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    Il sistema preventivo

    di Don Bosco

    Punti fissi

     Francesco Motto


    INTRODUZIONE

    “Prevenire è possibile”, “Prevenzione come educazione”, “Educare e prevenire”, ”Educare per prevenire”, “L’Araba fenice di una prevenzione non repressiva”: non sono soltanto alcuni fra i titoli di studi e ricerche che hanno caratterizzato il dibattito sul disagio giovanile negli ultimi trent’anni del secolo ventesimo, ma anche espressioni che indicano, senza volerlo, un autentico messaggio che Don Bosco lascia in eredità al terzo millennio: il “sistema preventivo”. Tant’è vero che “Prevenire ieri e oggi con Don Bosco” è stato il tema trattato di recente ad un convegno internazionale e interculturale dal più profondo conoscitore del “sistema preventivo”, Pietro Braido.
    Si dirà: ma perché ancora un libro sul metodo educativo di Don Bosco, generalmente, convenzionalmente e da lui stesso identificato col “sistema preventivo”? Non bastano quelli pubblicati in questi 112 anni che ci separano dalla sua morte? È forse possibile dire ancora qualche cosa di nuovo, di originale su di esso?
    Lasciando ad altri la responsabilità di una risposta a tali domande, in questa sede si intende unicamente porre le premesse indispensabili - i punti fissi storicamente accertati - per i successivi studi della collana pedagogica che, proprio col presente volumetto, ha inizio e che in esso troveranno gli elementi fondamentali da riconsiderare in chiave attualità, funzionalità e innovazione.
    È difatti convinzione di molti che quella di Don Bosco sia una delle “pedagogie” più adatte per tutti, priva di complicazioni tecniche, senza materiali costosi e complicati, attuabile, mutatis mutandis, in ogni tempo e in tutti gli ambienti. Una pedagogia dell’«eroe dell’educazione preventiva e della scuola famiglia», i cui «prosecutori possono esserne orgogliosi», come ebbe a dire nel 1920 il pedagogista idealista Giuseppe Lombardo Radice; «una pedagogia che non muore col tempo», come affermò nel 1988 da ben altro versante papa Giovanni Paolo II; una pedagogia ricca di «principi che hanno virtualità illimitate», di «suggestioni particolari gravide di sviluppi», di «germogli che attendono di sbocciare ed espandersi», come tornò a ribadire a fine secolo (1999) Pietro Braido .
    Ne fanno ulteriore fede scuole, oratori, collegi, ambienti di formazione professionale, organizzazioni giovanili, associazioni di tempo libero, comunità di sostegno per giovani a rischio e altre espressioni educative proprio del variegato mondo salesiano, diffuso e inculturato sotto tutti i cieli. Dalla ricchezza delle intuizioni donboschiane sono scaturite anche interpretazioni particolari dell’intero sistema: stile di azione pastorale, pedagogia spirituale dotata di una sua mistica e una sua ascetica, cammino di santità, modalità di tratto con le popolazioni di mentalità, religioni e culture diverse, metodo di azione missionaria globale, strumento educativo valido negli ambienti dell’educazione in cui Don Bosco non ha voluto o potuto impegnarsi.
    Il sistema educativo di Don Bosco sembra riproponibile tuttora per il fatto stesso che il prevenire pare trovare ampia accoglienza nell’opinione pubblica mondiale, anche per l’auspicata rivalutazione del momento preventivo rispetto a quello rieducativo in tutti i settori operativi della lotta contro le varie forme di marginalità e di devianza giovanile.
    L’attualità del sistema è però soggetta a due precise condizioni.

    1. Anzitutto è necessario conoscere il “sistema” per quello che è. Non è mancato infatti chi, in modo del tutto arbitrario, ne ha dato interpretazioni onnicomprensive, parziali o riduttive; ovvero chi ha enfatizzato alcune componenti, a discapito di altre, dimenticando che i singoli elementi si comprendono alla luce della loro organica concatenazione. Nel sistema educativo di Don Bosco tout se tient.
    Inoltre, nel momento stesso in cui viene a mancare ogni sintonizzazione con sensibilità e situazioni ottocentesche, occorre la ferma convinzione che la fedeltà al metodo educativo di Don Bosco - utilizziamo qui il termine “metodo” come sinonimo di “sistema”, benché il metodo costituisca solo il momento pratico-operativo del sistema - non è costituita dalla semplice imitazione dei suoi comportamenti e neppure dalla materiale ripetizione di suggestioni, indicazioni e mezzi da lui suggeriti, bensì da una fedeltà creativa che adegui il modello alle esigenze e alle congiunture socioculturali della nuova epoca. L’esempio di tale “aggiornamento” del sistema a circostanze nuove è offerto dallo stesso Don Bosco, che lo presentò come metodo universale di educazione giovanile solo dopo averlo vissuto per oltre un trentennio e averlo adattato a varie situazioni e a giovani di diverse condizioni, non escluse quelle patologiche. Sul finire della vita non si peritò di ribadire, ancora una volta, che «per rispettare gli uomini» occorreva «conoscere i tempi e adattarsi ad essi».
    Porre tale prima condizione, vale a dire operare una corretta analisi storica del sistema preventivo di Don Bosco anche attraverso un uso abbondante di fonti, non sembra eccessivamente difficile, dato che le interpretazioni del sistema sono ormai sufficientemente convergenti È quanto cercheremo di fare nei capitoli seguenti. Non mancheremo però di far emergere e di tradurre in linguaggio attuale il significato implicito, ma comunque “autentico”, che le espressioni di Don Bosco sottintendono, sempre consapevoli del rischio, costantemente in agguato, di cadere in metalinguaggi fuorvianti e interpretazioni “strumentali”. Problemi aperti e ipotesi di rinnovamento saranno semplicemente accennati al termine di ogni capitolo e nella conclusione, che precede l’appendice documentaria.

    2. La seconda condizione, ossia la ritraduzione nell’oggi di esperienze preventive, intuizioni pedagogiche, indicazioni operative, concetti dottrinali del passato riformulando e rifondando idee, valori, lessico, itinerari, pedagogici e spirituali adeguati alle esigenze di una società come l’attuale, è impresa più difficile e richiede molteplici competenze, approcci interdisciplinari compresi . Vi si cimenteranno appunto gli autori dei volumi successivi della collana.

    Interpretazioni lungo il secolo XX

    Il sistema preventivo di Don Bosco è stato (ed è tuttora) oggetto di attenzione da parte di non pochi studiosi, i quali, partendo da presupposti storici, pedagogici e spirituali diversi e seguendo differenti piste di ricerca, sono pervenuti, come è ovvio, a interpretazioni e valutazioni distinte.
    In ambito salesiano nella prima metà del ‘900 Don Giulio Barberis e Don Francesco Cerruti, pur non reputandolo una creazione originale del santo subalpino, lo hanno ritenuto un intoccabile patrimonio frutto di studi e di lunga esperienza, e perciò valido sostanzialmente sempre e dovunque, senza bisogno di innovazioni. Altri lo hanno considerato ricco di una sapienza pedagogica inedita e pertanto quasi da sottrarsi alla ricerca scientifica (Don Giovanni Battista Lemoyne, Don Eugenio Ceria). Don Alberto Caviglia ha parlato di novità di sintesi, più che dei particolari e per questo «Don Bosco passerà nella storia tra i più grandi pedagogisti, e avrà la riconoscente ammirazione dei secoli». Don Bartolomeo Fascie, dopo che il sistema preventivo nel 1925 era stato inserito fra i classici della pedagogia nei programmi scolastici di Magistero, ne ha riconosciuto il pregio non nella novità, ma nella garanzia del tempo e dell’esperienza e ne ha individuato l’originalità nello stile personalissimo con cui Don Bosco, vero maestro di arte educativa, lo fece suo e lo realizzò nella vita concreta. Il rettor maggior dei salesiani, Don Pietro Ricaldone, maggiormente preoccupato di evidenziare l’aspetto teorico e “sistematico” dell’azione educativa di Don Bosco, ha riconosciuto in lui doti di vero «pedagogista».
    Nella seconda metà del ‘900 altri studiosi salesiani hanno rilevato le potenziali ricchezze delle intenzioni del sistema (Pietro Stella), ovvero hanno tentato una sistematizzazione delle idee e delle esperienze pedagogiche del santo alla luce di un serrato confronto con la cultura pedagogica dell’800 e con i protagonisti della pedagogia preventiva (Pietro Braido). A quest’ultimo autore e ai colleghi dell’Istituto Storico Salesiano si devono le edizioni critiche degli scritti pedagogici più significativi del santo.
    Ma il modo di educare di Don Bosco ha esercitato un forte impatto anche sull’opinione pubblica in genere, ivi compresi esponenti di ideologie laiciste e anticlericali, i quali, se non rinunciarono alle armi della diffamazione e dell’insinuazione, dovettero riconoscere gli elementi innovativi del metodo e l’utilità sociale dell’opera salesiana. Del resto il professore Casimiro Danna, ad appena tre anni dall’apertura della casa di Torino-Valdocco (1849), aveva già intuito la genialità pedagogica di Don Bosco – definito «pontefice e ministro, maestro e predicatore, padre e fratello» - nella sua capacità di raggiungere gli obiettivi educativi tradizionali (educazione morale, civile, fisica) con modalità creative e coinvolgenti decisamente inedite, esattamente quelle che l’anno dopo l’abate Ottavio Moreno enumerava al ministro per gli affari ecclesiastici di Grazia e Giustizia del regno sabaudo.
    Lungo il secolo ventesimo la discussione si è piuttosto appuntata sull’identificazione di Don Bosco come educatore o come pedagogista, o, meglio, sulla sua pedagogia definita, secondo i casi, scienza, sistema, dottrina, metodo, arte stile e altro ancora. La quasi totalità degli autori ha riconosciuto la novità nel modo con cui Don Bosco ha attuato i principi della pedagogia cristiana (P. Mario Barbera), nella personalità dell’“educatore-artista” - Don Bosco stesso - (G. Raffaele Zitarosa), o nel corpo di dottrine e di realtà ricavate dal vangelo, dall’osservazione della psicologia giovanile, dallo studio di altre istituzioni educative, dall’esperienza e dall’azione soprannaturalmente ispirata (Mario Casotti). Ancora recentemente in ambito francese Guy Avanzini ha sostenuto che Don Bosco «ha veramente proposto una “pedagogia”, cioè una riflessione organizzata sull’educazione; è quindi da considerare un “pedagogista” nel senso più pieno ed esigente del termine e non soltanto un educatore». Ovviamente altri, da fronti diversi di osservazione, lo hanno giudicato eccessivamente carico di religiosità cattolica, conservatore, retrivo, decisamente superato.
    Non è questo il luogo per addentrarci in tali discussioni accademiche, prendendo posizione e sostenendola adeguatamente con propri argomenti. Tanto più che un simile approccio non pare il più consono a Don Bosco che affermava al dire del biografo: «Il mio metodo si vuole che io esponga. Mah, … Non lo so neppure io. Sono sempre andato avanti come il Signore mi ispirava e le circostanze esigevano» (MB VI 381, XVII 126).
    Ai lettori cui ci rivolgiamo, educatori, animatori, insegnanti, volontari, amministratori, funzionari e quanti sono interessati al “bene essere” della gioventù, presumiamo interessi maggiormente un’esposizione ordinata delle linee pedagogiche essenziali del sistema preventivo di Don Bosco, o, meglio, come s’è detto, i suoi “punti fissi” o assodati.

    Precisazioni

    Per raggiungere l’obiettivo proposto ed evitare possibili equivoci, fonti di immancabili delusioni, è di capitale importanza prendere atto delle conclusioni cui ricerca documentaria e attenti studi sono ormai giunti.

    1. Anzitutto il termine “sistema preventivo” non si identifica con alcuna trattazione “sistematica” intesa nel senso originario del termine, vale a dire: «complesso organico, unità strutturale e funzionale di più elementi astratti; insieme ordinato di concetti» (S. Battaglia, Grande dizionario della lingua italiana). Don Bosco non è stato un teorico dell’educazione. I suoi pur numerosi testi di indole pedagogica hanno un tale carattere di asistematicità e frammentarietà, che ben difficilmente si potrebbero collocare in un “sistema” completo, organico, omogeneo e coerente. Il ben noto Trattatello nella sua brevità (1960 parole in tutto) manifesta lacune e suscita perplessità sul senso da attribuire agli stessi tre capisaldi del sistema: ragione, religione e amorevolezza. Vi si aggiunga che il sistema preventivo di Don Bosco coincide, in un certo senso, con tutta la vasta esperienza di educatore, con il suo stile di approccio ai giovani, con le sue opzioni istituzionali, per non dire con il suo orizzonte teologico-culturale e con la sua spiritualità. Dunque il termine «sistema» va inteso piuttosto nel senso, derivato e meno formale, che il suddetto dizionario enumera al decimo posto: «Uso, modo abituale, maniera, comportamento» o anche «regola di condotta, insieme di consuetudini derivate dall’applicazione di principi etici rigorosamente e costantemente applicati».
    Il sistema preventivo di Don Bosco si può definire quel complesso di elementi, atteggiamenti, interventi e anche formulazioni che storicamente si sintetizzano in esso; ovvero quel “vissuto” concreto, affettivo, dinamico, in continuo divenire, descritto in categorie concettuali ed esperienziali diverse; o ancora: quella pedagogia concreta, sperimentale accompagnata da adozione riflessa di principi, metodi, mezzi e istituzioni che ha ottenuto ottimi risultati. In questo senso è meno accettabile l’uso ormai abituale del termine “metodo preventivo” come sinonimo di “sistema preventivo”.
    E proprio la “sistemazione” donboschiana pratico-precettista più che unitario-sintetica, unita al fatto di averlo incarnato, dilatato e modificato nelle più svariate istituzioni e opere da parte sua e dei suoi giovani collaboratori, può diventare oggetto di studio e di applicazione. La qualità di un modello educativo infatti non è vincolato né all’organicità dei testi che lo raccolgono né all’intenzione o volontà dell’autore, bensì è in funzione della sua pertinenza interna, della fecondità della pratica, vale a dire all’attitudine probabile dei mezzi prescritti per ottenere fini stabiliti.

    2. Don Bosco visse in quello che fu definito il “secolo della pedagogia”. Basti pensare ai nomi di Herbart, Pestalozzi, Fröbel, Necker de Sussure, P. Girard, Ferrante Aporti, Lambruschini, Capponi, Rosmini, Rayneri, senza dimenticare la figura dominatrice di Rousseau. In Piemonte poi sorse un vasto movimento pedagogico, educativo e scolastico che stimolò un rinnovato fervore per la promozione dell’istruzione e dell’educazione popolare. Consapevolmente o meno, Don Bosco ne assimilò qualche motivo ispiratore, ne avvertì determinate esigenze, ne seguì alcuni indirizzi, ne imitò con creatività istituzioni caritative ed assistenziali. Nella sua letteratura pedagogica non mancano rimandi, per altro non sempre espliciti, a educatori e pedagogisti coevi francesi e italiani.
    Altrettanto si può dire per quanto concerne la tradizione cristiana, mediata non solo dalla cultura teologica appresa in seminario a Chieri e al convitto ecclesiastico di Torino, ma anche dall’accostamento personale a grande figure di moderni maestri della spiritualità e dell’educazione cattolica: S. Filippo Neri, S. Francesco di Sales, S. Carlo Borromeo, S. Giovanni Battista de la Salle ecc. Invero la formazione culturale ecclesiastica di Don Bosco aveva ignorato totalmente l’aspetto pedagogico, che pure doveva diventare dominante nella sua specifica attività di educatore di giovani. Nei suoi scritti si possono comunque facilmente rintracciare principi, linee di azione, percorsi metodologici propri della tradizione cattolica popolare.
    Ma anche se tributario di indirizzi, orientamenti, espressioni altrui, rimane un fatto che il sistema educativo di Don Bosco sia un’opera in buona parte inedita e abbia una sua originalità nella storia dell’educazione. Nuovo è lo stile peculiare con cui elementi e canoni, diffusi e comuni, sono vissuti e realizzati da lui in forme geniali. Nuovi, rispetto alla tradizione, sono gli accenti, le vibrazioni personali con cui è stato capace di far rivivere, con inconfondibile modalità proprie, verità e idee antiche.
    Il loro tono di novità e freschezza, che non sfuggì, come s’è detto, né agli ammiratori né ai denigratori, non avrebbero però garantito la “fortuna” se Don Bosco, assieme alle ideazioni e prospettive, non avesse approntato mezzi e strumenti per la loro realizzazione. Il «successo» come educatore di giovani favorì la sua missione di prete, fondatore, scrittore, “diplomatico”, propagatore del regno di Dio; il “successo” come “imprenditore del sacro” a sua volta sanzionò la validità e la diffusione del suo sistema educativo.

    3. Il sistema preventivo di Don Bosco che verremo presentando nelle sue linee essenziali non è, come giustamente è stato sottolineato, l’unico modello capace di esaurire tutte le possibilità educative e neppure, così come s’è venuto storicamente realizzando, esaurisce tutte le possibilità di un sistema preventivo. Esperienze valide di prevenzione si sono avute nella storia dell’educazione, in ambito civile ed in ambito ecclesiale; oggi poi sono in atto o comunque in cantiere centinaia di progetti educativi ispirati alla prevenzione, espressione per altro non del tutto chiara, se già nel 1979 un esperto del settore censiva ben 1400 diverse definizioni.
    Ciò non toglie però che all’interno della pedagogia preventiva il sistema di Don Bosco occupi un posto significativo e che, grazie alla ricchezza delle sue potenzialità, possa offrire fecondi motivi di riflessione a quanti sono alla ricerca, talvolta angosciata, di pedagogie rispondenti alle esigenze e ai problemi della gioventù alle soglie del nuovo millennio. La posta in gioco è molto alta, se è vero che l’età evolutiva «è un’esperienza intensa, unicamente personale, la cui influenza rimane viva per tutta la vita, a prescindere dalla forma che essa può assumere in diversi periodi storici, culture, e dibattiti accademici» (John Neubauer), così come è vero che, oggi, il fattore rischio in tale età non è prerogativa delle fasce economicamente più deboli e culturalmente meno sviluppate, ma tocca, trasversalmente, per così dire, tutti gli strati sociali.


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