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     Testi di

    riferimento "salesiano"

    al documento

    «BUONA STOFFA.
    Per un artigianato dell’accompagnamento salesiano»


    Dal momento che il dossier che presentiamo ai lettori (anche come contributo specifico alle tematiche del Sinodo sui/per i giovani) fanno riferimento ad episodi della vita di don Bosco probabilmente non conosciuti ai comuni lettori, offriamo qui in sintesi questi riferimenti narrativi a cui si ispirano le tre parti del dossier di NPG.

    1. "VA' PER LA CITTÀ E GUARDATI ATTORNO"

    Le Memorie dell’Oratorio di San Giovanni Bosco

    1citta  

    PRESENTAZIONE
    Quando aveva 58 anni, per ordine di Pio IX, Don Bosco dovette scrivere la storia dei primi quarant'anni della sua vita. Oggi questo prezioso testo è riproposto integralmente. É solo stata ritoccata la lingua: l'italiano popolare del 1800 viene trascritto nell'italiano popolare di oggi.
    [San Giovanni Bosco, Memorie. Trascrizione in lingua corrente di Teresio Bosco, Elledici, Leumann 1985]

    11. Imparare ad essere prete

    Tre stipendi rifiutati
    Sul finire di quell'estate mi vennero offerti tre incarichi. Una famiglia signorile di Genova mi chiese come maestro privato. L'onorario sarebbe stato di mille lire all'anno.
    I miei compaesani di Morialdo, desiderando vivamente che mi fermassi tra loro, mi pregarono di accettare il posto di cappellano. Mi garantivano che avrebbero raddoppiato lo stipendio consueto.
    Mi venne pure offerto il posto di viceparroco a Castelnuovo. Prima di prendere una decisione mi recai a Torino a consultare don Cafasso, che da parecchi anni era diventato mio consigliere nelle decisioni materiali e spirituali. Quel santo prete ascoltò tutto: l'offerta di buoni stipendi, l'insistenza di parenti e amici, la mia grande volontà di lavorare. Alla fine, senza esitazione, mi disse:
    - Non accetti niente. Venga qui al Convitto Ecclesiastico. Lei ha bisogno di completare la sua formazione studiando morale (la scienza che insegna a vivere cristianamente) e predicazione.
    Accettai volentieri il consiglio, e il 3 novembre entrai nel Convitto.

    Don Guala, il grande professore
    Nel Convitto Ecclesiastico si imparava ad essere preti. Nei seminari, infatti, si dava molta importanza allo studio delle verità della fede e alle discussioni per approfondirle. La morale si limitava ad affrontare i problemi più difficili e incerti. Il Convitto completava gli studi del seminario.
    Il tempo era impiegato in meditazione, letture spirituali, due lezioni al giorno (di morale), lezioni di predicazione, momenti di raccoglimento e riflessione. C'era tempo e comodità di studiare e leggere buoni autori.
    A capo del Convitto Ecclesiastico erano due persone celebri per sapienza e santità: il teologo Luigi Guala e don Giuseppe Cafasso.
    Don Guala era il fondatore dell'opera. Durante l'occupazione francese del Piemonte (1797-1814) aveva dimostrato una carità inesauribile. Uomo disinteressato, ricco di scienza, prudenza, coraggio, aveva fondato il Convitto perché dopo gli studi del seminario i giovani sacerdoti potessero imparare a fare i preti. Da quest'opera venne un gran bene per la Chiesa: furono specialmente sradicate alcune radici giansenistiche che continuavano ad allignare nella Chiesa piemontese.
    Una delle questioni più agitate nella scienza morale era quella detta « del probabilismo e del probabiliorismo ». Alla testa dei « probabilioristi » erano alcuni autori rigidi, tra cui Alasia e Antoine. Il loro comportamento rigoroso poteva portare ad atteggiamenti giansenistici. I « probabilisti » seguivano gli insegnamenti morali di sant'Alfonso. Oggi la Chiesa ha proclamato questo santo « dottore della Chiesa », e il suo pensiero si può chiamare «il pensiero del Papa», perché il Papa ha dichiarato che le sue opere si possono insegnare, predicare, praticare, seguire senza alcun pericolo.
    Il teologo Guala si collocava in maniera ferma al di sopra di ogni discussione. Al centro di ogni problema metteva la carità del Signore, e riusciva così a non cedere né al rigorismo né al permissivismo. Grazie alla sua azione, sant'Alfonso divenne il maestro delle scuole teologiche piemontesi, con conseguenze ottime.

    Don Cafasso, la guida spirituale
    Braccio destro del teologo Guala era don Cafasso. Egli riuscì a sciogliere l'ultimo ghiaccio che rimaneva tra probabilioristi e probabilisti con una calma imperturbabile, una carità delicatissima, usando tanta prudenza e tanta finezza.
    Un altro uomo molto prezioso del Convitto era il teologo Felice Golzio. La sua vita modesta fece poco scalpore, ma fu un aiuto inestimabile per don Guala e don Cafasso, con un lavoro instancabile, una profonda umiltà e una mente limpidissima.
    Questi tre grandi preti di Torino lavorarono con vero zelo nelle carceri e negli ospedali, sui pulpiti e nelle case dei malati. I frutti della loro carità beneficarono città e paesi, entrarono nei palazzi dei ricchi e nelle case dei poveri.
    Furono questi i tre modelli che la divina Provvidenza mi pose davanti. Dipendeva solo da me copiarli nella mia vita.

    Ragazzi dietro le sbarre
    Don Cafasso da sei anni era ormai la mia guida spirituale. Se ho fatto qualcosa di bene nella vita lo devo a lui. Domandavo il suo consiglio in ogni scelta, ogni progetto, ogni orientamento del mio lavoro sacerdotale.
    Egli cominciò a condurmi a visitare i carcerati. Nelle prigioni imparai a conoscere quanto è grande la malignità e la miseria degli uomini. Vedere un numero grande di ragazzi tra i 12 e i 18 anni, sani, robusti, intelligenti, vederli là oziosi, tormentati dalle cimici e dai pidocchi, senza pane e senza una parola buona, mi fece inorridire.
    Quei giovani infelici erano una macchia per la nostra patria, un disonore per le famiglie. Erano umiliati fino alla perdita della propria dignità. Quello che più mi impressionava era che molti, quando riacquistavano la libertà, erano decisi a vivere in maniera diversa, migliore. Ma dopo poco tempo finivano di nuovo dietro le sbarre.
    Cercai di capire la causa, e conclusi che molti erano di nuovo arrestati perché si trovavano abbandonati a se stessi. Pensavo: «Questi ragazzi dovrebbero trovare fuori un amico che si prende cura di loro, li assiste, li istruisce, li conduce in chiesa nei giorni di festa. Allora forse non tornerebbero a rovinarsi, o almeno sarebbero ben pochi a tornare in prigione ». Comunicai questo pensiero a don Cafasso, e col suo aiuto cercai il modo di tradurlo in realtà. Avevo molta confidenza nel Signore, perché sapevo che senza il suo aiuto ogni nostro sforzo è vano.


    INDICE:

    LA VITA MARCHIATA DA UN SOGNO (1815 – 1825)
    - La fame e il sogno

    GLI ANNI FAVOLOSI (1825 – 1835)
    - Giovanissimo saltimbanco
    - Incontri
    - Quando morì la speranza
    - Tanta strada per andare a scuola
    - A Chieri tre classi in un anno
    - La società dell’allegria
    - I giorni dell’allegria e della disciplina
    - Incontro con Luigi Comollo
    - Avvenimenti piccoli e grandi
    - Un amico ebreo, Giona
    - Magia bianca
    - Le olimpiadi di Giovanni Bosco
    - Fame di libri
    - Che cosa farò della mia vita?

    IL CAMMINO DI UNA GRANDE IDEA (1835 – 1845)
    - Veste nera
    - Il viatico di mamma Margherita
    - Tarocchi in seminario
    - Vacanze
    - Giorni liberi sulle colline del Monferrato
    - Notizie dall’al di là
    - Le parole col nocciolo di don Borel
    - Curvo sulle pagine bianche
    - Prete per sempre
    - Quando il cavallo s’imbizzarrì
    - Imparare ad essere prete
    - «Ho 16 anni e non so niente»
    - Il primissimo oratorio
    - La volontà di Dio indica Valdocco
    - Un sogno che ritorna
    - Nella casa della Marchesa
    - L’Oratorio sfrattato
    - Fallimento a San Pietro in Vincoli
    - Tre stanze e uno sfratto a primavera
    - Un oratorio che ha per tetto il cielo
    - Testa a testa con Cavour
    - Dopo il marchese, la marchesa
    - La tettoia dove cominciò tutto

    L'ALBERO CRESCE ED ESTENDE I RAMI (1846 – 1856)
    - Una giornata dell'Oratorio
    - Re Carlo Alberto salva l'Oratorio
    - Anche gli analfabeti hanno diritto alla scuola
    - La notte in cui don Bosco doveva morire
    - Ritorno con Mamma Margherita
    - Il primo «gruppo giovanile»
    - Il primo orfano arriva dalla Valsesia
    - Il secondo oratorio
    - 1848, un anno difficile
    - Lezioni coraggiose di vita cristiana
    - 1849. Trentatré lire per Pio IX
    - «Voglio tenermi fuori dalla politica»
    - Preti e giovani se ne vanno
    - Il peso della solitudine
    - Comprare una casa e affittare una bettola
    - Una chiesa e una lotteria
    - «Guai a Torino il 26 aprile!»
    - Un terribile crollo nella notte
    - 1853. Nascono le «Letture Cattoliche»
    - 1854. A tu per tu con i protestanti
    - Congiurati balordi al «Cuor d’oro»
    - «Volevano farmi la festa»
    - Il Grigio

     

    2. “FACCIAMO UN BELL'ABITO PER IL SIGNORE”

    Vita del giovanetto Savio Domenico allievo dell’Oratorio di S. Franc. di Sales per cura del Sac. Giovanni Bosco

    2Domenico Savio

    CAPO VII
    Prima conoscenza fatta di lui. Curiosi episodi in questa congiuntura.

    Le cose che sono per raccontare posso esporle con maggior corredo di circostanze, perche´ sono quasi tutte avvenute sotto gli occhi miei, e per lo piu` alla presenza di una moltitudine di giovani che tutti vanno d' accordo nell’asserirle. Correva l’anno 1854 quando il nominato D. Cugliero venne a parlarmi di un suo allievo per ingegno e per pieta` degno di particolare riguardo. Qui in sua casa, egli diceva, puo` avere giovani uguali, ma difficilmente avra` chi lo superi in talento e virtu`. Ne faccia la prova e trovera` un s. Luigi. Fummo intesi che me lo avrebbe mandato a Murialdo all’occasione che sono solito di trovarmi cola` coi giovani di questa casa per far loro godere un po’ di campagna, e nel tempo stesso fare la novena e celebrare la solennita` del Rosario di Maria Santissima.
    Era il primo lunedi` d’ottobre di buon mattino, allorache´ vedo un fanciullo accompagnato da suo padre che si avvicina per | p. 28 | parlarmi. - Il volto suo ilare, l’aria ridente, ma rispettosa, trassero verso di lui i miei sguardi.
    Chi sei, gli dissi, onde vieni?
    Io sono, rispose, Savio Domenico, di cui le ha parlato D. Cugliero mio maestro, e veniamo da Mondonio.
    Allora lo chiamai da parte, e messici a ragionare dello studio fatto, del tenor di vita fino allora praticato, siamo tosto entrati in piena confidenza egli con me, io con lui.
    Conobbi in quel giovane un animo tutto secondo lo spirito del Signore e rimasi non poco stupito considerando i lavori che la grazia divina aveva gia` operato in cosi tenera eta`.
    Dopo un ragionamento alquanto prolungato, prima che io chiamassi il padre, mi disse queste precise parole: ebbene che gliene pare? mi condurra` a Torino per istudiare? - Eh! mi pare che ci sia buona stoffa.
    - A che puo` servire questa, stoffa?
    - A fare un bell' abito da regalare al Signore.
    - Dunque io sono la stoffa; ella ne sia il sarto; dunque mi prenda con lei e fara` un bell’abito pel Signore.
    - Io temo che la tua gracilita` non regga per lo studio.
    - Non tema questo; quel Signore che mi ha dato finora sanita` e grazia, mi aiutera` anche per l’avvenire.
    - Ma quando tu abbia terminato lo studio del latino, che cosa vorrai fare?
    - Se il Signore mi concedera` tanta gra-| p. 29 |-zia, desidero ardentemente di abbracciare lo stato ecclesiastico.
    - Bene: ora voglio provare se hai bastante capacita` per lo studio: prendi questo libretto (era un fascicolo delle Letture Cattoliche), di quest’oggi studia questa pagina, domani ritornerai per recitarmela.
    Cio` detto lo lasciai in liberta` d’andarsi a trastullare con altri giovani, indi mi posi a parlare col padre. Passarono non piu` di otto minuti, quando ridendo si avanza Domenico e mi dice: se vuole, recito adesso la mia pagina. Presi il libro e con mia sorpresa conobbi che non solo aveva letteralmente studiato la pagina assegnata, ma che comprendeva benissimo il senso delle cose in essa contenute.
    Bravo, gli dissi, tu hai anticipato lo studio della tua lezione ed io anticipo la risposta. Si`; ti condurro` a Torino e fin d’ora sei annoverato tra i miei cari figliuoli, comincia anche tu fin d’ora a pregare Iddio, affinche´ aiuti me e te a fare la sua santa volonta`.
    Non sapendo egli come esprimere meglio la sua contentezza e la sua gratitudine, mi prese la mano, la strinse, la bacio` piu` volte e infine disse: spero di regolarmi in modo che non abbia mai a lamentarsi della mia condotta.

     

    3. "SE UN BIRBANTE..."

    G. BOSCO, Cenno biografico del giovanetto Magone Michele allievo dell’Oratorio di S. Francesco di Sales 

    magone

    CAPO II
    Sua vita precedente e sua venuta all'Oratorio di s. Francesco di Sales

    Il non avere potuto conoscere il prete, con cui aveva parlato, fece nascere in Magone vivo desiderio di sapere chi egli fosse; quindi senza aspettare l'indomani si recò immediatamente dal sig. Can. D. Ariccio raccontando con enfasi le cose udite. Il viceparroco comprese ogni cosa, e nel giorno seguente mi scrisse una lettera in cui dava giusto ragguaglio delle maraviglie riguardanti alla vita del nostro generale.
    «Il giovane Magone Michele, mi scriveva, è un povero ragazzo orfano di padre; la madre dovendo pensar a dare pane alla famiglia non può assisterlo, perciò egli passa il suo tempo nelle vie e nelle piazze coi monelli. Ha un ingegno non ordinario; ma la sua volubilità e sbadataggine l'hanno fatto licenziare più volte dalla scuola; tuttavia egli ha fatto abbastanza bene la terza elementare.
    «In quanto alla moralità io lo credo buono di cuore e di semplici costumi; ma difficile a domarsi. Nelle classi di scuola o di catechismo è il disturbatore universale; quando non interviene tutto è in pace; e quando se ne va via fa un beneficio a tutti.
    «L'età, la povertà, l'indole, l'ingegno lo rendono degno d'ogni caritatevole riguardo.
    Egli è nato il 19 settembre nel 1845».
    Dietro queste informazioni ho deciso di riceverlo tra i giovani di questa casa per destinarlo allo studio o ad un'arte meccanica. Ricevuta la lettera di accettazione il nostro candidato era impaziente di venire a Torino. Pensavasi egli di godere le delizie del paradiso terrestre, e diventare padrone dei danari di tutta questa capitale.
    Pochi giorni dopo me lo vedo comparire avanti. Eccomi, disse, correndomi incontro, eccomi, io sono quel Magone Michele che avete incontrato alla stazione della ferrovia a Carmagnola.
    - So tutto, mio caro; sei venuto di buona volontà? - Sì, sì, la buona volontà non mi manca.
    - Se hai buona volontà, io ti raccomando di non mettermi sossopra tutta la casa.
    - Oh state pure tranquillo, che non vi darò dispiacere. Pel passato mi sono regolato male; per l’avvenire non voglio più che sia così. Due miei compagni sono già in prigione ed io… - Sta di buon animo; dimmi solo se ami meglio di studiare, o intraprendere un mestiere? - Sono disposto di fare come volete; se però mi lasciate la scelta, preferirei di studiare.
    - Posto che ti metta allo studio, che cosa ti sembra di aver in animo di fare terminate le tue classi? - Se un birbante... ciò disse e poi chinò il capo ridendo.
    - Continua pure, che vuoi dire; se un birbante...
    - Se un birbante potesse diventare abbastanza buono per ancora farsi prete, io mi farei volentieri prete.
    - Vedremo adunque che cosa saprà fare un birbante. Ti metterò allo studio; in quanto poi al farti prete od altro, ciò dipenderà dal tuo progresso nello studio, dalla tua condotta morale, e dai segni che darai di essere chiamato allo stato ecclesiastico.
    - Se gli sforzi di una buona volontà potranno riuscire a qualche cosa, vi assicuro che non avrete ad essere malcontento di me.
    Per prima cosa gli venne assegnato un compagno, che a lui facesse da Angelo custode. È consuetudine di questa casa che quando si riceva qualche giovanetto di moralità sospetta o non abbastanza conosciuta si affidi ad un allievo dei più anziani della casa, e di moralità assicurata, affinché lo assista, lo corregga secondo il bisogno fino a tanto che si possa senza pericolo ammettere cogli altri compagni. Senza che Magone il sapesse, nel modo più accorto e più caritatevole quel compagno non lo perdeva mai di vista: lo accompagnava nella scuola, nello studio, nella ricreazione: scherzava con lui, giuocava con lui. Ma ad ogni momento bisognava che gli dicesse: Non fare questo discorso che è cattivo; non dire quella parola, non nominare il santo nome di Dio invano. Ed egli, sebbene spesso gli apparisse l'impazienza sul volto, non altro diceva che: bravo, hai fatto bene di avvisarmi; tu sei proprio un buon compagno. Se pel passato avessi avuto te per compagno non avrei contratte queste pessime abitudini che adesso non posso più abbandonare.
    Nei primi giorni egli non provava gusto quasi in nessuna cosa dalla ricreazione in fuori. Cantare, gridare, correre, saltare, schiamazzare erano gli oggetti che appagavamo l'indole sua focosa e vivace. Quando però il compagno gli diceva: Magone, il campanello ci invita allo studio, alla scuola, alla preghiera o simili, dava ancora un compassionevole sguardo ai trastulli, di poi, senza opporre difficoltà andavasene ove il dovere lo chiamava.
    Ma un bel momento di vederlo era quando il campanello dava il segno del fine di qualche dovere, cui teneva dietro la ricreazione! Sembrava che uscisse dalla bocca di un cannone; volava in tutti gli angoli del cortile; ogni trastullo ove fosse stata impiegata destrezza corporale formava la sua delizia. Il giuoco che noi diciamo barrarotta era a lui prediletto e in esso era celeberrimo. Mescolando così la ricreazione agli altri doveri scolastici egli trovava assai dolce il novello tenore di vita.

     


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