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    Capitolo 16

    La pedagogia della gioia

    e della festa

     Pietro Braido

     

    È stato affermato con felice intuizione da un acuto filosofo, Francesco Orestano: "Se San Francesco santificò la natura e la povertà, S. Giovanni Bosco santificò il lavoro e la gioia (…). Non mi stupirei che Don Bosco venisse proclamato Santo protettore dei giochi e degli sport moderni"1.

    In una sintetica visione della ricerca più recente su don Bosco e la sua "modernità", Pietro Stella osservava che alcuni studi hanno messo in rilievo, più che le formulazioni del 1877 sul "sistema preventivo", "le intuizioni che le reggono nel loro divenire e, in rapporto con queste, il ruolo ch’ ebbero l’ uso del tempo libero e il gioco nell’ esperienza educativa boschiana: sia nell’ assembramento spontaneo giovanile degli oratori, sia in quello abbastanza disinibito (anche se non privo di elementi costrittivi o addirittura repressivi) del collegio salesiano: dove il gioco in cortile era importante momento di vita nonché salutare valvola di scarico"2.

    1. La gioia

    La gioia, l’ "allegria", è elemento costitutivo del "sistema", inscindibile dallo studio, dal lavoro e dalla pietà, la "religione". "Se vuoi farti buono - suggeriva don Bosco al giovane Francesco Besucco - pratica tre sole cose e tutto andrà bene (...). Eccole: Allegria, Studio, Pietà. È questo il grande programma, il quale praticando, tu potrai vivere felice, e far molto bene all’anima tua"3. Un anno prima, nel 1862, lo studente di teologia Giovanni Bonetti annotava in una delle sue cronache: "Don Bosco è solito a dire a’ giovani dell’ Oratorio voler da essi tre cose: Allegria, lavoro e pietà. Ripete sovente quel detto di S. Filippo Neri ai suoi giovani: Quando è tempo, correte, saltate, divertitevi pure finché volete, ma per carità non fate peccati"4.

    La gioia è caratteristica essenziale dell’ambiente familiare ed espressione dell’amorevolezza, risultato logico di un regime basato sulla ragione e su una religiosità, interiore e spontanea, che ha la sua sorgente ultima nella pace con Dio, nella vita di grazia. "Il contatto fraterno e paterno dell’ educatore coi suoi allievi" "non avrebbe valore né effetto senza l’ efficacia della vita gioiosa, dell’ allegria sullo spirito del giovane, che per essa si dischiude alla penetrazione del bene"5.

    La gioia, prima di essere espediente metodologico, un "mezzo" per far accettare ciò che è "serio" in educazione, è per don Bosco forma di vita, ch’ egli deriva da un’ istintiva valutazione psicologica del giovane e dallo spirito di famiglia. In un tempo generalmente austero nella stessa educazione familiare, don Bosco, più di ogni altro, comprende che il ragazzo è ragazzo e permette, anzi, vuole che lo sia; sa che la sua esigenza più profonda è la gioia, la libertà, il gioco, la "società dell’allegria". Inoltre, credente e prete, egli è convinto che il Cristianesimo è la più sicura e duratura sorgente di felicità, perché è lieto annuncio, "evangelo": dalla religione dell’amore, della salvezza, della grazia non può che scaturire la gioia, l’ottimismo. Tra giovani e vita cristiana c’è, dunque, una singolare affinità, quasi un appello reciproco. "Il giovinetto che si sente in grazia di Dio prova naturalmente la gioia, sicuro del possesso di un bene ch’ è tutto in suo potere, e lo stato di piacere si traduce per lui in allegria"6.

    Effettivamente, nella pratica educativa e nella correlativa riflessione pedagogica di don Bosco, la gioia assume un significato religioso. Lo sanno gli stessi alunni, come appare nell’ incontro di Domenico Savio con Camillo Gavio, dove, come si è visto, l’ allegria è fatta coincidere con la santità7. Questo aspetto compare esplicito e limpido in questa e nelle altre vite scritte da don Bosco o vissute nella sua "casa". "Don Bosco - rileva il Caviglia - seppe vedere la funzione della gioia nella formazione e nella vita della santità, e volle diffusa tra i suoi la gaiezza e il buon umore. Servite Domino in laetitia poteva dirsi in casa di Don Bosco l’ undicesimo comandamento"8.

    Quest’ equilibrata mescolanza di sacro e di profano, di grazia e di natura, nella gaiezza schiettamente umana del giovane, felice nello stato di grazia, si rivela in tutte le espressioni della vita quotidiana, nell’ adempimento del dovere come nella "ricreazione". Raggiunge particolare intensità nelle molte festività, religiose e profane, con una tonalità caratteristica al termine del carnevale, in principio gli ultimi tre giorni. Con l’ esercizio della buona morte, l’adorazione eucaristica continua, la preghiera, s’ intrecciano il trattamento speciale a tavola, i giuochi, la lotteria, il teatro, la musica, il rogo finale.

    Non c’ è libro di don Bosco che metta in evidenza questa miscela di devozioni e giochi, quanto le Memorie dell’ Oratorio, "oratorio" in senso etimologico, luogo di preghiera, e "giardino di ricreazione". La esplicita egli stesso: "Affezionati a questa mescolanza di divozione, di trastulli, di passeggiate ognuno mi diveniva affezionatissimo a segno, che non solamente erano ubbidientissimi a’ miei comandi, ma erano ansiosi che loro affidassi qualche incumbenza da compiere"9.

    In secondo luogo, don Bosco considera la gioia bisogno fondamentale di vitalegge della giovinezza, per definizione età in espansione libera e lieta. Perciò ne esulta, come in una bella pagina del Cenno biografico su Michele Magone. Con scoperta compiacenza scrive "dell’indole sua focosa e vivace", del "compassionevole sguardo ai trastulli" al termine della ricreazione e di quel "sembrava che uscisse dalla bocca di un cannone", quando dalla scuola o dalla sala di studio passava alla ricreazione10.

    Don Bosco vedeva in lui l’archetipo della gran massa dei giovani.

    Questa comprensione della psicologia giovanile gli fa accettare in parte le effervescenze militari del 1848 e "acconciandosi alle esigenze dei tempi, in tutto ciò che non era disdicevole alla religione e al buon costume, egli non esitò di permettere ai giovani che facessero ancor essi nel cortile dell’Oratorio le loro manovre, anzi trovò modo di avere una buona quantità di fucili senza canne con appositi bastoni"11. Sono note ai conoscitori di don Bosco le prestazioni del "bersagliere" Giuseppe Brosio (1829-1883), da questi ricordate in una sua tardiva memoria12.

    I giochi, gli scherzi, i rebus, le conversazioni amenissime e intrise di serietà e costruttività educativa popolano le ricreazioni. Le Memorie dell’ Oratorio sono prodighe di vocaboli che indicano movimento e allegrezza: "schiamazzi, canti, grida"; "fare applausi ed ovazioni gridando, schiamazzando e cantando"; "stanchi dal ridere, scherzare, cantare e direi di urlare"13; "la ricreazione colle bocce, stampelle, coi fucili, colle spade in legno, e coi primi attrezzi di ginnastica"; "la maggior parte se la passava saltando, correndo e godendosela in varii giuochi e trastulli". "Tutti i ritrovati dei salti, corse, bussolotti, corde, bastoni" "erano messi in opera sotto alla mia disciplina"14.

    L’ allegria diventa, nelle più svariate forme di ricreazione e soprattutto nei giochi all’ aria aperta, mezzo diagnostico e pedagogico di prim’ordine per gli educatori; e per i giovani stessi campo d’irradiazione di bontà. "Dopo la confessione - nota Alberto Caviglia -, non si può indicare altro centro più vitale e attivo di questo nel suo sistema. Poiché non solo nella spontaneità della vita gioiosa e famigliare del giovane si ha una delle fonti capitali della conoscenza degli animi; ma soprattutto si ha mezzo ed occasione di avvicinare, senza soggezione e senza parere, uno per uno i giovani, e dir loro in confidenza la parola che fa per ciascuno. Torna qui il principio vitale della pedagogia, o meglio, dell’ educazione vera e propria: quello dell’ educazione dell’ un per uno, sia pure respirata nel clima ambiente dell’ educazione collettiva"15.

    Alla vita del cortile Alberto Caviglia dedica una significativa "digressione" nel suo studio sulla biografia del giovane Magone, enunciandone il tema: "Se ricordiamo che, fino a quando gli fu possibile, don Bosco lasciava tutto il resto, per trovarsi in cortile coi suoi figliuoli: noi avremo compresa l’importanza che questo fattore ha occhi di educatore e di padre delle anime dei suoi figliuoli"16. "Io mi serviva di quella smodata ricreazione - attesta don Bosco stesso in riferimento al primo oratorio - per insinuare a’ miei allievi pensieri di religione e di frequenza ai santi sacramenti"17. L’ ultimo dei sette "secreti dell’ Oratorio", rivelati da don Bosco nel giugno 1875 e registrati da don Barberis, è: "Allegria, canto, musica e libertà grande nei divertimenti"18.

    L’ allegria è, dunque, per don Bosco non solo ricreazione, divertimento, ma autentica, insostituibile realtà pedagogica. Non per nulla, come si è visto, la "famigliarità coi giovani specialmente in ricreazione" è un punto capitale del sistema riaffermato nella lettera agli educatori del maggio 188419.

    1. Le feste

    Ne consegue la carica anche "pedagogica" delle feste. Nei giorni festivi la gioia trova le sue espressioni più sensibili e intense20. Essi si succedono numerosi e diversamente accentuati. Sono da menzionare, anzitutto, le domeniche ordinarie e le grandi solennità liturgiche, tra cui emergono la novena e la festa di Natale, la solennità dell’ Epifania, la Settimana Santa, Pasqua, l’ Ascensione, la Pentecoste, il Corpus Domini. La Pasqua è preparata o seguita da gran movimento di confessioni e comunioni per ragazzi e ragazze degli oratori festivi21.

    Di eccezionale significato educativo, per i singoli e per la "pulizia" della comunità, sono alcune celebrazioni mariane: la Natività in settembre, l’Immacolata Concezione in dicembre, festa principalissima perché ricordava l’inizio dell’opera degli oratori, Maria Ausiliatrice, il 24 maggio, l’ Assunzione. Il 24 maggio non è solo festa dell’ Oratorio, ma diventa presto una vera festa di popolo e di pellegrini con straordinarie manifestazioni sacre e profane; nell’ organizzazione e nella gestione delle varie attività sono coinvolti giovani e salesiani22.

    Sono vissute con particolare intensità le ricorrenze di santi più cari: s. Francesco di Sales, s. Giuseppe, s. Luigi Gonzaga, s. Giovanni Battista, con il grande appuntamento annuale attorno a don Bosco di allievi ed ex-allievi, s. Pietro con la festa del papa, Ognissanti, santa Cecilia, patrona dei musici, infine, il patrono di ciascuna istituzione educativa. Particolare interesse riveste la festa del 24 giugno, con inizio la sera della vigilia, modello della "festa della riconoscenza", celebrata in differenti date nelle "case" e negli oratori salesiani. Di quella di Valdocco il "Bollettino salesiano", fin dal 1879, offre buone informazioni, seguite dalla rievocazione degli incontri in luglio con gli ex-alunni dell’ Oratorio, sacerdoti e laici23.

    Tra le feste, caratterizzate da straordinario sfoggio di musiche, canti e splendore di riti, molte sono precedute da tridui e novene. Anche alcuni mesi sono ravvivati da una eccezionale carica educativa, che provoca la festosa e convinta partecipazione dei giovani: il mese di maggio, mariano; il mese di marzo, in onore di s. Giuseppe, vicino all’interesse quasi corporativo degli artigiani; il mese di ottobre, con la festa della Madonna del Rosario e l’ incremento di questa pratica.

    "Lo studio - osserva Eugenio Ceria - di offrire alle menti e alle fantasie dei giovani un pascolo svariato che li stornasse dal pensare a cose men buone, era costante nel santo Educatore. Come le rappresentazioni drammatiche, così indirizzava al medesimo scopo le feste in chiesa e fuori di chiesa, le quali ebbe cura di far celebrare non solo con pompa e allegria, ma anche a intervalli tali, che, quando l’ impressione di una svaniva, tosto sorgesse l’ aspettazione dell’ altra"24.

    Riflessivi e festosi, insieme, sono il ritiro mensile, detto "esercizio della buona morte", gli esercizi spirituali annuali, il triduo d’introduzione all’anno scolastico, con annesse escursioni e feste: dell’uva, delle castagne, delle premiazioni. In primavera, si aggiungeva preparata con particolare cura la passeggiata annuale25. Si è già accennato al carnevale e ai suoi "riti", sacri e profani.

    Frequenti erano pure i ricevimenti ad autorità religiose e civili e altre iniziative che impedivano che nell’istituzione educativa s’instaurasse uno stile di routine e di noia.

    Qualsiasi manifestazione presentava sempre un duplice volto: religioso e profano. Don Bosco ne voleva potenziata pure l’esplicita valenza educativa, cominciando dai comuni incontri domenicali dell’ oratorio, che per quanto era possibile, dovevano presentare un carattere di "novità", di gioia e di edificazione26.

    Nelle classi scolastiche gli insegnanti erano invitati a richiamare sulle feste l’attenzione degli allievi27.

    La festa solenne rispecchiava il ritmo religioso della domenica, fortemente potenziato in musiche e canti, possibilmente con la presenza di un vescovo, con prolungamento in un desinare più ricco, concluso talora con le armonie della banda musicale in cortile e l’aggiunta del teatro nel tardo pomeriggio. Il vertice della festività era costituito dalla comunione eucaristica, possibilmente generale, nella prima messa mattutina.

    "Alla sera del 25 - scriveva da Roma a don Rua nel febbraio 1870, rivolgendosi, nel finale, direttamente ai giovani - sarò in mezzo di voi per essere tutto di voi. Mi raccomando però che non cerchiate di farmi alcuna festa. La festa più grande per me si è di vedervi tutti in buona sanità e con buona condotta. Io procurerò di farvi stare allegri. La domenica seguente al mio arrivo spero che faremo un gran festino in onore di S. Francesco di Sales. Fatemi adunque una festa la più cara che io possa desiderare, cioè che tutti facciate in quel giorno la vostra santa comunione. Quando voi fate feste di questo genere il resto è più niente"28.

    1. Il teatro

    La prima rappresentazione teatrale fu data il 29 giugno 1847 nell’incipiente Oratorio di Valdocco in occasione della visita dell’arcivescovo Luigi Fransoni. Un gruppo di giovani si era preparato "per la declamazione, per i dialoghi e pel teatrino". All’arrivo dell’arcivescovo don Bosco lesse "qualche cosa di opportunità". Dopo il rito della Cresima e la Messa, in onore dell’arcivescovo furono recitati "da prima varii componimenti in poesia ed in prosa", seguiti da un dialogo-commedia di un collaboratore di don Bosco, il teologo Carpano, dal titolo Un caporale di Napoleone29.

    Due anni dopo, un giovane pittore ventenne, originale e brillante, Carlo Tomatis, ospite dell’ Oratorio dal 1849 al 1861, mentre don Bosco al sabato sera era occupato nelle confessioni, prese l’iniziativa d’intrattenere i più giovani compagni interni con mimi, spettacoli di marionette, farse, commedie30.

    Per gli anni 1847-1852, è documentato un altro tipo di attività teatrale, con dialoghi e rappresentazioni didattiche sulla storia sacra, il sistema metrico decimale, ecc., generalmente connessa con l’attività delle scuole serali e domenicali, talora alla presenza di personaggi di eccezione, come Ferrante Aporti e Carlo Bon Compagni31.

    Con gli anni ‘50 nell’ ospizio di Valdocco ha inizio una vera tradizione teatrale, che finirà con arricchirsi negli anni ‘60 di vari "generi": commedie e farse popolaresche, dialettali e italiane; commedie , alla presenza di illustri personaggi della città; il dramma storico e sacro; vari tipi di rappresentazioni musicali: operetta, melodramma, antologie di pezzi ricavate dal teatro lirico, romanze32. Nell’ aprile del 1861 si ha la prima rappresentazione della commedia latina Minerval del gesuita p. Palumbo. A Valdocco si aveva il 2 giugno 1864 la replica della commedia Phasmatonices (Larvarum victor), già rappresentata il 12 maggio, del vescovo C. M. Rosini, adattata dal medesimo p. Palumbo33. Il 1˚ giugno 1865 sarà rappresentata a Mirabello34. Rappresentazioni latine e accademie costituivano una parte notevole delle attività parascolastiche35.

    Il teatro, dunque, nelle varie espressioni, gradualmente, si inserisce a pieno diritto nel sistema educativo di don Bosco, praticamente e vitalmente, come elemento integrante per la costituzione dell’ambiente dell’allegria e con una funzione educativa e didattica36.

    Don Bosco gli assegna, ovviamente, un immediato scopo ricreativo, ordinato, però, anche a superiori finalità culturali e educative. Ne parlava in un vibrato discorso ai direttori nel corso delle "conferenze di san Francesco di Sales" del gennaio 1871.

    "Veggo che qui fra noi non è più come dovrebbe essere, e come era nei primi tempi. Non è più teatrino, ma è un vero teatro. Pertanto io intendo che i teatrini abbiano questo per base: di divertire e di istruire; e non s’abbiano a vedere di quelle scene che indurir possono il cuor dei giovani o far cattiva impressione sui delicati lor sensi. Si diano pure commedie, ma cose semplici, che abbiano una moralità. Si canti, perché questo, oltre che ricrea, è anche una parte d’istruzione in questi tempi tanto voluta"37.

    Alle distinte compatibili finalità egli si impegnò più volte ad assegnare inderogabili regole, discusse e precisate perfino nella più alta assise della congregazione religiosa, il capitolo generale. Divertire erallegrare dovevano assolutamente coniugarsi con istruire ed educare38.

    Sintetizzava le diverse valenze del teatrino il proemio delle norme ad esso riferite nel Regolamento delle case: "Il teatrino, fatto secondo le regole della morale cristiana, può tornare di grande vantaggio alla gioventù, quando non miri ad altro, se non a rallegrare, educare ed istruire i giovani più che si può moralmente. Affinché si possa ottenere questo fine è d’ uopo stabilire: 1. Che la materia sia adattata. 2. Si escludano quelle cose che possano ingenerare cattive abitudini"39.

    Uno dei più fidati collaboratori di don Bosco aveva riassunto precedentemente il comune pensiero, fondato sull’ esperienza vissuta, sul valore educativo delle rappresentazioni teatrali.

    "Per primo se ben scelte le rappresentazioni sono scuola di Santità (...). 2. Istruzione straordinaria sia puramente intellettuale sia che c’ insegna quella prudenza pratica che ci è necessaria per l’ uso della vita. 3. Sviluppo straordinario della mente di chi recita (...) 4. Ci fa conoscere la vita intrinseca dell’ uomo e della società. 5. Oh quanta allegria porta nei giovani; ci pensano già molti giorni prima e molti giorni dopo (...) 6. L’ anno scorso (e sarà capitato mille volte prima e dopo) un cherico mi manifestò che si decise di fermarsi in congregazione attirato dall’ allegria che venne svegliata in lui dai teatri (...). 7. Quanti cattivi pensieri e cattivi discorsi allontana. Tutti i pensieri e i discorsi son concentrati in quel punto. 8. Attira molti giovani ai nostri collegi; poiché anche nelle vacanze si racconta ai compagni, agli amici l’ allegria dell’ Oratorio e dei teatrini nostri... e molti altri"40.

    Nel gennaio del 1885, per impulso di don Bosco, dalla tipografia salesiana di San Benigno Canavese usciva il primo fascicolo della Collana periodica di Letture drammatiche per istituti di educazione e famiglie, prima bimestrali, poi dal 1886 mensili. Nella copertina del primo fascicolo, Le pistrine e l’ ultima ora del paganesimo in Roma di don G. B. Lemoyne, ne era fissato il programma.

    "Si è osservato che specialmente i libri di commedie, quando non siano rigorosamente morali, producono nel cuore dei giovani impressioni talmente funeste che più non si tolgono neppure nella più provetta vecchiaia. Ad ovviare a questo inconveniente si è ideata una raccolta di Letture drammatiche, le quali, nello stesso tempo che attraenti ed amene, riescano pure educative e severamente morali. A questo fine alcuni sacerdoti assai esperti, sotto la guida e per incarico del Sac. Giovanni Bosco, si propongono di mandare ad effetto il seguente programma: "Le Letture Drammatiche mireranno a ricreare, istruire ed educare il popolo, e specialmente la gioventù italiana, con una serie di libretti contenenti drammi, commedie, farse, tragedie ed anche semplici dialoghi e poesie ricreative""41.

    1. Musica e canto

    La funzione della musica strumentale e vocale, nel sistema educativo di don Bosco, è pure strettamente legata al suo concetto dell’educare mediante l’allegria, l’atmosfera rasserenante e l’ affinamento del gusto estetico e dei sentimenti. Per questo essa trova ampi spazi in tutte le istituzioni, dall’ oratorio festivo al convitto per studenti, alle scuole artigianali e professionali: in queste è particolarmente curata la banda musicale.

    Tra l’ altro, la musica dà un tono di vivace festosità a tutte le solennità, sacre e profane: riti religiosi, processioni, passeggiate ed escursioni, ricevimenti e commiati, distribuzione dei premi, accademie, teatrino.

    Nel 1859 don Bosco fece scrivere sulla porta della sala di musica vocale un detto biblico, accomodandone il senso: Ne impedias musicam42. La sua posizione è resa efficacemente dalla felice espressione: "Un Oratorio senza musica è un corpo senz’anima"43.

    Formulata in particolari circostanze44, essa non faceva che teorizzare una convinzione, che era stata realtà viva e pratica fin dagli albori della sua attività educativa. Ricordando i primissimi collaboratori delle incipienti riunioni giovanili (1842), egli scrive nelle Memorie dell’ Oratorio: "Essi mi aiutavano a conservare l’ ordine ed anche a leggere e cantare laudi sacre; perciocché fin d’ allora mi accorsi che senza la diffusione di libri di canto e di amena lettura le radunanze festive sarebbero state come un corpo senza spirito"45. Rievocando nelle stesse Memorie l’ impianto delle prime scuole serali nell’ inverno 1846-1847, don Bosco scriveva : "Oltre alla parte scientifica animava le nostre classi il canto fermo e la musica vocale, che tra noi furono in ogni tempo coltivati"46.

    S’ intrecciano vari motivi. Nei primi tempi, la musica è considerata prevalentemente mezzo preventivo: "vi fu un concorso stragrande" alla scuola di musica. La musica vocale e strumentale fu insegnata per sottrarre i giovani ai "pericoli, cui i giovanetti erano esposti in fatto di religione e di moralità": "alla scuola serale ed anche diurna, alla musica vocale si giudicò bene di aggiungere la scuola di piano e di organo e la stessa musica istrumentale"47.

    Si aggiungeva il motivo religioso, soprattutto in relazione al canto sacro e gregoriano, il "canto fermo": "era eziandio suo desiderio e mira che i giovani ritornando al proprio paese fossero di aiuto al parroco nel cantare alle sacre funzioni"48. Altro motivo era la lotta contro l’ozio: "I ragazzi bisogna tenerli continuamente occupati"49.

    Va tenuta presente, infine, la valutazione più particolarmente pedagogica della musica. Ne scrive in un capitolo di sintesi su La musica salesiana Eugenio Ceria nel primo volume degli Annali. "La ragione precipua va ricercata nella salutare efficacia che egli le attribuiva sul cuore e sull’immaginazione dei giovani allo scopo d’ingentilirli, elevarli e renderli migliori"50.

    1. Escursioni

    Nelle pagine sul sistema preventivo e nell’attività di don Bosco educatore sono messe in evidenza, oltre il passeggio settimanale per classi e la passeggiata scolastica annuale, di artigiani e di studenti, anche le escursioni autunnali. Era un modo di attuare il principio dell’amare ciò che ama il giovane, perché il giovane ami ciò che ama l’educatore.

    Anch’ esse contribuiscono alla creazione di quel clima di gioia cristiana, che è parte essenziale della formazione integrale del giovane. Hanno, quindi, una fondamentale portata educativa.

    Nell’ oratorio festivo di Valdocco fiorirono fin dall’inizio le escursioni e i pellegrinaggi, assolutamente necessari negli anni 1844-1846, quando l’ oratorio non aveva fissa dimora o non disponeva di propri luoghi di culto. Le stesse Memorie dell’ Oratorio rievocano andate a Sassi, alla Madonna di Campagna, a Stupinigi, alla Consolata, al Monte dei Cappuccini51.

    Classiche sono le passeggiate autunnali. Ce n’è tutta una serie variegata, che va dal 1847 al 186452. Finite queste, continuò ugualmente il soggiorno autunnale ai Becchi per i cantori e i premiati.

    Particolare sviluppo - intorno alle due settimane - ebbero quelle tra il 1859 e il 1864. Ben organizzate, vi partecipavano in gruppi sempre più numerosi i giovani. Gli escursionisti entravano nei paesi con la banda in testa, accolti festosamente dalla gente, dai parroci o dai signori del luogo, che assicuravano loro alloggi di fortuna e il vitto quotidiano. Le giornate prevedevano visite a persone di riguardo, riti religiosi mattutini e serali, attività ricreative, esibizioni della banda musicale, spettacoli teatrali su palchi improvvisati in piazza. Comprendevano canti, suoni, macchiette in dialetto, commediole: non vi poteva mancareGianduia, la classica maschera piemontese. Storica fu quella a Genova nella prima quindicina di ottobre del 1864. Sulla via del ritorno, tra Lerma e Mornese don Bosco attirava a sé due personaggi di spicco nella congregazione, Francesco Bodrato e don Giovanni Battista Lemoyne.

    Le passeggiate adempivano, così, a una vera funzione educativa: esse, garantivano, anzitutto, la preservazione dei giovani durante le vacanze, arricchendone il mondo emotivo: "far come toccar con mano" ai giovani che "il servire a Dio può andar bellamente unito all’onesta allegria"53. I giovani, dopo l’ anno scolastico, ne ricevevano anche un consistente beneficio fisico, con una vera "ricreazione", ampia e generosa.

    Erano, in sostanza, preludio alle parole del sistema preventivo: "Si dia ampia libertà di saltare, correre, schiamazzare a piacimento"; insieme ad altri espedienti, "le passeggiate sono mezzi efficacissimi per ottenere la disciplina, giovare alla moralità ed alla sanità"54.


    NOTE

    1 F. Orestano, Celebrazioni, vol. I, pp. 76-77; cfr. G. Söll, Don Bosco-Botschafter der Freude. Köln, Kölner Kreis 1977.

    2 P. Stella, Bilancio delle forme di conoscenza e degli studi su don Bosco, in M. Midali (Ed.), Don Bosco nella storia…, p. 35.

    3 G. Bosco, Il pastorello delle Alpi..., pp. 90-91, OE XV 332-333.

    4 G. Bonetti, Annali II (1861-1862), 2 maggio 1862, p. 77.

    5 Cfr. A. Caviglia, Introduzione alla lettura de La Vita di Savio Domenico, pp. XLI-XLII. Il tema "la gioia quale fattore educativo" in don Bosco è particolarmente sviluppato anche da F. X. Eggersdorfer, Jugenderziehung..., pp. 263-264.

    6 A. Caviglia, Il "Magone Michele"..., p. 149.

    7 G. Bosco, Vita del giovanetto Savio Domenico..., p. 86, OE XI 236.

    8 A. Caviglia, Il "Magone Michele"..., p. 149.

    9 MO (1991) 146.

    10 G. Bosco, Cenno biografico sul giovanetto Magone Michele..., p. 15, OE XIII 169.

    11 MB III 320.

    12 G. Brosio, Testimonianza del 1880 ca., pp. 3-5; cfr. MB III 438-440; Storia dell’ Oratorio..., BS 5 (1881) n. 3, marzo, p. 15.

    13 MO (1991) 145.

    14 MO (1991) 159.

    15 A. Caviglia, Savio Domenico e Don Bosco. Studio, p. 134.

    16 A. Caviglia, Il "Magone Michele"..., p. 172.

    17 MO (1991) 160.

    18 G. Barberis, Cronichetta, quad. 2, p. 3. Il 5˚ e il 6˚ sono rispettivamente: "i superiori dan molta confidenza e si trovano sempre in mezzo ai giovani" e " quel parlar loro due parole tutte confidenziali e di cuore dopo le orazioni" (Ibid.).

    19 Due lettere datate da Roma..., in P. Braido (Ed.), Don Bosco educatore..., p. 365, 370, 384. F. X. Eggersdorfer, Jugenderziehung..., vede nella gioia e nel gioco, generosamente presenti nelle istituzioni di don Bosco un capitale fattore di vitalità e di attivismo educativi (pp. 283-287).

    20 Cfr. F. Desdramaut, La festa salesiana ai tempi di don Bosco, nel vol. La festa nell’ esperienza giovanile del mondo salesiano, a cura di C. Semeraro. Leumann (Torino), Editrice Elle Di Ci 1988, pp. 79-99, in particolare Il valore pedagogico delle feste salesiane (pp. 97-99); R. Alberdi, La festa nell’ esperienza salesiana della Spagna (1881-1901), Ibid., pp. 100-129.

    21 Cfr. J. M. Prellezo, Valdocco nell’ Ottocento..., pp. 83, 109-111, 189.

    22 Cfr. J. M. Prellezo, Valdocco nell’ Ottocento..., pp. 79, 93, 101-102, 114-118, 155-156, 177-178, 199-200, 202-206.

    Però, nel primo capitolo generale del 1877, "si parlò di cosa pericolosa per la moralità quella mescolanza d’ omnis generis che avviene alla fiera di Maria Ausiliatrice e negli altri collegi in occasioni speciali" (G. Barberis, Verbali, quad. I 143-144).

    23 BS 3 (1879) n. 7, luglio, pp. 8-9; 4 (1880) n. 9, sett., pp. 9-12; 5 (1881) n. 8, agosto, pp. 15-16; 6 (1882) n. 7, luglio, pp. 122-123; 7 (1883) n. 7, luglio, p. 116 e n. 8, agosto, pp. 127-129; 8 (1884) n. 8, agosto, pp. 110-116; 9 (1885) n. 8, agosto, pp. 116-119.

    24 MB XII 136.

    25 Di essa si fa l’analisi nelle "conferenze" degli educatori per valutarne gli esiti, individuare gli inconvenienti, proporre migliorìe: cfr. J. M. Prellezo, Valdocco nell’ Ottocento..., pp. 83-84, 91-93.

    26 Addirittura, fin dal 1842, secondo MO (1991) 123-125; poi 125, festa dei muratori in onore di S. Anna; anni dopo, 144-146, passeggiata a Superga; 158-160: "usciti di chiesa cominciava il tempo libero" (p. 159); 178-180, festa di S. Luigi; 195-196, festa di Pio IX esule a Gaeta.

    27 "Occorrendo Novena o Solennità, dica qualche parola d’ incoraggiamento, ma con tutta brevità, e se si può con qualche esempio" (Regolamento per le case..., parte I, cap. VI Dei maestri di scuola, art. 13, p. 35, OE XXIX 131).

    28 E II 71-72.

    29 MO (1991) 179 e Storia dell’ Oratorio..., BS 4 (1880) n. 2, febbraio, p. 2; n. 3, marzo, p. 7.

    30 MB III 592-594.

    31 MB III 231, 535, 623-652; IV 279, 410-412; Em I 157; Storia dell’ Oratorio..., BS 4 (1880) n. 12, dic., pp. 5-6.

    32 Al seguito di Giovanni De Vecchi, musicista della città, si cimenteranno successivamente in celebrate composizioni musicali i salesiani don Giovanni Cagliero, don Giacomo Costamagna e Giuseppe Dogliani.

    33 Si veda l’ invito in lingua latina del 27 maggio 1864, Em II 50-51.

    34 Cfr. lett. di don Bosco al march. D. Fassati, 4 giugno 1865 Em II 140.

    35 Cfr. G. Proverbio, La scuola di don Bosco e l’insegnamento del latino (1850-1900), in F. Traniello (Ed.), Don Bosco nella storia della letteratura popolare. Torino, SEI 1987, pp. 169-173.

    36 Cfr. S. Stagnoli, Don Bosco e il teatro educativo salesiano. Milano, Eco degli Oratori 1968, 154 p.

    37 MB X 1057. Del discorso di don Bosco resta anche la relazione manoscritta; le parole sul teatrino sono riportate dal cronista in forma incompleta e contratta, Fdb mcr 1.870 A9-B8: "Una cosa poi che si deve prendere in considerazione e rimediare, sono anche i testi o le recite che si fanno. Io l’ ho sempre tollerato ed ancora lo tollero questo, ma intendo che sia teatrino fatto unicamente pei giovani e non per quei che vengono dal di fuori. In ogni casa di educazione ecc.".

    38 Regole del Teatrino stampate e diramate alle case in un foglio di quattro paginette nel 1871. Sono riportate in MB VI 106-108 e X 1059-1061. Nel 1877 furono inserite con varianti nel Regolamento per le case e nelle Deliberazioni del Capitolo generale della Pia Società Salesiana tenuto in Lanzo Torinese nel settembre 1877, OE XXIX 146-151 e 432-437.

    39 Regolamento per le case, cap. XVI Del teatrino, p. 50, OE XXIX 146; identico, a parte l’ assenza dell’ inciso "fatto secondo le regole della morale cristiana", è il proemio del regolamento pubblicato, un anno dopo, nelle Deliberazioni del Capitolo generale...tenuto in Lanzo Torinese..., p. 56, OE XXIX 432.

    40 G. Barberis, Cronichetta, quad. 4, 17 febbr. 1876, pp. 68-69.

    41 G. B. Lemoyne, Le pistrine e l’ ultima ora del paganesimo. San Benigno Canavese, tip. e libr. salesiana 1885, programma della "Collana di Letture drammatiche"; cfr. BS 10 (1886) n. 1, genn., pp. 9-10; annuncio in BS 9 (1885) n. 1, genn,, p. 15 e in copertina; presentazione de Le pistrine in BS 9 (1885) n. 3, marzo, p. 48.

    42 Sir. 32, 5; cfr. MB V 540.

    43 MB XV 57.

    44 Gli era uscita a Marsiglia nel 1881, conversando con un sacerdote francese che aveva fondato un’ Oeuvre de Jeunesse gestita in stile più austero di quello del suo oratorio. Ne aveva scritto già don Lemoyne in MB V 347.

    45 MO (1991) 123.

    46 MO (1991) 176.

    47 MO (1991) 182 e 190.

    48 MB III 150-152; cfr. MO (1991) 150, 176, 182, 202.

    49 MB V 347.

    50 E. Ceria, Annali della società salesiana dalle origini alla morte di S. Giovanni Bosco (1841-1888). Torino, SEI 1941, p. 691; cfr. cap. LXIV La musica salesiana, pp. 691-701.

    51 MO (1991) 140-141, 144-146.

    52 Su di esse esiste una letteratura rispettabile. Lo studio storico più elaborato è di L. Deambrogio, Le passeggiate autunnali di don Bosco per i colli monferrini. Castelnuovo Don Bosco, Istituto Bernardi Semeria 1975, 539 p. Le ultime puntate della Storia dell’ Oratorio pubblicate nel "Bollettino salesiano" sono dedicate alle Passeggiate, BS 11 (1887) n. 3, marzo, pp. 30-33; n. 4, aprile, pp. 47-48; n. 5, maggio, pp. 57-58; n. 9, sett., pp. 116-119; n. 10, ott., pp. 129-132.

    Immediati sono i due volumi di G. B. Francesia, Don Bosco e le sue passeggiate autunnali nel Monferrato. Torino, Libr. salesiana 1897, 372 p.: del primo periodo (pp. 11-99) sono quelle pubblicate nel "Bollettino salesiano", vivente don Bosco; Id., Don Bosco e le sue ultime passeggiate. Torino, Libreria salesiana 1901, 388 p.: del periodo sesto e ultimo è la passeggiata in Liguria (pp. 215-386).

    53 MB II 384-391.

    54 Il sistema preventivo (1877), p. 54, OE XXVIII 432.


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