Si ricominicia!
Riccardo Tonelli
Stiamo iniziando un nuovo anno di attività. Tra fine settembre e inizio di ottobre il lavoro pastorale riprende, i collaboratori rilanciano la loro disponibilità, i progetti sono riconquistati con l’entusiasmo dello stato nascente, si fa il punto e, con speranza, si guarda in avanti.
Qualcuno può storcere il naso davanti a queste quattro righe di apertura. Piedi per terra… si pensa e si dice. Non è la prima volta che viviamo la partenza… e il peso del vissuto condiziona e ridimensiona.
Non sto chiedendo di scegliere se dare ragione agli incorreggibili entusiasti o ai realisti sperimentati. Sono convinto che la ragione l’abbiano gli uni e gli altri… e non possiamo di sicuro tirare la corda per trascinare chi non la pensa come noi dentro i nostri confini. Non possiamo però rassegnarci e non possiamo guardare in avanti solo per riprodurre, in modo ripetitivo, quello che abbiamo già progettato e sperimentato.
Suggerisco di porre davanti ad ogni nostro progetto un criterio di speranza operosa. E’ una responsabilità irrinunciabile, per persone serie e qualificate, che amano i giovani e il Signore, e sono disposti a tutto per assicurare quell’incontro, nella trama del vissuto quotidiano, che è il più alto gesto d’amore concreto che dobbiamo ai giovani stessi. Ci consola l’atteggiamento di Pietro, impegnato, a cercare un successore di Giuda, proprio come primo gesto del suo ministero. Come racconta il primo capitolo degli “Atti degli Apostoli”, Pietro scarta i criteri di buon senso, lasciando a bocca asciutta il povero Giuseppe, tanto bravo e competente da essere soprannominato “il giusto”; propone invece di scegliere uno che sia testimone della resurrezione. Essere testimoni della resurrezione significa dichiarare con i fatti che il Crocifisso è il Risorto: colui che era stato distrutto, fino a togliergli persino il volto di uomo nel nome della legge, ha vinto la morte ed è vincitore per tutti. Il testimone della resurrezione è una persona di speranza, che inonda di speranza e di ottimismo, per la potenza di Dio, ogni fatto della vita quotidiana.
In questa prospettiva, di speranza operosa che guarda con responsabilità al futuro, suggerisco tre preoccupazioni, da tradurre in progetti operativi per la nuova programmazione:
1. L’ascolto. Ormai tutti hanno imparato che per fare progetti, avanzare proposte, suggerire priorità… è indispensabile partire dall’ascolto della realtà. Proposte e progetti non radicati saldamente sulla conoscenza attenta della situazione, sono destinate a lasciare il tempo che hanno trovato, scivolando nel generico e nel vago. L’ascolto non è però un’impresa facile, perché c’è sempre il rischio di far finta di ascoltare, pretendendo di conoscere già la risposta. Inoltre si può partire da diversi contesti, sapendo di produrre analisi molto diverse. L’ascolto accoglie la diversità in atteggiamento di dialogo e di confronto.
2. La fedeltà. In una stagione di una soggettivizzazione, che ormai è passata dal fatto alla sua teorizzazione, sono convinto che un buon progetto abbia bisogno di radicarsi sul passato, per assicurare continuità anche nella innovazione matura. Abbiamo bisogno di guardare in avanti con un atteggiamento di sincera e sicura fedeltà al passato. Fedeltà è però espressione equivoca, che può essere trascinata a piacimento nel proprio giardino. La fedeltà, per la vita e la speranza nel nome di Gesù, non è ripetizione passiva ma riscrittura nei vissuti quotidiani del dono che diventa spiga solo quando muore per rinascere nuovo.
3. L’emergenza educativa. La terza preoccupazione rilancia un tema che ormai è patrimonio comune… ma che proprio per questo rischia di restare teorico o capace di funzionare solo come una copertura nominalistica di un vuoto progettuale. Sono convinto che ogni buon progetto debba oggi rilanciare un maturo e intenso servizio educativo. Lo deve fare ogni intervento che riguarda la vita e la sua qualità. Ma lo deve fare anche tutto quello che investe l’ambito, urgente e indilazionabile, dell’annuncio forte e coraggioso che solo Gesù è il Signore e solo nel suo nome possiamo consolidare quella vita e quella che speranza che cerchiamo, con l’ansia dell’assetato che non ne può più di pozzi aridi e di cisterne screpolate.
E buon lavoro.