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    Capitolo 12

    Itinerari educativi:

    (i) i doveri e la grazia

    Pietro Braido

     

    La forma di vita giovanile è, per don Bosco, essenzialmente evolutiva e pedagogica: è processo di crescita realizzato necessariamente con l’ adulto educatore e i fattori che lo affiancano e che mette in opera. Come si è visto, nella rete delle forze in campo nel processo di crescita dei giovani l’ educazione appare del tutto dominante e insostituibile. Tutte le altre risorse non diventano operanti se non grazie a questa mediazione. La vita dell’ età che cresce non può svolgersi positivamente se non con gli educatori, in stretta interazione con essi, nell’ obbedienza.

    Naturalmente, coll’ espandersi delle opere, il raggiungimento degli obiettivi prefissati viene attuato su vie e con metodologie differenziate in base a situazioni giovanili diverse: 1) il tipo di giovani: orfani, abbandonati, di "civile condizione", seminaristi; 2) il loro livello psicologico-morale: indole buona, ordinaria, difficile, cattiva; 3) le istituzioni: oratorio festivo, scuole serali e domenicali, associazioni religiose e ricreative, collegi per studenti e ospizi per artigiani, mezzi di comunicazione culturale: stampa, teatro, musica e canto, gioco, escursioni.

    Naturalmente, c’è un impianto di base di fini, di valori, di contenuti e di metodi, comuni a tutte le istituzioni e che, pur nella diversità delle proposte concrete, concorrono a configurare un "sistema preventivo" fondamentalmente unitario. Ma il conseguimento di essi non può essere attuato che mediante "metodologie" differenziate, se si vogliono adeguate ed efficaci.

    Ne consegue che se è stato relativamente facile individuare i "fini", più arduo è dare un quadro della varietà degli "itinerari", che al raggiungimento di essi sono stati pensati e adottati in risposta alla molteplicità delle concrete "condizioni giovanili" e secondo il diverso tipo delle istituzioni predisposte. L’ esposizione non può che limitarsi alle linee più significative.

    Vi si dedicheranno i due prossimi capitoli. Ambedue indicheranno percorsi educativi che si attuano nell’ ambito della visione cristiana dell’educazione. Nel primo, però, sarà posto in particolare rilievo l’aspetto "religioso", mentre nel successivo appare più accentuata la collaborazione umana, pur nella costante compresenza del fattore divino.

    1. Dall’ obbedienza "pedagogica" alla conformità sociale adulta

    Dunque, secondo don Bosco, la "via regia", l’unica, alla maturazione adulta è l’ obbedienza, ascolto e sequela. Essa è, nel tempo educativo, mezzo e metodo, per diventare nel suo approdo compiuta conformità sociale adulta.

    L’ obbedienza all’educatore è capitale strumento di abilitazione alla professione umana e cristiana, allo stesso modo che ogni apprendistato di un’ arte o di un mestiere esige la dipendenza da un "maestro". Per apprendere il mestiere di uomo e di cristiano ogni metodo e mezzo è ricondotto a questo unum necessarium: "ubbidire a Dio, al papa ed ai santi ministri della chiesa, insomma ciascuno secondo il suo stato a chi deve ubbidire", e poi al padre, alla madre, ai padroni, ai superiori. Per questo essa è la virtù "che abbraccia tutte le altre virtù", "quella che semina, che fa nascere tutte le altre, e dopo le custodisce, le conserva in modo che più non si perdano"1. "Il fondamento d’ ogni virtù in un giovane è l’ubbidienza a’ suoi Superiori. L’ubbidienza genera e conserva tutte le altre virtù, e se questa è a tutti necessaria, lo è in modo speciale per la gioventù. Se pertanto volete acquistare la virtù, cominciate dall’ubbidienza ai vostri Superiori, sottomettendovi loro senza opposizione di sorta come fareste a Dio"2.

    Per l’ obbedienza il giovane, singolo e in comunità, diventa discepolo e conformandosi interiormente all’ ordine, rappresentato dai regolamenti e dalle prescrizioni, si disciplina in tutti i settori e strati della propria vita interiore ed esteriore. L’ educazione diventa, così, opera di obbedienza e di disciplina nel senso più ampio: l’ adempimento del dovere è in realtà compimento dei doveri, tutti, verso Dio, verso gli altri, verso se stessi. "I doveri" e "il dovere" si succedono, intrecciandosi, costantemente: tutto ciò che si ha da fare per salvarsi è il dovere del proprio stato - studio, lavoro - come banco di prova e di verifica dell’ autenticità del compimento di tutti gli altri.

    La disciplina, infatti, ha per don Bosco un significato totale. "Per disciplina - dichiarava in una circolare ai salesiani del 1873 - io intendo un modo di vivere conforme alle regole e costumanze di un istituto. Laonde per ottenere buoni effetti della disciplina prima di tutto è mestieri che le regole siano tutte e da tutti osservate". "Questa osservanza devesi considerare nei soci della Congregazione e nei giovanetti dalla Divina Provvidenza alle nostre cure affidati; quindi la disciplina rimarrà senza effetto se non si osservano le regole della Società e del collegio. Credetelo, o miei cari, da questa osservanza dipende il profitto morale e scientifico degli allievi oppure la loro rovina". Le "regole", infatti, non sono che la sintesi dei valori da realizzare, umani e cristiani. Perciò, concludeva: "Il Signore disse un giorno ad un suo discepolo: Hoc fac et vives (Luc. X, 28). Lo stesso dico a voi". Dalla pratica delle cose dette egli assicurava i frutti più copiosi per i salesiani e i loro allievi: "avrete la benedizione del Signore, godrete la pace nel cuore, la disciplina trionferà nelle nostre case, e vedremo i nostri allievi crescere in virtù e camminare per la strada della eterna loro salvezza"3.

    È dell’ essenza del sistema preventivo "far conoscere le prescrizioni e i regolamenti di un Istituto" e poi aiutare i giovani a osservarli, con educatori che parlano, servono di guida, consigliano, amorevolmente correggono4. Per la propria crescita gli allievi non hanno altro da fare che prestare la loro collaborazione convinta e docile.

    Non c’è dubbio che l’obbedienza è talora presentata da don Bosco come sacrificio dell’intelletto e della volontà di intrinseca validità morale e religiosa. Tertulliano cade nell’eresia perché gli è mancata "l’umiltà", "la sommessione" ai "legittimi superiori, e specialmente al Vicario di G. C."5. Con l’obbedienza sacrifichiamo a Dio "quello che abbiamo di più prezioso", la libertà; ne consegue che "questo sacrificio è a Dio il più gradito che possiamo fargli"6.

    Ma l’ obbedienza ha, soprattutto, valenza "funzionale", educativamente produttiva. Educazione, in definitiva, anche per don Bosco, finiva con identificarsi con "disciplina", intesa nella massima comprensione di significati.

    Resta difficile, comunque, determinare il grado di libertà e di autonomia che questo classico tipo di "pedagogia dell’ obbedienza" accorda e favorisce. Potrà, forse, consentire un’ interpretazione flessibile delle formule dichiarate il confronto globale con l’ esperienza effettiva del sistema nella totalità dei suoi aspetti, quali possono risultare dai prossimi capitoli.

    1. Pedagogia dei "doveri"

    La pedagogia del dovere - studio, lavoro, professione, missione è fondamentale quanto l’ iniziazione al sacro; anzi è anch’ essa res sacra, espressione della volontà di Dio e via alla santità: "i doveri", ossia l’ intera gamma delle dimensioni della morale umana e cristiana. Alberto Caviglia osserva: "Chi conosce un po’ davvicino il Santo educatore, sa che questa concezione stava alla base d’ogni suo lavoro educativo, tanto nell’ambito della vita comune, quanto nello spirituale. Alle stesse ostensioni della pietà egli non credeva se non erano confermate dall’osservanza diligente e coscienziosa dei rispettivi doveri"7. "Due fondamentali principi pratici: l’uso scrupoloso del tempo e la diligenza nell’adempimento del dovere, sono quelli che don Bosco ha messo in capo a tutto il lavoro spirituale"8.

    In questo modo si sviluppa la formazione del "buon cristiano e onesto cittadino". È attuata capillarmente da don Bosco con il richiamo, la vigilanza, le esortazioni, l’esempio, le motivazioni più disparate, ideali e utilitarie. Alla Puntualità ne’ suoi doveri egli dedica un capitolo della biografia di Magone Michele, il prototipo "immaginato" del ragazzo "vivace e a primo aspetto dissipato", irrequieto e impegnato, capace di mettere "sossopra tutta la casa", diventato coscientemente disponibile alla disciplina: "a tempo debito egli sapeva contenersi e comandare a se stesso", in grado di "trovarsi il primo in que’ luoghi ove il dovere lo chiamava"9.

    Anche di Francesco Besucco sono messe in rilievo l’esattezza nell’ "adempimento de’ suoi doveri", l’ "esatta occupazione del tempo", la prontezza nell’alzarsi da letto al mattino, la "specchiata puntualità" nel recarsi in chiesa, "la diligenza nello studio, l’attenzione nella scuola, l’ubbidire ai superiori"10.

    "Ricordatevi - egli dice ai giovani nel Regolamento per le case - che la vostra età è la primavera della vita. Chi non si abitua al lavoro in tempo di gioventù, per lo più sarà un poltrone sino alla vecchiaia, con disonore della patria e dei parenti, e forse con danno irreparabile dell’anima propria"11.

    La "fuga dell’ozio", "padre di tutti i vizi", è il caposaldo di una spiritualità non illusoria: "perciò somma diligenza nell’adempimento dei propri doveri scolastici e religiosi. L’ ozio è padre di tutti i vizi". Aveva, infatti, notato negli allievi di Mirabello, tra altre, una cosa che lo amareggiava; "una serie che scappano dalla fatica come da enorme macigno che loro sia sopra il capo sospeso"12.

    Attendere ai propri impegni di studio e di lavoro è l’ indispensabile tirocinio a una vita seria e felice con l’acquisto dell’ abito della disciplina e della probità morale e civile. In quest’ ordine di idee dal 24 novembre al 18 dicembre 1864 don Bosco teneva una serie di otto sermoncini serali sulla disciplina morale e il metodo di studio13. I "mezzi" vanno dal timor di Dio alla buona alimentazione. Fede e ragione, morale e igiene, devozione e buon senso si sposano in amichevole alleanza per il conseguimento del bene e della felicità.

    La pedagogia del dovere e del lavoro è, in sostanza, immanente all’ intera vita dell’ istituzione educativa con l’ininterrotto succedersi delle varie occupazioni e dei momenti di ricreazione, il ritmo serrato delle attività nelle classi scolastiche o nei laboratori, nelle sale di studio, la tensione al meglio, l’ emulazione, scanditi dall’esemplarità e dal dinamismo degli educatori. È caratteristica dei religiosi salesiani, di cui don Bosco è fiero.

    "Non si sente ogni dì ripetere ai quattro venti: Lavoro, Istruzione, Umanità? Ed ecco che (...) i Salesiani aprono in molte città laboratorii d’ogni genere, e colonie agricole nelle campagne per addestrare al lavoro giovanetti e fanciulli; fondano collegi maschili e femminili, scuole diurne, serali e festive, oratorii con ricreazioni domenicali per dirozzare le menti giovanili, e arricchirle di utili cognizioni; dischiudono a centinaia e a migliaia di orfani ed abbandonati figliuoli ospizi, orfanotrofi e patronati, recando la luce del Vangelo e della civiltà agli stessi barbari della Patagonia, adoperandosi a fare in guisa, che l’ Umanità non sia soltanto una parola, ma una realtà"14.

    1. Primato dell’ educazione religiosa

    Coltivare la dimensione religiosa, infondere nei giovani il timor di Dio, educarli a una abituale vita di grazia, costituisce lo scopo di quel complesso di "pratiche di pietà" cristiana, ispirate alla tradizione e alla stessa esperienza personale, da cui è caratterizzata la vita di ogni "casa".

    È del tutto ovvio che, per don Bosco, la "religione" vissuta è l’obiettivo capitale di ogni autentica educazione. Lo ripete a un gruppo di ex-alunni che tale meta avevano raggiunto grazie all’ educazione ricevuta all’ Oratorio. Egli vi si richiama e ribadisce: "Dovunque vi troviate mostratevi sempre buoni cristiani e uomini probi. Amate, rispettate, praticate la nostra Santa Religione; quella Religione, colla quale io vi educai e vi preservai dai pericoli e dai guasti del mondo; quella Religione che ci consola nelle pene della vita, ci conforta nelle angustie della morte, ci schiude le porte di una felicità senza confini"15.

    La "felicità" senza fine, la "salvezza eterna", infatti, è posta costantemente dinanzi agli occhi, stimolo permanente alla riflessione e a impegno di vita. Fisso a quella meta, il giovane è invitato in più modi - parole, letture, apologhi e "sogni" - a subordinare ad essa ogni altra attività, considerando la salvezza dell’ anima l’ idea dominante della vita "spirituale"16.

    È il fulcro dell’ intera metodologia educativa. Frutto della redenzione, operata da Cristo, la "salvezza" è liberazione dal peccato e vita di grazia, figliolanza adottiva e amicizia con Dio, in una parola, santità. Vi insistono tre "avvisi" del Porta teco cristiano, presentato da don Bosco: "19. Dio ci vuole tutti salvi, anzi è sua volontà che ci facciamo tutti santi. 20. Chi vuole salvarsi bisogna che si metta l’eternità nella mente, Dio nel cuore, il mondo sotto i piedi. 21. Ognuno è obbligato a adempiere i doveri dello stato in cui si trova"17.

    Nell’ evento della salvezza, al di là di formule semplificatrici, quali "teocentrismo" o "cristocentrismo", estranee al lessico e al sentire di don Bosco, assume assoluto rilievo l’ azione di Dio che, come si è visto, "predilige i giovani"18, e di Gesù Cristo, "nostro Salvatore, vero Dio e vero Uomo", "il Divin Salvatore"19.

    Nel contempo il giovane apprende in più occasioni - feste, novene, mesi speciali, eventi particolari, devozioni - che nella sua esistenza cristiana opera, con la sua intercessione e mediazione, la Madre del Redentore. A lei è invitato a rivolgersi quotidianamente con l’ invocazione tre volte ripetuta: "Cara Madre Vergine Maria, fate ch’io salvi l’anima mia"20.

    Infine, non è irrilevante, dal punto di vista squisitamente "pedagogico", sottolineare che la "presenza" delle persone divine o sacre potrà venire più facilmente interiorizzata dai giovani grazie all’ efficace intermediazione dei loro educatori. Coadiutori, chierici, soprattutto sacerdoti, in particolare i confessori, potranno tanto più rendere accetti, affidabili, amabili Dio, Cristo Salvatore, la Vergine Madre, quanto più sapranno "rappresentarli" al vivo, "padri, fratelli, amici". Basta che si rivestano, effettivamente, delle qualità, che loro suggerisce il "sistema preventivo": la carità cantata da san Paolo, fondata su fede e speranza incrollabili, rese tangibili da operosa "consacrazione", in clima di umana ragionevolezza e amorevolezza21.

    1. Insegnare il timore, preludio all’ amore

    L’ educazione, in sostanza, tende a trasfondere nel mondo religioso del giovane quella sintesi vitale di amore e timore, che costituisce il corretto rapporto del credente col suo Dio Creatore e Signore e, insieme, Padre e Salvatore, nel delicato equilibrio dell’ "amare più che temere", cardine sia della "spiritualità" che della "pedagogia".

    È convinzione e metodologia fondata su una pietà millenaria, sulla Scrittura, la liturgia e la religiosità popolare. "Fa, o Signore, che noi nutriamo per il tuo santo nome, insieme, timore e amore, poiché non privi mai della tua guida quanti tu stabilisci sulla base solida del tuo amore": era la colletta che i giovani fedeli si sentivano leggere, in latino, nella messa della domenica tra l’ ottava della festa del Corpus Domini, seconda dopo Pentecoste, e lo studente del ginnasio sapeva tradurre. Il giovane vi è avvezzato a prendere coscienza della propria fragilità di "pellegrino" esposto ai pericoli, alle tentazioni, al peccato e, insieme, della propria dipendenza creaturale da Dio buono, provvidente e giusto rimuneratore, da cui paventa separarsi. A lui, quindi, viene costantemente inculcata l’osservanza dei comandamenti, dei consigli e, al disopra di tutti, del "comandamento nuovo", la regola evangelica della carità. Alla grazia di Dio e all’ intercessione della Vergine Madre egli è esortato ad affidarsi, nella speranza e nella preghiera, per la perseveranza finale.

    La prospettiva è onnipresente nel processo educativo, centrata nell’ esortazione: "Ricordatevi, o giovani, che noi siamo creati per amare e servir Dio nostro Creatore, e che nulla ci gioverebbe tutta la scienza e tutte le ricchezze del mondo senza timor di Dio. Da questo santo timore dipende ogni nostro bene temporale ed eterno"22. "Chi non ha il timor di Dio abbandoni lo studio, perché lavora invano"; "il principio della sapienza è il timor di Dio. Initium sapientiae est timor Domini, dice lo Spirito Santo"23.

    Le Sette considerazioni per ciascun giorno della settimana tendono a inculcare intrecciati i due motivi dell’ amore e del timore24. Di essi la frequente recita degli atti di fede, speranza, carità, contrizione, era scuola permanente.

    1. Le "pratiche" nell’ educazione religiosa

    Dopo aver inculcato il "timor di Dio" quale suprema ricchezza, don Bosco aggiungeva: "A mantenersi nel timor di Dio gioveranno l’ orazione, i SS. Sacramenti e la parola di Dio"25.

    Il Regolamento per gli esterni affida al direttore la missione di "adoperarsi in ogni maniera possibile per insinuare nei giovani cuori l’ amor di Dio, il rispetto delle cose sacre, la frequenza ai Sacramenti, figliale divozione a Maria Santissima, e tutto ciò, che costituisce la vera pietà"26.

    Quanto alle "pratiche", dal punto di vista quantitativo, si nota una notevole differenza, secondo che si tratti di giovani interni, e tra questi più gli studenti che gli artigiani, o di giovani esterni che frequentano le scuole27. Per questi è tassativa la prescrizione: "Si obblighino assolutamente a venire a messa tutte le domeniche e feste di precetto. Se si può, questo si faccia anche nei giorni feriali"28. Agli oratoriani è offerta la gamma abituale delle pratiche festive: messa, omelia, catechesi e funzione pomeridiana29.

    La partecipazione personale alla vita religiosa e la maturazione nell’impegno morale suppongono fede illuminata, consapevole, impossibile senza una sistematica opera di istruzione e di riflessione. Molti sono gli strumenti che a questo scopo mette in atto don Bosco: la catechesi storica e dottrinale, la cultura religiosa sotto forma di vera scuola, la predicazione, in genere didascalica e narrativa, semplice e concreta, la meditazione e la lettura spirituale30.

    Trovano pure ampio spazio, nella pedagogia della fede, esplicite forme di testimonianza pubblica e di massa: le solenni celebrazioni religiose, la partecipazione organizzata ai riti liturgici di gruppi particolari - piccolo clero, cantori, compagnie -, pellegrinaggi a chiese e santuari. Riferendosi ai giorni turbinosi del 1848 don Bosco scrive nelle Memorie dell’ Oratorio: "Egli fu per incoraggiare ognor più i nostri giovani a disprezzare il rispetto umano che in quell’anno si andò per la prima volta processionalmente a fare quelle visite [alle chiese il giovedì santo], cantando in musica lo Stabat Mater ed il Miserere"31.

    1. Pedagogia dei sacramenti e dell’ eucaristia

    All’internato si applica alla lettera il principio di pedagogia pratica dei sacramenti enunciato nelle pagine sul sistema preventivo, anche se come indirizzo generale coinvolge l’intero "sistema"32. Esso naturalmente vale proporzionalmente per tutte le istituzioni educative.

    È noto che la locuzione "i sacramenti", nel linguaggio educativo-pastorale di don Bosco, indica quelli della penitenza e dell’eucaristia, "le ali per volare al cielo"33.

    "La frequente confessione, la frequente comunione, la messa quotidiana sono le colonne che devono reggere un edifizio educativo, da cui si vuole tener lontano la minaccia e la sferza. Non mai annoiare né obbligare i giovanetti alla frequenza de’ Sacramenti, ma soltanto incoraggiarli e porgere loro comodità di approfittarne. Nei casi poi di esercizi spirituali, tridui, novene, predicazioni, catechismi si faccia rilevare la bellezza, la grandezza, la santità di quella Religione che propone dei mezzi così facili, così utili alla civile società, alla tranquillità del cuore, alla salvezza dell’anima come appunto sono i santi Sacramenti. In questa guisa i fanciulli restano spontaneamente invogliati a queste pratiche di pietà, vi si accosteranno volentieri [con piacere e con frutto]"34.

    Ma ancor più significativo per uno spedito cammino educativo alla fruizione dei sacramenti della penitenza e dell’ eucaristia era l’ appello rivolto a educandi ed educatori nella biografia di Domenico Savio: "Datemi un giovanetto - scriveva -, che frequenti questi sacramenti, voi lo vedrete crescere nella giovanile, giungere alla virile età e arrivare, se così piace a Dio, fino alla più tarda vecchiaia con una condotta, che è l’ esempio di tutti quelli che lo conoscono. Questa massima la comprendano i giovanetti per praticarla; la comprendano tutti quelli che si occupano nell’ educazione dei medesimi per insinuarla"35.

    Alla base dell’ istruzione ed educazione impartita stanno le indicazioni dell’ istruzione catechistica e della predicazione tradizionale sulle "condizioni" necessarie per una valida, degna e fruttuosa ricezione; sugli atti e "parti" principali; sul grave pericolo di sacrilegio nel caso di insufficienti disposizioni, sulla frequenza (inculcata in crescente misura). Non manca, come si è accennato, la denuncia delle arti diaboliche, che nella narrazione incisiva di apologhi o di "sogni" appaiono nelle più varie forme, ora accattivanti ora mostruose. Vi si aggiungono le tante "strenne" annuali, le esortazioni, le istruzioni in occasione di esercizi spirituali e dell’ esercizio della buona morte.

    Più positivamente è realizzata ed evidenziata, nella pratica dei sacramenti della penitenza e dell’eucaristia, la sintesi di umano e divino, l’azione, il "lavoro" della grazia e l’impulso alla collaborazione personale da parte del sacerdote-educatore e del giovane educando. Essa caratterizza non solo l’esperienza sacramentale, ma anche la pratica della preghiera e delle "divozioni", tra cui occupa un posto privilegiato quella alla Vergine Madre. Sacramenti e preghiera sono, non solo "mezzi" di grazia, ma anche strumenti di crescita umana, nel consolidamento delle virtù morali e nella promozione della gioia interiore ed esteriore. "Dicasi pure quanto si vuole intorno ai vari sistemi di educazione, ma io non trovo alcuna base sicura, se non nella frequenza della confessione e comunione; e credo di non dir troppo asserendo che omessi questi due elementi la moralità resta bandita"36.

    La pedagogia eucaristica - messa, comunione, visita - trova in don Bosco eccezionali sviluppi, già preannunciati nella biografia del Comollo, proposta prima ai seminaristi (1844) e poi ai giovani in generale (1854)37. Secondo la consuetudine corrente viene accentuata la particolare efficacia plasmatrice della prima comunione, "l’ atto più importante della vita", "l’atto più grave e più serio della vita"38. Il Giovane provveduto dedica varie pagine alla Maniera di assistere alla santa Messa, alla Preparazione alla S. Comunione, alla Visita al SS. Sacramento39. Di Domenico Savio ama ricordare che "era per lui una vera delizia il poter passare qualche ora dinanzi a Gesù sacramentato"40.

    Ampio sviluppo alla tematica eucaristica, sotto il profilo spirituale e pedagogico, viene pure dato nella biografia più didascalica, quella di Besucco Francesco, nei tre capitoli su La santa Comunione, laVenerazione al SS. Sacramento, sul Viatico41. Don Bosco vi enuncia ancora una volta la sua consolidata convinzione: accanto al sacramento della penitenza "il secondo sostegno della gioventù è la s. comunione. Fortunati quei giovanetti che cominciano per tempo ad accostarsi con frequenza e colle debite disposizioni a questo Sacramento"42.

    Vi si connettono i ricorrenti temi della comunione precoce e frequente43.

    Ma la ripetuta esortazione alla comunione eucaristica - e alla previa confessione - fa anche pensare a un don Bosco talvolta alle prese con un’azione educativa con mire più modeste. La frequenza ai ss. sacramenti "nei giorni festivi" è proposta il 13 dicembre 1858 come ricordo agli "operai", gli artigiani, "che non possono frequentar tanto i SS. Sacramenti nei giorni feriali"44. Per questo moltiplica le "strenne" sull’ argomento. "Confessione sincera e Comunione frequente" è quella data il 31 dicembre 1860 per il 186145.

    Regina mundi e Panis vitae sono le scritte che campeggiano sulle due colonne dell’apologo-strenna del 31 dicembre 186346. Dando la strenna per il 1868, don Bosco così concludeva, il 31 dicembre 1867, il racconto di uno dei soliti sogni: "La strenna sia questa: La Comunione frequente è il mezzo più efficace per fare una buona morte": "onorare Gesù Sacramentato e la Beata Vergine, perché con queste due salvaguardie si ottiene tutto e senza di questi si ottiene niente"47.

    1. Il peccato e il sacramento della riconciliazione

    Più evidentemente "pedagogica" appare l’ amministrazione del sacramento della penitenza, con le sue diverse valenze: evento di grazia, occasione di direzione spirituale, educazione e terapia morale della corruzione del peccato.

    Oltre il "concetto", la "realtà" massiccia del peccato - originale e attuale - campeggia, soprattutto, nella mentalità e nella spiritualità di don Bosco e nella sua insonne guerra contro colui che ne costituisce quasi la personificazione, il demonio. Ne sono copiosa testimonianza gli scritti, le parole, l’azione.

    Si moltiplicano avvertimenti, insegnamenti, esortazioni diretti a suscitare orrore al peccato, "la bruttezza del peccato", "il più grande nemico dei giovani"48, e tensione alla grazia, "bellezza della virtù". "Oh quanto mai sono disgraziati quelli che cadono in peccato! ma quanto più sono infelici coloro che vivono nel peccato"; "O peccato, peccato! che terribile flagello sei tu a coloro che ti lasciano entrare nel cuore!": sono parole che don Bosco fa dire al giovane Magone dopo la confessione generale49.

    È imprescindibile "rompere le corna al demonio che vorrebbe divenire maestro e padrone di taluni"50.

    È ansia comunicata, sorretta da sogni minacciosi, di fronte alle più frequenti forme del male che colpisce la gioventù: l’impurità, la bestemmia, il furto, i discorsi cattivi e gli scandali, l’intemperanza e l’indisciplina, l’accidia nei doveri religiosi.

    Il nemico numero uno è, come già accennato, l’impurità, "la più brutta delle colpe"51, un "avvoltolarsi nel fango dell’avvilimento"52; un cibarsi di "carni mortifere" (Animalis homo non percipit quae Dei sunt)53; un esporre il fazzoletto candido, simbolo della regina virtutum alla grandine e alla neve54; un offrire alla Madonna, invece di fiori, "un pezzo di porco, un gatto, un piatto di rospi"55. Nel sogno dell’inferno vengono messi in evidenza i "lacci" principali che catturano i giovani, che un mostro-demonio trascina con sé: "il laccio della superbia, della disubbidienza, dell’invidia, del sesto comandamento, del furto, e tanti altri, ma quei che ne prendevano di più erano i lacci della disonestà e della disubbidienza, e della superbia, che lega insieme i due primi lacci"; ad essi si affiancava il rispetto umano56.

    Con la catechesi e la "predicazione", spesso ansiosa e, talora, ansiogena, si intreccia costantemente la parola risolutiva e rasserenante della misericordia e del perdono. Soccorre efficacemente, portatore di grazia e di gioia, il sacramento della riconciliazione, della pace con Dio e con se stessi: la misericordia di Dio si esercita con il "martello della Confessione"57.

    Rispetto all’ eucaristia, l’intero processo "penitenziale" ha nel Cenno biografico sul Magone di gran lunga la prevalenza come attenzione "educativa", avendo in essa la parte umana un ruolo più consistente che nell’ex opere operato della Comunione e della S. Messa58. Infatti, nonostante l’ex opere operato, all’amministrazione del sacramento della Penitenza viene attribuita una forte carica "pedagogica", sia da parte del ministro e che del penitente59. L’azione del confessore, preferibilmente "stabile", è determinante perché si verifichino nel giovane le tre disposizioni fondamentali: integrità e sincerità nella confessione dei peccati, congruo dolore, integrato da fermi "proponimenti", particolarmente insistiti da don Bosco. "Finché voi non avete un confessore stabile, in cui abbiate tutta la vostra confidenza, a voi mancherà sempre l’ amico dell’ anima", dice ai giovani nel profilo biografico-pedagogico di Michele60. Nello stesso tempo si rivolge a chi è "destinato ad ascoltare le confessioni della gioventù", con notazioni pedagogiche del tutto speculari, per facilitare e assecondare la confidenza. Ricorrono i termini caratteristici del sistema; "accogliere con amorevolezza", "aiutare ad esporre le cose di loro coscienza", "correggere con bontà", "entrare in confidenza", "far uso di grande prudenza e di grande riserbatezza" intorno a ciò che riguarda la castità61.

    Analogamente, nella Vita del Besucco, don Bosco esorta prima i giovani a scegliersi un confessore come guida spirituale stabile; poi rivolge a chi è "destinato all’ educazione della gioventù" tre raccomandazioni: "inculcare con zelo la frequente confessione", insistere "sulla grande utilità della scelta d’ un confessore stabile", "ricordare spessissimo il grande segreto della confessione", in modo da rassicurare i giovani e incoraggiarli ad accostarsi al sacramento con illimitata fiducia e serenità di spirito62. Sono il tema abituale di prediche, conferenze, sermoncini serali, scritti, consigli personali, che chiedono insistentemente ai giovani forte impegno personale.

    Il discorso trova drammatica concentrazione nel "sogno" raccontato nella lettera dell’ 11 febbraio 1871 ai giovani del collegio di Lanzo. Si parla di un mostro composito che "gioca", sicuro della collaborazione di amici fidati: "coloro che promettono e non attendono; confessano sempre le stesse cose", e poi altri che si abbandonano ai "cattivi discorsi": "ogni parola è un seme che produce maravigliosi frutti"; un mostro che, però, è costretto a svelare i suoi "più grandi nemici": "quelli che frequentano la comunione", i divoti a Maria, ma soprattutto coloro che osservano i "proponimenti che si fanno in confessione"63.

    1. Pedagogia mariana e devozionale

    Insieme all’esperienza sacramentale della penitenza e dell’ eucaristia vengono inculcati, ma soprattutto indotti praticamente, abituali atteggiamenti e comportamenti di "pietà" cristiana, attitudini alla preghiera e sensibilità "devozionale"64.

    Vi portano un singolare contributo le feste religiose, rallegrate dalle forme gioiose del canto e della musica65.

    La pedagogia della "pietà", più che enunciata, è vissuta nella serie delle pratiche che ritmano le giornate, le settimane, i mesi, l’anno liturgico e solare. Nella pedagogia religiosa pratica di don Bosco si osserva un persistente intreccio di confessione, messa, comunione, lettura spirituale, preghiera, divini uffici66.

    Essa risulta significativamente "narrata" nelle note biografie giovanili e in altri racconti a sfondo biografico. La esibiscono nella loro vita, che è insieme esperienza della comunità in cui vivono, Domenico Savio67, Michele Magone68, Francesco Besucco69. La vivono il protagonista della vicenda, La forza della buona educazione, Pietro, nella parrocchia e all’ oratorio di don Bosco70, e Valentino del racconto omonimo, nel collegio di stile salesiano. Di Valentino la pratica della preghiera è intensa sia nell’infanzia, grazie alla guida materna, sia nel collegio cattolico, dove "con facilità ripigliò l’antica abitudine delle pratiche di pietà". Le varie crisi coincidono con l’abbandono di tali pratiche71.

    Tra le devozioni occupa un posto di eccellenza quella alla Vergine Madre72. Infatti, "la divozione verso della Beata Vergine è il sostegno d’ogni fedele cristiano. Ma lo è in modo particolare per la gioventù"73. Michele Magone sentirà la divozione alla Madonna quasi come una "vocazione" dal giorno in cui "gli fu regalata un’immagine della Beata Vergine nel cui fondo era scritto: Venite, filii, audite me, timorem Domini docebo vos"; e incominciò a onorarla sotto il titolo di "Madre celeste, divina maestra, pietosa pastora"74. Anche di Besucco il biografo scrive che "nutriva un affetto speciale per Maria SS. Nella novena della sua Natività dimostrava un fervore particolare verso di essa"; e ne precisa le espressioni75. Ai giovani confidava la preghiera formulata per loro nel santuario mariano di Oropa: "Maria, le dissi, benedite tutta la nostra casa, allontanate dal cuore dei nostri giovani fin l’ombra del peccato; siate la guida degli studenti; siate per loro la sede della vera sapienza. Siano tutti vostri, sempre vostri, ed abbiateli sempre per vostri figliuoli, e conservateli sempre fra i vostri divoti"76.

    Maria è colei che, anche con segni non ordinari, richiama i giovani più ostinati a penitenza, allontanando i castighi di Dio77. Soprattutto le novene, in particolare quella dell’Immacolata, sono giorni di grazia e tempo di "giudizio" e di "pulizia della casa": la Madonna fa la cernita dei giovani adatti all’Oratorio o meritevoli di andarsene o di esserne espulsi78.

    Il discorso mariano si intensifica con la costruzione della chiesa di Maria Ausiliatrice (1863-1868). Ne sono pratiche privilegiate la recita quotidiana del rosario e il mese di maggio.

    1. Iniziazione al "sensus Ecclesiae" e alla fedeltà al papa

    Un posto notevole nella pedagogia religiosa di don Bosco occupa l’iniziazione a quel sensus Ecclesiae e alla fedeltà al papa, ch’egli ritiene, come si è visto, aspetti essenziali di una integra fede cristiana.

    I due aspetti si presentano con accentuazioni differenti: concentrato sulla realtà "salvifica" il primo, polarizzato sulla realtà "strutturale" il secondo.

    Catechesi orale e scritta, apologetica, pedagogia convergono nell’inoculare la persuasione che soltanto la chiesa cattolica detiene i mezzi della grazia e della salvezza: la rivelazione conservata nella sua verità e integrità, i sacramenti amministrati nella pienezza di validità e di grazia, l’ordinata convivenza nella carità garantita dall’ armonica coesistenza delle due dimensioni, gerarchica e fraterna. Perciò risulta incontrovertibile l’ extra ecclesiam nulla salus: vi convergono la Storia ecclesiastica, gli Avvisi ai cattolici, il Cattolico istruito, i più diversi opuscoli apologetici, quasi tutti libri nati dalla catechesi parlata prima che scritta. La santità della Chiesa prevale nettamente sulle altre note, compresa l’ unità, pur strutturalmente fondamentale.

    Ma non meno insistita, catechisticamente e pedagogicamente, è la compattezza strutturale, garantita al vertice dal vicario di Cristo e successore di san Pietro, il papa. Lo sforzo educativo è visibile soprattutto nei primi due decenni di totale impegno in prima persona tra i giovani. Dominano nella sua attività di animatore, con gli scritti e la parola, alcune costanti: la difesa della centralità storico-dogmatica del papato nella storia della Chiesa79, la predicazione catechistica domenicale polarizzata sulla storia dei papi, le sollecitudini per festeggiare avvenimenti riferentisi al sommo pontefice, la sottolineatura dell’interessamento del papa per la vita dell’Oratorio, soprattutto nel periodo gaetano di Pio IX (ringraziamento per l’offerta di lire 33, festa per le corone benedette e inviate dal papa, spedite da Portici il 2 aprile 1850)80; più tardi la separazione della festa di san Pietro da quella di s. Luigi81, la celebrazione del venticinquesimo di pontificato di Pio IX, ecc. Comunicativo e educativo era il suo entusiasmo, quando tornava dai suoi viaggi a Roma e in qualsiasi tempo, come, per il 1862, testimonia la cronaca di Giovanni Bonetti. Nei primi giorni di maggio faceva notare ai giovani come Pio IX, pur "attorniato dagli affari di tutto il mondo", si interessasse dell’Oratorio di Torino. Prendeva quindi l’ occasione per animarli "ad amarlo, e non tanto come Pio IX, ma sì bene come papa stabilito da Gesù Cristo sopra la sua Chiesa". Concludeva: "Vorrei che Pio IX avesse in ciascun giovane dell’ Oratorio uno zelante difensore in qualunque angolo della terra egli si trovi". Alcuni giorni dopo affermava: "Il cattolicismo va via perdendo ogni giorno; è tempo ormai che ci stringiamo vie più stretti a Pio IX e con lui combattiamo, se sia d’ uopo, fino alla morte"82.

    Sintesi della sua "pedagogia" di fedeltà era l’esortazione rivolta ai ragazzi il 3 marzo 1867: "Figliuoli miei, nella vostra vita non state mai a dimenticarvi che il papa vi ama, e quindi dalla vostra bocca non esca mai parola che possa essere a lui d’insulto"83.


    NOTE

    1 G. Bonetti, Memoria di alcuni fatti tratti dalle prediche o dalla storia, fine 1858, pp. 10-11, 13, 15.

    2 Regolamento per le case..., parte II, capo VIII Contegno verso i Superiori, p. 75, OE XXIX 171.

    3 Lett. circ. del 15 nov. 1873, E II 319-321.

    4 Cfr. Il sistema preventivo (1877), p. 46, OE XXVIII 424.

    5 G. Bosco, Vita de’ sommi pontefici S. Aniceto, S. Sotero.... Torino, tip. G. B. Paravia e comp. 1858, p. 46, OE X 250. "Se il Savonarola fosse stato sottomesso a’ suoi superiori non gli sarebbero avvenuti quei mali", sentenzia nella Storia d’Italia, riferendosi alla tortura e alla condanna a morte (p. 369, OE VII 369).

    6 G. Bonetti, Memoria di alcuni fatti..., p. 15.

    7 A. Caviglia, Savio Domenico e Don Bosco. Studio, pp. 99-100. A La vita del dovere il Caviglia dedica un intero capitolo (pp. 97-110).

    8 Cfr. A. Caviglia, Il "Magone Michele" una classica esperienza educativa.... p. 152; cfr. pp. 151-154, Il dovere [nello stesso volume si trova in primo luogo la biografia, con "nota preliminare", di Luigi Comollo]; A. Caviglia, La vita di Besucco Francesco..., pp. 171-174.

    9 G. Bosco, Cenno biografico sul giovanetto Magone Michele..., p. 13, 15, 35, OE XIII 167, 169, 189; si veda l’intero capitolo Puntualità ne’ suoi doveri, pp. 33-39, OE XIII 187-193.

    10 G. Bosco, Il pastorello delle Alpi..., p. 95, 96, 114, 120, OE XV 337, 338, 356, 362. Al tema Studio e diligenza è dedicato il cap. XVIII, pp. 94-99, OE XV 336-341.

    11 Regolamento per le case..., parte II, capo V Del lavoro, art. 6, p. 69, OE XXIX 165.

    12 Lett. agli "alunni del piccolo Seminario di S. Carlo in Mirabello", 30 dic. 1863, Em I 629.

    13 G. B. Lemoyne, Cronaca 1864ss, p. 22, 23, 25, 26, 31, 37, 38, 53; cfr. anche G. Berto, Raccolta di detti, fatti e sogni di D. Bosco, buonanotte dell’ 11 sett. 1867, pp. 60-61.

    14Conf. ai Cooperatori di S. Benigno Canavese, 4 giugno 1880, BS 4 (1880) n. 7, luglio, p. 12.

    15 Discorso del 24 giugno 1880, BS 4 (1880) n. 9, sett., p. 10.

    16 Cfr. P. Stella, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica, vol. II, cap. IV Storia e Salvezza, pp. 59-100; Id., Don Bosco e le trasformazioni sociali e religiose del suo tempo, nel vol. La famiglia salesiana riflette sulla sua vocazione nella Chiesa di oggi. Torino-Leumann, Elle Di Ci 1973, pp. 159-162, Da mihi animas, coetera tolle.

    17 Porta teco cristiano..., p. 7, OE XI 7.

    18 G. Bosco, Il giovane provveduto..., pp. 10-11, OE II 190-191.

    19 G. Bosco, Il cattolico istruito nella sua religione. Trattenimenti di un padre di famiglia co’ suoi figliuoli secondo i bisogni del tempo. Torino, tip. dir. da P. De-Agostini 1853, prima serie, tratten. X, p. 43, OE IV 237; tratten. XI, p. 47, OE IV 241; tratten. XII, pp. 50-53, OE IV 244-247.

    20 G. Bosco, Il giovane provveduto..., p. 54, OE II 234; La chiave del paradiso in mano al cattolico..., p. 43, OE VIII 43.

    21 Le "virtù del buon educatore", sono ricondotte da don Bosco alle tre fondamentali qualità, "ragione, religione, amorevolezza", oggetto del capitolo 14.

    22 Regolamento per le case…, parte II, capo III Della Pietà, art. 1, p. 63, OE XXIX 159.

    23 Regolamento per le case..., parte II, capo VI Contegno nella scuola e nello studio, art. 21 e 22, p. 73, OE XXIX 169. Ricorrono in questo contesto le forti espressioni: "Uno studente superbo è uno stupido ignorante"; "il superbo è odioso agli occhi di Dio e dispregevole dinanzi agli uomini" (Ibid., capo VI, art. 22; capo IX, art. 6, p. 73 e 78, OE XXIX 169 e 174).

    24 G. Bosco, Il giovane provveduto..., pp. 31-50, OE II 211-230.

    25 Regolamento per le case..., parte II, capo III, art. 2, p. 63, OE XXIX 159.

    26 Regolamento dell’ Oratorio..., per gli esterni, parte I, capo I, art. 7, p. 6, OE XXIX 36.

    27 Cfr. Regolamento dell’ Oratorio..., per gli esterni, parte II, capo X Pratiche particolari di Cristiana pietà, pp. 43-44, OE XXIX 73-74; Regolamento per le case..., capo III Della pietà e capo IV Contegno in chiesa, pp. 63-68, OE XXIX 159-164.

    28 Deliberazioni delle conferenze di S. Francesco di Sales del 1875, MB X 1115.

    29 Quanto alle Pratiche di pietà a Valdocco, ricalcate in tutte le istituzioni analoghe, per interni ed esterni, cfr. P. Stella, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica, vol. II, pp. 303-309.

    30 Della scuola della dottrina cristiana si dirà più specificamente nel capitolo 18.

    31 MO (1991) 193.

    32 Cfr. A. Caviglia, Savio Domenico e Don Bosco. Studio, pp. 343-363, Don Bosco e la Pedagogia dei Sacramenti.

    33 G. Bonetti, Annali II (1861-1862), p. 13.

    34 Il sistema preventivo (1877), p. 54, 56, OE XXVIII 432, 434. È posto tra parentesi quadre un testo introdotto nell’ edizione inserita nel fascicolo del Regolamento per le case (p. 8, OE XXIX 104).

    35 G. Bosco, Vita del giovanetto Savio Domenico..., p. 68, OE XI 218.

    36 G. Bosco, Il pastorello delle Alpi..., p. 100, OE XV 342.

    37 Cfr. [G. Bosco], Cenni storici sulla vita del chierico Luigi Comollo..., p. 24, 32-34, OE I 24, 32-34.

    38 G. Bosco, La forza della buona educazione..., pp. 20-21, 30, 38, OE VI 294-295, 304, 312.

    39 G.Bosco, Il giovane provveduto..., pp. 84-92, 98-103, 103-105, OE II 264-272, 278-283. 283-285.

    40 G. Bosco, Vita del giovanetto Savio Domenico..., p. 71, OE XI 221.

    41 Cfr G.Bosco, Il pastorello delle Alpi…, rispettivamente alle pp. 105-109, 109-113, 157-158, OE 347-351, 351-355, 399-400

    42 G. Bosco, Il pastorello delle Alpi..., p. 105, OE XV 347.

    43 Cfr. G. Bosco, Il pastorello delle Alpi..., pp. 105-106, OE XV 347-348; Il sistema preventivo (1877), pp. 9-10, OE XXVIII 105-106.

    44 G. Bonetti, Memoria di alcuni fatti..., p. 35.

    45 D. Ruffino, Cronache dell’ Oratorio di S. Francesco di Sales N˚ 2˚ 1861, p. 2; G. Bonetti, Memoria di alcuni fatti..., pp. 68-69.

    46 D. Ruffino, Le doti grandi e luminose..., pp. 10-12.

    47 G.Berto, Fatti particolari I, pp. 8-10.

    48 Lett. agli artigiani dell’Oratorio, 20 gennaio 1874, E II 339.

    49 G. Bosco, Cenno biografico sul giovanetto Magone Michele..., p. 22, OE XIII 176.

    50 Lett. ai giovani di Mirabello, inizio luglio 1864, Em II 58.

    51 G. B. Lemoyne, Cronaca 1864ss, buonanotte del 14 dicembre 1864, pp. 47-49.

    52 G. B. Lemoyne, Cronaca 1864ss, buonanotte del 2 dicembre 1864, pp. 33-34.

    53 F. Provera, Cronaca, buonanotte del 22 agosto 1862, sogno del serpente stritolato dalla corda (l’ Ave Maria), p. 5; in altra versione D. Ruffino, Cronaca 1861 1862 1863, pp. 118-121.

    54 D. Ruffino, Cronaca 1861 1862 1863, pp. 75-80.

    55 G. B. Lemoyne, Cronaca 1864ss, sogno di fine maggio 1865, pp. 137-139. La cronaca di Lemoyne abbonda in discorsi serali che toccano il tema: 16 gennaio 1865, pp. 72-74; 6 febbraio 1865, pp. 85-86; 13 febbraio 1865, pp. 92-94.

    56 G. Berto, Cronaca 1868-2, pp. 21-23.

    57 G. Berto, Cronaca 1868-2, p. 23. Altri ricorda una formula analoga: "Il martello significa la confessione e l’incudine la S. Comunione" (F. Provera, Cronaca, pp. 5-6).

    58 G. Bosco, Cenno biografico sul giovanetto Magone Michele..., pp. 20-24, OE XIII 174-178.

    59 Cfr. R. Schiélé, L’ Église formatrice des consciences par le sacrement de pénitence, in "Salesianum" 14 (1952) 578-589.

    60 G. Bosco, Cenno biografico sul giovanetto Magone Michele..., p. 26, OE XIII 180: Una parola alla gioventù, pp. 23-27, OE XIII 179-181.

    61 G. Bosco, Cenno biografico sul giovanetto Magone Michele..., pp. 27-29, OE XIII 181-183.

    62 G. Bosco, Il pastorello delle Alpi..., pp. 100-105, OE XV 342-347, La confessione.

    63 E II 149-150.

    64 Cfr. P. Stella, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica, vol. II, pp. 275-357, Preghiera Sacramenti e Osservanze religiose.

    65 Se ne parlerà più diffusamente nel capitolo 16.

    66 Cfr. Una preziosa parola ai figli ed alle figlie. Torino, tip. dell’ Oratorio di S. Franc. di Sales 1862, p. 5 (Ricordo II), 7-8 (Ricordo III), 13-15 (Ricordo VIII), OE XIII 441, 443-444, 449-451.

    67 Cfr. G. Bosco, Vita del giovanetto Savio Domenico..., pp. 62-67, OE XI 212-217.

    68 G. Bosco, Cenno biografico sul giovanetto Magone Michele..., cap. VI Sua esemplare sollecitudine per le pratiche di pietà, pp. 29-33, OE XIII 183-187.

    69 G. Bosco, Il pastorello delle Alpi..., pp. 113-119, OE XV 355-361.

    70 G. Bosco, La forza della buona educazione..., capo VIII Singolarità di sua divozione, pp. 62-69, OE VI 336-343.

    71 Cfr. G. Bosco, Valentino o la vocazione impedita. Episodio contemporaneo. Torino, tip dell’ Oratorio di s. Franc. di Sales 1866, pp. 5-6, 22 (capo I La madre di famiglia), OE XVII 183-184, 200; pp. 19-25 (capo IV Nuovo Collegio. Ritorna alla pietà), OE XVII 197-203; e poi, in crisi più o meno gravi, pp. 10-13, 14-16, 38-39, OE XVII 188-191, 192-194, 216-217.

    72 Cfr. P. Stella, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica, vol. II, pp. 147-175, Maria Santissima; A. Caviglia, Domenico Savio e Don Bosco. Studio, pp. 310-322, Divozione e dedizione a Maria SS..

    73 G. Bosco, Cenno biografico sul giovanetto Magone Michele..., p. 39, OE XIII 193.

    74 G. Bosco, Cenno biografico sul giovanetto Magone Michele..., capo VIII Sua divozione verso la B. Vergine Maria, pp. 39-40, OE XIII 193-194.

    75 G. Bosco, Il pastorello delle Alpi..., pp. 115-117, OE XV 357-359.

    76 Lett. ai "Car.mi figliuoli studenti" dell’Oratorio, 6 agosto 1863, Em I 594.

    77G. Bonetti, Annali II (1861-1862), discorso serale ai giovani dell’Oratorio la sera della domenica 12 gennaio 1862 dopo l’apparizione di un globo di fuoco in due camerate, pp. 6-9.

    78 Cfr. D. Ruffino, Cronache dell’ Oratorio di S. Francesco di Sales N˚ 1˚ 1860, 27 nov. 1860, p. 27; Id., Cronaca 1861 1862 1863, parole del giugno 1862, p. 95; G. B. Lemoyne, Cronaca 1864ss, 2 dic. 1864, pp. 32-35, e 4 dic. 1864, pp. 36-37; 11 gennaio 1865, dopo aver narrato l’apparizione della Madonna a La Salette e "segni" a Chioggia, Vicovaro, Spoleto, pp. 69-70.

    79 Cfr. Prefazione alla Storia ecclesiastica, p. 9, OE I 167. Nel libro la centralità è soprattutto dei santi e dei papi santi. Nelle Vite dei papi, il primato "storico" è altrettanto rilevato quanto il primato di giurisdizione e di insegnamento.

    80 Cfr. Breve ragguaglio della festa fattasi nel distribuire il regalo di Pio IX ai giovani degli oratorii di Torino. Torino, tip. Botta 1850, 27 p., OE IV 93-119.

    81 Parlando con suoi vicini collaboratori, il 16 giugno 1876, don Bosco si mostra "assolutamente contrario" alla celebrazione della festa di san Luigi Gonzaga il giorno di san Pietro, e esprime il desiderio che per il primo papa "si faccia festa grande da sé" (G. Barberis, Cronichetta, quad. 8, pp. 29-30).

    82 G. Bonetti, Annali II (1861-1862), pp. 78-79.

    83 G. B. Lemoyne, Cronaca 1864ss, p. 189.


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    Etty Hillesum
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