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    Capitolo 5

    Figure del sistema preventivo

    vicine a don Bosco

    Pietro Braido

     

    Don Bosco non è un isolato nella storia, tanto meno nell’Ottocento. Il "sistema preventivo" che pratica, di cui parla e, infine, scrive, sorge in un contesto nel quale analoghi orientamenti sono seguiti, codificati e proposti anche da altri. Si tratta di educatori e di educatrici, spesso geograficamente vicini, che, in qualche caso, hanno influito, o potrebbero aver influito, su di lui, o perché ne poté leggere taluni scritti o ebbe modo di averne una qualche notizia. Soprattutto sono uomini e istituzioni che condividono con lui le ansie nei confronti della gioventù in tempi nuovi e difficili e intraprendono tipi non dissimili di iniziative in favore di essa, con "mentalità" e "linguaggi", che rivelano forti convergenze verso uno stile educativo, che si può legittimamente definire "preventivo".

    Si dovranno, pure, tener presenti istituzioni che, pur risalendo a secoli precedenti, don Bosco ha visto operanti nel suo tempo e con le quali è venuto in contatto. Ci si riferisce, in particolare, ai lasalliani e ai barnabiti.

    1. I fratelli Cavanis

    Nei primi decenni del secolo operano a Venezia (dal 1797 al 1866 appartenente al Regno Lombardo-Veneto assegnato agli Asburgo di Vienna) due fratelli sacerdoti della nobiltà cittadina: Antonio Angelo (1772-1858) e Marco Antonio (1774-1853) Cavanis1. Essi danno vita ad una Congregazione mariana (1802) che si sviluppa in un "Oratorio" e nelle "scuole di carità" per giovani poveri e abbandonati (la prima nel 1804), con prime propaggini a Possagno (Treviso) e a Lendinara (Rovigo). Per garantirne la continuità fondano la Congregazione dei chierici secolari delle scuole di carità, approvata dal Patriarca di Venezia nel 1819 e da Gregorio XVI nel 1836, eretta canonicamente il 16 luglio 1838. Le scuole di carità offrono istruzione gratuita elementare e media, formazione religiosa, assistenza nelle attività ricreative, "prevenzione" dai pericoli fisici e morali. La paterna familiarità può considerarsi il nucleo del metodo educativo, caratterizzato da assidua vigilanza, "continua, amorosa sopravveglianza", "amorosa disciplina", in funzione della realizzazione di una sintesi vitale e educativa di valori religiosi e umani. Vi si armonizzano alcune fondamentali prescrizioni delle "costituzioni" della Società religiosa, che approdano a un’autentica spiritualità educativa.

    [L’Istitutol "abbraccia con amore paterno fanciulli e adolescenti, li educa gratuitamente, li difende dal contagio del mondo, e non risparmia sacrifici e fatiche per compensare, per quanto è possibile, le dannose e quasi universali deficienze dell’educazione domestica"2. "Gli insegnanti si propongano di svolgere il loro compito tra i fanciulli non tanto come maestri, ma come padri; pertanto si assumano la cura dei fanciulli con la massima carità; non insegnino nulla che non sia condito con il sale della pietà; si studino sempre di imbeverli dei costumi cristiani, li preservino con paterna vigilanza dal contagio del mondo; siano solleciti nell’attirarli con grande amore a sé con gli oratori, le riunioni spirituali, i catechismi quotidiani, le scuole, ed anche con giochi innocenti"3.

    Don Bosco stesso, a più riprese, attesta di aver utilizzato le Costituzioni dei Cavanis nel redigere quelle della Società salesiana.

    "Nella estensione de’ singoli capi ed articoli ho in più cose seguito altre Società già dalla Chiesa approvate le quali hanno uno scopo affine a questo. Tali furono p. e. le regole dell’Istituto Cavanis di Venezia; dell’Istituto di Carità; de’ Somaschi e degli Oblati di Maria Vergine"4.

    "In quanto al costitutivo delle regole ho consultato e, per quanto convenne, ho eziandio seguito gli statuti dell’Opera Cavanis di Venezia, le costituzioni dei Rosminiani, gli statuti degli Oblati di M. V., tutte corporazioni o società religiose approvate dalla S. Sede"5.

    1. Lodovico Pavoni

    Un grande significato per lo sviluppo delle opere e delle idee "preventive" assumono l’azione, le istituzioni e gli scritti6, del bresciano Lodovico Pavoni (1784-1849)7, con analogie ai vari livelli con quella che sarà, decenni dopo, l’esperienza di don Bosco8. Di fatto, con la "congregazione festiva" o oratorio e la formazione professionale artigiana il Pavoni precorre di vari decenni le iniziative di don Bosco, con notevoli risonanze a vasto raggio9. Don Bosco potrebbe anche aver avuto tra mano qualcuno dei regolamenti redatti dall’ educatore bresciano. Sulla tipografia del Pavoni richiamava la sua attenzione, suggerendogli un’analoga iniziativa, lo stesso Rosmini in una lettera del dicembre 185310.

    Lodovico Pavoni osserva: "Brescia provida non aveva sin allora mancato d’erigere alla sua Gioventù, Congregazioni, ed 0ratori, ove ricever potesse Cristiana educazione. Sola una Classe vi rimanea di fanciulli, e la più bisognevole di sì benefico Istituto, che abietta, e mal in arnese, mal osava introdursi nelle stabilite unioni di colti giovani, e civili"11.

    Aveva inizio così la congregazione-oratorio di S. Luigi (1812). Nel 1819, assunta la rettoria della chiesa di S. Barnaba, egli vi affiancava un oratorio e poi, nel 1821, un ospizio per giovani artigiani orfani oabbandonati12. Nel 1840 apriva accanto ad esso una sezione di ragazzi sordomuti. Infine, nel 1843, a sostegno permanente delle diverse iniziative educative, riuniva nella Congregazione dei Figli di Maria Immacolata i collaboratori sacerdoti e laici (Coadiutori Maestri d’Arte), incoraggiata con il decretum laudis nel 1843 e approvata canonicamente nel 1847.

    Il nuovo istituto religioso aveva come scopo di provvedere "all’educazione di quell’infima classe, dalla cui trascuranza ne germoglia l’iniqua plebe che va ad essere sempre una vera calamità non men politica che morale", cioè di quei "fanciulli poveri", i quali "veggonsi obbligati dalla necessità di lor condizione ad abbandonare la scuola e le vigili cure de’saggi precettori per dedicarsi alle arti"13.

    L’ospizio, in particolare, doveva essere "scuola di buon costume all’inesperta gioventù abbandonata", per "renderla utile alla Chiesa ed alla Società"14. La "sacra famiglia di religiosi" educatori intendeva occuparsi "indefessamente per il benessere della abbandonata gioventù, caldamente operando per educarla cristianamente nella Religione e nelle Arti"15. È ripetutamente sottolineata l’integralità del fine, personale e sociale, temporale ed eterno, per ragazzi che di tutto hanno bisogno: "educare nella religione e nelle arti que’ poveri orfani, od abbandonati figliuoli che crescendo alla miseria ed al libertinaggio van facendosi l’obbrobrio del cristianesimo, e la feccia della società". Scopo dell’attività dell’istituto è, quindi, "influire così per quanto è da noi alla riforma del troppo guasto, e depravato secolo ridonando alla Chiesa degl’ottimi Cristiani, ed allo Stato de’ buoni artisti, e sudditi virtuosi e fedeli"16. La formula "buon cristiano e onesto cittadino" ("suddito" in regime di assolutismo) era di particolare attualità nel contesto sociale e politico - l’impero asburgico - nel quale il Pavoni operava.

    "Sia gloria per voi il sacrificare talento e fatiche, per ridonare alla Chiesa, alla Patria, allo Stato docili figli, sudditi fedeli ed utili cittadini"17.

    [Il Rettore] "sarà tutto mente e cuore per procurare che i giovani ricoverati sieno ben istruiti e sodamente educati nella Religione e nella civiltà onde riescano ottimi cristiani, buoni padri di famiglia, sudditi fedeli, cari in somma alla Religione ed utili alla società"18.

    Per "l’esito felice della religiosa e civile educazione" dei giovani sono adottati i metodi e i mezzi propri della pedagogia preventiva: religione e ragioneamore e dolcezzavigilanza e assistenza, entro una struttura di tipo famigliare, dedita a un intenso impegno di lavoro.

    Alla struttura ha da conformarsi lo stile di vita e di azione di ciascun educatore, secondo la specifica responsabilità: il prefetto della congregazione, l’ispettore dei cantori, il regolatore, i maestri d’arte.

    Il Prefetto della congregazione dei giovani è invitato a ricordare che "lo zelo non dee punto alterare l’esercizio dell’umiltà, carità e dolcezza, che debbon essere le virtù sue distintive. Occorrendo quindi di dover saggiamente ammonire alcuno dei giovani di qualche difetto, si studierà di farlo con maniere amorevoli, soavi; e conoscendo bisogno di autorevole riprensione, non farà che rendere avvertito il Direttore"19.

    Per i cantori, giovani di élite, il loro ispettore terrà presente che ricopre un "impiego della maggior cautela, vigilanza e delicatezza"; sarà "quindi suo primo impegno di ridurli con la persuasione, e colla dolcezza all’esatto adempimento dei loro doveri, usando a tal fine del mezzo più efficace, qual è il buon esempio"20.

    Il regolatore è l’educatore che don Bosco chiama consigliere, costantemente presente tra i giovani. Perciò, "il primo dovere del Regolatore si è di sorvegliare indefessamente sì nell’Oratorio, che fuori i Giovani a lui soggetti, procurando di tener relazione coi rispettivi lor genitori, o padroni onde raguagliarli delle lor frequenze, o mancanze, ed informarsi di loro condotta. Debbono dolcemente eccitarli alla frequenza de’ Sagramenti (...). Li correggeranno amorevolmente de’ loro difetti, e procureranno d’istillare ne’ loro cuori e colla voce e coll’esempio l’amore alla pietà, e la fuga del vizio"21.

    Particolarmente ricche di spunti pedagogici sono le "regole" dei Maestri d’Arte, in gran parte rifluite nel testo delle Costituzioni. Essi "devono aver cura che i giovani a loro affidati attendano con assiduità alle proprie incombenze, ed assisterli con carità, perché s’avanzino nelle cognizioni dell’arte che professano, a norma del loro talento e della loro capacità"22. Una "summula" pedagogica è offerta loro dalle Costituzioni, nel capitolo a loro riservato23. Don Bosco avrebbe potuto accoglierla senza la minima riserva.

    "257. Custodiranno i giovani loro affidati come un deposito prezioso e santo, e li ameranno come la pupilla dell’occhio proprio. Useranno con essi tratti civili e rispettosi; non mostreranno mai disprezzo di nessuno, né coi modi, né colle parole; si faranno salutarmente temere e rispettosamente amare.

    1. Li renderanno amici del lavoro, e li accostumeranno ad operare più per amore che per timore. Non cederanno mai alle loro irragionevoli pretenzioni, né lascieranno loro spuntare i loro capricci. Non esiggano troppo, ma non si mostrino deboli.
    2. Studieranno bene il carattere e le forze dei loro allievi per condurli sul loro verso; ché non tutti vogliono essere guidati allo stesso modo; non pretenderanno da tutti egualmente, ma secondo le loro capacità e i doni che hanno ricevuti da Dio.
    3. Tratteranno i loro allievi con molta urbanità e dolcezza, procureranno instillar loro docilità, rispetto e confidenza ai Superiori, non li lascieranno mai soli nelle scuole e nelle officine, ma mancando essi per qualche interesse o necessità, siavi sempre chi sorvegli in loro assenza; non permetteranno conferenze o discorsi secreti, massime tra esteri e convittori; guai a quei Maestri, che fossero in ciò trascurati!"24.

    La sorveglianza è oggetto di numerose prescrizioni, in particolare per i prefetti di sorveglianza25 e il vice-rettore.

    [Il vice-rettore] "non camminerà coi Convittori in tanta buona fede, ma si condurrà con molta avvedutezza e squisita prudenza (...). Le ricreazioni attireranno specialmente la sua attenzione: non lascierà mai i figliuoli senza la sua sorveglianza, lo farà però in modo di lasciar loro una certa libertà, nella quale più facilmente si mostrano quali sono, onde poterne di leggieri scoprire il carattere e le inclinazioni, ed aver facile il modo di piegarli e maneggiarli con sicuro successo (...). Veda tutto, dissimuli e corregga prudentemente, e castighi poco, ma i castighi siano salutari ed efficaci. Vada molto parco nel punire quei difetti che provengono da vivacità giovanile, da leggerezza od inconsiderazione; ma sia inesorabile nel punir quelli che hanno origine da mala volontà e sono sostenuti da ostinazione di cuore"26.

    Il Direttore Spirituale "nelle istruzioni procurerà di presentar sempre i doveri di Religione come un giogo soave, ed un peso leggiero, che provato si trova facile e consolante"27. Nei convitti, infatti, "avrassi cura speciale di ben formare il cuore de’ giovanetti, di istruirli rettamente secondo la fede e la religione, e di fondarli in quella pietà vera che onora Iddio, santifica le anime, edifica i prossimi, felicita le famiglie; in una pietà soda, robusta, sciolta, ben intesa, che mira all’esatta osservanza de’ proprj doveri"28. È il primo fuoco di quella ellisse educativa che prevede nell’altro il "renderli industriosi e capaci di procacciarsi colle proprie fatiche con che onestamente vivere nella società"29.

    Ragione e amore ispirano anche il Metodo di correzione: "Anziché ricorrere al sistema della severità, con cui sovente s’inducono i figliuoli ad operare piuttosto per timore e per ipocrisia, che per sentimento ed amore, quello si è prescelto dell’emulazione e dell’onore, con cui (se non ne venga abuso) tutto si può sul cuor sensibile della gioventù"30.

    1. Marcellino Champagnat (1789-1840) e i Fratelli Maristi

    Marcellino Champagnat (1789-1840), sacerdote nel 1816, fondò nel 1817 a La Valla (Loire, Francia) la Società religiosa dei Piccoli Fratelli di Maria o Fratelli Maristi, riconosciuta canonicamente nel 1824, approvata dalla S. Sede nel 186331. Egli è una delle figure più rappresentative dell’azione di recupero e di positiva prevenzione promossa in Francia da decine di Congregazioni insegnanti, soprattutto nella scuola primaria32. Scopo comune, infatti, fu "assicurare il futuro nelle giovani generazioni, principali vittime della Francia rivoluzionaria, e premunirle contro lo spirito disgregatore del secolo XVIII, dando alla fanciullezza un’ educazione schiettamente religiosa"33. "I bambini sono il vivaio della Chiesa; grazie a loro essa si rinnova, conservando la fede e la pietà"34.

    Il fine della nuova Società, sorta in ambiente rurale, è definito in questa promessa: "Noi ci impegnamo a istruire gratuitamente tutti i fanciulli indigenti che ci presenterà il parroco, e a insegnare a loro e a tutti gli altri fanciulli che ci saranno affidati, il catechismo, la preghiera, la lettura, la scrittura e le altre parti dell’insegnamento primario, secondo le necessità"35.

    Il primato è dato all’educazione cristiana e al catechismo, che, però, incorporerà in sintesi la formazione umana e culturale nei suoi vari elementi. La prima impostazione didattica s’ispira largamente ai metodi dei Fratelli delle scuole cristiane e delle "piccole scuole"; nella catechesi si notano influssi del metodo di S. Sulpizio. Ma l’orientamento pedagogico complessivo finirà con assumere tratti propri, che lo caratterizzano all’interno della pedagogia cristiana preventiva dell’800: la ricerca della "salvezza delle anime" come fine ultimo; l’istruzione religiosa mezzo per strappare al vizio e formare il cuore, la coscienza, la volontà; la devozione mariana: i Fratelli si propongono come esempio la Vergine Santa che educa e serve il S. Bambino Gesù; il metodo dell’amore anche nella disciplina, il cui scopo "non è di frenare gli alunni con la forza e col timore dei castighi, ma di preservarli dal male, di correggerli dei loro difetti, di formare la loro volontà"; gli educatori, padri e non padroni; lo spirito di famiglia, con "sentimenti di rispetto, di amore, di reciproca fiducia e non di timore"36.

    "Con la sua tenera carità verso gli allievi, la pazienza nel sopportare le loro manchevolezze, lo zelo nel formarli alla virtù e a utili cognizioni, con la vigilanza sollecita ad allontanare tutto ciò che può loro nuocere, l’ incessante consacrazione ai loro interessi spirituali e temporali, il Fratello è un perfetto modello per padri e madri, è una permanente lezione che mostra loro ciò che devono fare ed essere per educare cristianamente i figli"37.

    "Egli fa del bene a tutti: ai fanciulli che educa e migliora mediante l’istruzione, istruzione cristiana, alle famiglie che supplisce, alle parrocchie che edifica, conserva e rende migliori, al Paese intero a cui prepara cittadini virtuosi, alla Chiesa aiutando i pastori a istruire la parte più interessante del loro gregge, formando instancabilmente per essa nuove generazioni di cristiani istruiti, convinti e fedeli. Egli si consacra interamente al servizio della religione, al servizio della patria e dà energie e vita per promuovere la gloria di Dio e la santificazione del prossimo"38.

    Ispirate a singolare saggezza sono le consegne date al direttore della comunità dei religiosi educatori, indubbiamente vicine alle caratteristiche del governo "efficacemente dolce" proposto da p. Binet39. "Qualità" ampiamente illustrate sono: criterio e ragionevolezza, pietà, osservanza, santità o solida virtù, buona indole, carità, umiltà, dolcezza, fermezza e costanza, vigilanza, abilità nel correggere40.

    Non meno lucida e organica risulta la proposta pedagogica fatta ai Fratelli nelle sue "lezioni" e "istruzioni", partendo dal concetto, i fini e la necessità dell’ educazione: la catechesi, il rispetto del fanciullo, la disciplina, la personalità dell’ insegnante-educatore. È una visione sistematica che non ha nulla da invidiare all’esperienza vissuta e riflessa di don Bosco educatore41.

    L’educazione ha da raggiungere tutte le dimensioni della vita dell’alunno: illuminare l’intelligenza, anche mediante la correzione delle deviazioni e dei pregiudizi; plasmare il cuore; formare la coscienza; creare l’abito della pietà; suscitare amore alla religione e alla virtù; formare la volontà, il giudizio, il carattere; ispirare amore al lavoro; fornire le conoscenze necessarie; conservare e sviluppare le forze fisiche; dare al fanciullo i mezzi di sviluppare il suo essere42.

    Secondo i canoni della pedagogia corrente, si insiste sulla necessità e decisività per la vita, dell’educazione. Metodo, brevità, chiarezza, sono raccomandati in particolare per l’insegnamento catechistico43.

    Suggestive sono le pagine dedicate alla celebrazione del fanciullo, essere dalle illimitate potenzialità e dalle sconfinate speranze, degno del più delicato e religioso rispetto: "capolavoro delle mani divine", "re dell’ universo", "figlio di Dio", "nostro fratello"44.

    Concetti genuinamente preventivi si susseguono nei due capitoli dedicati alla disciplina, preventiva e formativa, basata sull’autorità paterna e morale; e alla sorveglianza, "continua, attiva, universale"45.

    Ne consegue un altissimo concetto dell’ insegnante-educatore. Il suo compito è "una magistratura, una paternità, un apostolato", come scriverà più tardi anche Dupanloup. "Il magistrato civile giudica e condanna, punisce, spesso, senza correggere"; l’istitutore previene, insegna, corregge: "è un padre, libero e disinteressato", partecipe in qualche modo della spirituale paternità divina; "è un apostolo, quasi sacerdote", onnipresente alla vita del fanciullo, il quale si sente "toccato nell’ intimo dello spirito e del cuore: il rimprovero o la lode, la vergogna o l’onore, il piacere di apprendere, il lavoro, l’esito positivo"46.

    1. Teresa Eustochio Verzeri e le Figlie del S. Cuore di Gesù

    Importante è anche il contributo teorico di una donna di acuta intelligenza, la nobile bergamasca Teresa Eustochio Verzeri, che nel 1831 dà inizio alla Congregazione delle Figlie del S. Cuore di Gesù, consacrata all’istruzione e all’educazione delle ragazze di tutte le classi sociali, approvata canonicamente nel 1847. Essa ha lasciato una cospicua messe di scritti, frutto della ragguardevole formazione culturale ricevuta in famiglia, negli anni di permanenza nel monastero (a 16 anni, poi dal 1821 al 1823 e dal 1828 al 1831), e grazie a intense letture personali. È sensibile l’influsso di S. Ignazio di Loyola, S. Teresa d’Avila e S. Francesco di Sales. Inoltre, la Verzeri conosce bene il classico libro di Étienne Binet, Quel est le meilleur gouvernement: le rigoureux, ou le doux?47.

    Fondamentale per la conoscenza dei suoi orientamenti spirituali e educativi è la vasta opera in cinque parti Dei doveri delle Figlie del Sacro Cuore e dello spirito della loro religiosa istituzione; e in particolare il capitolo Cura delle giovani, e modo di educarle48.

    Della sua esperienza sono state giustamente sottolineate la raffinata spiritualità pedagogica e l’esplicita impostazione "preventiva"49. Due affermazioni capitali ne definiscono la portata, insieme, protettiva, dispositiva e costruttiva.

    "Coltivate e custodite molto, e molto accuratamente la mente e il cuore delle vostre giovanette, mentre sono ancor tenere, onde impedire per quanto è possibile che in esse entri il male, essendo miglior cosa di preservarnele coll’ammonizione, che di liberarnele poi colla correzione. Allontanate le giovanette da tutto ciò che potrebbe loro menomamente guastare la mente e il cuore, o corrompere come che sia i loro costumi. Procuratelo con alacrità e con efficacia, adoperando però una squisita prudenza, essendo il punto per sé delicato, e specialmente se si tratta di giovanette a cui la cognizione del male potrebbe facilmente essere un incentivo a desiderarlo e a procurarselo. La circospezione e la riservatezza in questo argomento sia estrema; e non si tema giammai che sia soverchia"50.

    Attorno a questi principi di metodo si coagulano significative caratteristiche del "sistema".

    Il primato è della componente religiosa. "Nel maneggio e nella coltura delle giovani dovete usare di una estrema discrezione. Tenete ferma la mira di educarle alla virtù e di condurle a Dio: e nella scelta dei mezzi per riuscire vi accomodate alla tempera, all’indole, alle inclinazioni e alle circostanze di cadauna (...). Alcune vorranno un trattamento grave, altre affabile, alcune rigido, altre dolce, riservato alcune, altre facile e confidenziale"51. "Ispirate alle vostre giovani il santo timor di Dio e una filiale confidenza in lui (...). Se le vostre giovani saranno tementi Dio, temeranno pure il peccato che alla santità di Dio si oppone"52. "Suggerite loro poche pratiche di pietà, ma molto sode (...). Fate nascere nel cuore delle vostre giovani una vigorosa divozione al Santissimo Sacramento (...) e fatele amorose e confidenti di Maria Santissima"53.

    Tutto dev’essere ispirato a grande discrezione e ragionevolezza, "per non pretendere di condurre altrui sulle vie che voi camminate": "Dalle vostre giovani non pretendete troppo né vogliate frutti immaturi (...). Bisogna tener ferma la massima di seguitare la grazia, non prevenirla giammai; e siccome il Signore è dolce e retto, così voi dovete essere dolcissime nell’ esigere e nell’ invitare, e rettissime nel governare e sostenervi"54.

    È affermata la priorità metodologica dell’amore, sia nei rapporti umani che nella formazione morale e religiosa. "In massima usate dolcezza, benignità, vigilanza, discrezione, zelo"55; "non presentate loro la rinnegazione trista e amara come compare, ma ragionevole, condita della soavità e della grazia, e alleggerita dalla mano del Signore"56; "siate benigne e soavi, e colla dolcezza e colla sofferenza otterrete a mille doppj più che colla severità e col terrore"57; "e mostrate di amarle con tenerezza per comperarvi il loro amore, e così prender credito e forza sopra l’animo loro e farvi largo a persuaderle di migliorar condotta"58.

    Viva è pure la sollecitudine di preservare dall’ozio e premunire dai pericoli. "Fate schive le vostre giovani dell’ozio e amanti del faticare (...). Le giovinette convittrici debbon essere premunite e istruite sull’avvenire che le aspetta, ma con estrema delicatezza e prudenza"59.

    È attenta la considerazione delle caratteristiche dell’età giovanile. "Non date peso a cosuccie da nulla: certi difettucci che provengono dal bollore della gioventù, da poca esperienza e meno discernimento, e da temperamento vivace e da brio di spirito non ve li prendete con troppo calore: lasciate che la natura si spieghi e manifesti le sue tendenze, e ciò sarà per il meglio"60.

    Perciò assume un posto decisivo l’assistenza, rivolta a promuovere attivamente nelle giovani la conoscenza e il dominio di se stesse con equilibrio e saggezza. "Non inventate peccati, ché ve ne sono anche troppo. Piuttosto procurate diminuirne il numero col formare buona la coscienza, retta la mente, puro il cuore delle vostre giovani"61. "Non si permettano canzonette, rappresentazioni, balli, letture o simili che possano come che sia essere d’inciampo alla virtù delle vostre allieve (...). Nelle rappresentazioni che si concedono in carnovale, o simili altri divertimenti, abbiate in mira d’istruire le giovanette mentre le sollazzate: tutto dovendo servire a formarle alla virtù e coltivarle a Dio"62.

    È pure promosso un corretto sviluppo fisico, condizione di una sana libertà spirituale. "Le giovinette nel loro divertimento hanno uopo di sfogo e di libero sfogo (...). Lasciate che esse medesime scelgano il genere di divertimento (...). Un libero sollievo mentre le sviluppa nel fisico, le dispone ad accettare più volentieri e con maggior frutto le istruzioni che si danno al loro spirito, e i suggerimenti che si metton nel loro cuore. Non abbiate scrupolo a lasciarle saltellare: questo sollievo è ambito dalle giovani assai, e si sperimenta giovevole alla sanità e allo sviluppo del fisico"63. "Sempre nei limiti del governo e dell’obbedienza deesi lasciare alle giovani una santa libertà, onde sappiano che il giogo del Signore è soave e i suoi servi sono liberi"; altrimenti "co’ vostri modi formate delle vostre giovani tante schiave che operano pel bastone, e non figliuole di Dio, che camminano per amore"64.

    1. Il sistema preventivo nella "scuola dell’infanzia"

    Ferrante Aporti (1791-1858) non solo concepisce l’educazione come prevenzione, ma adotta esplicitamente lo stesso sistema preventivo nell’educazione. "L’abilità dell’educatore - dichiara - non sta tanto nel punire prudentemente gli errori dei fanciulli, quanto nel saperli prevenire. Non può paragonarsi il merito di chi sa unicamente rimediare al male, col merito di chi sa prevenirlo"65. Angiolo Gambaro commenta: "In poche parole l’Aporti rileva la grande superiorità del metodo preventivo sul repressivo, ammessa da quanti educatori e pedagogisti, solleciti di porre a fondamento dell’educazione l’amore, si preoccupano di creare attorno al fanciullo un ambiente di serenità, di bontà, di persuasione che lo avvii naturalmente al bene, evitando tutto ciò che allontani od offenda le anime, o che le renda ribelli o le lasci avvilite. Lo sviluppo pratico del metodo preventivo rivelò un’efficacia meravigliosa nella prassi educativa di s. Giovanni Bosco"66.

    È possibile, infatti, ritrovare nella metodologia educativa e didattica dell’Aporti i caratteri essenziali di un compiuto sistema preventivo. Infatti, "meglio è, sempreché si possa, conservare la salute, che lasciar infermare per poi guarire: ché la infermità guarita lascia sempre abitudine allo infermare"67. Appaiono i noti elementi costitutivi: l’assistenza, l’affezione, la carità, l’amorevolezza, la ragionevolezza, la gioia, il canto, la ricreazione, il moto. Per il successo della stessa "educazione intellettuale" era necessario il ricorso a fattori fortemente affettivi. Era la prima di più "massime" dedicate all’azione didattica: "Guadagnarsi prima di tutto l’affezione e la confidenza dei fanciulli. È indubitabile che meglio e sicuramente si ottiene uno scopo inteso col mezzo della benevolenza; e così l’istitutore, procacciandosi l’affetto de’ suoi allievi, otterrà che essi con ogni studio procureranno di piacere a lui coll’attenzione e col savio contegno, e proveranno altresì non tedio, non avversione, ma compiacenza e diletto nello imparare. Avverta però di non confondere la dolcezza, amorevolezza e affabilità, con cui vanno trattati i fanciulli, colla famigliarità che ne degraderebbe l’autorità. Egli deve essere padre benevolo, amabile, ma graziosamente autorevole sempre"68. Altrove vi aveva aggiunto "forte persuasione e affetto"69, "l’amorevolezza" e il "ragionevole contegno"70.

    Le Lezioni di metodica torinesi abbondano di richiami all’affettività.

    "I principj generatori del buon metodo sono due: 1˚ la considerazione sull’indole dei fanciulli, sul carattere e lo sviluppo delle loro facoltà; 2˚ l’esperienza propria ed altrui dedotta dall’applicazione di regole prestabilite (...). Fra le massime derivate dalla considerazione dell’indole dei fanciulli e dall’esperienza, si deve collocare in primo luogo l’importanza di cattivarne l’affetto. Consideriamo che il mezzo che più concorre a conciliare benevolenza, è la benevolenza. Il disprezzo genera il disprezzo. Si ama chi ci tratta con amorevolezza, non chi con disdegno. I fanciulli a chi si affezionano? A chi li accoglie, mostra amarli e far loro del bene. È a tutti noi grande esempio Gesù Cristo. I di lui Apostoli non essendo ancora illuminati dallo Spirito Santo, volevano allontanare da lui i fanciulli ed egli ne gli impediva, accogliendoli al contrario con benigne parole. Ora riconoscendo che i fanciulli amano chi gli ama, l’ammaestratore deve essere sollecito di lor benevolenza e mostrar loro in ogni occasione sincera premura pel loro bene morale e materiale. Così avverrà che riconoscendone l’affetto, per compiacere al maestro, essi si diporteranno bene nella condotta e nello studio, il che non soleva avvenire quando ai mezzi umani, concilianti e benevoli, sostituivansi i castighi severi e l’uso della sferza che gli avviliva e gli irritava senza correggerli (...) Raccomandando al precettore di ottenere coi suoi modi l’amore e la confidenza dei suoi discepoli, importa fargli osservare non dover egli esagerare cotal massima al punto che l’affetto e la confidenza degenerino in famigliarità. Il precettore deve accogliere ogni fanciullo con benevolenza, ma non ischerzare, non mettersi al paro con essi, non porsi nell’occasione che gli scolari gli perdano il rispetto ed egli l’autorità su essi"71.

    È un nuovo modo di essere educatore. "E i precettori di questa tenera età quali dovrebbero essere? Diremo a chi vuole assumersi questo geloso ed importantissimo incarico, che si rivesta di sentimenti tutto paterni verso dei suoi allievi. Se non lo fa, o non è capace, non giungerà mai ad educarli ragionevolmente, perché, a ben riuscire in questa nobile impresa, è d’uopo avere una pazienza da padre, convien ritornare in qualche modo fanciulli, per mettersi a portata della loro intelligenza, impartire le istruzioni con vivezza ed ilarità, rispondere con bontà a tutte le loro domande, accarezzarli di tempo in tempo, a fine di addolcire in loro la pena del lavoro, in somma vivere da saggio amico e consigliere e direttore con loro, amarli siccome proprj figliuoli"72.

    Il motivo dell’amore è ritenuto talmente essenziale, che Aporti vi insiste perfino illustrando la didattica dell’aritmetica.

    "Quello inoltre che ancora più m’ importa si è, secondo la mia intima convinzione, che il maestro si industrii a tutto potere di rivolgere questo insegnamento all’ educazione del cuore. Finché un maestro si restringe a dar cognizioni ed a sviluppare le facoltà intellettuali dell’alunno, ben si potrà ammirare l’ordine e la vita che egli ha saputo mettere nel suo lavoro, ma io non sarò contento di lui. Anzi io ne avrei dolore trovando solamente un maestro di lingua o di abbaco, quando io, la società e la religione pretendevamo ed avevamo diritto di pretendere un educatore, che illuminando le menti riscaldi i cuori, e che istruendo migliori"73.

    La "scuola dell’infanzia", in questo modo, diventa per i bambini senza famiglia o con famiglie inette, un mondo "domestico", nel quale essi si sentono avvolti, insieme, dalla luce del sapere e dal calore dell’amore: "Siccome essi mancano di famiglia, la quale conforta al bene operare e rattiene dal mal fare, così è indispensabile il creare per loro una famiglia, la quale per sapiente reggimento e fervida e candida benevolenza valga a destare in essi il senso morale e corroborarlo onde si riconcilino e fortemente colleghino colla società pei sublimi e generosi principj di naturale e religiosa carità"74.

    In questo dinamismo si inserisce il metodo intuitivo, oggettivo-dimostrativo, che favorisce il "graduale sviluppo delle forze di mente e di cuore"75, in un contesto educativo, nel quale "gli studj stessi [sono] trattati a maniera di divertimento e di gioco", viene favorito "il moto periodico e moderato"76 e si promuove il canto, oltre che per educare gli organi della voce e dell’udito, perché "i fanciulli amano di canticchiare"77. I risultati sono descritti in un primo rapporto del 24 settembre 1830: "la compiacenza si accresce ove si consideri come i teneri fanciulli ascritti a questa scuola sieno più lieti, docili, compiacenti e socievoli: nel che ravvisar si deve un felice iniziamento alla pratica di una dolce morale"78.

    1. Antonio Rosmini e la pedagogia preventiva positiva

    Antonio Rosmini (1797-1855), come don Bosco, Dupanloup e altri, non ignora il lessico pedagogico corrente relativo all’educazione nei suoi diversi momenti. Ma si differenzia sia da Dupanloup che da don Bosco nel modo di intendere il "prevenire". Per Dupanloup esso è uno dei tre fondamentali "uffici" della "disciplina-educazione". Per don Bosco l’ intero educare può essere compreso e praticato come un "prevenire". Rosmini, invece, intende il prevenire, semplicemente, come una sua "condizione" previa. L’educare è, per lui, opera molto più alta e ardua, come scriveva a un sacerdote roveretano, che gli aveva posto il quesito "come si possa render durevole la virtù dei giovani collegiali"79.

    Nella risposta egli metteva subito in guardia dal fare troppo assegnamento sui "mezzi esterni", preventivi e dispositivi, che mirano a due obiettivi: "1˚ rimuovere le occasioni del male; 2˚ disporre indirettamente l’animo al bene". Essi preparano gli educandi a "ricevere il bene", ma non comunicano il bene stesso, cioè la verità e la grazia. Da soli i mezzi preventivi possono fare gran male, producendo "una bontà apparente, posticcia, che si può dire una bontà da collegio", che si volatilizza appena l’allievo "non sia più rinserrato nelle sacre mura". Fuorvianti, invece, possono diventare i mezzi puramente dispositivi, "quali sono la dolcezza delle maniere nei precettori, le carezze, le industrie, onde si rendono anche materialmente dolci le opere buone, la emulazione, ecc.". Essi potrebbero causare "nell’animo del giovinetto una falsa direzione d’intenzione, che è pur l’occhio dell’anima, onde dipende la lucidezza di tutto il corpo, come dice il maestro Dio, perché ella non produce in fondo all’animo del giovinetto alcun vero amore della virtù per se stessa, per la sua ineffabile bellezza e intrinseca giustizia"80.

    Questi mezzi sono pericolosi, quando possono far credere "che in essi stia tutto, o il principale dell’educazione, o che l’educazione con questi soli mezzi sia pur incominciata". Sono, invece, necessari e preziosi, e "bisogna farne gran caso", se si considerano come "i preludi della grande opera di rendere buono il giovinetto". "Comincia quest’opera, e progredisce, e si consuma unicamente: 1˚ col far conoscere allo spirito del fanciullo la verità salutare, confortata dalla grazia; 2˚ col fargli contemplare la bellezza di questa verità che conosce; 3˚ col fare che s’innamori della bellezza della verità che contempla e 4˚ coll’ottenere che operi in conformità alla bellezza di quella verità di cui si è innamorato. A conseguire tutto ciò una cosa sola ci abbisogna, ed è: che dinanzi al suo intelletto sia posta ben chiara la vista della morale verità di cui si tratta; la luce poi onnipotente di questa verità non viene che dalla divina grazia". Questo esige - aggiunge il grande educatore cristiano - che "la verità morale" sia esposta agli allievi "consemplicità e con coerenza, non con ismancerie e con artifizi". Ne è modello "il grande e unico maestro", Gesù Cristo, che è insieme la sorgente della grazia, senza cui vano riuscirebbe l’umano impegno dell’ educare81.

    Nonostante la differenza del lessico e delle mentalità, don Bosco avrebbe senz’altro controfirmato82.

    1. Educazione correzionale tra repressione e prevenzione

    La chiara consapevolezza della contrapposizione di preventivo e di repressivo e della loro necessaria composizione in un istituto destinato all’"educazione correzionale" don Bosco può aver approfondito a contatto con il carcere minorile de "La Generala".

    La separazione dei giovani carcerati dagli adulti era stata vigorosamente propugnata anche dal conte Carlo Ilarione Petitti di Roreto nel libro, già ricordato, Della condizione attuale delle carceri e dei mezzi per migliorala. Con R. Patenti del 9 febbraio 1839 Carlo Alberto dava il via alle realizzazione dell’opera. In base al R. Brevetto del 12 aprile 1845 avevano effettivo inizio le sue attività.

    Vi erano chiamati come educatori i Fratelli della congregazione marsigliese di San Pietro in Vincoli, fondata dal canonico Charles Fissiaux (1806-1867), per l’apostolato tra i corrigendi. Un sacerdote diocesano fungeva da cappellano e aveva gran parte nella cura dell’educazione religiosa e morale83.

    Don Bosco ebbe con "La Generala" contatti certi, anche se non tutti ugualmente documentabili, come si preciserà nel capitolo 10. In essa erano "raccolti e governati col metodo del lavoro in comune e del silenzio e della segregazione notturna in apposite celle i giovani condannati ad una pena correzionale per aver agito senza discernimento commettendo il reato, ed i giovani sostenuti in carcere per correzione paterna"84.

    Il sistema di educazione correzionale comportava la fusione dei vari trattamenti, preventivo, coattivo, correttivo, non solo nell’azione pratica dei Fratelli, ma anche nelle formulazioni del loro fondatore, presente saltuariamente nell’istituto accanto al direttore locale. Già il Petitti di Roreto lo prefigurava, scrivendo di Ergastolo pei giovani discoli, sia "detenuti a istanza dei genitori per correzione paternale" sia "giovani scioperati e vagabondi arrestati dalla polizia e condannati dai tribunali alla pena dell’ ergastolo". "Il principio fondamentale comune" - scriveva - "si è quello d’una educazione nuova, ferma e severa bensì, ma che senta ancora la paterna indulgenza, specialmente rispetto ai detenuti per correzione paterna; onde nasce che per essi l’educazione vuol essere più civile. Per altri invece vuol essere indirizzata a maggiore severità e all’esercizio specialmente d’ un’arte"85.

    Le idee ispiratrici si possono ricavare dal Rapport tenuto dal Fissiaux al termine del primo e del secondo anno di attività. Esse trovano un posto di rilievo soprattutto nel primo. La "Casa di educazione correzionale" nei riguardi dei "giovani delinquenti" ha il compito di "preparare loro un avvenire migliore, salvarli di mezzo al naufragio, punirli senza dubbio, ma soprattutto correggerli"86.

    Ci furono inizi difficilissimi nei quali - confessa il relatore - "nostro malgrado dovemmo usare la massima severità e abbandonare temporaneamente le vie della dolcezza interpretata allora come debolezza"; "ma infine potemmo applicare ai nostri giovani il sistema di educazione correzionale seguito dalla nostra Società nelle altre case di pena affidate alle sue cure"87.

    Dando un’idea del sistema adottato dalla Società di S. Pietro in Vincoli, il Fissiaux si sofferma anzitutto sulla disciplina, che presenta tutte le connotazioni del sistema repressivo: "La disciplina dello stabilimento è severa, lo deve essere, è necessario che tutto ricordi che è un luogo di penitenza e di correzione". "Partendo da questo principio noi non lasciamo nessun fallo senza punizione; ma insieme nessun atto di virtù è lasciato senza ricompensa"88.

    Vengono messi in rilievo anche i tipici elementi educativi positivi, propri del "sistema preventivo": l’emulazione, il lavoro, la scuola, la musica, il potenziale religioso e morale89.

    Insieme abbondano i toni di moderazione e di comprensione nei confronti della fragilità giovanile. Dei corrigendi si parla come di "poveri ragazzi più disgraziati che colpevoli, di giovani esseri che si è troppo abituati a considerare quali criminali incorreggibili e che si sono circondati di ingiuste prevenzioni e d’ un disprezzo poco meritato", di "ragazzi soltanto vittime della fragilità della loro età e della disgrazia della loro nascita"90.

    Nel secondo Rapport affiorano addirittura elementi che mostrano quanto il sistema repressivo sia contiguo a quello preventivo. Il direttore, infatti, intende dimostrare "che dando una vera educazione correzionale a questi ragazzi, che bisogna correggere con dolcezza piuttosto che punire con durezza, la nostra Società ha già ottenuto, almeno in parte, quei buoni risultati che voi siete in diritto di attendere dal suo zelo e dalla sua dedizione", e insiste nel dichiarare che "la maggior parte di questi giovani detenuti sono più disgraziati che colpevoli" e hanno reagito positivamente al "sistema di educazione adottato"91.

    1. Pedagogia preventiva lasalliana

    Don Bosco ebbe più relazioni, soprattutto lungo gli anni ‘40, con i Fratelli delle scuole cristiane, che dal 1829 si occupavano a Torino delle scuole gestite dalla "Mendicità Istruita" e dal 1833 anche di quelle municipali92.

    Può apparire problematica una conoscenza diretta di don Bosco degli scritti pedagogico-spirituali del fondatore, san Giovanni Battista de la Salle (1651-1719), la Conduite des écoles chrétiennes, leMéditations pour le temps de la retraite, le Méditations sur tous les dimanches et les principales festes de l’année93. Veniva, però, a conoscere religiosi educatori dediti quali "angeli custodi" alla cura di fanciulli provenienti dal mondo degli artigiani e di umili lavoratori, "occupati senza sosta nel guadagnare la vita per sé e per i figli", quindi, impossibilitati a seguirli nel corso della giornata94. Essi erano impegnati "a insegnare loro a leggere e scrivere", "facendone insieme dei veri cristiani" e "procurando il bene dello Stato"95.

    La loro spiritualità pedagogica è espressa spesso in termini che don Bosco non cesserà di rivivere: vigilanza, guida, zelo ardente, allontanare dal peccato, ispirare orrore dell’impurità, esortare e stimolare a fare il bene, per il tempo e per l’eternità: "datemi anime e prendetevi tutto il resto"; carità, amore, correzione, dolcezza, pazienza, prudenza, ragionevolezza96. Primaria abilità del maestro, oltre quella didattica, è di saper "guadagnare il cuore degli allievi"97. Il riferimento privilegiato, dal punto di vista educativo, è a sant’Anselmo d’Aosta e a san Francesco di Sales. Il primo "si applicò a condurre i suoi religiosi con tanta dolcezza e carità, che conquistava i loro cuori"98. La meditazione, poi, sul moderno "santo della dolcezza e della tenerezza" è conclusa da questo esame di coscienza: "Avete questi sentimenti di carità e di tenerezza per i ragazzi poveri che dovete educare? Approfittate dell’affetto che essi nutrono per voi per portarli a Dio? Se avete verso di loro la fermezza di un padre per ritrarli e allontanarli dal disordine, dovete pure avere per loro la tenerezza di una madre per raccoglierli e fare loro tutto il bene che dipende da voi"99.

    È altamente probabile, invece, che don Bosco sia stato indotto a leggere gli opuscoli di due lasalliani più vicini cronologicamente o topograficamente: fratel Agathon (1731-1798), superiore generale dell’Istituto alla fine del secolo XVIII, autore di una breve sintesi su Les douze vertus d’un bon maître (Melun 1785/87); e fratel Théoger, operante a Torino.

    Don Bosco ha potuto agevolmente leggere il libretto di fratel Agatone nell’ edizione torinese di Marietti del 1835: Le dodici virtù di un buon maestro accennate dall’Ab. De la Salle, istitutore dei Fratelli delle scuole cristiane spiegate dal P. F. Agatone Superiore generale del suddetto Istituto.

    A proposito della gravità, che apre il volumetto, si dice del maestro che "ha l’aspetto affabile, parla poco e con tono moderato; non è aspro con le parole, né mordace né altiero, né rustico, né malcreato con chicchessia. Ben persuaso e convinto che la gravità, la modestia, la moderazione non escludono la bontà, né il tenero affetto, egli procura colle sue amabili qualità di conciliarsi l’amorevolezza degli scolari (...). Lungi dal proporsi unicamente il farsi temere, lo scopo suo principale si è di trarsi confidenza (...). Egli vuol ancora farsi stimare e rispettare da essi"100.

    Vi seguono coerenti le affermazioni circa l’umiltà. "L’umiltà non è ambiziosa", "l’ umiltà non è gelosa", "l’umiltà fa che un buon maestro tratti i suoi eguali ed inferiori, con quella stima, cordialità, amicizia e bontà che si conviene". "L’umiltà di un buon maestro è caritatevole. Essa lo rende amabile, obbligante, officioso, di accesso facile". "Sicché non prende mai verso dei suoi scolari un aspetto arrogante, schivo e sprezzante"101. Significative risultano alcune avvertenze circa la ritenutezza (riserbo, riservatezza) dell’educatore nei confronti dei giovani allievi: "Colla più scrupolosa attenzione schiva ancora ogni amicizia, ogni pericolosa familiarità con essi. Essa proibisce eziandio il toccarli nel viso, l’accarezzarli, il ridere con essi, il ricevere i loro abbracciamenti", "rammentandosi di più che tra questi fanciulli possono trovarsene che abbiano tanta malizia, che diano le più maligne interpretazioni a certe parole e azioni nelle quali la sola malvagità d’ un cuore già corrotto facesse loro scorgere le apparenze del male, sebbene in vero affatto non ve ne fosse"102.

    Tipico è il tema della mansuetudine ossia dolcezza103, al cui proposito è citato anche san Francesco di Sales. Essa è virtù che ispira e produce "la bontà, la sensibilità, la tenerezza". "Egli è questo un principio generale - scrive fratel Agathon - che l’amore s’acquista con l’amore. Un maestro adunque prima d’ogni cosa e soprattutto deve assumere per essi sentimenti di padre, e mai sempre riguardarsi come facendo le veci di coloro che ad esso gli hanno affidati: cioè aver per essi quelle viscere di bontà e di tenerezza che hanno i padri medesimi. Ora queste gli verranno ispirate dalla dolcezza; questa gli darà verso di essi quell’affetto, quella sensibilità e benevolenza, quelle maniere obbliganti e persuasive; questa toglie al comando quanto ha di troppo duro e penoso e ne spiana le difficoltà"104.

    Sulla base della dolcezza è risolto praticamente il problema della conciliazione di autorità e libertà: "Cotesta autorità non dipende né dall’ età né dalla grandezza della statura né dal tono della voce né dalle minacce, ma da un carattere di spirito sempre uguale, fermo, moderato, che sempre si possiede, che altra guida non ha che la ragione, né opera a capriccio, né con trasporto. La medesima s’acquista ancora coll’unire alla dolcezza la fermezza ed all’amore il timore. L’amore deve guadagnare il cuore de’ fanciulli senza renderli effeminati ed il timore deve frenarli senza ributtarli"105.

    A metà Ottocento, in un più piccolo opuscolo, fratel Théoger aggiungeva alla dodici virtù la costanza, la fermezza, il buon esempio106. Ricorrono i consueti motivi, polarizzati intorno alla carità: amore, dolcezza, benevolenza, paternità, oltre la prevenzione e la vigilanza, che comportano ordine, disciplina, fermezza.

    "La fermezza, in sé, altro non è che la forza e la costanza adoperate per opporsi al male, antivenire e reprimere il disordine. Un maestro non ne può fare senza; perocché essendo i fanciulli naturalmente inclinati al male, fa di mestieri inspirar loro un riverente timore, che li raffreni senza irritarli". "Nondimeno guàrdisi il Maestro di concepire falsa idea della fermezza; ella non è punto il rigore, né la durezza, né l’ inflessibilità; ma sì una cotal forza di animo usata dalla ragione a tenere i fanciulli nella via del bene". "Suo principale effetto essendo quello di tirar gli scolari ad astenersi dal male per motivo di timore, non può tornare veramente utile se non in quanto ha per compagna la dolcezza, la quale sola fa che vogliano per amore il bene"107.

    "La dolcezza è la forma esteriore della carità, della bontà". Non bisogna fermarsi ad essa: "mette dunque grandissimo conto che il maestro ami i suoi discepoli, e li ami per motivo soprannaturale; che ogni suo andamento, ogni sua parola, il suo vigilare, in una parola, ogni sua azione sia ispirata da questo amore; altrimenti egli non potrebbe cattivarsi il loro affetto e stabilire la sua autorità: e quindi gli tornerebbe impossibile l’adoperarsi con frutto a educarli"108. La stessa pietà e in particolare l’ uso dei sacramenti dovrebbero essere circondati da dolcezza e gioia. Occorre fare il possibile perché "i fanciulli trovino certo quale diletto nei religiosi esercizi"; e "non ispirare agli scolari una pietà austera mossa da timore, ma sì una pietà dolce, fondata principalmente sull’amore"109.

    Nel clima della carità si giustifica anche la vigilanza-presenza: "la perseverante attenzione del maestro a quello che fanno gli scolari (...) produce felicissimi effetti, non solo perché reprime il disordine che si manifesta, e così impedisce che non si faccia grave, ma ancora e specialmente perché lo antiviene"110.

    In questo contesto è risolto anche il problema dei castighi. "La dolcezza prescrive al maestro specialmente: 1˚ Di castigar poco (...); 2˚ Di castigare solo per motivo ben certo di carità (...); 5˚ Di non percuotere mai i fanciulli né spingerli, costringerli o aspreggiarli; (...) 15˚ Di essere, per quanto sta da lui, di piacevole accesso, che mostri bontà e cordialità (...); 20˚ Di provarsi a guadagnare colla moderazione, l’animo degli alunni, cui il rigore irrita o scoraggisce"111.

    Non manca, infine, il richiamo alla ragione: "parlar sempre giusto, sempre ragionato agli scolari, qualunque sia la loro età, ed avvezzarli a far così ancor essi nelle occasioni che lor si presentano"112.

    1. Stile preventivo barnabitico

    È noto che i barnabiti, sorti nella prima metà del Cinquecento, si occuparono di collegi per studenti all’ inizio del secolo XVII, lodati in ogni tempo per "l’affettuosa disciplina". Per questo san Francesco di Sales li volle educatori nel collegio di Annecy, stimandoli "ottime persone", "dolci", "accondiscendenti, umili e gentili", "persone di solida pietà, dolci e incomparabilmente amabili"113.

    L’aspetto "preventivo" del loro sistema educativo sembra venir formulato più esplicitamente nell’Ottocento. "Preghiamo tutti quelli che hanno parte nella educazione e nella istruzione della gioventù ad essere parchi nel punire, cercando con tutti i mezzi cui detta la carità di prevenire il male, piuttosto che doverlo correggere"114. "La sorveglianza che loro [ai giovani collegiali] si usa, quanto è continua e sollecita, altrettanto si porge dolce e paterna. I difetti più si prevengono di quello che si abbiano dolorosamente a castigare; ed i castighi siano usati di rado e solo come medicina"115. "La regola, se non è osservata, è morta. I Superiori perciò debbono porre ogni opera affinché sia viva e produca i suoi salutari effetti nei giovani. Quando la dolcezza e la persuasione bastassero a tenerla viva, sarebbe la via più desiderabile, perché è più secondo il cuor umano, ed opera effetti più sicuri e più durevoli"116.

    Ma il documento più sintetico e ricco è l’opuscolo Avvertimenti per gli educatori ecclesiastici della gioventù del p. Alessandro Teppa (1806-1871), già rettore del Real Collegio Convitto di Moncalieri, presso Torino (1856-1867) e, infine, preposito generale dell’Ordine dal 1867 alla morte. Don Bosco lo lesse e lo fece leggere dai suoi117.

    Vi trovava idee condivise in pratica e poi trasferite nelle sue pagine sul sistema preventivo. P. Teppa scriveva: "Due sono gli offici o le parti principali della educazione; l’ uno positivo, che consiste nel somministrare ai giovani i mezzi più efficaci pel naturale e libero svolgimento delle loro facoltà; l’altro negativo, che dee secondare il primo, e consiste nel rimuovere gli ostacoli che potrebbero impedire o viziare in qualche modo lo svolgimento medesimo. Insomma promuovere il bene, ed impedire il male, secondando la natura in ciò che ha di buono, e correggendola in ciò che ha di cattivo, ecco il doppio ufficio dell’ educazione; il quale si dee compiere sì direttamente, cioè col retto uso dell’autorità, e sì ancora indirettamente, cioè col buon esempio"118.

    Non è, dunque, ignorata la densità di contenuto del "prevenire". Esso, indubbiamente, significa "custodire", "correggere", "allontanare", "frenare", "proteggere" dai pericoli presenti e "premunire" da quelli futuri; ma, insieme, vuol dire "fondare" e "rafforzare" i giovani nelle verità della fede cristiana, "indirizzare nella via della virtù", aiutarli a "conseguire la loro eterna salute"119. Ma devono essere ben presenti i fini umani e cristiani, individuali e sociali: "formare col tempo uomini veramente saggi, probi, virtuosi e buoni cristiani, e con ciò anche buoni cittadini"120.

    Per conseguire tali scopi sono indispensabili la conoscenza individualizzata delle inclinazioni dei giovani121 e un corretto uso dell’autorità. Non basta, però, l’autorità materiale, che "s’acquista colla fermezza della volontà e colla severità dei modi", per cui ci "si fa temere ed ubbidire ad ogni costo"; sebbene essa possa essere di aiuto "quando la voce della ragione non sia ascoltata"; e risultare "necessaria a mantener la disciplina fra gli alunni, massime dove sieno molti riuniti insieme". Essa "potrà costringere esternamente, non potrà vincere e governare gli animi, i quali non si arrendono che alla voce della persuasione, né si lasciano governare che alla morale autorità". Né è sufficiente l’autorità puramente giuridica o legale. Occorre l’autorità morale, che non si può avere se non col meritarla, né "si merita altrimenti, che col farsistimarerispettare ed amare"122. In altre parole essa è fondata sulla ragione e sull’ amore. "Chi vuol essere stimato dai giovani, dimostri stima per essi. E però non parli mai con disprezzo di alcuno"123. "Chi vuol essere rispettato dagli alunni conviene che si mostri sempre d’animo pacato e tranquillo, padrone di sé, e guidato solo dalla ragione"124. Ma "chi vuole signoreggiare il cuore dei giovani, procuri soprattutto di farsi amare. Chi è amato è sempre volentieri ascoltato e ubbidito. Ma per farsi amare non vi è altro mezzo che amare. Si vis amari, ama"125. "Chi dunque vuol farsi amare da’ suoi alunni sia egli il primo ad amarli di vero cuore con affetto di padre e di amico. Si prenda sollecita cura di tutto che può esser loro di bisogno o di vantaggio sì per lo spirito, come pel corpo, ed anche per l’onore: cerchi di compiacerli e contentarli, per quanto gli è possibile, nei loro onesti desiderii; prenda parte sincera ai loro piaceri e dispiaceri"126.

    Secondo il Teppa, l’ esercizio dell’autorità deve commisurarsi ai differenti temperamenti e disposizioni dei giovani: "la semplice voce della ragione" con chi è "docile e arrendevole", "l’autorità del comando" con chi è "duro e restìo"127. Ma insieme fa notare che non si deve perdere di vista, per tutti indistintamente, il fine: "amore sincero e duraturo alla virtù", senso del dovere, desiderio del vero bene; e il metodo ossia "la via della dolcezza e della persuasione": "è fuor di dubbio che essa è sempre la più conforme alla natura dell’ uomo, e per conseguenza quella che produce effetti più durevoli, benché talvolta meno pronti e sensibili. Questa pertanto sia sempre riguardata come il mezzo principale di educazione"128.

    Questa autorità ispirerà tutti i principali modi di intervento educativo: "comandare, istruire ed esortare"129, "avvisare, correggere, riprendere"130, "castigare"131, "lodare e premiare"132. I comandi devono essere usati "con moderazione" e fatti "sempre con dignità, cioè con dolcezza, con gravità e con fermezza"133. Vanno preferite, però, le istruzioni e le esortazioni, che, tuttavia, non devono essere né troppo lunghe né inopportune134. "Alle istruzioni ed esortazioni poi debbono tener dietro gli avvisi e le amorevoli correzioni; perché i giovani sono di natura loro instabili, inconsiderati e distratti" e, quindi, è necessario ricordare loro "con brevi ed amorevoli parole i lor doveri, i loro proponimenti e le promesse fatte, acciocché per dimenticanza, per distrazione o per instabilità non vengano a mancarvi"135. "Quanto più spesso farà questo l’ Educatore, si persuada che tanto meno avrà egli bisogno di castigare"; per questo egli deve stare "attento e vigilante sopra i suoi alunni, e insieme ancora debb’ essere pieno di zelo e di carità"136. Se non bastano i semplici avvisi, l’educatore passa alle ammonizioni, badando "se si trova ben acconcio a parlare con quell’amorevolezza e con quella efficacia di ragioni che valga a persuadere e muovere l’animo degli alunni"137. "Egli poi nel fare l’ammonizione avverta bene di non dir cosa che possa offendere, né irritare, o comecchessia avvilir l’animo del colpevole; anzi gli faccia ben conoscere come non lascia punto di amare e stimare la sua persona, benché lo corregga de’ suoi difetti, ma questo fa appunto perché lo ama e lo stima e desidera il suo vero bene"138. La riprensione interviene "quando si veggono tornare inutili gli avvisi e le amorevoli correzioni"139. Infine, prodotto il desiderato effetto, "secondo l’opportunità si temperi la severità della correzione con modi più benigni ed amorevoli, confortando il giovane ad emendarsi"140.

    Ai castighi il Teppa dedica il più lungo capitoletto141, non perché siano la cosa più importante nell’ educazione; anzi egli ritiene che la loro frequenza sia dovuta a trascuratezza o imperizia da parte dell’ educatore. Essi "debbon darsi solo per necessità e per modo di medicina"; "la necessità e l’ utilità debbono essere anche la norma per determinare la qualità e la quantità dei castighi, e il modo di adoperarli"142. Quanto al modo ritorna come regola fondamentale l’amore: "in prima la miglior qualità di castigo che possa dare un Istitutore, quando egli sia veramente amato e rispettato dal suo alunno, sarà sempre quella di dimostrargli il suo dispiacere per la colpa commessa, o sia apertamente, riprendendolo con molta gravità, o sia tacitamente, usando con esso lui un contegno più serio e riservato, e astenendosi da quei segni di benevolenza e familiarità che soleva dargli per lo addietro (...). Ancora si guardi che l’umiliazione non sia mai di tal natura che cagioni avvilimento alla persona"143; "il castigo sia dato con dignità e insieme con amorevolezza (...). Per quanto è possibile si dee render persuaso il colpevole della giustizia e necessità del castigo, e che si punisce in lui la colpa appunto perché si ama la persona"144.

    Oltre il castigare, aggiunge l’Autore, "è pur giusto e conveniente che a tempo e luogo l’educatore dia la dovuta lode e incoraggi con premio l’alunno che bene adopera"145.

    Gli ultimi due capitoli trattano dell’ educatore nella sua globalità. Sono sottolineati il buon esempio individuale e la concordia della comunità degli educatori146: "Sappiano compatirsi e sopportarsi l’ un l’altro in santa carità; e, dove occorra, si correggano amorevolmente a vicenda"147. Infine, è formulato come principio supremo di ogni agire educativo la carità di cui scrive s. Paolo ai Corinti148.


    NOTE

    1 Cfr. A. A. e M. A. Cavanis, Epistolario e memorie 1779-1853, a cura di A. Servini, 5 vol. Roma, Postulazione Generale 1985-1988; F. S. Zanon, I servi di Dio P. Anton’Angelo e P. Marcantonio fratelli conti Cavanis. Storia documentata della loro vita, 2 vol. Venezia 1925; Id., Padri Educatori. La pedagogia dei Servi di Dio P. Anton’Angelo e P. Marcantonio fratelli conti Cavanis. Venezia 1950; V. Biloni, Le libere scuole dei Fratelli Cavanis, in "Pedagogia e Vita" 1952-1953, 397-408; G. De Rosa, I fratelli Cavanis e la società religiosa veneziana nel clima della Restaurazione, in "Ricerche di Storia sociale e religiosa", n. 4, luglio-dicembre 1973, 165-186.

    2 Constitutiones Congregationis Sacerdotum Saecularium Scholarum Charitatis. Venetiis, ex typ. F. Andreola MDCCCXXXVII, art. 3.

    3 Constitutiones..., art. 94.

    4 Lett. al Vicario capitolare della diocesi di Torino, 30 marzo 1863, Em I 562.

    Cose da notarsi intorno alle Costituzioni della Società di S. Francesco di Sales, 1864, Cost. SDB 229; cfr. F. Motto, Constitutiones Societatis S. Francisci Salesii. Fonti letterarie dei capitoli "Scopo, forma, voto di obbedienza, povertà e castità", RSS 2 (1983) 342-343.

    6 Cfr. Congregazione dei Figli di Maria Immacolata, Raccolta ufficiale di documenti e memorie d’archivio. Brescia, Opera Pavoniana 1947. Contiene tra gli altri i seguenti documenti: Organizzazione e Regolamento dei Giovani sotto la protezione di S. Luigi Gonzaga eretta nell’Oratorio di S. M. di Passione ed aggregata alla Prima Primaria del Collegio Romano; il Regolamento del Pio Istituto eretto in Brescia dal Canonico Lodovico Pavoni a ricovero ed educazione de’ Figli Poveri ed Abbandonati. Brescia, tip. dell’Istituto in S. Barnaba 1831; le Regole dei Fratelli consacrati all’assistenza ed educazione dei Figli orfani ed abbandonati nel Pio lstituto eretto in S. Barnaba di Brescia dal Can. Pavoni; le Regole Fondamentali della Religiosa Congregazione dei Figli di Maria, eretta in Brescia nell’anno 1847 con superiore Approvazione. Brescia, tip. Vescovile in S. Barnaba 1847; Costituzioni della Congregazione Religiosa dei Figli di Maria. Brescia, tip. Vescovile 1847 [i testi saranno citati dal volumetto ripubblicato fedelmente nel 1970]. Inoltre: Lettere inedite del Servo di Dio Lodovico Pavoni, a cura di P. Guerrini. Pavia, Artigianelli 1921; Lettere del Servo di Dio P. Lodovico Pavoni fondatore della Congregazione dei Figli di Maria Immacolata di Brescia. Brescia, Opera Pavoniana 1945; Ansie e fatiche d’ un Fondatore. Il Ven. Lodovico Pavoni e l’ Istituto di S. Barnaba in Brescia. Documenti epistolari. Brescia, Opera Pavoniana 1956.

    7 G. Gaggia, Lodovico Pavoni nel primo centenario della fondazione dell’Istituto. Monza, Artigianelli 1921; L. Traverso, Lodovico Pavoni Fondatore dei Figli di Maria Immacolata (1784-1849) Apostolo della gioventù pioniere dell’ educazione professionale. Milano, Ancora 1948 (III ediz.); Id., Amore e lavoro nell’opera pedagogica di Lodovico Pavoni, in "Orientamenti Pedagogici" 4 (1957) 44-60; G. Garioni Bertolotti, Verso il mondo del lavoro. Venerabile Lodovico Pavoni. Milano, Ancora 1963; R. Bertoldi, Il fratello coadiutore secondo il Ven. Lodovico Pavoni. Documentazione per un profilo apostolico del coadiutore pavoniano. Pavia, tip. Artigianelli 1966; G. Bertoldi, L’esperienza apostolica di Lodovico Pavoni. Tradate, Congregazione dei Figli di Maria Immacolata 1997, in particolare Il metodo educativo pavoniano (pp. 192-220).

    8 Nel decreto della Congregazione dei Riti sull’eroicità delle virtù del Pavoni, del 5 giugno 1947, è detto: "Porro Servus Dei stupendorum operum, quae paulo post S. Joannes Bosco amplissime protulit, praecursor merito est habendus", AAS 39 (1947) 642.

    9 Cfr. Lodovico Pavoni e il suo tempo. Atti del Convegno di studi, Brescia, 30 marzo 1985. Milano, Editrice Ancora 1986, 307 p. Sul "Don Bosco bresciano" scrive F. Molinari, Rigore critico e agiografia: il venerabile Lodovico Pavoni(pp. 13-28); dell’ istituzione educativa di base, R. Cantù, L’ Istituto di S. Barnaba, fondato in Brescia nel 1821 dal venerabile L. Pavoni (pp. 125-174).

    10 Cfr. Epistolario completo di A. Rosmini Serbati, vol. XII, p. 140; don Bosco risponde in data 29 dic. 1853, Em I 211.

    11 Organizzazione e Regolamento..., in Raccolta..., p. 9.

    12 Nel Prospetto delle Arti e de’ Lavori attualmente in corso nel Pio Istituto a profitto ed educazione de’ giovani ricoverati, appendice al Regolamento del Pio Istituto, in Raccolta..., pp. 57-58, sono elencate le seguenti qualifiche: l’ Arte tipografica e di Calcografia, la Legatura dei libri, la Cartoleria, l’ Arte dell’ Argentiere, il Fabbroferrajo, l’Arte del Falegname, il Tornitore in metallo e in legno, il Calzolaio.

    13 Regolamento del Pio Istituto..., in Raccolta..., p. 40.

    14 Regole dei Fratelli consacrati..., in Raccolta..., p. 61.

    15 Regole dei Fratelli consacrati..., in Raccolta..., p. 62. È toccante l’insistenza sulla formula: "religiosi fratelli indefessamente occupati per il benessere della povera abbandonata gioventù"; "attendere alla propria perfezione, ed affaticare indefessamente per la salute dei prossimi" (Regole fondamentali..., in Raccolta..., pp. 63-64).

    16 Regole fondamentali..., in Raccolta..., p. 64.

    17 Regolamento del Pio Istituto..., in Raccolta..., p. 43.

    18 Costituzioni della Congregazione religiosa dei Figli di Maria. Brescia, tip. vescovile 1847, parte VII, cap. V, art. 224, p. 88.

    19 Organizzazione e Regolamento..., in Raccolta..., p. 19.

    20 Organizzazione e Regolamento..., in Raccolta..., p. 21.

    21 Organizzazione e Regolamento..., in Raccolta..., pp. 2-23.

    22 Regolamento del Pio Istituto..., in Raccolta..., p. 45.

    23 Costituzioni..., parte VII, cap. VIII, pp. 96-98.

    24 Costituzioni..., parte VII, cap. VIII, pp. 96-97.

    25 Organizzazione e Regolamento..., in Raccolta..., pp. 45-46.

    26 Costituzioni..., parte VII, cap. VI, art. 238 e 242, pp. 91-92.

    27 Costituzioni..., parte VII, cap. VII, art. 245, pp. 93-94.

    28 Costituzioni..., parte V, cap. I, art. 123, p. 62.

    29 Costituzioni..., parte V, cap. I, art. 124, p. 62.

    30 Regolamento del Pio Istituto...in Raccolta...p. 54.

    31 Oltre le indicazioni largamente "pedagogiche" contenute nelle Costituzioni, nei Regolamenti e nelle Circolari, è di fondamentale importanza il contenuto di tre documenti specifici: Guide des Écoles à l’usage des petits Frères de Marie, rédigé d’après les instructions du Vénérable Champagnat (1853); Avis, leçons, sentences et instructions du Vén. P. Champagnat expliqués et développés par un de ses premiers disciples (1869); Le bon Supérieur ou les qualités d’un bon Frère Directeur d’après l’esprit du vénéré P. Champagnat, Fondateur de l’Institut des Petits Frères de Marie (1869).

    Indicazioni bibliografiche su M. Champagnat e i Piccoli Fratelli di Maria si trovano nel lavoro di P. Zind, Les nouvelles Congrégations des Frères enseignants en France de 1800 à 1830 (3 vol., Saint-Genis-Lavalle, Montet 69, 1969), vol. II Sources. Bibliographie. Chronologie. Index, pp. 591-597 (vengono elencate varie monografie di soggetto pedagogico e catechetico).

    32 Sul significato pedagogico originario dell’azione di M. Champagnat e dei Fratelli Maristi, cfr. P. Zind, Les nouvelles Congrégations..., vol. I, pp. 121-128, 200-222, 312-327, 384-390.

    33 P. Zind, Les nouvelles Congrégations..., vol. I, p. 110.

    34 Avis, leçons, sentences et instructions du Vén. Père Champagnat. Lyon, Vitte 1914, p. 19.

    35 Cit. da P. Zind, Les nouvelles Congrégations..., vol. I, p. 201.

    36 Cfr. P. Braido, Marcellino Champagnat e la perenne "restaurazione" pedagogica cristiana, in "Orientamenti Pedagogici" 2 ( 1955) 721-735.

    37 Avis, leçons, sentences..., p. 26.

    38 Avis, leçons, sentences..., p. 28.

    39 Cfr. É. Binet, Quel est le meilleur gouvernement..., già citato nel cap. 3, § 3.

    40 Cfr. Le bon Supérieur ou les qualités d’ un bon frère directeur d’après l’ esprit du vénéré père Champagnat..., Lyon, J. Nicolle 1869,

    41 Vi sono dedicati gli ultimi capitoli, XXXV-XLI, del volume Avis, leçons, sentences et instructions, pp. 399-495.

    42 Avis, leçons, sentences..., pp. 399-411.

    43 Avis, leçons, sentences..., pp. 412-432.

    44 Avis, leçons, sentences..., pp. 433-445.

    45 Avis, leçons, sentences..., pp. 446-469.

    46 Avis, leçons, sentences..., pp. 470-495

    47 Cfr. T. E. Verzeri, Dei doveri delle Figlie del Sacro Cuore e dello spirito della loro religiosa istituzione. Brescia, Tip. Vescovile del Pio Istituto 1844, vol. I, pp. 412-414, 433.

    48 Brescia, Tip. Vescovile del Pio Istituto 1844 [2 vol.], vol. I, parte IV, capo VI, pp. 410-444. Ricche di contenuti spirituali e pedagogici sono pure le Lettere, 7 vol. Brescia, tip. dell’ Istituto Pavoni 1874-1878.

    49 Sulla Verzeri è sempre fondamentale la Vita della Serva di Dio Teresa Eustochio Nob. Verzeri Fondatrice e Superiora Generale delle Figlie del S. Cuore, per Giacinto Dott. Arcangeli, 2 vol. Brescia, Tip. Istituto Pavoni 1881 (nel 1946 ne fu ristampata la seconda edizione, che era stata riveduta e corretta dall’Autore); Annali delle Figlie del Sacro Cuore di Gesù, 6 vol. Roma, Tip. Artigianelli di S. Giuseppe 1899; Nel primo Centenario della nascita della Ven. Verzeri. Bergamo, Istituto Italiano Arti Grafiche 1901; L. Dentella, Il conte canonico Giuseppe Benaglio e un secolo di storia bergamasca. Bergamo, Secomandi 1930; Una donna forte. La beata Teresa Eustochio Verzeri Fondatrice delle Figlie del Sacro Cuore di Gesù di Bergamo, a cura di una religiosa dell’Istituto. Bergamo, Istituto delle Figlie del S. Cuore 1946; C. Boccazzi, La spiritualità della B. Teresa Eustochio Nob. Verzeri. Cremona, Pizzorni 1947; E. Valentini, Il sistema preventivo della Beata Verzeri, in "Salesianum" 14 (1952) 248-316; A. Saba, Una pedagogia dell’Ottocento: Teresa Verzeri, dissertazione per la laurea presentata all’Istituto Universitario Pareggiato di Magistero Maria SS. Assunta, Roma, anno accademico 1954-1955; R. Sani, Indirizzi spirituali e proposte educative dei nuovi istituti religiosi dell’ Ottocento in area lombarda, in Chiesa, educazione e società nella Lombardia del primo Ottocento, a cura di R. Sani. Milano, Vita e Pensiero 1996, pp. 77-137.

    50 T. E. Verzeri, Dei doveri..., vol. I, p. 434. Le sottolienature sono nostre.

    51 T. E. Verzeri, Dei doveri..., vol. I, p. 416.

    52 T. E. Verzeri, Dei doveri..., vol. I, p. 436.

    53 T. E. Verzeri, Dei doveri..., vol. I, p. 423.

    54 T. E. Verzeri, Dei doveri..., vol. I, pp. 418-419.

    55 T. E. Verzeri, Dei doveri..., vol. I, p. 421.

    56 T. E. Verzeri, Dei doveri..., vol. I, p. 422.

    57 T. E. Verzeri, Dei doveri..., vol. I, p. 425.

    58 T. E. Verzeri, Dei doveri..., vol. I, p. 426.

    59 T. E. Verzeri, Dei doveri..., vol. I, pp. 424-425.

    60 T. E. Verzeri, Dei doveri..., vol. I, p. 426; cfr. pp. 429-430 (e pp. 438-439 sul valore anche diagnostico della ricreazione).

    61 T. E. Verzeri, Dei doveri..., vol. I, p. 429; cfr. pp. 426-431.

    62 T. E. Verzeri, Dei doveri..., vol. I, p. 435.

    63 T. E. Verzeri, Dei doveri..., vol. I, p. 437.

    64 T. E. Verzeri, Dei doveri..., vol. I, pp. 413-414.

    65 Elementi di pedagogia, in F. Aporti, Scritti pedagogici..., vol II, p. 114.

    66 Elementi di pedagogia, in F. Aporti, Scritti pedagogici..., vol. II, pp. 114-115, n. 1.

    67 Lett. a C. Bon Compagni del 30 giugno 1838, in A. Gambaro, Ferrante Aporti e gli asili..., vol. II, p. 397.

    68 Elementi di pedagogia, in F. Aporti, Scritti pedagogici..., vol. II, p. 85.

    69 Lezioni di metodica al corso di Torino del 1844, in F. Aporti, Scritti pedagogici..., vol. II, pp. 442.

    Secondo il Lemoyne, don Bosco, per incarico dell’arcivescovo, sarebbe stato presente alle lezioni dell’ Aporti (MB II 212-214): i giudizi sul pedagogista attribuiti a don Bosco dal salesiano don Cerruti appaiono del tutto infondati e ingiusti.

    70 Manuale di educazione ed ammaestramento, in F. Aporti, Scritti pedagogici..., vol. I, p. 36.

    71 Lezioni di metodica..., in F. Aporti, Scritti pedagogici..., vol. II, pp. 440-441. Le sottolineature sono nostre.

    72 Elementi di pedagogia..., in F. Aporti, Scritti pedagogici..., vol. II, pp. 50-51. Il timore, "il rigore, la mancanza di amorevolezza" sono per l’Aporti "le cause che basterebbero a distruggere ne’ fanciulli il desiderio di frequentare la scuola" (Lezioni di metodica..., in F. Aporti, Scritti pedagogici..., vol. II, p. 442).

    73 Lezioni di metodica..., in F. Aporti, Scritti pedagogici..., vol. II, p. 450.

    74 Statistica degli asili e delle scuole di infanzia...1849, in F. Aporti, Scritti pedagogici...., vol. I, pp . 376-377.

    75 F. Aporti, Rapporto sull’esito degli esami sostenuti dopo il 2˚ semestre 1830 dagli alunni dell’Asilo a pagamento, 24 settembre 1830, in A. Gambaro, Ferrante Aporti e gli asili..., vol. II, p. 21.

    76 F. Aporti, Piano di educazione ed ammaestramento pei fanciulli dall’ età dei 2 1/2 ai 6 anni, 15 giugno 1830, in A. Gambaro, Ferrante Aporti e gli asili..., vol. II, p. 11.

    77 F. Aporti, Piano di educazione..., in F. Aporti, Ferrante Aporti e gli asili..., vol. II, p. 11; cfr. Rapporto sull’ esito degli esami subiti dalla Scuola dei piccoli fanciulli di Cremona dopo il primo semestre del 1830, in A. Gambaro,Ferrante Aporti e gli asili..., vol. II, p. 18.

    78 F. Aporti, Rapporto..., 24 settembre 1830, in A. Gambaro, Ferrante Aporti e gli asili..., vol. II, p. 21.

    79 Lett. a don Paolo Orsi, 6 maggio 1836, in A. Rosmini-Serbati, Epistolario completo, vol. V 617-619.

    80 A. Rosmini-Serbati, Epistolario..., vol. V pp. 618-619.

    81 A. Rosmini-Serbati, Epistolario..., vol. V, pp. 619-621.

    82 "L’uomo dal "grande cuore" all’uomo che "pensa in grande"": a questo motivo sembra ispirarsi il suggestivo saggio di R. Lanfranchi, Rosmini-Don Bosco: istanze pedagogico-educative di un rapporto, in "Rivista di scienze dell’ educazione" 35 (1997) 277-293.

    83 Sulla "Generala", cfr. A. Lonni, Il penitenziario industriale-agricolo della "Generala". Trattamento del minore deviante nel Piemonte preunitario, in "Bollettino storico-bibliografico subalpino" 82 (1984) 391-424; R. Audisio, La "Generala" di Torino. Esposte, discoli, minori corrigendi (1845-1850). Santena, Fondazione Camillo Cavour 1987, 236 p.; C. Felloni e R. Audisio, I giovani discoli, in Torino e Don Bosco, a cura di Giuseppe Bracco, vol. I Saggi.Torino, Archivio della Città, 1989, pp. 99-119.

    84 Società Reale pel patrocinio dei giovani liberati dalla Casa d’educazione correzionale. Torino, Bocca 1847. Don Bosco appare tra i primi aderenti alla Società: cfr. R. Audisio, La "Generala" di Torino…, p. 210.

    85 C. I. Petitti di Roreto, Della condizione attuale delle carceri..., in Opere scelte, vol. I, p. 546.

    86 Rapport sur les premiers résultats obtenus dans la Maison d’ éducation correctionnelle pour les jeunes détenus du Royaume de Sardaigne présenté à la réunion qui eut lieu le 7 juin 1846 pour la distribution des prix par monsieur l’abbé Fissiaux. Turin, Imprimerie Royale 1846, pp. 6-7.

    87 Ch. Fissiaux, Rapport..., p. 10, 13-14.

    88 Ch. Fissiaux, Rapport..., p. 21. In un Rendiconto relativo al 1854 (i Fratelli della Congregazione di S. Pietro in Vincoli erano stati licenziati l’anno precedente), redatto dal cappellano teol. Giuseppe Giuliano, lo "Stabilimento" è ancora presentato come "Istituto destinato a punirli ed a migliorarli ad un tempo stesso" (Calendario generale del Regno pel 1855, anno XXXII. Torino, Stamperia dell’Unione Tipografica-Editrice 1855, p. 137).

    89 Ch. Fissiaux, Rapport..., pp. 14-21, 27-30.

    90 Ch. Fissiaux, Rapport..., p. 31.

    91 Second Rapport sur les résultats obtenus dans la Maison d’ éducation correctionnelle pour les jeunes détenus du Royaume de Sardaigne présenté à la réunion qui eut lieu le 26 septembre 1847 pour la distribution des prix par monsieur l’ abbé Fissiaux... Turin, Imprimerie Royale 1847, p. 13.

    92 Cfr. G. B. Lemonye, Vita del venerabile servo di Dio Giovanni Bosco..., vol. I. Torino, Libreria Editrice Internazionale "Buona Stampa" 1914 [ristampa della I ediz. 1911], p. 239; S. Scaglione, Don Bosco e i Fratelli delle Scuole Cristiane. Nel primo centenario della morte di San Giovanni Bosco, in "Rivista Lasalliana" 55 (1988) 3-29; si veda, pure, quanto scrive don Bosco in MO (1991) 170-171.

    93 La prima traduzione integrale delle Méditations del la Salle è di Serafino Barbaglia FSC. Roma-Torino, Fratelli delle Scuole Cristiane 1989.

    94 Méditations pour le temps de la retraite. A l’ usage de toutes Personnes que s’employent à l’ éducation de la Jeunesse.... Par Jean-Baptiste de la Salle... A Rouen, Chez Antoine le Prevost [1730?], p. 9 e 11-12.

    95 Méditations sur tous les dimanches et les principales festes de l’ année .... Par Monsieur Jean-Baptiste de la Salle... A Rouen, Chez Jean-Baptiste Marchal [1730?], pp. 138-139.

    96 J.-B. de la Salle, Méditations sur tous les dimanches..., pp. 184-188; Id., Méditations pour le temps de la retraite..., p. 32, 444-45, 54-56, 58-63.

    97 J.-B. de la Salle, Conduite des écoles chrétiennes. Avignon, Chastanier 1720, pp. 185-186.

    98 J.-B. de la Salle, Méditations sur tous les...festes...Sur saint Anselme, 3˚ punto, p. 45.

    99 J.-B. de la Salle, Méditations sur tous... les festes...Sur la vie de S. François de Sales, 3˚ punto, p. 19.

    100 Fr. Agatone, Le dodici virtù..., pp. 5-6.

    101 Fr. Agatone, Le dodici virtù..., pp. 14-17.

    102 Fr. Agatone, Le dodici virtù..., p. 35.

    103 Vi è dedicato il capitoletto più lungo dell’opuscolo.

    104 Fr. Agatone, Le dodici virtù..., pp. 38-39.

    105 Fr. Agatone, Le dodici virtù..., p. 38.

    106 Cfr. Virtù e doveri di un buon maestro. Operetta pubblicata per cura del Fratello Vittorio Théoger delle Scuole Cristiane. Torino, Presso G. B. Paravia e presso l’ Unione Tipografica-Editrice 1863, 64 p.

    107 Fr. V. Théoger, Virtù e doveri..., pp. 42-43: per amore verso l’ educatore o per amore del bene?

    108 Fr. V. Théoger, Virtù e doveri..., pp. 46-47.

    109 Fr. V. Théoger, Virtù e doveri..., p. 26 e 27.

    110 Fr. V. Théoger, Virtù e doveri..., p. 50.

    111 Fr. V. Théoger, Virtù e doveri..., p. 47 e 49.

    112 Fr. V. Théoger, Virtù e doveri..., p. 27; cfr. anche p. 8, 10, 21, 43.

    113 A. M. Erba, Le scuole e la tradizione pedagogica dei barnabiti, in P. Braido (Ed.), Esperienze di pedagogia cristiana nella storia, vol. I. Roma, LAS 1981, pp. 180-181. Si citerà per i documenti propri dell’Ordine dal saggio di A. M. Erba.

    114 Saggio di Regolamento per que’ Collegi dei PP. Barnabiti che hanno annesso il Convitto o il Ginnasio. Roma 1850, p. 4.

    115 Programma del ducale collegio Maria Luisa. Parma 1832.

    116 Regolamento pei convittori del Real Collegio Carlo Alberto in Moncalieri. Torino, Collegio degli Artigianelli-Tip. e Libr. S. Giuseppe 1874, p. 32.

    117 Lett. da Roma a don Rua, 14 genn. 1869, E II 4; cfr. J. M. Prellezo, Valdocco nell’Ottocento tra reale e ideale… A Valdocco l’uso fu riesumato ancora anni dopo: "Si stabilì di distribuir a tutti un piccolo libretto: Avvertimenti per gli educatori ecclesiastici, di Alessandro Teppa Barnabita" (Conferenza 16a, 7-3-1883, Ibid., p. 257). "Trovare il perché, che i giovani ci temono più di quello che ci amano". "Su questo importante argomento si disputò circa due ore, senza però trovare la vera causa. Si fu allora che venne in pensiero d’aver qualche libretto da servire come di guida; e si conchiuse di provveder per ciascuno gli avvertimenti di Alessandro Teppa barnabita" (Conferenza 18a, 9 marzo 1883, Ibid., p. 258).

    118 A. M. Teppa, Avvertimenti per gli educatori ecclesiastici della gioventù. Roma/Torino, tip. e libr. Poliglotta de Propaganda Fide/tip. e libr.Pontificia di Pietro di G. Marietti 1868, p. 13.

    119 A. M. Teppa, Avvertimenti..., p. 8.

    120 A. M. Teppa, Avvertimenti..., pp. 7-8.

    121 A. M. Teppa, Avvertimenti..., p. 11.

    122 A. M. Teppa, Avvertimenti..., pp. 14-16.

    123 A. M. Teppa, Avvertimenti..., p. 17.

    124 A. M. Teppa, Avvertimenti..., pp. 18-19.

    125 A. M. Teppa, Avvertimenti..., p. 21.

    126 A. M. Teppa, Avvertimenti..., p. 22.

    127 A. M. Teppa, Avvertimenti..., pp. 25-26.

    128 A. M. Teppa, Avvertimenti..., pp. 27-28.

    129 A. M. Teppa, Avvertimenti..., cap, IV, pp. 29-33.

    130 A. M. Teppa, Avvertimenti..., cap. V, pp. 33-41.

    131 A. M. Teppa, Avvertimenti..., cap. VI, pp. 41-51.

    132 A. M. Teppa, Avvertimenti..., cap. VII, pp. 51-54.

    133 A. M. Teppa, Avvertimenti..., pp. 29-31.

    134 A. M. Teppa, Avvertimenti..., pp. 31-33.

    135 A. M. Teppa, Avvertimenti..., p. 33.

    136 A. M. Teppa, Avvertimenti..., p. 34.

    137 A. M. Teppa, Avvertimenti..., p. 35.

    138 A. M. Teppa, Avvertimenti..., p. 37.

    139 A. M. Teppa, Avvertimenti..., p. 38.

    140 A. M. Teppa, Avvertimenti..., p. 40.

    141 A. M. Teppa, Avvertimenti..., cap. VI Dei castighi, pp. 41-51.

    142 A. M. Teppa, Avvertimenti..., p. 43.

    143 A. M. Teppa, Avvertimenti..., pp. 43-45.

    144 A. M. Teppa, Avvertimenti..., p. 49 e 51.

    145 A. M. Teppa, Avvertimenti..., p. 51.

    146 A. M. Teppa, Avvertimenti..., cap. VIII Del buon esempio e della concordia tra gli educatori, pp. 54-61.

    147 A. M. Teppa, Avvertimenti..., p. 60.

    148 1 Cor. 13, 4-7: A. M. Teppa, Avvertimenti..., cap. IX Condizioni della carità che dee avere un educatore ecclesiastico, pp. 61-69.


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