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     Il modello

    di pastorale giovanile

    del CSPG

    Riccardo Tonelli
     



    La posizione progressivamente maturata nel CSPG si esprime in un modello di pastorale e pastorale giovanile, costruito in un preciso rapporto tra evangelizzazione, educazione, animazione. Si è mosso nell'orizzonte del vissuto salesiano e di quella espressione tematica di questo vissuto, raccolta nei Documenti degli ultimi Capitoli generali. Mettiamo sulla carta queste nostre prospettiva, al punto in cui sono maturate oggi nella nostra ricerca, per un confronto e una verifica.

    IL QUADRO DI RIFERIMENTO: QUALE PASTORALE

    Pastorale è l'insieme delle azioni che la comunità ecclesiale, animata dallo Spirito di Gesù, pone per attuare in situazione la salvezza di Dio. Dei molti elementi presenti nella definizione ne abbiamo sottolineato particolarmente tre: gli ambiti, l'obiettivo e i destinatari.

    Molte azioni per un'unica pastorale

    Il primo rilievo riguarda l'ambito dell'azione pastorale. La definizione sottolinea che molte e differenti sono le azioni che la comunità salesiana è chiamata a porre (per esempio: catechesi, promozione della cultura, celebrazioni liturgiche e sacramentali, interventi nel tempo libero...). Non è né possibile né corretto fare elenchi con pretesa di esaustività né tanto meno fare una gerarchia di interventi, come se alcuni fossero più preziosi di altri. Per questa ragione, la pastorale copre tutto l'ambito dell'azione educativa verso i giovani. La pastorale non si qualifica prima di tutto per le cose che fa, ma per l'intenzione con cui le fa. In questo senso la scuola, per esempio, o lo sport riguardano l'azione pastorale, come la riguardano la catechesi e la liturgia. O, per fare un altro esempio, gruppi ecclesiali non sono solo quelli che hanno come finalità qualcosa di tematicamente ecclesiale, come se la dimensione ecclesiale fosse una nota che separa tra finalità "sacre" e finalità "profane". La qualità pastorale è invece per noi una caratteristica che colloca le finalità "di vita" in un nuovo orizzonte di preoccupazione formativa che fa riferimento esplicito all'evangelo di Gesù e alla missione apostolica della Chiesa.

    Quale salvezza

    Le diverse azioni, quando sono realizzate nell'ambito pastorale, sono tutte orientate ad un'unica intenzione globale: realizzare qui e ora la salvezza. Problema serio è discriminante è la comprensione di salvezza a cui ci si ispira. Da questa visione nascono diversità anche sostanziali. Il CSPG ha ripensato l'obiettivo della pastorale attorno a tre costanti: esse pongono globalmente al centro la vita e la sua pienezza, nella novità di vita offerta da Dio in Gesù Cristo nella Chiesa.

    Il punto di riferimento: la salvezza definitiva

    L'impegno centrale e originale della comunità salesiana è costituito dall'annuncio e dalla esperienza che solo immergendoci nel mistero santo di Dio e accogliendo un dono tutto proiettato verso il futuro, possiamo essere pienamente uomini. La salvezza di Dio è pienezza di vita. Essa ci raggiunge nell'incontro sconvolgente con il Crocifisso risorto e ci investe solo se accettiamo di consegnare a Dio la nostra fame di vita e di autenticità. E' davvero importante non dimenticarlo, per non correre il rischio di intristire nella nostra presunzione e nel nostro peccato. La comunità salesiana serve questo progetto di salvezza, accettando un confronto con i molti profeti di vita, che rilancia la speranza oltre il confine delle nostre attese e delle nostre esperienze.

    L'attenzione alla vita quotidiana e alla storia profana

    Questa salvezza però percorre, come in una misteriosa filigrana, la storia quotidiana. Si fa dentro di essa: in una trama che ricollega intensamente la nostra personale storia a quella di tutti gli uomini (soprattutto dei più poveri tra essi). Potrà esplodere in pienezza solo se è stata faticosamente seminata nelle lacrime e nella fatica della vita quotidiana. La comunità salesiana, impegnata per attuare la salvezza di Dio, grida forte, nella memoria e nella profezia, che la la vita di tutti è la sua grande passione. Essa esiste perché tutti abbiano vita e l'abbiano in abbondanza soprattutto coloro a cui è stata più violentemente sottratta. Di questa vita e della storia in cui si svolge dà le coordinate di fondo, suggerendo il punto di partenza e l'esito finale, proprio mentre sollecita ogni credente ad investire sulla sua attuazione libertà e responsabilità in piena autonomia e in una compagnia che si allarga verso tutti coloro che stanno dalla parte della vita. Per questo, ogni gesto pastorale, anche quelli più squisitamente spalancati verso la definitività, è tutto intriso di quotidianità.

    Una sensibilità raffinata verso il futuro per giudicare coraggiosamente il presente

    Colui che fa esperienza della salvezza di Dio e si sente immerso nella pace del perdono e dell'amore, ha sempre un cuore affamato di giustizia. Dio ci dà la sua pace, perché diventiamo operatori di pace. Per questo, il credente soffre più dolorosamente l'ingiustizia e lotta più intensamente per il suo superamento, in una grande esperienza di speranza. La comunità salesiana condivide la storia e la vita di tutti, per gridare, a parole e con i fatti, dal suo interno la grande promessa di Dio, che la riguarda direttamente: "Fra poco farò qualcosa di nuovo. Anzi ho già incominciato. Non ve ne accorgete?" (Is. 43, 18-19). Essa chiama alla conversione: la ricostruzione, piena e progressiva, di quanto abbiamo distrutto in un uso suicida della nostra libertà e responsabilità. Dà il suo contributo all'impegno comune, provocando all'invenzione di cose nuove: i cieli nuovi e la nuova terra sono un'esperienza del futuro. Possiamo costruire un presente in cui il povero e l'oppresso possa finalmente abitare una casa di speranza, proprio perché contestiamo il passato. E possiamo giocare tutte le risorse, perché crediamo al futuro di Dio: perché camminiamo e viviamo "sotto la promessa".

    La coscienza ermeneutica

    Un dato importante, da comprendere bene, è il riferimento alla situazione. Situazione significa "destinazione" o "luogo ermeneutico"? La questione non è irrilevante. Nel primo caso, la comunità salesiana ha già un suo progetto, preciso e concluso; e lo offre, superando resistenze con la forza della proposta o adattando quando è opportuno e possibile usare questo stratagemma metodologico. Nel secondo caso, il progetto è da costruire, momento per momento, assumendo la carne quotidiana di coloro con cui si condivide passione e prospettiva. Certo esiste un punto di riferimento normativo, che giudica ogni realizzazione concreta. Esso è prima della proposta; ma diventa sperimentabile dopo, man mano che l'incarnazione in situazione procede. La meditazione dell'evento dell'Incarnazione - a cui il CSPG ha ispirato tutta la sua riflessione pastorale - ricorda che la "situazione" va considerata luogo ermeneutico: per operare salvezza in situazione, la comunità salesiana ricomprende ed esprime il grande avvenimento pasquale nella "carne" concreta dei suoi destinatari.

    Pastorale giovanile

    Da questa definizione descrittiva di pastorale abbiamo compreso il significato della pastorale giovanile. La pastorale ecclesiale in "situazione giovanile" si fa pastorale giovanile: perché si "incarna" (come in suo luogo ermeneutico) dentro le sfide che provengono dall'essere giovani e dall'esserlo in questa concreta situazione. Facendo pastorale giovanile la comunità si costruisce come comunità ecclesiale, impegnata per attuare "in situazione" la causa di Gesù, proprio mentre "serve" i figli che ha generato alla vita nuova e vuole riconsegnare alla pienezza di vita.

    LA NOSTRA SCELTA QUALIFICANTE: IL RAPPORTO TRA EDUCAZIONE E EDUCAZIONE ALLA FEDE

    Sul piano operativo questa figura di pastorale ci ha permesso di elaborare una ipotesi di rapporto tra educazione e pastorale, collocata nel cuore dei problemi che investono oggi la pastorale giovanile. Essa nasce da tre affermazioni che consideriamo complementari.

    Non c'è educazione "diretta" della fede

    Prima di tutto è indispensabile affermare che non si dà educazione diretta e immediata della fede. La fede si sviluppa sul piano misterioso del dialogo tra Dio e ogni uomo. Questo spazio di vita sfugge ad ogni tentativo di intervento dell'uomo. In esso va riconosciuta la priorità dell'iniziativa di Dio. La risposta dell'uomo consiste nell'obbedienza accogliente: la fede è un dono, in senso totale; proviene quindi dall'udire e non dal riflettere, è accoglienza e non elaborazione. In questo senso, l'evangelizzazione, come annuncio di un evento gratuito e insperato, resta prioritaria e fondamentale per ogni azione pastorale.

    L'educazione alla fede è indiretta

    Questa immediatezza e radicalità viene servita, sostenuta, condizionata dagli interventi umani che hanno la funzione di attivare il dialogo salvifico e di predisporre l'accoglienza. Questi interventi, formalmente educativi, si pongono dalla parte del "segno". Sono orientati a rendere il segno sempre più significativo rispetto alle attese del soggetto e spingono a verificare le attese personali per sintonizzarle con l'offerta della fede e della salvezza. Questo è l'ambito preciso della educabilità della fede. Essa si colloca quindi sul piano delle modalità concrete e quotidiane in cui si sviluppa il dialogo salvifico. Il processo di salvezza comporta infatti un doppio movimento. Da una parte esso è l'appello di Dio ad una decisione personale, libera e responsabile. Questo appello tocca quelle profondità dell'esistenza personale che sfuggono ad ogni intervento educativo, perché chiama in causa direttamente la libertà di Dio e la libertà dell'uomo. Dall'altra, però, questo stesso appello si esprime in modi umani: si fa parola d'uomo per risuonare come parola comprensibile ad ogni uomo, e cerca una risposta personale, espressa sempre in parole e gesti dell'esistenza concreta e storica. Le modalità educative e comunicative che incarnano l'appello sono oggetto di tutte quelle preoccupazioni antropologiche, che sono comuni ad ogni relazione umana. Gli interventi educativi hanno quindi una funzione molto importante nella educazione della fede. Senza di essi non si realizza, in situazione, il processo di salvezza.

    La potenza di Dio investe anche gli interventi educativi

    Per evitare pericolosi fraintendimenti, non possiamo mettere da una parte il dialogo diretto tra Dio e l'uomo e dall'altra i dinamismi antropologici in cui si svolge. Non possiamo immaginare il processo di salvezza e di crescita nella fede nella logica della "divisione del lavoro": ciascuno produce il suo pezzo e poi dall'insieme nasce il prodotto finito. I due momenti (quello misterioso e indecidibile in cui si esprime l'appello di Dio alla libertà dell'uomo e quello delle mediazioni educative) sono espressioni totali della stessa realtà. Lo stesso gesto nella salvezza può essere contemporaneamente compreso come tutto nel mistero di Dio e tutto frutto di interventi educativi. Certo, le due modalità non sono sullo stesso piano né possono essere considerate "alla pari". Bisogna riconoscere, in una fede confessante, la priorità dell'intervento divino anche nell'ambito educativo, più direttamente manipolabile dall'uomo e dalla sua cultura. La fede dunque riconosce la grandezza dell'educazione: il fatto cioè che liberando la capacità dell'uomo e rendono trasparenti i segni della salvezza, libera e sostiene la sua capacità di risposta responsabile e matura a Dio. Ma la fede riconosce che anche l'educazione rimane, come tutti i fatti umani, sotto il segno del peccato. La fede dunque deve esprimere un giudizio sull'educazione dell'uomo in genere e, in particolare, sul modello educativo umano che può essere utilizzato nel proporre la fede alle nuove generazioni. Questo, in fondo, non è attentato al dovere di rispettare l'autonomia dei fatti umani. Significa invece che l'approccio educativo e comunicativo è giudicato dall'evento al cui servizio si pone. Nel nostro caso comporta la costatazione che questo approccio, anche se è legato ad esigenze tecniche, avviene sempre nel mistero di una potenza di salvezza che tutto avvolge: la grazia salvifica possiede una sua rilevanza educativa, certa e intensa anche se non è misurabile attraverso gli approcci delle scienze dell'educazione.

    SUL PIANO OPERATIVO

    Avendo ricompreso lo sviluppo della Rivelazione alla luce di questa prospettiva sacramentale, abbiamo presto concluso, nel nostro progetto operativo di pastorale, sulla necessità di far dialogare educazione e educazione alla fede, almeno fino ad un certo punto. Il confine non è di quantità ma di qualità. Infatti non c'è un primo tratto di strada percorribile in compagnia con i dinamismi antropologici, e un secondo tratto dove tutto resta affidato all'imponderabile presenza dello Spirito. Potenza di Dio e competenza umana sono invece compagni di viaggio dalla partenza all'arrivo, anche se sono interlocutori diversi, a cui va riconosciuto uno spazio operativo molto differente. Il nostro progetto di pastorale cerca di conseguenza un dialogo con le scienze dell'educazione rispettoso e molto disponibile. Ricordiamo, come esempi concreti, alcuni degli aspetti più tipici.

    L'animazione per la pastorale

    La pastorale assume le esigenze dell'educativo, misurandosi con disponibilità e attenzione con un fatto da riconoscere e rispettare fuori da ogni tentazione di strumentalizzazione. L'orizzonte antropologico sotteso non è però indifferente per i processi di educazione alla fede. L'assunzione dell'educazione nella pastorale richiede quindi, prima di tutto, una rivisitazione della sua ispirazione e il coraggio di ritrovare quella capacità critica che non è sicuramente minaccia all'autonomia. Il CSPG ha progressivamente maturato una visione di educazione molto precisa. Per collocarci all'interno del pluralismo senza troppo facili equivoci, abbiamo incominciato a parlare di "animazione". L'animazione è un originale stile educativo che ha lo scopo di maturare le persone e le istituzioni, attivando un processo critico di promozione liberatrice. Esso si realizza al di dentro dei processi di socializzazione. La socializzazione avviene generalmente secondo modalità quasi automatiche, legate ad un rapporto meccanico tra persone e istituzioni sociali, politiche, economiche, culturali, religiose. L'animazione invece mira a favorire la crescita attraverso interventi condivisi da tutti i protagonisti e protesi al raggiungimento di finalità concordate. L'animazione per la sua funzione critica si qualifica come stimolo alla responsabilizzazione, mentre la semplice socializzazione ha una funzione prevalentemente integratrice. Questo impegno avviene soprattutto attraverso la progressiva restituzione ad ogni persona di un protagonismo responsabile. La persona è così sollecitata a scoprire le sue aspirazioni più autentiche e maturanti e a realizzarle con creatività, nel confronto interpellante con le libertà e le attese degli altri uomini e nel realismo delle diverse mediazioni istituzionali. Il modello educativo assunto dall'animazione rappresenta una proposta ideale per realizzare le esigenze che scaturiscono dalla dimensione educabile della fede.

    I luoghi dove fare pastorale

    Un altro elemento importante del nostro modello di pastorale è la scelta dei luoghi concreti in cui fare pastorale. Dove la comunità ecclesiale fa pastorale con i giovani di oggi? Il modello tradizionale suggerisce una risposta molto precisa: l'ambito è quello del formalmente ecclesiale. Certo, la Chiesa si interessa di altri ambiti: lo fa però solo per ragioni di supplenza o per cercare luoghi sicuri e alternativi, liberi dai "pericoli", magari con la pretesa sottile di mostrare come si dovrebbe agire... Concretamente, non solo la pastorale viene svolta in spazi "sacri", delimitati e protetti; è anche viva la preoccupazione di non contaminarli eccessivamente del rumore delle cose di tutti i giorni. In essi, il linguaggio utilizzato non è mai quello, un po' violento, dell'esistenza quotidiana; i gesti e gli oggetti sono davvero separati dai ritmi normali; anche i problemi dell'esistenza sono compresi e affrontati con una preoccupazione descrittiva e interpretativa che li colloca in un'aurea tersa e mai provocante. Qualche anno fa, alcune comunità ecclesiali hanno capovolto la prospettiva. Luogo della pastorale è diventata il territorio, concreto e quotidiano, condiviso gioiosamente con tutti. Anche i riti liturgici e la meditazione sulla Parola di Dio hanno abbandonato quel ritmo sacrale che li separava, anche fisicamente, dal quotidiano. Restituiti alla storia di tutti i giorni con cura puntigliosa, hanno vibrato delle tensioni e dei problemi che l'attraversano. Sono stati contestati tutti i modelli che sapevano di conquista e di occupazione. I due modelli (quello sacrale, che separava, e quello politicizzato, che contestualizzava) hanno denunciato presto i limiti congeniti: nel reciproco confronto e, soprattutto, in una riscoperta più meditata dell'evento che vogliono evocare. Progressivamente, il CSPG ha maturato una sua ipotesi, che pone, ancora una volta, al centro una precisa concezione educativa. Luogo, unico e irrinunciabile, dell'azione pastorale è la vita quotidiana: nel suo tessuto Dio si offre all'uomo come ragione di vita e di speranza e l'uomo l'accoglie, affidando al suo mistero tutta la sua esistenza. Questo è il grande sacramento della salvezza, per la solidarietà insperata dell'umanità gloriosa di Gesù con la nostra povertà. Qui la comunità salesiana opera, qui gioca la sua fede e la sua speranza. Di questa esistenza, trascinata verso il futuro pieno di una salvezza che già sperimenta germinalmente, parla, propone, celebra. Di questa esperienza contesta ogni tentativo di chiusura nel contingente, proprio mentre proclama la novità che ci è offerta dall'amore potente del Dio di Gesù. Questo riferimento alla quotidianità si realizza secondo modalità differenti. Ci sono dei momenti in cui celebriamo il dono grande di Dio. Il loro "luogo" è lo spazio del formalmente religioso. E' importante sottrarlo un po' dal nostro ritmo forsennato e autosufficiente. Per questo, le celebrazioni liturgiche hanno tono, ritmo, esigenze che sono "sottratte" allo stile della quotidianità. Per questo, la Parola che viene proclamata ci riporta sempre un po' lontano, nel tempo e nei modelli culturali: è Parola che viene da un mistero che ci supera e ci giudica. In questi casi, però, referente resta la nostra esistenza. Le cose meravigliose che ci arrivano dal passato e il mistero del futuro "inquietano" il nostro presente. Non ascoltiamo, preghiamo e meditiamo per "sapere" ma per essere; non cerchiamo un di più di senso, ma costruiamo vita per noi e per gli altri. In altri momenti, il nostro presente operoso è assunto pienamente e totalmente come il luogo dell'azione pastorale. Condiviso per la verità dell'esperienza salvifica, viene restituito a ciascuno nella libertà e nella speranza. Facendo queste cose, la comunità non fa opera di supplenza, come una concezione dualistica di salvezza voleva supporre, per giustificare indebite invasioni di campo. Essa opera nel suo terreno, la vita quotidiana di ogni uomo, per restituirla piena e abbondante a ciascuno, come anticipazione del futuro della promessa.

    Ridisegnare la dimensione costitutiva dell'essere cristiano

    La diffusa crisi di senso risuona come domanda relativa a cosa significhi essere cristiano oggi:

    - capace di vivere in questo nostro tempo
    - come giovane
    - senza integrismi e senza indebiti riduzionismi (etici, istituzionali, teologici...).

    Provocati da questa questione inquietante, si siamo posti una domanda che ha concentrato la nostra ricerca in questi ultimi anni: possiamo riformulare l'annuncio dell'evangelo di Gesù per i giovani d'oggi "dentro" la cultura in cui essi vivano e in cui si riconoscono? Il problema viene vissuto in termini drammatici da molti giovani (anche se non in modo riflesso), perché investe la ricostruzione della personale identità, trascinata tra i modelli della troppo facile soggettivizzazione e quelli dell'oggettività troppo sicura. Il tipo d'uomo che sta nascendo, nel complesso mondo giovanile, getta in crisi riferimenti che ci siamo abituati a considerare come normativi. Certamente è importante che nei processi di inculturazione la fede possa giudicare e verificare la cultura in cui si esprime. Quando però si affida ai modelli di vita cristiana che ci sono stati tramandati una funzione troppo decisiva, si corre il rischio di far coincidere la fede con le sue espressioni culturali. Operando con una coscienza ermeneutica più aperta e critica, possiamo invece prospettare nuove formulazioni della vita cristiana, rileggendo i modelli culturali oggi ricorrenti nel coraggio della fede e nella fantasia della speranza. Questo ci è sembrato il modo più concreto per prendere sul serio la scelta salesiana degli "ultimi" e dei più poveri. La scelta degli ultimi significa infatti cogliere i problemi, veri e urgenti, dalla parte dei poveri; e immaginare una figura di cristiano veramente sulla loro taglia. Comporta cioè dire la fede nella carne quotidiana della loro esperienza: senza interpretarli ideologicamente e senza affrettarsi ad abbandonarli, appena sono scattate le prime battute del dialogo. Un grosso lavoro di ricerca, progettazione e sperimentazione è stato condotto attorno a questo problema. L'abbiamo progressivamente evidenziato come l'ambito della spiritualità giovanile salesiana e degli itinerari relativi per permetterne la maturazione e il consolidamento.

    Il recupero dell'interiorità

    Abbiamo insistito molto sulla dimensione comunitaria, impegnativa e festosa della vita cristiana. Ci è sembrata una scelta importante, coraggiosa e sicuramente molto evangelica. Abbiamo però costato che troppi giovani hanno vissuto questo all'insegna dell'esteriorità e del conformismo: l'hanno nel sangue perché lo respirano nella cultura in cui vivono. Per questo stiamo dedicando riflessione e proposte sul recupero di una interiorità matura e pensosa. Essa è la qualità dell'impegno, della festa, della solidarietà comunitaria. Senza interiorità, alla lunga e sotto la pressione del clima che ci circonda, troppi giovani possono correre il rischio di vivere l'esperienza cristiana in termini esteriori o, peggio, facendo convivere nella propria vita logiche e atteggiamenti che di evangelico hanno davvero poco. Attraverso la riscoperta di un profondo bisogno di interiorità cresce invece la consapevolezza di quella missionarietà evangelica che spinge a riconoscersi il pugno di lievito, impegnato a far fermentare la vita di tutti, secondo la radicalità provocatoria del Regno.



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    p a g i n A


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