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    Fascino

    di una proposta

    che si rifà a don Bosco

    Giovanni Battista Bosco

     buonicristiani

    Introduzione

    A voi, numerosi giovani
    il cui volto mi è familiare,
    e ai tantissimi, i più,
    che mi sono sconosciuti:

    «diffondete il culto della verità,
    l'ansia della santità,
    la gioia dell'amicizia»
    (Giovanni Paolo 11)

    poiché
    «il giorno in cui si raffreddi l'animo giovanile,
    il mondo intero si metterebbe
    a battere i denti» (Bernanos).

    Sappiate!
    «Non si può vivere senza una faccia.
    A ciascuna generazione
    spetta scrivere un suo vangelo» (M. Pomilio).

    Impegnatevi
    ad essere una pagina aperta di vangelo,
    un quinto evangelo,
    «scritto non con inchiostro,
    ma con lo Spirito del Dio vivente» (2 Cor 3,3), nello stile di Don Bosco.
    A questo serve la «proposta» di spiritualità,
    che mi auguro possa suscitare tanto fascino tra voi.

    Con simpatia
    don Gibi

    È la gioia del cuore, la serenità interiore, che sconfigge la monotonia delle cose consuete, di cui spesso è intessuta l'esistenza. Solo una carica interiore vince il peso della fatica di ogni giorno; essa soltanto consuma la nostra dose di lentezze o disimpegno, e talvolta forse anche di noia, di fronte ai soliti ritmi con cui si succedono gli eventi. L'energia di vita che sale dal di dentro, questa ci rende immuni contro gli agenti infettivi, ci ritempra, sazia il nostro desiderio. Orizzonti nuovi spalanca la ricerca di vita, di pace. La «luce interiore» ci dà occhi nuovi su di noi, sugli amici, sugli avvenimenti, su tutto.
    Ecco un'evidenza per tutti noi! Non ha bisogno di dimostrazioni. Quando c'è «qualcosa dentro» può imperversare la burrasca o l'acqua stagnare, ma noi ci sentiamo «vivi».
    E allora andiamo alla ricerca di questa «luce interiore», della «carica dentro», che dà significato al nostro vivere quotidiano e si esprime in uno «stile di vita» che guida i nostri passi e ne traccia il cammino.

    I. MI INTERROGO SU UNA SIGLA: «MGS»

    L'MGS?! Che è?
    È un movimento di giovani. Ha avuto inizio non da oggi, e non semplicemente da ieri con numerosi di noi. Il geniale suscitatore è stato Don Bosco. Da quando ha pensato di spendersi per la gioventù, ossia da sempre, ha dato vita a una aggregazione, la cellula madre del movimento, che si chiama «Oratorio di Valdocco».
    Guidato dallo Spirito del Signore, questo amico dei giovani, loro «Padre e Maestro», ha sognato, progettato e iniziato un vasto movimento giovanile. Lui ci ha lasciato detto che ne aveva fatto la brutta copia; a noi spettava scrivere la bella. Vero è che tocca a noi oggi realizzare quanto lui ci ha lasciato in eredità: certo, in forme corrispondenti alle novità del tempo presente. Lui però ne rimane sempre l'ispiratore, e non solo.
    Don Bosco era troppo addentro alle cose di Dio, e quindi nel mistero della vita e nel segreto del cuore dell'uomo, per non capire a fondo che la gente, i giovani, si aggregano, stanno insieme, si sentono legati se hanno qualcosa in comune. E quanto più essi vivono «un'anima», «una spiritualità», tanto più si ha condivisione, vitalità, forza di proposte di vita. Le radici del nostro movimento non possono affondare che in un solo terreno dunque: la spiritualità di Don Bosco.
    Il denominatore comune è appunto questo: la proposta di vita cristiana secondo lo stile di Don Bosco, che è un leggere, praticare e comunicare il Vangelo alla sua maniera «giovanile».

    1. In tutto c'è bisogno di un'anima

    Che pensereste di uno stadio vuoto? Sì, certo, ci sarebbe da ammirarne l'architettura, magari anche la distribuzione degli spazi... Tutt'altra cosa esso è però se vi si gioca un derby, se è zeppo di tifosi, se è presente in campo un ammirato campione che sta compiendo un'azione di classe. Che differenza! Nel secondo caso pulsa la vita, si agitano sentimenti, le emozioni si impongono. Insomma, vibra «un'anima». È uno stadio che vive la sua storia.
    Così è dell'MGS. Non è un insieme di giovani come un mucchio di sassi, e neppure un bell'edificio con mattoni a vista, posti l'un sopra l'altro con arte.
    Esso è prima di tutto gente con il cuore che batte all'unisono, giovani che sono sintonizzati sulla stessa lunghezza d'onda, che condividono un progetto comune e un medesimo stile di vita.
    Ma questo non basta. O perlomeno, non è sufficiente per noi. D'altronde, che direste di un fiume che non ha sorgente? di una lampada accesa senza poter correre col pensiero a una fonte di energia? Impossibile!
    Una pianta per produrre frutti necessita di linfa vitale. Ve la ricordate sicuramente l'immagine evangelica della «vite e i tralci». Non è possibile dare frutto se il tralcio è staccato dalla vite. La linfa non scorre e il tralcio può essere buttato via, non serve a nulla.
    La spiritualità nel movimento è sorgente, fonte di energia, è «linfa vitale» che scorre nelle nostre arterie e per questo cresciamo dentro. Senza di essa diventeremmo dei pesi morti, dei membri intorpiditi in cui non fluisce il sangue che dà vita.
    Spiritualità significa anche avere in corpo una carica che spinge all'azione, che vivifica i nostri gruppi, che stimola la comunità in cui siamo inseriti: ci mette tutti in «movimento».2. Spiritualità in pienezza si chiama «santità»
    In verità Don Bosco non ha mai impiegato la parola «spiritualità». È di oggi, del nostro linguaggio ecclesiale. Ne ha usata tuttavia una equivalente: «santità». No, non spaventatevi! Non si tratta di volervi mettere tutti sugli altari, anche se sarebbe molto bello. E neppure di proporre ideali impossibili, solo frustranti. E nemmeno di spronarvi a divenire delle emerite élite o dei giganti di gesti eroici.
    Anzi, al contrario! Don Bosco ha lanciato una «santità di popolo», ossia una santità, una pienezza di vita cristiana, in definitiva una spiritualità, accessibile a tutti, alla gente comune, alla massa dei giovani, persino agli adolescenti.
    L'esito della sua proposta l'abbiamo tra le mani: Domenico Savio, il capolavoro del suo sistema educativo; parecchi altri, come testimonia Don Bosco stesso, che «la Divina Provvidenza si degnò di mandare come modelli di virtù». Per questo ha lasciato scritto «qualche cosa» (biografia) di Domenico Savio, Michele Magone e Francesco Be-succo: ciascuno col suo tipico volto, ben diverso l'uno dall'altro, ma uniti nell'esemplare cammino di santità.
    Così Don Bosco ha anticipato profeticamente lo spirito del Concilio Vaticano II. «Mi piace ricordare - scrive P. Chenu, un teologo francese - colui che ha precorso il Concilio di un secolo: Don Bosco. Don Bosco è già, profeticamente, un nuovo modello di santità» e propone un cammino di vita che è per tutti, una «santità popolare», «una santità giovanile».
    Coraggio dunque! Ci siamo dentro anche noi.

    II. MA COME SI CONFIGURA LA SPIRITUALITÀ PROPOSTA DA DON BOSCO AI GIOVANI?

    Ogni giorno ciascuno di noi si sporca le mani con la quotidianità della vita. È la nostra condizione. Si studia e ci si diverte; la famiglia, il gruppo, gli amici creano il tessuto delle nostre relazioni; un qualche impegno ci affatica, ma la musica, lo sport, spesso qualche banalità ci risollevano. Anche la preghiera a Dio entra nei nostri programmi d'ogni giorno: è fugace, costante, riflessiva, distratta...
    Davanti agli occhi potremmo far scorrere a lungo «la filastrocca recitata» (Shakespeare) degli innumerevoli fotogrammi della vita nostra, e persino forse far gustare qualche sequenza ben riuscita, ma non per questo ne scaturirebbe un vero film, un'opera geniale.
    Eppure la nostra esistenza è un intreccio di vicende che hanno senso: senso banale di vita trascinata, se non travolta, da una coscienza sonnolenta, oppure al contrario senso forte, pregnante di qualcosa che ha dignità e sa vincere il tempo.
    E certamente solo quest'ultimo senso ci porta a pieno appagamento, rende i molteplici episodi della quotidianità un'autentica storia riuscita.
    «A che serve all'uomo - ci ricorda peraltro Gesù -guadagnare il mondo intero, se poi perde se stesso, la sua vita?». L'ambiguità del bene e del male del nostro quotidiano affida a noi l'orbita attorno a cui sentirci «gravitare»: se far parte di un corpo arido e senza vita, in cui la mediocrità, l'effimero, lo scorrere insensato del tempo ci immiseriscono come «un qualsiasi essere senza nome»; o se invece entrare in una costellazione in cui regna l'armonia e la vitalità delle cose sensate che generano alla vita e costruiscono «la maestà dell'uomo». A noi sta la scelta.
    Certo è che in ogni caso il divenire quotidiano non ci lascia in poltrona o in pantofole: le situazioni pongono interrogativi, gli eventi sono spesso appelli o provocazioni, gli «altri» si rivelano ognor più inquieti compagni di viaggio, l'esistenza è piena di sorprese e di interpellanze per chi cammina a occhi aperti. Del resto ciascuno di noi, prima o poi, si interroga su questioni di fondo. Soprattutto i giovani, per la loro stessa condizione, si pongono i grandi interrogativi. Ne dà testimonianza un coetaneo, il giovane ricco del Vangelo. «Che cosa devo fare per avere la vita eterna?», chiede al Maestro Gesù. Oggi si direbbe: «Che cosa devo fare perché la mia vita abbia valore? Per avere pienezza di vita? Per costruire qualità di vita, per non sprecarla?».

    1. La risposta: «Appassionatevi alla vita!»

    La risposta di Don Bosco, della sua spiritualità, è questa: «Giovani, appassionatevi alla vita!». Abbiate passione per tutto ciò che è bello, giusto, buono. Quanto è costruttivo sia nei vostri pensieri e nei vostri cuori. Fate «appello alle risorse dell'intelligenza, del cuore e del desiderio di Dio che ogni uomo porta nel profondo di se stesso». Tuffatevi nel bene, resistete ad ogni schiavitù da qualunque parte giunga. Amate la vita, la pienezza della vita.
    Questo stile di esistenza corrisponde alle vostre più profonde attese, è radicato nella vostra giovinezza che per definizione esplode vita, vitalità e fantasia.
    Non per enfasi, ma per convincimento, il settimo successore di Don Bosco ha scritto: «Che è giovinezza? È primavera... , una semente di futuro dove il bene è più forte del male: il volto umano non ha rughe, il cuore non ha ancora nascondigli, l'intelligenza è festosamente in ricerca di tutto ciò che è vero e lo spirito s'affaccia con attenzione e audacia sui grandi ideali».
    Giovinezza significa: allegria, speranza, trasparenza, audacia, creatività, entusiasmo, lealtà, generosità, disponibilità... Certo, tutto questo non è semplicemente inserito nella biologia: è nel «cuore» che si trova la vera misura di ciò che è la giovinezza. Essa' è «dono» da accogliere, e anche «impegno» da far fruttificare: rimane comunque sempre, come è stata definita da Giovanni Paolo II, «una ricchezza singolare».
    «Non abbiate paura della vostra giovinezza - esorta il Papa -. Non abbiate paura dei profondi desideri che provate di felicità, di verità, di bellezza e di durevole amore! Si dice qualche volta che la società ha paura di questi potenti desideri dei giovani e che voi stessi avete paura... Sappiate che il futuro sta nelle vostre mani, sta nei vostri cuori».
    Su di voi, «la porzione più delicata e la più preziosa della umana società, si fondano le speranze di un felice avvenire» (Don Bosco).
    Ecco! La proposta spirituale di Don Bosco è tutta pervasa di fiduciosa speranza e appassiona alla vita, alla vita piena in tutte le sue espressioni, ricolma di tutte le sue ricchezze. Non è la spiritualità delle parentesi (solo di quando si prega) o degli intervalli (semplicemente di quando ci si impegna in cose serie), oppure della fuga dalla vita,poiché si incarna nelle situazioni quotidiane, è immersa nella vita.
    Neppure è una spiritualità epidermica o di tutte le stagioni: essa coglie un forte desiderio di vita piena, un anelito vigoroso del cuore dell'uomo alla gioia autentica, una appassionata ricerca a riempire di senso tutto ciò che si vive.
    Abbiamo capito: questa proposta ci riguarda da vicino, interessa la nostra realizzazione come uomini e donne, costituiti in «dignità».

    2. UNO ci interpella sulla vita

    E ora ci si para davanti UNO che ha qualcosa di importante da comunicarci a riguardo di tutto ciò. Lo lasciamo esprimersi: è la cosa più semplice. Egli parla con autorevolezza. La sua parola penetra dentro di noi, nel nostro cuore.
    «Io sono la vita» (Gv [= Giovanni] 14,6). «Chiunque vive e crede in me, non morirà mai» (Gv 11,26). «Io sono venuto perché abbiate la vita e la pienezza della vita» (Gv 10,10). «Io do per voi la mia vita» (Gv 10,15). «Io sono il pane della vita. Chi viene a me non avrà più fame» (Gv 6,35). «Il pane che io vi darò è la mia carne, data per la vita del mondo. Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Se qualcuno mangerà di questo pane, vivrà in eterno» (Gv 6,51).
    «Io sono la fonte d'acqua viva. Se qualcuno ha sete, venga a me. Chi crede in me può dissetarsi» (Gv 7,37). «Chi crede in me non avrà mai sete» (Gv 6,35). «L'acqua che io gli darò farà sgorgare in lui una fonte d'acqua viva, che scorre fino alla vita eterna» (Gv 4,14). «Io sono la risurrezione e la vita» (Gv 11,25). «Sono colui che possiede la vita, perché ero morto e adesso sono di nuovo vivo per sempre» (Apocalisse 1,17).
    «Dico queste cose mentre sono ancora sulla terra, perché essi abbiano tutta la mia gioia» (Gv 17,13).
    «Vi ho detto questo, perché la mia gioia sia anche vostra, e la vostra gioia sia perfetta» (Gv 15,11). «Io sono Gesù!» (Atti 9,5).
    Davvero non possiamo agire come l'uomo sciocco, descritto da Luca (6,47-49). Noi intendiamo costruire la casa della nostra esistenza sulla roccia e non sulla sabbia. Non dovremo subire così la rovina completa. Guardiamo a Cristo come a roccia, a fondamento della nostra spiritualità: Lui è il Signore della vita. È Lui la nostra «luce»: chi lo segue «non cammina nelle tenebre» (Gv 8,12); è Lui la nostra «via»: «Chi non cammina con me si perde» (Luca 11,23); Lui è la nostra «verità»: «Se sarete fedeli alla mia parola, conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8,31). Lui è l'amico: «Voi siete amici miei! Non vi chiamo più servi; vi ho chiamato amici» (Gv 15,14). «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,12).

    3. Al centro sta Gesù Cristo, il Signore della vita

    Al centro della vita spirituale dei suoi giovani Don Bosco ha collocato «Gesù Cristo». L'Amico che incontrava spesso nell'Eucaristia fu la scelta consapevole di Domenico Savio: «Darsi tutto al Signore, per sempre al Signore» era in cima ai suoi desideri e propositi. E il diciassettenne Giovanni Bosco, leader riconosciuto di un nutrito gruppo, la «Società dell'allegria» da lui fondata, scrive come primo articolo di un semplicissimo Regolamento: «Nessuna azione, nessun discorso che non sia degno di un cristiano, di un amico del Signore, sia fatto tra noi».
    I giovani di Don Bosco si giocano la loro vita con Gesù di Nazaret. Considerato come uno di noi, fattosi uomo come noi, egli si è lasciato coinvolgere, incarnare nelle nostre stesse situazioni per riscattarle dal male e aprirci le porte a una nuova vita. Questo Gesù li affascina a tal punto da decidersi a puntare tutte le proprie carte su di Lui, a seguirlo in tutto e per tutto.
    La spiritualità giovanile del movimento propone come centro di riferimento, asse portante del quotidiano, Gesù Cristo come Uomo nuovo. Solo in Lui ci si può autenticamente realizzare: «Chiunque segue Cristo, l'uomo perfetto, si fa lui pure più uomo» (GS [= Gaudium et spes] 41).
    «Egli ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con mente d'uomo, ha agito con volontà d'uomo, ha amato con cuore d'uomo» (GS 22). Ma «nessun uomo ha mai parlato come Lui» (Gv 7,46), con autorevolezza, con libertà e bontà, indicando le vie dell'amore, della giustizia, della pace. In Lui troviamo «la chiave, il centro e il fine dell'uomo, nonché di tutta la storia umana» (GS 10).
    Si guarda a Cristo come maestro di vita, per «vedere la storia come Lui, giudicare la vita come Lui, scegliere e amare come Lui, sperare come insegna Lui, vivere in Lui la comunione con Dio» (Rinnovamento della catechesi, 38).
    Insomma, si tratta di poter asserire con Paolo: «Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me» (Galati 2,20).

    4. Il programma di Gesù: l'evangelo delle beatitudini

    «Cari amici - proclamava il Papa ai giovani - il manifesto evangelico delle Beatitudini è semplicemente un programma affascinante per voi giovani. Certamente è un ideale elevato ed esigente. Proprio per questo però risulta un programma di vita fatto su vostra misura. Io, pellegrino, sento il dovere di proclamare davanti a voi che solo in Cristo si trova la risposta ai desideri più profondi del vostro cuore, alla pienezza di tutte le vostre aspirazioni; solo nel vangelo delle Beatitudini di Gesù troverete il senso della vita e la luce piena sulla dignità e il mistero dell'uomo» (2.2.1985).
    Questo «manifesto di Gesù» è in realtà indirizzato a tutti e per tutti rappresenta la maniera più concreta di vivere il progetto rinnovatore del Signore. Ma i giovani ne sono i più sensibili.
    Nel discorso della montagna Gesù proclama la beatitudine di una novità radicale: l'amore. Con lo spirito delle Beatitudini non si tratta più di osservare una legge, ma di testimoniare il più alto valore: il comandamento nuovo della carità; di rendere trasparente una realtà viva: il Dio che ama e continua ad amarci ancor oggi.
    Gesù ha introdotto così nella storia la più grande rivoluzione di tutti i tempi. Dio ha un volto: quello di «Abbà, padre»; Dio ha un cuore, ricolmo d'amore, anzi è «Amore» (1 Gv 4).
    Dio non è colui che troneggia nell'iperuranio, al di fuori e al di là della vicenda umana, bensì colui che porta predilezione per l'uomo e manifesta tenerezza di padre. Dice Ireneo: «Gloria di Dio è l'uomo vivente; ma vita dell'uomo è la visione di Dio».
    Giovanni ne dà testimonianza: «Dio ha manifestato così il suo amore per noi: ha inviato nel mondo suo Figlio per donarci la vita. L'amore vero è appunto questo: non l'amore che abbiamo verso Dio, ma l'amore che Dio ha per noi» (1 Gv 4,9-10).
    E continua: «Vedete come ci ha voluto bene Dio Padre! Egli ci ha chiamati ad essere suoi figli. E noi lo siamo per davvero» (1 Gv 3,1). In fondo la felicità vera scaturisce proprio da questa meravigliosa realtà: sapersi figli di Dio, godere del suo amore paterno.
    Però sarebbe triste se dovessimo viaggiare da soli: soddisfatti, ma isolati. Gesù ci assicura che non ci lascerà orfani. Egli sarà con noi fino alla fine del mondo, e promette il suo Spirito. Il quale è Spirito di comunione, che effonde nei cuori il dono supremo della carità e ci raccoglie tutti nell'unità. Dal giorno della Pentecoste lo Spirito raccoglie i battezzati in un solo corpo, il corpo mistico di Cristo, la Chiesa. Rievocano gli Atti degli apostoli: «Tutti i credenti avevano un cuor solo e un'anima sola... Tutto era fra loro comune» (4,32). «Essi ascoltavano con assiduità l'insegnamento degli apostoli, vivevano insieme fraternamente, partecipavano alla Cena del Signore e pregavano insieme» (2,42).
    Cristo si prolunga nella storia con la sua Chiesa, vivificata dallo Spirito.

    5. Il centro propulsore della vita: la carità di Dio

    La spiritualità di Don Bosco per i suoi giovani è impregnata di amore filiale verso Dio Padre e di vita nuova suscitata dallo Spirito del Signore.
    Lo stupore per la bontà paterna di Dio si traduce giorno dopo giorno in quell'abbandono confidente nelle sue mani provvidenti, in Colui che veste i fiori del campo e nutre gli uccelli del cielo: non seminano e non mietono, eppure Dio pensa a loro. Tale stupore si concretizza nella gratitudine continua di un cuore che si sente chiamato a vivere la vita nella famiglia di Dio e a operare per il suo Regno. L'intuizione profonda dell'amore di Dio esalta in Don Bosco al tempo stesso la vivezza dell'amore fraterno, della predilezione per i suoi giovani.
    Il fascino della vita nuova suscitata dallo Spirito si traduce in una autentica rigenerazione interiore, comunione d'amore .
    L'evento della Pentecoste ha trasformato il cuore degli apostoli, che si sono rivelati coraggiosi propagatori della loro fede in Gesù. Lo Spirito si manifesta così come principio di novità di vita. Il nostro mondo interiore viene plasmato, rigenerato, affmché si possa diventare entusiasti comunicatori dell'amore di Dio per gli uomini.
    Ecco, questo è il centro propulsore della vita spirituale, il propellente che lancia in orbita il movimento giovanile di Don Bosco: la carità di Dio. Senza di essa, nulla si metterebbe in moto. Anzi si alzerebbero al cielo solo fuoco e nuvole di fumo, a immagine di fungo: ma non vedremmo svettare nulla nel cielo.
    Fondamentale è per ciascuno di noi possedere la chiave di lettura per comprendere a fondo la nostra vicenda umana. Ognuno ha bisogno di poter leggere gli eventi nel loro «invisibile», nel loro significato nascosto. Il vivere con intensità la visione delle cose segrete, il mistero di noi stessi, della nostra esistenza, di Dio, è in definitiva la «mistica» della nostra vita quotidiana.

    III. GIOVANI, «PRIMI E IMMEDIATI APOSTOLI DEI GIOVANI»!

    - Movimento giovanile di Don Bosco! Che fa in concreto? - ci si chiederà. La giovinezza è dinamismo e i giovani amano l'azione; Don Bosco lo aveva ben intuito. Ed allora, che direttrice di marcia ha per agire l ' MGS?
    Mi esprimo con qualche immagine.
    Il movimento non è un insieme, un mazzo di narcisi che contemplano se stessi per autocompiacersi. E neppure, anzi tanto meno, si identifica con una «mimosa pudica», che appena toccata si chiude in se stessa, a riccio.
    Noi siamo attirati da una preposizione, siamo affascinati da un «per». Siamo un po' come i girasoli, che insieme si orientano verso il sole. Intendiamo esistere e agire «per». Non in modo qualunque, certo; ma come «apostoli». Così insieme a Don Bosco consideriamo Cristo soprattutto quale apostolo del Padre.
    Vediamo in Don Bosco «un amore che si dona gratuitamente» per «salvare» i suoi giovani.
    La nostra spiritualità dunque contesta con forza i messaggi e le proposte oggi in voga della personalità narcisista, fondata sull'effimero e sull'immediato; ha il coraggio di non cedere alla seduzione delle varie filosofie dell'egoismo. A una visione secolaristica della vita, di una vita in cui non c'è posto e tempo per lo spirito e per Dio, intende diffondere una concezione dell'uomo per cui vale la pena spendersi a piene mani in Dio.
    Noi non vogliamo essere di quelli che cantano che «la vita è bella, ma la morte è uno schifo», poiché crediamo alla vita nuova che dura per sempre e per questo combattiamo la superficialità dello Spirito e la fragilità dei valori, adoperandoci perché sia pienamente riconosciuto e accolto l'amore di Dio in Cristo e la sublime dignità dell'uomo, perché Gesù sia la «pietra angolare» (Efesini 2,20) della nostra vita e della nuova civiltà dell'amore. E di questo ci facciamo banditori.
    Contro il fallimento della coscienza dell'uomo odierno, spesso indifferente e agnostico, stanco e qualunquista, noi proponiamo con vigore evidenze etiche che generano vita, quali la solidarietà, la condivisione, l'amore leale e fedele, l'impegno per gli altri.
    La spiritualità di Don Bosco ci impegna a farci di, sori di novità di vita, messaggeri di bontà, operatori di bene, insomma degli «apostoli». Con la nostra azione ci auguriamo che siano molti a togliersi la maschera dal volto. Per il carnevale serve, e fa anche ridere o ghignare. Mai però porterà a sorridere e gioire, poiché il sorriso e la gioia sono della vita vera.
    Ecco allora: il nostro slogan è «Da mihi animas, cetera tolle», come lo fu per Don Bosco: «Dammi i cuori e tienti tutto il resto»! Si tratta di «guadagnare i cuori» per portarli a Dio. E Don Bosco sa che non ci sono mezzi infallibili per conquistare il cuore dei suoi giovani. Bisogna saper seminare nella speranza che il Signore faccia fruttificare. «Ricordatevi - ci dice - che l'educazione è cosa del cuore, e che Dio solo ne è il padrone, e noi non potremo riuscire a cosa alcuna se Dio non ce ne insegna l'arte e non ce ne dà in mano le chiavi».

    1. Che significa scrivere la vita da apostoli?

    Essere apostoli, sentirsi «missionari di altri giovani»: questo è il punto di coagulo di tutte le nostre esperienze.
    Diventare delle banche-dati, accumulare cioè solo un mucchio di esperienze qualsiasi, sarebbe il nostro smacco. E la sconfitta lascerebbe il sapore di vuoto in noi, come polvere che viene sparsa al vento, come cose che passano senza lasciare rimpianti.
    Noi abbiamo bisogno invece di scrivere la vicenda sensata della nostra esistenza, la «storia» della nostra vita. Nel movimento giovanile la scriviamo così, da apostoli. E allora, che devo fare?

    1.1. Testimoniare l'amore del Signore
    Anzitutto, testimoniare l'amore del Signore. Lo slancio apostolico che «fa cercare le anime e servire solo Dio» vuol dire anzitutto essere «segni e portatori dell'amore di Dio ai giovani». Impegnarsi come apostoli non è trafficare per fare proseliti, ma vivere in prima persona la passione per la vita, far trasparire che Dio è oggi ancora all'opera in noi e tra noi.
    È lo spirito del discorso della montagna che ci spinge a manifestare e a comunicare l'amore di Gesù per la salvezza degli uomini. Del resto la vita di Cristo è il miglior commento al suo manifesto: Egli ha reso visibile la bontà del Padre. E non solo: Egli proclama che la Beatitudine non deriva dall'essere poveri, afflitti, miti... ma dal convincimento interiore di sapersi prescelti da Dio per affrontare le situazioni della vita, soprattutto le più drammatiche, con la stessa carica d'amore che proviene dal Signore.
    Nella mentalità corrente è un messaggio paradossale: il povero è un infelice, l'afflitto uno sfortunato... Ma il Signore ha scelto queste situazioni per dirci che sono il luogo privilegiato per manifestare l'amore più forte che esista e al tempo stesso per rivelarci in che cosa consista l'amore infinito di Dio. «Non v'è amore più grande che dare la vita per i propri amici».
    La nostra spiritualità proclama che questa energia che sgorga dall'intimo e che ci sollecita a servire come ha servito Gesù, è sempre vincente, che il bene è più forte del male.
    La sollecitudine apostolica ci porta a costruire nei cuori dei nostri amici la maniera evangelica di amare e ci spinge a entusiasmarci del bene e a promuoverlo in tutti. Dire giovani, missionari dei giovani, vuol dire far trasparire nei gesti e nelle parole, nell'operare e nel sentire, il Signore presente che rigenera a vita.

    1.2. Realizzare il Regno di Dio
    Agire da apostoli significa in secondo luogo operare perché si realizzi tra noi il Regno di Dio. «Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo Regno» è la nostra preghiera più frequente e l'incalzante sprone a lavorare indefessamente. Guardiamo a Don Bosco: «Non diede passo, non pronunciò parola, non mise mano ad impresa che non avesse di mira la salvezza della gioventù». A lui interessava costruire il Regno di Dio nei cuori. Don Bosco ha sentito vivissima la responsabilità di essere un inviato per una grande missione, egli era preso dagli «affari» di Dio. Gli interessi di Dio erano i suoi. Procedeva come «il Signore lo ispirava e le circostanze esigevano», ma nel suo intimo albergava una sola sollecitudine: «far del bene», far crescere il Regno di Dio, «Regno di amore, di giustizia e di pace».
    Questo Regno è realtà misteriosa che soltanto Gesù può rivelare. Egli non la rivela ai sapienti e ai furbi delle cose del mondo, ma agli umili e ai piccoli. Nelle parabole -e penso alle significative immagini del seme, del granello di senape, del lievito... - vengono nascosti e al contempo svelati progressivamente i segreti del Regno. Il Regno dei cieli, il Regno della consolazione, dell'appagamento, della visione di Dio..., insomma il regno della gioia, da Dio viene proclamato soprattutto come frutto del programma di vita delle Beatitudini: un esito senza confronti, che fa perdere la propria vita per guadagnarla per sempre.

    1.3. Credere nella dignità dell'uomo
    Infine, lavorare da apostoli vuol dire credere nell'uomo, nella sua dignità. Significa camminare tra la gente, tra la gioventù, soprattutto tra quella più indigente, con le mani piene della speranza di Dio, seminando, sicuri che il raccolto arriverà.
    Don Bosco ci ha lasciato in eredità questo suo convincimento: «In ogni giovane havvi un punto accessibile al bene: dovere primo dell'educatore è cercare questo punto, questa corda sensibile».
    Non c'è da temere! Se portiamo con noi una profonda fiducia nell'uomo amato da Dio, anche il deserto fiorirà. Questo atteggiamento di fondo si traduce per noi in disponibilità a servire. Servire il ragazzo che gioca e si diverte, che prega, studia, si stanca, che cerca amicizia, che vuol fare e non si lascia vincere in generosità. È il ragazzo comune, quotidiano: «l'uomo fenomenico» direbbe Paolo VI, «l'uomo storico» (Giovanni Paolo II); non certo quello disincarnato, solo spirituale. Al contrario, siamo attenti agli interessi, aspirazioni, fragilità, agli entusiasmi e agli abbattimenti del giovane in concreto, alle esigenze del presente e del futuro dello spirito e del corpo. La nostra spiritualità ci spinge a servire l'uomo di tutti i giorni con «un amore che sa farsi amare», «un amore che suscita amore», «un amore dimostrato che libera e salva», come era l'amore di Don Bosco.
    Noi professiamo la maestà dell'uomo, costituito figlio di Dio: di tutto l'uomo e di tutti gli uomini. Tra noi non si erigono barriere; le discriminazioni non possono essere di casa nostra.
    Per questo il movimento è aperto a tutti i giovani che intendono unirsi al nostro cammino. Inoltre siamo attenti all'uomo concreto, salvato nella sua totalità dal Cristo crocifisso. La nostra spiritualità non è solo quella delle mani giunte, anche se ci metteremo spesso in ginocchio; non è neppure quella del tempo libero, senza infondere in esso un'impronta spirituale; nemmeno è la spiritualità delle sole «cose serie», ma di tutta la vita, della vitalità espressiva dell'esistenza.

    2. Il nostro proposito è di costruirci e di costruire delle personalità «piene»

    Non accettiamo pertanto una società che «trasforma la virtù in prestazioni, gli ideali in servizi» (F. Alberoni): in essa mancherebbe un'anima e i protagonisti della vita non sarebbero che dei «Personal».
    Noi amiamo incontrare l'altro; e non solo intendersi, anche benissimo, dietro uno sportello. Poiché l'uomo reale lo incontri là dove emerge il gratuito, dove il mondo dei valori dà la gioia più profonda e i più amari dolori. Là dove esiste la scelta morale, dove la virtù è una conquista e l'ideale un traguardo.
    Tendiamo a un modello d'uomo, protagonista delle sue scelte, che non si lascia schiavizzare dagli idoli del momento. Per questo operiamo per vincere la cultura del frammento, che porta solo alla schizofrenia della vita, fratturata in tante esperienze divise, difficilmente componibili tra loro, poiché vissute in modo disorganico.
    Lavoriamo per superare «il dramma della nostra epoca: la frattura tra Vangelo e cultura», per vincere lo stacco tra quanto si dice e quanto si fa.
    Lo scarto tra possibilità e desiderio, tra realtà e ideale rimarrà sempre, è una legge, una realtà dell'umano. E tuttavia la loro separatezza, il distacco alterato tra idee e prassi, è sintomo di grave malattia. Noi guardiamo all'uomo con gli occhi di Dio, creato a sua immagine, progettato sull'uomo nuovo, Gesù Cristo. Il quale non fa finta di essere un uomo, anzi prova la tristezza, la paura e l'angoscia, gioisce dell'amicizia, si commuove e si indigna, è esigente e comprensivo, parla con verità e non condanna. Egli affascina per la sua coerenza di vita, per la sua autorevolezza quando parla, conquista quando testimonia il suo amore sino a dare la vita per i propri amici. Egli è il figlio dell'uomo, il Figlio di Dio.
    Su questa scia possiamo essere missionari, apostoli nello stile di Don Bosco, a cui facciamo riferimento come a Padre, Maestro e Apostolo.

    IV. NOI SIAMO CHIESA ED EDIFICHIAMO CHIESA

    Fuori dalla Chiesa non può essere neppure pensato il movimento di Don Bosco. Così associati siamo presenza di Chiesa, là dove viviamo. «Quando due o tre si riuniscono nel mio nome io sono in mezzo a loro» (Matteo 18,20).
    Ci sentiamo orgogliosi di essere parte del popolo di Dio. Anzi «voi giovani - asserisce il Papa - siete la giovinezza della Chiesa... La vostra giovinezza non è solo proprietà vostra, essa è un bene speciale di tutti. È un bene dell'umanità intera. Poiché voi appartenete al futuro, come il futuro appartiene a voi, in voi c'è la speranza... Siate dunque pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi».
    E il messaggio del Concilio ai giovani rincalza: «La Chiesa vi guarda con fiducia e con amore. Ricca di un lungo passato sempre vivo in lei, e camminando verso la perfezione umana nel tempo e verso i destini ultimi della storia e della vita, essa è la vera giovinezza del mondo. Essa possiede ciò che fa la forza e la bellezza dei giovani: la capacità di rallegrarsi per ciò che comincia, di darsi con generosità, di rinnovarsi e di ripartire per nuove conquiste».
    All'ultimo Sinodo dei Vescovi (1985) si guarda ai giovani come a «speranza della Chiesa». Nel documento finale si scrive: «Questo Sinodo straordinario si rivolge con speciale amore e grande fiducia ai giovani e si attende grandi cose dalla loro generosa dedizione e li esorta affinché raccolgano e continuino con dinamica operosità l'eredità del Concilio».

    1. Giovani e Chiesa camminano insieme

    Giovani e Chiesa camminano dunque insieme, in sintonia. Noi non viviamo la sottile ambiguità del «sì a Cristo e no alla Chiesa». Diciamo ad alta voce e con convinzione il nostro sì a Cristo e alla sua Chiesa.
    Alla scuola di Don Bosco impariamo a vivere e ad esprimere il nostro essere Chiesa. «La coscienza ecclesiale di Don Bosco - scrive il Rettor Maggiore don E. Viganò -si concretizzava in alcuni comportamenti di fede, robusti e pratici. Li esprimeva con semplicità in tre grandi atteggiamenti che vennero chiamati "devozioni": verso Gesù Cristo, salvatore e redentore, presente nell'azione centrale della Chiesa, l'Eucaristia; verso Maria, modello e madre della Chiesa, contemplata nella storia come Ausiliatrice; e verso il Papa, successore di Pietro, posto a capo del Collegio episcopale per il servizio pastorale di tutta la Chiesa».
    Una frase incisiva ha proferito Don Bosco stesso al riguardo: «Qualunque fatica è poca quando si tratta della Chiesa e del papato».
    Non possiamo dunque, né intendiamo considerare la Chiesa, la nostra Chiesa storica e mistica, con distacco; al contrario, sentiamo di dover porre tutte le nostre energie e l'entusiasmo che abbiamo in corpo a servizio della sua crescita nel mondo.
    Un forte senso di Chiesa caratterizza la nostra spiritualità. Esso è coscienza di essere membri di un corpo vivo il cui Capo è Cristo, attori nella comunità ecclesiale, debitori ad ogni uomo dell'annnuncio liberante del Vangelo.
    «Nella Chiesa non mettetevi nella posizione di chiedere - esorta il card. Minig - domandatevi piuttosto che cosa ciascuno può dare; poiché la Chiesa è la nostra casa, siamo noi». Nella Chiesa non è lecito stare alla finestra, rimanere sul ciglio della strada.
    «La Chiesa vi domanda molto - è la parola del Papa ai giovani -. La Chiesa attende molto da voi, perché è portavoce di Cristo, e Cristo è con voi esigente. Non si accontenta di mezze misure. Vi chiama alle vette» (14.5.1985).
    Essa sa di essere frutto di una invenzione dell'amore di Cristo: amare la Chiesa è amare Cristo.

    2. I giovani di Don Bosco parlano di Chiesa con simpatia

    «Anche i giovani sono Chiesa»: è il tema di un convegno giovanile tenuto a Parma nel 1986, un piccolo «Sinodo dei giovani» sulla Chiesa. Esso ha messo in evidenza aspetti fondamentali del nostro essere Chiesa che voglio qui rievocare in breve.
    Uno dei partecipanti ha ricordato con forza provocatoria: «Nei nostri gruppi, nelle comunità lasciamo parlare Cristo, sempre bloccato là su quella Croce, e non chiacchieriamo sempre noi: l'ascolto, la preghiera sono essenziali».
    E un altro: «Pensiamo che tante cose tra noi, non sono cose nostre, cose che vengono semplicemente dal nostro cuore, farina del nostro sacco: esse sono spesso segni di una presenza misteriosa». Alcuni gruppi di lavoro hanno lasciato scritto che «l'oratorio è il luogo privilegiato della azione comunitaria... ; l'aspetto centrale della vita di un gruppo, di un'associazione, di una casa salesiana è la dimensione comunitaria».
    Così, quando si è parlato dell'esperienza di una missione in Etiopia (Dilla) è stato asserito che «la testimonianza più bella della comunità di Dilla è stata la partecipazione, la condivisione, la collaborazione», insomma quello che in riferimento alla Chiesa chiamiamo «comunione».
    Infine, ecco alcune affermazioni significative: «Non basta stare insieme da amici, il gruppo fine a se stesso è destinato a una morte ingloriosa: occorre dare un'anima»; «Non si sta insieme semplicemente per guardarsi negli occhi, ma per fare un servizio, specie ai più piccoli e indigenti»; «I campi di lavoro, le spedizioni missionarie, le iniziative educative in oratorio o altrove sono espressioni di desiderio di servire: essi invocano però di essere collocati in un progetto di vita»; «Quanto sentiamo dentro di noi è soprattutto il bisogno di trasmettere i valori in cui crediamo: bisogna stuzzicare l'altro per far nascere una sana curiosità in modo tale che si possa comunicare quanto abbiamo dentro».
    «Mettersi a servizio - interpreta un ulteriore intervento - significa lavorare per la costruzione del regno di Dio che il Signore ci ha affidato, in particolare mettendosi a servizio degli umili e dei poveri».
    Queste espressioni di alcuni giovani, proferite in un linguaggio usuale, ci hanno richiamato a flash che cosa significa in sostanza essere Chiesa nelle manifestazioni quotidiane della vita.
    Vivere la Chiesa con Don Bosco è dunque sentire la presenza del Signore nella nostra vita con gioia e allegria; sentirsi a casa propria, nella comunità, come in una famiglia in cui tutto si condivide; rendersi disponibili per gli altri, farsi apostoli perché il Regno di Dio possa crescere nel gruppo, in famiglia, nelle comunità.

    V. SPIRITUALITÀ CHE SI TRADUCE IN GESTI E AZIONI CONCRETE

    «L'uomo contemporaneo - afferma Paolo VI - ascolta più volentieri i testimoni che i maestri; o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni». Oggi è urgente impegnarsi nella prassi quotidiana. La nostra spiritualità si concretizza negli ambienti in cui viviamo, si traduce in impegni concreti e operativi. L'Oratorio di Valdocco ne è l'emblema più evidente: esso è una scuola stupenda di apostolato in cui Don Bosco, maestro geniale di fede, crea iniziative per formare all'impegno; è una efficace scuola di ricerca vocazionale, in cui la testimonianza dell'uomo di Dio, del prete sempre e dovunque, affascina i ragazzi, che si sentono trascinati a vivere come lui, a stare con lui; è una fervida scuola missionaria, la cui ragion d'essere è la «salvezza delle anime». In definitiva la casa di Don Bosco è un'autentica scuola di spiritualità, in cui la santità di vita spicca come ideale educativo che affascina e può essere realizzato nel concreto d'ogni giorno.
    Ecco allora indicazioni operative che traducono nella prassi quanto scaturisce dallo Spirito. Le propongo facendo riferimento a un articolo della «Regola di vita» dei Salesiani. Esso indica il criterio-chiave per discernere l'azione da svolgere. Suona così: «Don Bosco visse una tipica esperienza spirituale nel suo primo Oratorio, che fu per i giovani casa che accoglie, parrocchia che evangelizza, scuola che avvia alla vita e cortile per incontrarsi da amici e vivere in allegria».
    È una descrizione di grande pregnanza salesiana. Sono immagini educative, che richiamano convincimenti spirituali e programmi di vita. La commento in breve.

    1. «Casa che accoglie»: rievoca lo stile di famiglia del nostro stare insieme. Dice fiducia e dialogo vicendevole. Manifesta un atteggiamento di simpatia e di volontà di contatto. «Qui con voi mi trovo bene, è proprio la mia vita stare con voi» (Don Bosco).
    Significa presenza attiva e amichevole che favorisce ogni iniziativa di bene, che accoglie la persona così com'è per aiutarla a crescere, che gioisce dei doni di ciascuno e ha profondo rispetto per il contributo responsabile di ognuno. Ciascuno si sente a proprio agio, come a casa sua: attore e protagonista per costruire il gruppo, per edificare la comunità. Non per nulla al di là di tutti i termini che vengono usati per denominare le strutture salesiane, come Oratorio, Scuola, Istituto, Pensionato... uno le comprende tutte ed è quello più usuale ed espressivo: Casa Salesiana.
    In casa si partecipa, si è intraprendenti, ci si interessa di tutti, specialmente dei più deboli. L'inventiva viene messa a frutto perché ognuno si possa trovare bene.

    2. «Parrocchia che evangelizza» fa pensare a tutto ciò che riguarda Dio. La religione è uno dei termini del trinomio del sistema preventivo di Don Bosco. «Senza la religione non è possibile educare», affermava; una religione non forzata, ma sempre alla base di ogni cosa. Del resto era sua convinzione che «il giovane ama più che altri non creda che si entri a parlargli dei suoi interessi eterni, e capisce da ciò chi gli vuole e chi non gli vuole veramente bene».
    Nelle Case salesiane si ascolta pertanto la parola di Dio, che fa crescere nella fede. Non possono mancare gli appuntamenti con il Signore. Il dialogo con chi genera la vita nuova è usuale. Il peccato è il male oscuro che mina il tessuto della vita. Da esso si rifugge. A sostegno ci si incontra frequentemente con il Signore nel segno sacramentale della Riconciliazione e del Perdono. Per intensificare la comunione con Lui, l'Eucaristia è al centro della vita. Gesù eucaristico è la grande «devozione» di Don Bosco per i suoi giovani. Gesù è la sorgente dell'impegno a far del bene agli altri, a dedicarsi nel servizio apostolico. A Lui si attinge come a fonte di vita, e per camminare speditamente verso di Lui ci si lascia condurre da una guida spirituale.

    3. «Scuola che avvia alla vita» si riferisce a tutto il vasto campo della cultura e della professione. Per Don Bosco le realtà temporali sono cose serie.
    Le chiamava studio, lavoro. Sono le chiavi interpretative di allora. Ma egli aveva intuito la portata sociale della sua opera. La tensione educativa verso i suoi giovani lo ha condotto a inventare scuole per giovani operai, e tantissime altre iniziative, a «correre in avanti sino alla temerità», proprio in questo campo.
    La casa di Don Bosco non può essere semplicemente considerata come l'ambiente del tempo libero. Ai suoi ragazzi Don Bosco parlava spesso di «dovere»: una parola oggi malata, proibita. Ma al di là del termine rimane la sostanza: egli spronava alla responsabilità civile, alla competenza e professionalità, all'onestà di fronte ai propri impegni di lavoro. Egli si sentiva pienamente cittadino e si proponeva come meta educativa di formare «onesti cittadini» e buoni cristiani.
    Questo dice che la nostra spiritualità non deve aver paura di sporcarsi le mani con le cose di questo mondo; anzi, dobbiamo operare, per dirla con una bella espressione, come «monaci delle cose».
    Impegnati nelle sollecitudini comuni di ogni uomo, abbiamo un occhio specialissimo per quanto concerne l'educazione. Un educatore come Don Bosco non può non generare educatori. Quella di Don Bosco è una missione tipicamente educativa nella società come nella Chiesa.

    4. «Cortile per incontrarsi da amici e vivere in allegria»: proclama che si può e si deve servire il Signore nella gioia. Nella casa di Don Bosco l'allegria è l'undicesimo comandamento ed è costitutiva della sua pedagogia.
    Don Bosco comprende che il ragazzo è ragazzo..., che la sua esigenza più profonda è la gioia, la libertà, lo sport, la società dell'allegria.
    Certamente frutto di religiosità interiore, l'allegria ha bisogno di manifestarsi. Nel Regolamento per le Case salesiane viene codificato: «Si dia ampia libertà di saltare, correre, schiamazzare a piacimento. La ginnastica, la musica, la declamazione, il teatrino, le passaggiate sono mezzi efficacissimi per giovare alla moralità e alla sanità».
    Il cortile è «Don Bosco tra i giovani»: un'idea, un'immagine che non ha bisogno di molti commenti. «Io non voglio che mi consideriate tanto come vostro superiore, quanto come vostro amico».
    Il cortile è invito ed espressione di gioia e di ottimismo, ma anche di relazioni profonde di amicizia: esso facilita incontri spontanei e aperti, è terreno fertile di autentiche e durature amicizie. Si può suscitare confidenza, e si stringono patti di bontà.
    Il cortile alla Don Bosco è il luogo dell'incontro e della letizia, della gratuità e dell'amicizia. Con ragione si può dire: «Siamo gente di festa», noi.

    A CONCLUSIONE

    Non possiamo dimenticare una figura, sempre presente nella vita di Don Bosco: Maria. Non potremmo capire la nostra spiritualità senza di lei. «I miei amici saranno Gesù e Maria», dichiara Domenico Savio. Nel sogno delle due colonne la Madonna è baluardo di vittoria.
    Maria per Don Bosco partecipa intensamente alla grande vicenda della storia della salvezza. Ella è Madre della Chiesa, Aiuto dei Cristiani. Non è solo però concreta espressione della vicinanza di Dio, ma è anche modello di vita. A lei ci ispiriamo nella contemplazione e nella disponibilità, nel silenzio e nella fedeltà, nella gioia del suo Magnificat.
    «I nostri tempi non sono meno difficili dei tempi di Don Bosco. Nella svolta sociale che il mondo d'oggi esige dalla Chiesa di Dio, la presenza di Maria, Madre della Chiesa e Ausiliatrice dei battezzati, è un impulso e uno stimolo efficace... La devozione a Maria Ausiliatrice deve suscitare in noi, come in Don Bosco, un ardente zelo apostolico nella lotta contro il male e nello sforzo per suscitare dei cristiani che abbiano il senso di Chiesa e la volontà di costruire un mondo conforme alle Beatitudini»: lo hanno affermato i Salesiani nel loro «Capitolo speciale».
    L'amore filiale e forte per Maria è sostegno imprescindibile della nostra spiritualità: Ella nutre l'ardore del nostro impegno apostolico, ci accompagna nel cammino della nostra crescita spirituale.
    Nelle mani di Maria, Madre, Maestra e Guida, affidiamo il Movimento.

    INDICE

    Introduzione

    I. Mi interrogo su una sigla: «MGS»

    1. In tutto c'è bisogno di un'anima

    2. Spiritualità in pienezza si chiama «santità»

    II. Ma come si configura la spiritualità proposta da Don Bosco ai giovani?          

    1. La risposta: «Appassionatevi alla vita!»

    2. UNO ci interpella sulla vita

    3. Al centro sta Gesù Cristo, il Signore della vita    

    4. Il programma di Gesù: l'evangelo delle beatitudini         

    5. Il centro propulsore della vita: la carità di Dio   

    III. Giovani, «primi e immediati apostoli dei giovani»!

    1. Che significa scrivere la vita da apostoli?

    1.1. Testimoniare l'amore del Signore          

    1.2. Realizzare il Regno di Dio

    1.3. Credere nella dignità dell'uomo

    2. Il nostro proposito è di costruirci e di costruire delle personalità «piene»                                 

    IV. Noi siamo Chiesa ed edifichiamo Chiesa

    1. Giovani e Chiesa camminamo insieme

    2. I giovani di Don Bosco parlano di Chiesa con simpatia

    V. Spiritualità che si traduce in gesti e azioni concrete

    A conclusione


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