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    Capitolo 11

    L’educazione del

    "buon cristiano

    e onesto cittadino"

    "secondo i bisogni dei tempi"

    Pietro Braido

     

    Il sistema educativo di don Bosco, come l’intera azione pastorale e la spiritualità, non si presenta con la radicalità di altri moderni profeti dell’educazione. Egli non mira alla creazione dell’ uomo nuovo come intesero, in epoche e con visuali differenti, Rousseau e Makarenko1. Ma non indulge neppure, con mentalità restauratrice, a un puro ritorno all’uomo antico, quello della tradizione cristiana e civile dell’ ancien régime. Don Bosco ha concepito e attuato la propria opera educativa per il raggiungimento di fini insieme antichi e nuovi, portando i giovani ad accogliere e formare in sé sia la fedeltà alla perenne novità cristiana sia la capacità di inserimento in una società affrancata dai più pesanti vincoli dell’ ancien régime e proiettata verso nuove conquiste. È la stessa comprensione, seppur differenziata, che di lui hanno i suoi contemporanei.

    Del soggetto che egli vuol formare si tenterà di delineare in questo capitolo i tratti essenziali.

    1. Una visione teorico-pratica dei fini dell’ educazione

    Le finalità educative, che egli persegue e propone, non sono il risultato di una organica teoria generale dell’ educazione. Tuttavia, si definiscono all’ interno di un’ esperienza, che non è solo pragmatica. Vi confluiscono evidenti elementi culturali: la fede vissuta fin dall’ infanzia nella pratica della preghiera, nella catechesi, nella partecipazione ai riti della Chiesa, la formazione umanistica giovanile, gli studi filosofici e teologici, la formazione morale e pastorale, le letture storiche, apologetiche e spirituali. Vi si aggiungono, non meno determinanti, gli svariati contatti con il mondo della povertà e del bisogno, non solo nello spazio dello "spirituale", ma anche, massiccio e urgente, in quello del "materiale". Come gli insegnava la vita e il "Padre nostro", il pane quotidiano richiesto era, insieme, fede, grazia, Cristo, eucaristia, mezzo di sussistenza, lavoro per guadagnarselo.

    Don Bosco non elabora una riflessa visione dei fini educativi entro una più ampia concezione umanistico-cristiana del mondo e della vita, filosoficamente e teologicamente strutturata, però l’ ha ben presente mentalmente e operativamente. La imponevano la cultura acquisita, il temperamento, la sensibilità e l’ impatto con giovani che di tutto avevano bisogno. Alla domanda reale non bastava la sola risposta catechistica e religiosa.

    Don Bosco lo racconta nelle più svariate rievocazioni "storiche": il Cenno storico, i Cenni storici, il proemio alle Costituzioni, le varie "notizie storiche" premesse a informative ad autorità ecclesiastiche e civili, le Memorie dell’ Oratorio, le innumerevoli lettere e circolari, i discorsi e le conferenze per ottenere sussidi, beneficenze, appoggi.

    È naturale, che non essendo pervenuto ad una compatta e organica visione teorica, nell’ uso quotidiano i vari elementi che la compongono possano talora risultare sbilanciati in favore dell’ uno o dell’ altro valore. Può essere avvertito soprattutto un privilegiato apprezzamento di quelli religiosi e sovratemporali rispetto a quelli terreni, di quelli individuali in confronto con quelli sociali e politici. Ma la realtà vissuta potrebbe giustificare la legittima approfondita ricomposizione della totalità degli aspetti in un sostanziale umanesimo cristiano plenario2.

    1. Le finalità educative entro una visione umanistico-cristiana tra "antico" e "nuovo"

    Sono innumerevoli le espressioni pratiche e teoriche che rivelano siffatta mentalità. Essa, del resto, a parte sottolineature caratteristiche proprie, non è del tutto nuova ad una tradizione che risale ai primordi del cristianesimo, si afferma in classiche trattazioni pedagogiche medievali, si consolida in età umanistica e rinascimentale, si esprime nelle fiorenti congregazioni insegnanti, maschili e femminili dell’ epoca moderna, che spesso hanno come modello la Ratio studiorum della Compagnia di Gesù3.

    Don Bosco fissa la propria convinzione, che diventa programma, nella reiterata formula "buon cristiano e onesto cittadino", tradotta poi, nel momento dell’iniziativa missionaria, dal 1875, in altre dal significato più esteso, ma di identica ispirazione, "civiltà e religione", "civilizzazione ed evangelizzazione", promozione del "bene dell’umanità e della religione", "dilatare il regno di Gesù Cristo portando la religione e la civiltà tra quei popoli e nazioni che l’ una e l’altra tuttora ignorano"La prima - "buon cristiano e onesto cittadino" - è la più divulgata5, con diverse varianti: "buoni cittadini e veri cristiani", "buoni cristiani e savii cittadini", "buoni cristiani e uomini probi"6.

    Quanto ai contenuti la formula è l’ enunciazione abbreviata di un unico "manifesto educativo" di sapore tradizionale, ma virtualmente aperto al nuovo. Esso è già proclamato nel primo importante libro di guida religiosa della vita, Il giovane provveduto: "Vi presento un metodo di vivere breve e facile, ma sufficiente perché possiate diventare la consolazione dei vostri parenti, l’onore della patria, buoni cittadini in terra per essere poi un giorno fortunati abitatori del cielo"7.

    Più o meno esplicitamente tali immagini esprimono una mentalità "moderata", non rara in un mondo cattolico impegnato nell’opera di ricostruzione morale e civile dopo la tempesta rivoluzionaria.

    Da una parte, non è occultabile una certa nostalgia dei "buoni tempi antichi", quelli precedenti i sommovimenti provocati dalla rivoluzione francese. È forte l’aspirazione al ritorno a una società vista come integralmente cristiana, fondata sulle classiche virtù religiose e morali: la fede, la pratica religiosa generalizzata, la vita sacramentale, la catechesi familiare ed ecclesiastica, la pratica delle opere di misericordia, l’obbedienza al "paterno" governo delle legittime autorità religiose e civili, il rispetto degli "ordini" e delle gerarchie, l’accontentarsi del proprio stato, la laboriosità, l’accettazione del sacrificio, la speranza del premio eterno.

    D’altra parte, è altrettanto viva la sensazione che il mondo nuovo incalza con il suo vigore, il suo fascino e le sue conquiste di progresso e civiltà. Sarebbe irragionevole e vano opporvisi. "Le cose politiche di oggidì - pensava don Bosco, riferendosi allo spirito dei tempi - possono riguardarsi come una macchina a vapore, che corre veloce sulla via ferrata, trascinandosi dietro un convoglio fors’anche al precipizio ed alla rovina. Volete voi mettervi in mezzo ai binarii per fermarla?"8. Di fatto, egli partecipa a una diffusa tendenza, che non si chiude nella protesta, ma opera in funzione della costruzione di un nuovo tipo di uomo e di cristiano, che viva in sintesi i valori autentici del "credente" della tradizione e del "cittadino" dell’ordine nuovo. La conciliazione, però, è imperfetta. "La figura e l’ opera di don Bosco non si inquadrano in una visione dicotomica del rapporto fra tradizione e modernità; ma neppure si prestano ad una interpretazione dialettica del rapporto fra i due elementi"; è virtuale sintesi pragmatica9.

    I fini educativi da lui prefissati e i programmi predisposti suppongono, nella sostanza, il recupero della secolare triade educativa, rinnovata e aggiornata: pietà e moralità, "scienza" e civiltà10, in un disegno operativo, che prevede l’assunzione dei valori del sujet-citoyen e del cristiano, della ragione e della religione.

    In questa prospettiva resta sostanzialmente affermato il valore intrinseco di ciascuna delle tre realtà programmatiche classiche, ma nello stesso tempo viene chiaramente propugnata la finalizzazione ultima dellacultura e della civiltà alla pietà e alla moralità, in una visione complessiva che tende a diventare integrale. In concreto, don Bosco pensa e crede, come da tradizione cristiana, che nell’ ordine della fede il recupero dei valori terreni debba avvenire all’ interno della realtà risanante e divinizzante della grazia. È costante in lui, uomo, prete, educatore, la volontà di valorizzare l’umano nel cristiano, di promuovere tutto ciò che è positivo nella creazione, di cristianizzare la civiltà, mostrando che solo così essa si può, pienamente, salvare11.

    La coesistenza dei valori è lo stile dell’intera operatività di don Bosco educatore: cattolico convinto, immerso in Dio, fedele alla Chiesa e al papa, prete dappertutto; e, indissolubilmente, cittadino inserito nella società, impegnato con un suo apporto specifico al progresso materiale e spirituale di essa. In questo modo egli intendeva la collocazione giuridica e operativa dei membri della sua società religiosa nel Cenno istorico sulla società salesiana del 1874: "Ogni membro in faccia alla Chiesa sia un religioso e nella civile società sia un libero cittadino"12. I Cooperatori erano invitati a condividere l’ identico stile di azione: "Il nostro programma sarà inalterabilmente questo: Lasciateci la cura dei giovani poveri ed abbandonati, e noi faremo tutti i nostri sforzi per far loro il maggior bene che possiamo, ché così crediamo poter giovare al buon costume ed alla civiltà"13.

    Il più volte dichiarato neutralismo "politico" significava per lui, più precisamente, un inserimento vivo nella società estraneo a qualunque schieramento "partitico", a confermare il profondo radicamento terreno della sua opera educativa. Egli riferiva con compiacenza quanto Leone XIII gli aveva detto nell’udienza del 9 maggio 1884: "Voi avete la missione di far vedere al mondo che si può essere buon cattolico e nello stesso tempo buono e onesto cittadino; che si può fare gran bene alla povera e abbandonata gioventù in tutti i tempi senza urtare con l’andazzo della politica, ma conservandosi ognora buoni cattolici"14.

    In questo senso egli intendeva attuare la convergenza della distinta azione sua e dei governanti, educativa e politica. Ne scriveva lapidariamente a un ministro degli interni ben conosciuto, Giuseppe Zanardelli: "Io la prego di gradire la costante mia volontà di adoperarmi per diminuire il numero dei discoli e di accrescere quello degli onesti cittadini"15. La volontà del politico era tesa al mantenimento dell’ ordine pubblico, dell’ educatore a promuovere la rettitudine delle coscienze.

    1. La polarità di base e la gerarchia organica dei fini educativi

    L’ azione assistenziale ed educativa in favore dei giovani, sviluppata da don Bosco e ulteriormente illustrata dalle parole e dagli scritti, prima di rivelarne i percorsi, ne mette in evidenza le mete e i contenuti.

    Di questi si accenna ora, mentre degli itinerari, degli orientamenti "metodologici", si dirà nei prossimi due capitoli.

    Ci si limita a ricavare i dati dalle più esplicite situazioni pedagogiche giovanili. Ma per una visione più ricca e articolata si dovrebbero utilizzare tante altre fonti: i profili di cristiani autentici che don Bosco dissemina nei suoi libri di storia e di edificazione; le figure di militanti cattolici, uomini e donne, da lui incontrate e apprezzate nel copioso epistolario; i santi o persone di particolare esemplarità richiamate nelle prediche e istruzioni festive, le conferenze, i sermoncini serali di "buonanotte", i discorsi di circostanza, i colloqui familiari16.

    Anzitutto, in relazione a quanto si è osservato a proposito dell’umanesimo pedagogico cristiano di don Bosco, è subito evidente la bipolarità che ne caratterizza l’ insieme: da una parte, è affermata la centralità della fede religiosa, del trascendente, dello specifico cristiano; dall’altra, è presente una schietta valutazione delle realtà temporali, sinceramente, intrinsecamente e non solo strumentalmente apprezzate e utilizzate. Più che la coesistenza egualitaria tra due poli, si tratta di due realtà di pari dignità nel proprio ordine, ma con la subordinazione del polo temporale a quello trascendente.

    Di questa polarità gerarchizzata rendono singolare testimonianza complementare due osservatori di differente estrazione ideologica: il pedagogista idealista Giuseppe Lombardo Radice e il filosofo cattolico Francesco Orestano. Il primo, seppure con mentalità laica, sottolineava nell’esperienza di don Bosco, l’assoluta centralità dell’ispirazione religiosa: "Don Bosco. Era un grande, che dovreste cercar di conoscere. Nell’ambito della Chiesa fu il correttore del Gesuitismo, e pur senza avere la statura di Ignazio, seppe creare un imponente movimento di educazione, ridando alla Chiesa il contatto colle masse, che essa era venuta perdendo (...). Il segreto è lì: una idea (...). Una idea vuol dire un’anima"17.

    Anche Francesco Orestano accentuava vigorosamente l’ispirazione cristiana, quasi mistica, dell’intera azione di don Bosco, dedicandovi un suggestivo capitolo dal titolo Teologia mistica18. Ma egli metteva in particolare evidenza "la parte di attività umana" e il positivo apprezzamento delle realtà terrene, in particolare la gioia del vivere e il lavoro, quali tratti originali del suo progetto educativo. Don Bosco "santificò il lavoro e la gioia. Egli è il santo della eutimia cristiana, della vita cristiana operosa e lieta. Questa è la sua sintesi personale di nova et vetera. Qui è la sua vera originalità". Insiste ancora: "Necessità educative e sociali, profondamente intuite in perfetta relazione coi nuovi tempi, gli fecero scoprire la grande legge di educare col lavoro e al lavoro (...). Né egli apprezzò il lavoro solo come strumento educativo, ma anche come contenuto di vita (...). E non è tutto. In uno slancio geniale della sua carità piena di comprensione umana, convinto delle naturali e oneste esigenze della gioventù e della vita sana, Don Bosco santificò insieme col lavoro la gioia, la gioia di vivere, di operare, di pregare"19.

    È umanesimo tendenzialmente plenario, che, inadeguatamente fondato ed elaborato a livello di "teoria", appare chiaramente visibile sul piano della vita. È significativo che di don Bosco e del suo ideale e stile di azione si siano potuti tracciare i più svariati profili con titoli i più disparati, confluenti tutti alla sintesi vitale divino/umano, città celeste/città terrena, salvezza eterna/gioia di vivere e di operare nel tempo: Vita intima di D. Giovanni Bosco, Don Bosco con Dio, I doni dello Spirito santo nell’ anima del B. Giovanni Bosco, Un gigante della carità, Don Bosco che ride, Il santo dei ragazzi, Il re dei ragazzi, Don Bosco amico dei ragazzi, Don Bosco coi giovani, L’apostolo dei giovani, Il santo dei birichini, Il capo dei birichini, Il santo dei fanciulli, Il santo dei ragazzi allegri, Don Bosco conquistatore di anime, Un gran pescatore di anime, Il salvatore di anime, Il santo del secolo, La più grande meraviglia del secolo XIX, Il santo del lavoro, Un santo per il nostro tempo, Don Bosco l’ uomo per gli altri, Profondamente uomo profondamente santo, Uomo e santo.

    Ma egli stesso con svariate formule sintetiche raccoglieva in unità le tante qualificazioni, non senza stabilire una precisa gerarchia, ben percepita da quanti se le sentivano proporre.

    La prima costituisce il titolo di un capitolo della biografia di Francesco Besucco: "allegria, studio, pietà"20. Vi si affianca la triade "sanità, sapienza, santità"21, i tre SSS, talora arricchiti dai cinque, misteriosi, SSSSS. Agli allievi del collegio di Torino-Valsalice, tramite il loro direttore, inviava questo messaggio: "Io vi assicuro che vi raccomando ogni giorno nella santa messa dimandando per ognuno i tre soliti S che i nostri sagaci allievi tosto sanno interpretare: Sanità, Sapienza e Santità"22.

    Identici doni augurava al figlio della contessa Callori, comunicandole di aver chiesto al papa una benedizione speciale "per i tre S al sig. Emanuele, cioè che sia Sano, Sapiente, Santo"23.

    Analoga consegna affidava, tramite don Francesia, agli allievi del collegio di Varazze: "sanità stabile, progresso negli studi e la vera ricchezza, il santo timor di Dio"24.

    In contesti più vasti, lavoro, religione e virtù sono presentati quali mezzi di salvezza di tanti "giovani pericolanti"25, in un grande disegno di rigenerazione sociale, fondato sulla triade "laica" "Lavoro, Istruzione, Umanità"26.

    È evidente che il "programma" suppone un regime di "cristianità", secondo cui la religione è il fondamento della morale e ambedue di un rassicurante ordine sociale.

    1. Un senso di vita, la "salvezza", da ritrovare e consolidare

    Per questo è fondamentale che si risveglino e mobilitino nel giovane stesso le virtualità di cui è dotato. Esse si possono ricondurre essenzialmente a tre tipi: 1) le facoltà di conoscenza, sensibile e intellettuale, in particolare la "ragione", che impedisce, come si è visto, di comportarsi sicut equus et mulus quibus non est intellectus; 2) il variegato patrimonio affettivo, i "desideri", le "passioni", il "cuore"; 3) la volontà qualificata da libertà ardimentosa, intrisa di ragione, fede e infiammata carità.

    È un organismo, già meraviglioso a livello di creazione, ma incommensurabilmente più splendido in quanto elevato all’ ordine soprannaturale grazie alla redenzione operata da Cristo Salvatore. La coscienza dell’ altissima dignità dell’ uomo, "imago et similitudo Dei" nell’ordine della natura e della grazia, sta alla base di un’ adeguata visione dei fini di un’ autentica educazione. Don Bosco ne scrive nel suo notevolissimo Mese di maggio, dove, sottolineando le "meraviglie della grazia divina"27, egli non esclude, ma suppone e apprezza, come ovvia e scontata, la base naturale, non meno mirabile nel suo ordine.

    "Per dignità del cristiano io non intendo i beni corporali, nemmeno le preziose qualità dell’ anima creata ad immagine e somiglianza del medesimo Creatore; io intendo solamente parlare della tua dignità, o uomo, in quanto che fosti fatto cristiano per mezzo del santo Battesimo e ricevuto in grembo alla Santa Madre Chiesa. Prima che tu fossi rigenerato nelle acque del Battesimo tu eri schiavo del demonio e nemico di Dio ed escluso per sempre dal Paradiso. Ma nell’ atto stesso che questo augusto Sacramento ti aprì la porta della vera chiesa, si ruppero le catene con cui ti teneva legato il nemico dell’ anima tua; a te si chiuse l’ inferno, e si aprì il Paradiso. Nel tempo stesso sei diventato oggetto di parziale amore per parte di Dio; in te furono infuse le virtù della fede, della speranza e della carità. Fatto così cristiano, tu hai potuto alzare lo sguardo al cielo e dire: Dio creatore del cielo e della terra è anche il mio Dio. Egli è mio padre, mi ama, e mi comanda di chiamarlo con questo nome. Padre nostro, che sei ne’ cieli; Gesù Salvatore mi chiama suo fratello, e come fratello io appartengo a Lui, a’ suoi meriti, alla sua passione, alla sua morte, alla sua gloria, alla sua dignità"28.

    Il redattore del dialogo tra don Bosco e Francesco Bodrato, a Mornese in ottobre 1864, immagina che il già celebre educatore abbia delineato all’ umile maestro di paese l’antropologia giovanile sottesa al suo sistema educativo, basato su "Religione e Ragione". I giovani sono "esseri razionali", "esseri fatti per conoscere Iddio, per amarlo, per servirlo e poi poterlo andare a godere nel paradiso". "L’educatore deve persuadersi che tutti o quasi tutti questi cari giovani hanno una naturale intelligenza per conoscere il bene che loro vien fatto, ed un cuore sensibile facilmente aperto alla riconoscenza"29.

    Se l’educatore - continuerà, nel 1877, colle pagine sul sistema preventivo -, col metodo della ragione e dell’amorevolezza "fa ragionare l’allievo" e riesce a "guadagnarne il cuore", l’ allievo vi risponde con accresciuta capacità di comprensione e più vivace affettività. In forza della ragione, ci sarà percezione della ragionevolezza della legge del lavoro, dell’impegno personale a costruire insieme, dell’appagamento per i felici esiti conseguiti nella scuola e nel laboratorio. Grazie al cuore, si attuerà l’ esperienza vitalizzante della "famiglia" nella comunità di superiori e compagni, nella fiducia reciproca, nell’amicizia. Infine, affiorerà la gioiosa coscienza della validità del vivere e del lavorare uniti, iniziazione effettiva alla socialità.

    Inoltre, il "senso di vita" viene potenziato, ai livelli più alti e maturi, dall’esperienza religiosa cristiana, grazie a cui la "riuscita temporale" si dilata nel più vasto orizzonte della salvezza eterna. Alla base sta la seria assunzione dell’ammonimento evangelico: Quid prodest homini si mundum universum lucretur, animae vero suae detrimentum patiatur?30. "Questo pensiero - commenta don Bosco - ha determinato tanti giovani a lasciare il mondo, tanti ricchi a dispensare ai poveri le loro ricchezze, tanti missionari ad abbandonare la patria, andare in lontanissimi paesi, tanti martiri a dare la vita per la fede"31.

    La ricerca della "salvezza" è presentata ai giovani come l’ apprendimento della più alta "professione" del cristiano, quella che dà senso e compimento a tutte le altre: del calzolaio, del falegname, dello studente. Don Bosco illustrava il suo pensiero in un’ appassionata buonanotte del 30 aprile 1865.

    "Oh se potessi dirvelo come lo sento io, le parole mancano tanto è importante il soggetto. Oh se tutti voi aveste nel pensiero questa grande verità, se lavoraste unicamente per salvare la vostra anima allora non farebbero bisogno né prediche né meditazioni né esercizi della buona morte, perché avreste tutto ciò che è necessario per la vostra felicità. Che se le vostre azioni avessero a scopo un fine sì importante, che fortuna sarebbe per voi, che felicità per D. Bosco. Sarebbe ciò che io desidero di meglio, sarebbe l’ oratorio un vero paradiso terrestre. Allora non succederebbero più furti, discorsi cattivi, letture pericolose, mormorazioni etc. Tutti farebbero il loro dovere. Perché persuadiamoci, e il prete e il chierico, lo studente e l’artigiano, il povero e il ricco, il superiore e l’ allievo, tutti debbono lavorare a questo fine, altrimenti sarà vana ogni loro fatica"32.

    1. I "gradi" nel conseguimento della "salvezza"

    La vita di grazia, dalla forma più semplice, che significa liberazione dal peccato fino alla più alta perfezione e santità, non ammette selezioni di principio e si sviluppa in continuità tra liberazione dalla dannazione e crescita nelle più alte forme della carità, amor di Dio e del prossimo. La "salvezza" è realtà unitaria e plenaria. Per questo, nella sua mirabile sintesi di spiritualità cristiana, F. X. Durrwell, può scrivere: "la dottrina della santificazione dell’ uomo è la stessa dottrina della sua salvezza eterna - non potendosi l’uomo salvare se non nella sua santificazione in Dio - e si sa che la dottrina della salvezza si estende quanto si estende la teologia"33.

    Don Bosco conosce i "gradi" della vita spirituale - nei discorsi funebri su Giuseppe Cafasso parla di teologia morale, ascetica e mistica34 - ma non li evidenzia come confessore o direttore spirituale. Li pratica, invece, informalmente, e ne scrive, seppure non in termini espliciti, a proposito della graduale "pedagogia della salvezza", attenta alle diverse disponibilità o indisponibilità ad essa dei differenti tipi di giovani, discoli, cattivi, dissipati, buoni.

    Per giovani poveri e abbandonati egli propone fini e contenuti gerarchicamente differenziati. Alcuni possono prevedere anche gradi antecedenti alla "vita spirituale" vera e propria.

    Il primo è aiutare i giovani del tutto sbandati a trovare la più elementare "ragione di vivere". Significava indurli alla voglia e alla gioia di vivere, con l’ intenzione di guadagnarsi con il lavoro e il sudore i mezzi per una esistenza dignitosa per sé e per i propri familiari35.

    Il lavoro educativo poteva richiedere una preliminare purificazione della mente e del cuore, l’ una oscurata dall’ ignoranza e dai pregiudizi, l’ altro corrotto dal vizio e dalle cattive abitudini. "Illuminare la mente per rendere buono il cuore" è stato, per don Bosco, fin dagli inizi lo scopo specifico dei suoi libri, com’ egli stesso dichiarava - lo si è visto - nella prefazione alla Storia sacra e alla Storia ecclesiastica.

    Per i tanti, poi, affettivamente carenti o depauperati, con la formazione di convivenze di stile "familiare", egli mirava a creare un’atmosfera e una ricca rete di rapporti, paterni/materni, fraterni, amicali, capaci di restaurare una vita affettiva, "passionale", carica di intensi coinvolgimenti operativi ed emozionali.

    Naturalmente, il lavoro di ricupero e di formazione assurge a un livello più alto e ricco quando l’ affettività, l’ amorevolezza vissuta, ricevuta e rigenerata, tendono a integrarsi e ad interagire con la ragione e la religione. Infatti, la triade ragione-religione-amorevolezza è, anzitutto, indicazione di fini e di contenuti; è sostanza educativa, più e prima che mezzo e metodo.

    Al vertice del cammino della "salvezza" don Bosco pone, chiaramente proclamato, l’obiettivo educativo sommo della "santità". Non è messaggio dato a un singolo privilegiato, è "predica" fatta a tutti: "è volontà di Dio che ci facciamo tutti santi; è assai facile di riuscirvi; è un gran premio preparato in cielo a chi si fa santo"36.

    1. Amore e timore di Dio nel servizio

    In secondo luogo, l’ attenzione del giovane, lungo l’ intero itinerario educativo, è costantemente attirata al "fine" che aveva già sentito spiegare dal tempo della fanciullezza nell’ apprendimento del catechismo: conoscere, amare e servire Dio, Creatore e Signore del Cielo e della terra. L’ amore al Padre, infatti, suppone l’ onore, la riverenza, il servizio al Creatore e Signore, in sintesi, il timor di Dio. Esso è presente, esplicito o implicito, in tutto l’ agire e l’operare morale e spirituale di don Bosco. È remotamente dispositivo all’ amore come "timore servile", non inutile ai fini della conversione dal peccato mediante la confessione e il perdono. Diventa "timore iniziale" quando è "timore filiale", che è ripudio della colpa. Esso convive con l’amore-carità, nel tempo e nell’ eternità, e cresce quanto più la carità aumenta, vissuto come rispetto adorante, ossequio, riverenza, onore dinanzi alla grandezza, la maestà, la santità, la giustizia di Dio Creatore onnipotente e provvidente. Il giovane educato rettamente avverte abitualmente la presenza adorabile e amabile di Dio Padre onnipotente e, insieme, misericordioso. Ne ha esperienza, in ambedue le sembianze, il credente, sensibile al motto più volte visto e udito: "Dio mi vede". Il "farsi amare più che farsi temere", da don Bosco copiosamente riversato nella sua "pedagogia", non è che il riflesso del "farsi amare più che farsi temere", che caratterizza le relazioni del fedele cristiano col suo Dio, "Padre del Signore Nostro Gesù Cristo, Padre delle misericordie e Dio di ogni consolazione"37.

    L’ enunciato biblico, "il principio della sapienza è il timor di Dio", diventa per il giovane, fattosi adulto, orrore della separazione da Dio, motivo di fuga del peccato, nostalgia della grazia, desiderio di purificazione effettiva e richiesta di riconciliazione, realizzata nei sacramenti della penitenza e dell’ eucaristia. Egli risente antichi discorsi, che gli avevano toccato il cuore nel tempo dell’ educazione: "Questo pensiero della presenza di Dio ci deve accompagnare in ogni tempo, in ogni luogo, ed in ogni azione. E chi avrà ancora il coraggio di commettere una cosa, che possa offendere il Signore, quando pensa che Colui, che egli vuol offendere, può sull’ istante che egli vuol pronunziare quella parola, inaridirgli la lingua, può fargli paralizzar la mano, con cui pensa di peccare?"38. "Ogni peccato irrita grandemente la Giustizia Divina, e ci rende meritevoli di gravi gastighi i quali se non hanno il loro effetto nella vita presente, saranno maggiori nell’ altra. Una sincera emendazione può calmare la giustizia di Dio"39. "Iddio è misericordioso e perdona qualsiasi peccato purché l’ uomo sia sinceramente pentito, e ne faccia conveniente penitenza"40. Sono i due volti di Dio visti nella punizione della malvagia Gezabele e nel perdono dei Niniviti convertiti.

    Risulta chiaro che nel linguaggio di don Bosco avere, "conservare", il santo timor di Dio equivale a vivere una vita cristiana compiuta. Il "timorato di Dio" è, in sostanza, il fedele osservante ed esemplare, il buon cristiano. Il timore include l’ amore. Don Bosco accoglie di buon grado quanto nel Porta teco cristiano è raccomandato ai "capi di famiglia" a proposito dei "Doveri verso i figliuoli": "2. Allevateli con ogni cura nel santo timor di Dio, dipendendo da questo la propria loro salute, e la benedizione della casa, ed avendoli la divina provvidenza alle vostre cure affidati, perché siano cristianamente educati (Ef. VI, 4). 3. Stampate tosto ne’ teneri loro cuori il santo timore di Dio, la brama di servirlo ed un forte amore alla virtù (Tob. I, 10)"41.

    1. Nella Chiesa cattolica

    "Continuate ad amare la religione nei suoi ministri - è l’ antica lezione di don Bosco ai suoi -, continuate a praticare questa nostra santa Cattolica Religione che possa rendervi felici su questa terra, sola che valga a renderci eternamente beati in cielo"42.

    Nel senso dell’ appartenenza alla Chiesa cattolica è indicato da don Bosco un ulteriore inconfondibile carattere del buon cristiano e dell’onesto cittadino. È uno dei caposaldi della sua "teologia" catechistica e pratica: "La Chiesa Cattolica-Apostolica-Romana è la sola vera Chiesa di Gesù Cristo"43. Vi sono inclusi con eccezionale forza l’ attaccamento e la fedeltà al suo Capo, il papa: "Siate intimamente persuasi di queste grandi verità: dove c’è il successore di S. Pietro, là c’è la vera Chiesa di Gesù Cristo. Niuno trovasi nella vera Religione, se non è cattolico; niuno è cattolico senza il Papa. I nostri Pastori, e specialmente i Vescovi, ci uniscono col Papa, il Papa ci unisce con Dio"44.

    Il giovane cattolico rettamente educato sarà il fedele istruito nella "dottrina cristiana", coraggioso nel professare il credo della Chiesa, alieno da compromessi con l’eresia e con ogni radicalismo politico, risolutamente schierato dalla parte del Papa e dei Pastori. Tra i consigli più spesso uditi erano quelli diffusi fin dal 1853 in Tre particolari ricordi alla gioventù, posti a conclusione del già citato opuscoloAvvisi ai cattolici: "fuggire per quanto è possibile la compagnia di coloro che parlano di cose immodeste, o cercano di deridere la nostra Santa Religione" ["il Papa, i vescovi e gli altri ministri della nostra s. religione", scriverà nel 1872]; "aborrire" e "rigettare" "libri o giornali irreligiosi", che venissero offerti; se poi qualcuno insistesse nel dire che si è "in tenpo di libertà, perciò ognuno può vivere come vuole", ribattere: "se siamo in tempo di libertà, ci lascino vivere in fatto di Religione, come a noi piace"45.

    1. "Il cristiano uomo di eternità" operante nel mondo

    Una qualifica emergente e specifica del cristiano, "uomo di eternità"46, in quanto insieme onesto cittadino, è per don Bosco la capacità di inserimento ordinato e operoso nella società, mediante il lavoro, come artigiano, agricoltore, operaio, impiegato, insegnante, militare, sacerdote; per gli abbienti e coloro che vivono di rendita, in più, col buon uso delle ricchezze. È per tutti, in forme differenziate, l’ esatto adempimento dei doveri del proprio stato, inseparabile da onestà ed esemplarità di vita, e quindi da una sostanziale utilità sociale.

    Esiste un intimo legame tra fine eterno e impegno terreno e il giovane maturo ha imparato a viverlo in sintesi, coll’ occhio rivolto al cielo e i piedi saldamente poggiati in terra, in un cammino costellato di buone opere. "Dite a’ miei fratelli ed alle mie sorelle - scrive alla madre Pietro, in partenza per la campagna di Crimea nel 1854 -, che il lavoro fa buoni cittadini, la religione fa buoni cristiani; ma che lavoro e religione conducono al cielo"47.

    Sull’ impegno nello studio o nel lavoro, studenti e artigiani si erano sentiti proporre, nell’ annuale lettura del Regolamento per le case, una formulazione sintetica delle tante raccomandazioni sparse lungo l’intero periodo formativo. Essa offriva in tre brevi articoli un vero profilo dell’ homo faber cristiano, obiettivo capitale del processo educativo attuato da don Bosco.

    "1. L’uomo, miei giovani, è nato per lavorare, Adamo fu collocato nel Paradiso terrestre affinché lo coltivasse. L’Apostolo s. Paolo dice: è indegno di mangiare chi non vuole lavorare; Si quis non vult operari non manducet. 2. Per lavoro s’intende l’adempimento dei doveri del proprio stato, sia di studio, sia di arte o mestiere. 3. Mediante il lavoro potete rendervi benemeriti della Società, della Religione, e far bene all’anima vostra, specialmente se offerite a Dio le quotidiane vostre occupazioni"48.

    1. Socialità

    Sull’ apporto dei laici alla missione della Chiesa, in particolare all’ educazione giovanile, e, più specificamente, sull’ uso sociale delle ricchezze è del tutto singolare l’ insistenza di don Bosco nelle numerose conferenze dell’ultimo periodo della vita. È tipica la sua esigente posizione circa l’ "elemosina", interpretata e proposta come rigoroso e doveroso esercizio di "giustizia sociale" ante litteram49.

    Non si trova, invece, nella gamma dei fini educativi perseguiti da don Bosco una sviluppata concezione dell’ uomo socialmente e politicamente impegnato. Essa è scarsamente elaborata come fine specifico, esplicitata piuttosto all’ interno del fine morale e religioso. Ciò è dovuto in parte alla situazione sociale dell’ Italia del tempo, dove la "politica" attiva e passiva era riservata a quanti potevano fruire di una condizione culturale ed economica privilegiata. Si aggiunge, più decisiva, la scelta "politica" chiaramente "educazionista" da don Bosco voluta per se stesso e per i suoi collaboratori. Per lui, in definitiva, l’uomo inserito attivamente nella società civile e politica è, anzitutto e prevalentemente, il cristiano competente ed onesto nell’ esercizio del suo compito lavorativo. Egli contribuisce all’ ordine e al progresso della società governando con saggezza la propria famiglia, partecipando, secondo le proprie possibilità, alle opere di beneficenza e di solidarietà, esemplare nella pratica della fede e delle cosiddette "opere di misericordia spirituale e temporale".

    Sono significative le espressioni usate nell’ incontro conviviale del 25 luglio 1880 con gli ex-allievi laici dell’ Oratorio. Accennato a qualcuno che aveva criticato il luogo della sua educazione e invitati tutti al perdono e alla preghiera per gli ingrati, proseguiva : "Siamo Salesiani, e come tali dimentichiamo tutto, perdoniamo a tutti, faremo a tutti del bene quanto possiamo e del male a nessuno (...). Così useremo ad un tempo la semplicità della colomba e la prudenza del serpente, guardandoci dai traditori e dai tradimenti"50.

    1. La vita è vocazione e missione

    La collocazione di ognuno nella società civile ed ecclesiale non è casuale né arbitraria. Ognuno è chiamato a vivere secondo la propria vocazione, e cioè a occupare un posto ben preciso, che risponde alla volontà di Dio e garantisce le grazie che vi sono annesse. Più volte don Bosco dichiara la scelta vocazionale come "il punto più importante della vita"51. La scelta, mentre risponde a domande che vengono dal prossimo, in particolare giovanile, è conforme alle attitudini e alle inclinazioni, che qualificano il soggetto per un impegno che può essere "secolare", ecclesiastico, "religioso".

    Il problema è posto e risolto nei termini più precisi in una lettera agli alunni dei due ultimi anni del ginnasio del collegio di Borgo S. Martino. Due sono gli stati in cui si cammina "per la via del Cielo", "Ecclesiastico o secolare". "Per lo stato secolare - dichiara sbrigativamente - ciascuno deve scegliere quegli studi, quegli impieghi, quelle professioni, che gli permettono l’ adempimento dei doveri del buon cristiano e che sono di gradimento ai proprii genitori". "Per lo stato ecclesiastico", dà invece direttive più particolareggiate. Anzitutto, indica chiaramente i distacchi che comporta: "Rinunziare alle agiatezze, alla gloria del mondo, ai godimenti della terra per darsi al servizio di Dio". Nel fare la scelta l’unico consigliere decisivo è il confessore, da ascoltare "senza badare né a Superiori, né ad inferiori, né a parenti, né ad amici". Chi entra nello stato ecclesiastico con la sola intenzione di "darsi al servizio di Dio" e di "percorrere la strada della salvezza", "ha morale certezza di fare gran bene all’ anima propria ed all’ anima del prossimo". All’ interno di questa scelta di base sono possibili tre differenti opzioni: "prete nel secolo, prete nella religione, prete nelle Missioni estere". "Ognuno può scegliere quello che gli sta più a cuore, più adattato alle sue forze fisiche e morali, prendendo consiglio da persona pia, dotta e prudente". Però, "devono tutte partire da un punto e tendere al medesimo centro che è Dio"52.

    È da notare che, parlando spesso a giovani che si trovano di fronte alla scelta ecclesiastica o religiosa, don Bosco non dà eccessiva importanza a quella "secolare": "Conosciuto che uno non è chiamato allo stato Ecclesiastico o religioso - dice durante un corso di esercizi spirituali a Lanzo nell’ estate del 1875 -, allora di poca importanza sarà poi il fare piuttosto il fabbro che il falegname, il calzolajo che il sarto, l’ impiegato che il negoziante"53.

    In particolare, si sofferma talora a additare con predilezione la vocazione religiosa a coloro che pensava si potessero trovare in pericolo nel mondo54. Poi con l’ andare degli anni don Bosco parlerà di vocazione religiosa laicale anche agli alunni artigiani: "le vocazioni religiose non sono solamente per i signorini studenti"55.

    1. La vocazione di tutti: la carità e l’ apostolato

    La vocazione comune a tutti, ecclesiastici e laici, è, comunque, la carità, l’ amore.

    Tutti, secondo le rispettive possibilità e responsabilità, sono tenuti ad un’esplicita presenza caritativa e apostolica diversamente espressa: l’elemosina, l’impegno nell’azione catechistica ed educativa, "l’unirsi nel campo dell’azione ed operare"56. Ciò potrà realizzarsi con frutti più copiosi e a "maggior gloria di Dio" - vis unita fortior - con l’ aggregazione a gruppi e associazioni di cristianesimo militante, aprendosi, se Dio chiama, alle più ardite prospettive apostoliche e missionarie57.

    Per tutti vale quanto con ardita intuizione don Bosco suggeriva a un adolescente, che sarà proclamato santo: "La prima cosa che gli venne consigliata per farsi santo fu di adoprarsi per guadagnar anime a Dio; perciocché non avvi cosa più santa al mondo, che cooperare al bene delle anime, per la cui salvezza Gesù Cristo sparse fin l’ ultima goccia del prezioso suo sangue"58.

    1. Stile di vita nella speranza e nella gioia

    Infine, il giovane plasmato dal sistema preventivo, è abilitato anche per il futuro all’esercizio delle tradizionali virtù della carità, della temperanza, dell’obbedienza, dell’ onestà, della modestia, a trovare motivo di gioia quaggiù e di ferma speranza nell’eternità beata.

    Ai giovani in formazione e alle soglie dell’ età adulta è riservata la notazione del Giovane provveduto: "Altronde noi vediamo che quelli, i quali vivono in grazia d’ Iddio sono sempre allegri, ed anche nelle afflizioni hanno il cuor contento. Al contrario coloro che si danno a’ piaceri vivono arrabbiati, e si sforzano onde trovare la pace ne’ loro passatempi, ma sono sempre più infelici: Non est pax impiis"59. Riusciva, perciò, ovvia e abituale l’ esortazione al buon uso del tempo della giovinezza: "Quae seminaverit homo, haec et metet, cioè l’ uomo mieterà di ciò che ha seminato"; come avviene per i contadini che seminano e coltivano il campo. "Così di voi miei cari giovani se seminerete ora, avrete poi il contento di fare un bel raccolto a tempo debito". "E chi in gioventù non semina, non raccoglierà in vecchiaia"60. "Beatus homo, cum portaverit iugum ab adolescentia sua (...). Guardate dunque, adesso che siete giovani, di osservare i comandamenti di Dio e sarete beati in questa e nell’altra vita"61. "I Santi mentre pensavano seriamente all’ eternità delle pene, vivevano in somma allegria colla ferma fiducia in Dio di evitarle, e andare un giorno al possesso de’ beni infiniti che il Signore tiene preparati a chi lo serve"62.

    Il legittimo "timore", che evita la presunzione, con la filiale trepidazione di potersi separare da Dio e di non perseverare sino alla fine, trova sollievo nella sicura speranza che Dio è fedele e non manca alle sue promesse. Sorge da ciò la gioia di chi si affida, più che ai propri meriti, alla benevolenza di un Padre, che onora e serve con amore di figlio.


    NOTE

    1 È il significato dell’ Émile (1762) e della rivoluzione antropologica rousseauiana, come illustrano felicemente A. Ravier, L’ éducation de l’ Homme nouveau. Paris, SPES 1944, e M. Rang, Rousseaus Lehre vom Menschen. Göttingen, Vandenhoeck und Ruprecht 1959; e dell’ inizio assoluto, "fare l’ uomo nuovo", il collettivista sovietico, voluto e descritto da A. S. Makarenko, Poema pedagogico (1935) e Bandiere sulle torri (1938).

    2 Sull’ aporia e su una certa conciliazione scrive J. Schepens nel saggio già citato, Human nature in the educational outlook of John Bosco, in particolare, RSS 8 (1989) 265-277.

    3 È storia tratteggiata in linee essenziali da P. Braido, Breve storia del "sistema preventivo". Roma, LAS 1993, in particolare, pp. 15-45. Ne è cospicuo testimone, quanto al sistema preventivo nella famiglia, Silvio Antoniano, ripresentato anche in questo volume.

    4 Lettere a don Bodrato, 15 aprile 1880, E III 576-577, e a un benefattore ungherese, 1 nov. 1886, E IV 364.

    5 Cfr. P. Braido, Buon cristiano e onesto cittadino. Una formula dell’ "umanesimo educativo" di don Bosco, RSS 13 (1994) 7-75.

    6 Cfr. ad esempio, discorso ai partecipanti alla sua festa onomastica, 24 giugno 1879, BS 3 (1879) n. 7, luglio, p. 9; a ex-alunni dell’ Oratorio, 24 giugno 1880, BS 4 (1880) n. 9, sett., p. 10; conferenza ai cooperatori di Firenze del 15 maggio 1881, BS 5 (1881) n. 7, luglio, p. 9.

    Il saggio citato nella nota precedente ne offre un lungo elenco, non esaustivo, preceduto e seguito da formule analoghe (cfr. P. Braido, Buon cristiano e onesto cittadino..., pp. 61-74).

    7 G. Bosco, Il giovane provveduto..., p. 7, OE II 187.

    8 Discorso a ex-alunni dell’ Oratorio del 24 giugno 1883, BS 7 (1883) n. 8, agosto, p. 128.

    9 P. Scoppola, Don Bosco e la modernità, in M. Midali (Ed.), Don Bosco nella storia..., p. 537.

    10 La triade moeurs-science-politesse compare nei Règlemens pour messieurs les Pensionnaires des Pères Jésuites, qui peuvent leur servir de Règle de conduite pour toute leur vie. Par le R. P. Jean Croiset (Lyon, Frères Bruyset 1749, VI éd.): "La Piété, l’ Etude, la Civilité" (Avertissement, p. I); "Il y a des devoirs de Religion à remplir, des bienséances à garder, des sciences à acquérir" (p. 2); "on prétend former un jeune homme dans les bonnes moeurs, dans les beaux arts, et dans toutes les bienséances et les devoirs de la vie civile (...). On veut rendre un jeune homme accompli, mais on en veut faire encore un véritable Chrétien, un parfaitement honnête homme" (p. 6).

    11 Resta, in certa misura, l’ interrogativo sul rapporto tra temporale e spirituale di B. Plongeron, Affirmation et transformations d’ une "civilisation chrétienne" à la fin du XVIIIe siècle, nel vol. Civilisation chrétienne. Approche historique d’une idéologie, XVIIIe-XXe siècle (Paris, Beauchesne 1975): "Le christianiser en le civilisant ou bien l’inverse?" (p. 10). Nel medesimo volume si trova un saggio di X. de Montclos su Lavigerie, le Christianisme et la civilisation (pp. 309-348). L’ arcivescovo di Algeri fu in relazione con don Bosco, a cui inviò anche giovani algerini, e che incontrò a Parigi nel 1883. La posizione di don Bosco sul rapporto tra "Cristianesimo" e "civiltà" presenta analogie con quella del cardinale, naturalmente a un livello teorico più debole, condividendo la persuasione della loro conciliabilità: cfr. in particolare le Réflexions sur l’ idéologie de la civilisation chez Lavigerie, pp. 337-347.

    12 Cfr. P. Braido, L’ idea della società salesiana nel "Cenno istorico" di don Bosco del 1873/1874, RSS 6 (1987) 264.

    13 È il messaggio ai cooperatori salesiani che apre il primo fascicolo del Bibliofilo cattolico o Bollettino salesiano mensuale, a. III, n. 5, agosto 1877, p. 2; ripetuto in Bibliofilo cattolico o Bollettino salesiano mensuale, a. III, n. 6, sett. 1877, p. 2.

    14 Cit. in MB XVII 100. Il giorno precedente, l’ 8 maggio, il cardinal Vicario Lucido M. Parocchi aveva svolto analogo tema, individuando nella "carità esercitata secondo le esigenze del secolo", "la nota essenziale della Società Salesiana", BS 8 (1884) n. 6, giugno, p. 90.

    15 Lett. del 23 luglio 1878, E III 367.

    16 Qualche elemento si può ricavare da due brevi saggi: P. Braido, Laicità e laici nel progetto operativo di don Bosco, nel vol. I laici nella famiglia salesiana. Roma, Editrice S.D.B. 1986, pp. 17-34; Id., Pedagogia ecclesiale di don Bosco, nel vol. Con i giovani raccogliamo la profezia del Concilio. Roma, Editrice S.D.B. 1987, pp. 23-63.

    17 G. Lombardo Radice, Meglio Don Bosco?, in "La Rinascenza Scolastica. Rivista pedagogica, didattica, letteraria, quindicinale" (Catania), 16 febbraio 1920; ripubblicato dall’ Autore nel vol. Clericali e massoni di fronte al problema della scuola. Roma, La Voce Soc. Anonima Editrice 1920, pp. 62-64.

    18 F. Orestano, Celebrazioni, vol. I. Milano, Bocca 1940, p. 47.

    19 F. Orestano, Celebrazioni, vol. I, pp. 74-76.

    20 G. Bosco, Il pastorello delle Alpi..., p. 90, OE XV 332; il titolo del capo XVII è Allegria, seguito dal XVIII Studio e diligenza, pp. 90-93, 94-99, OE XV 332-335, 336-341.

    21 Lett. alla contessa Gabriella Corsi del 12 agosto 1871, E II 172: "Per la damigella Maria (...) dimanderò al Signore tre grossi S, cioè che sia sana, sapiente e santa".

    22 Lett. a don Francesco Dalmazzo, 8 marzo 1875, E II 465.

    23 Lett. dell’8 marzo 1874, E II 362. Il ventitreenne Emanuele era ufficiale di cavalleria.

    24 Lett. del 10 gennaio 1876, E III 6.

    25 Cfr. la già citata conferenza ai Cooperatori salesiani a Roma del 29 gennaio 1878, BS 2 (1878) n. 3, marzo, pp. 12-13.

    26 Conferenza ai Cooperatori salesiani a S. Benigno Canavese del 4 giugno 1880, BS 4 (1880) n. 7, luglio, p. 12.

    27 Come si sa, è il titolo di uno dei capolavori, pubblicato nel 1863, del giovane teologo tedesco Matthias Joseph Scheeben (1835-1888).

    28 G. Bosco, Il mese di maggio..., pp. 60-61, OE X 354-355.

    29 A. da Silva Ferreira, Il dialogo tra don Bosco e il maestro Francesco Bodrato - 1864, RSS 3 (1984) 385.

    30 Mt 16, 26.

    31 G. Bosco, Il Giubileo e pratiche divote per la visita delle chiese. Torino, tip. dir. da P. De-Agostini 1854, p. 48, OE V 526.

    32 G. B. Lemoyne, Cronaca 1864ss, buonanotte del 30 aprile 1865, pp. 133-135.

    33 F. X. Durrwell, Dans le Christ Rédempteur. Notes de vie spirituelle. Le Puy/Lyon, Éditions X. Mappus 1960, p. 7.

    34 G. Bosco, Biografia del sacerdote Giuseppe Caffasso, p. 77 e 89, OE XII 427 e 439.

    35 Ne scrive, come si è visto, nei Cenni storici, a proposito dei "discoli": Cenni storici..., in P. Braido (Ed.), Don Bosco nella Chiesa..., pp. 78-79.

    36 G. Bosco, Vita del giovanetto Savio Domenico..., p. 50, OE XI 200.

    37 2 Cor. 1, 3.

    38 G. Barberis (G. Gresino), Cronaca, quad. 3, discorso serale ai giovani del 21 agosto 1877, p. 11; cfr. altra redazione (E. Dompè), quad. 15, pp. 24-25.

    39 G. Bosco, Storia sacra per uso delle scuole... Edizione seconda migliorata. Torino, Dai tipografi-editori Speirani e Tortone 1853, p. 90.

    40 G. Bosco, Storia sacra per uso delle scuole e specialmente delle classi elementari... Edizione terza accresciuta. Torino, tip. dell’ Orat. di S. Franc. di Sales 1863, p. 97.

    41 Porta teco cristiano..., pp. 24-25, OE XI 24-25.

    42 Lett. ai soci della confraternita di N. S. della Misericordia di Buenos Aires, 30 sett. 1877, E III 225.

    43 È il sovratitolo della prima edizione degli Avvisi ai cattolici. Torino, tip. Speirani e Ferrero 1850, 23 p., OE IV 121-143.

    44 Avvisi ai cattolici. Torino, tip. dir. da P. De-Agostini 1853, p. 6, OE IV 168. Sono stati segnalati gli evidenti limiti della concezione ecclesiologica di don Bosco: cfr. P. Braido, Pedagogia ecclesiale di don Bosco, pp. 24-42; J. M. Laboa,L’esperienza e il senso della Chiesa nell’ opera di don Bosco, in M. Midali (Ed.), Don Bosco nella storia..., pp. 107-133; F. Molinari, Chiesa e mondo nella "Storia ecclesiastica" di don Bosco, in M. Midali (Ed.), Don Bosco nella storia..., pp. 143-155.

    45 Avvisi ai cattolici (1853), pp. 25-27, OE IV 187-189.

    46 "Ricordati, o Cristiano, che tu sei uomo di eternità" (La chiave del paradiso in mano al cattolico che pratica i doveri del buon cristiano. Torino, tip. Paravia e comp. 1856, p. 24, OE VIII 24).

    47 G. Bosco, La forza della buona educazione..., p. 89, OE VI 363.

    48 Regolamento per le case..., parte II, capo V Del lavoro, pp. 68-69, OE XXIX 164-165; rivela una precisa gerarchia di valori il fatto che il capitolo V segue immediatamente i capitoli III e IV dal titolo Della pietà e Contegno in chiesa. Il lavoro come destino dell’ uomo, con segno parzialmente diverso prima e dopo il peccato originale, e antidoto all’ ozio, è già uno dei temi capitali della Storia sacra (1847): cfr. N. Cerrato, La catechesi di don Bosco nella "Storia sacra". Roma, LAS 1979, pp. 308-318.

    49 Cfr. P. Braido, Laicità e laici nel progetto operativo di don Bosco..., pp. 23-30.

    50 BS 4 (1880) n. 9, sett., p. 10.

    51 Cfr. per esempio, sermoncino serale del 7 luglio 1876, G. Barberis, Cronichetta, quad. 2, p. 42.

    52 Lett. del 17 giugno 1879, E III 476.

    53 G. Barberis, Cronaca, quad. 19, p, 2.

    54 Cfr. per esempio, il sermoncino serale del 10 maggio 1875, G. Barberis, Cronichetta, quad. 1, pp. 2-3.

    55 G. Barberis (E. Dompè), Cronaca, quad. 15, sermoncino serale del 21 aprile 1877, p. 7. Il discorso era stato tutto dedicato al differente pericolo a cui va incontro chi sceglie la vocazione ecclesiastica secolare e chi opta per la vita religiosa (Ibid., pp. 4-6).

    56 Conferenza ai cooperatori di Borgo S. Martino, 1˚ luglio 1880, BS 4 (1880) n. 8, agosto, p. 9.

    57 Cfr. P. Braido, Laicità e laici nel progetto operativo di don Bosco..., pp. 30-31.

    58 G. Bosco, Vita del giovanetto Savio Domenico..., p. 53, OE XI 203.

    59 G. Bosco, Il giovane provveduto..., p. 28, OE II 208.

    60 G. Barberis, Cronichetta, quad. 2, sermoncino serale del 7 luglio 1875, pp. 39-40.

    61 MB XI 253, sermoncino serale ai giovani del 28 luglio 1875.

    62 G. Bosco, Il giovane provveduto..., p. 29, OE II 209.


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