrimonio della conoscenza come dono ma anche e soprattutto a provare ad elaborare una propria visione critica della realtà. Questa dinamica tocca il ragazzo in quello che è il profondo ambito della responsabilità, orientando la propria libertà a fare scelte consapevoli, che mirino alla costruzione ed edificazione del bene comune. Siamo di fronte pertanto al fare cultura nel suo significato più nobile: un modo di stare nella vita in cui conoscenze, competenze, esperienze condivise rendono possibile quel senso di appartenenza ad un popolo, ad una civiltà, all’intera umanità. I giovani vengono quindi stimolati nel loro desiderio a vivere la vita in maniera feconda, da protagonisti, in grado di assaporare ogni passo, sia esso faticoso o leggero, guidato dalla consapevolezza che l’altro e il mondo sono stati affidati loro in dono[3]. Essi sono così chiamati ad entrare a far parte della storia del mondo in cui viviamo e a lasciare una traccia unica e irripetibile della loro esistenza.
    Nell’intreccio di questi due processi, all’interno della dinamica di uno scambio, emerge maggiormente la dimensione più propriamente ecclesiale di una “cena pensosa”. Non è condizione necessaria che il docente o tutti gli studenti siano cristiani; a volte il professarsi tale ed il vantarsi di questo non è garanzia assoluta per un dialogo che sappia procedere verso un arricchimento reciproco delle differenze; è necessaria a questo riguardo invece, l’onesta intellettuale di cui dicevamo sopra. Nel momento in cui però l’esperienza di fede, sia del docente o dei giovani, è condivisa ed accolta, entrando a far parte, per così dire, di quella materia che costituisce l’oggetto di riflessione, si innesca un processo propriamente ecclesiale anche se non riconosciuto all’interno di forme istituzionali. La fondazione della plausibilità della fede stessa non va ricercata davanti ad un’unica ragione, “ma in una manifestazione concreta di questa razionalità tipica della fede, nella misura in cui essa riesce a comunicare effettivamente con le razionalità specifiche dei vari mondi vitali, diversi da quelli del credente”[4]. In altre parole la testimonianza della fede è uno di quegli atti linguistici che caratterizzano l’esperienza umana e attraverso il quale il credente comunica il senso di quanto per lui determina la sua esistenza: Cristo Risorto. La consegna della propria esperienza di fede, che viene messa in relazione con altre sfere esperienziali, ha la forza non solo di produrre un effetto sull’interlocutore, ma anche di operare conseguentemente un cambiamento sul contesto. Tale dinamica performativa dell’annuncio evangelico[5] così data, che costituisce l’atto generativo della Chiesa (At 2), è anche il luogo in cui affonda le sue radici un autentico processo d’interpretazione della realtà a partire dall'esperienza credente. Il Vangelo dona un altro orizzonte, ma poiché quest’ottica guarda sempre la medesima realtà degli altri, è possibile giocare l'indagine conoscitiva in maniera condivisa, offrendo agli altri un di più: quanto la prospettiva evangelica fa vedere di ciò che è sperimentato insieme, il mondo e l’umano.


    NOTE

     

    [1] Cfr. Discorso tenuto da Papa Francesco durante l’incontro con gli studenti e il mondo accademico. Piazza san Domenico, Bologna, domenica 1° ottobre 2017.
    [2] Forte B., I giovani e la fede, Editrice Queriniana, Brescia, 2017 (GDT 403), p. 37-8.
    [3] Cfr. Iscritti ad una promessa. L’università culla di una cultura di speranza e di pace, a cura di Carruba S. - Cianci M. - Petrosino S. - Strik Lievers L., Centro Ambrosiano, Milano, 2018, p.3-7.
    [4] Ruggeri G., Prima lezione di teologia, Editori Laterza, Roma – Bari, 2011, p.105.
    [5] Dianich S., Teorie della comunicazione ed ecclesiologia, in Associazione Teologica Italiana, L’ecclesiologia contemporanea, Atti del secondo corso di aggiornamento per i docenti di teologia dogmatica, Roma 2-4 gennaio 1992, Padova, Edizioni Messaggero Padova, 1994, p. 134-78.

     


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