Attesi dal suo amore
    Proposta pastorale 2024-25 

    MGS 24 triennio

    Materiali di approfondimento


    Letti 
    & apprezzati


    Il numero di NPG
    luglio-agosto 2024
    600 cop 2024 2


    Il numero di NPG
    speciale sussidio 2024
    600 cop 2024 2


    Newsletter
    luglio-agosto 2024
    LUGLIO AGOSTO 2024


    Newsletter
    SPECIALE 2024
    SPECIALE SUSSIDIO 2024


    P. Pino Puglisi
    e NPG
    PPP e NPG


    Pensieri, parole
    ed emozioni


    Post it

    • On line il numero di LUGLIO-AGOSTO di NPG sul tema degli IRC, e quello SPECIALE con gli approfondimenti della proposta pastorale.  E qui le corrispondenti NEWSLETTER: luglio-agostospeciale.
    • Attivate nel sito (colonna di destra "Terza paginA") varie nuove rubriche per il 2024.
    • Linkati tutti i DOSSIER del 2020 col corrispettivo PDF.
    • Messa on line l'ANNATA 2020: 118 articoli usufruibili per la lettura, lo studio, la pratica, la diffusione (citando gentilmente la fonte).
    • Due nuove rubriche on line: RECENSIONI E SEGNALAZIONI. I libri recenti più interessanti e utili per l'operatore pastorale, e PENSIERI, PAROLE

    Le ANNATE di NPG 
    1967-2024 


    I DOSSIER di NPG 
    (dall'ultimo ai primi) 


    Le RUBRICHE NPG 
    (in ordine alfabetico
    e cronologico)
     


    Gli AUTORI di NPG
    ieri e oggi


    Gli EDITORIALI NPG 
    1967-2024 


    VOCI TEMATICHE 
    di NPG
    (in ordine alfabetico) 


    I LIBRI di NPG 
    Giovani e ragazzi,
    educazione, pastorale

     


    I SEMPREVERDI
    I migliori DOSSIER NPG
    fino al 2000 


    Animazione,
    animatori, sussidi


    Un giorno di maggio 
    La canzone del sito
    Margherita Pirri 


    WEB TV


    NPG Facebook

    x 2024 400


    NPG X

    x 2024 400



    Note di pastorale giovanile
    via Giacomo Costamagna 6
    00181 Roma

    Telefono
    06 4940442

    Email


     Educare ad essere

    «onesti cittadini»

    La proposta salesiana
    da don Bosco a don Chávez

    Guglielmo Malizia [1]


    La meta del progetto educativo salesiano si sintetizza nella nota formula “onesti cittadini e buoni cristiani”. L’autore cercherà di chiarire il significato della formula per don Bosco, tentando di presentarne l’evoluzione all’interno della Congregazione salesiana, soprattutto a partire dagli anni ‘70 del secolo scorso, focalizzandosi infine sulla sua riattualizzazione, soprattutto ad opera del Rettor Maggiore.


    L
    a scuola e la Formazione Professionale dei Salesiani, uno dei crocevia sensibili delle problematiche dei ragazzi e dei giovani del nostro tempo, sono chiamate a misurarsi con le sfide educative della cultura contemporanea attraverso il proprio progetto educativo che si ispira a quel patrimonio pedagogico solitamente chiamato “Sistema Preventivo di don Bosco”[2]. È nella fedeltà a questo Sistema e nella sua continua attualizzazione, infatti, che i Salesiani trovano la loro identità.

    Sulla meta fondamentale del progetto, sintetizzata nella nota formula “onesti cittadini e buoni cristiani” con la quale don Bosco voleva “formare costruttori della città e uomini credenti”, in una pubblicazione recente il Rettor Maggiore dei Salesiani, Don Pascual Chávez Villanueva, distingue nettamente il contesto storico nel quale essa ha avuto origine, dalla situazione attuale[3]. Il Sistema Preventivo di don Bosco si fondava, allora, su una visione di uomo, di cittadino e di cristiano tradizionale, semplice, propria di un’epoca storica che non è più la nostra e che oggi rivela tutti i suoi limiti.
    “Bisogna dunque prendere atto che la ben nota formula di ‘onesti cittadini e buoni cristiani’ è oggi da rifondare sul piano antropologico e su quello teologico, è da reinterpretare storicamente e politicamente. Una rinnovata antropologia dovrà individuare, tra i valori della tradizione, quali siano da sottolineare nella società post-moderna e quelli invece nuovi da proporre; una rinnovata riflessione teologica preciserà i rapporti tra fede e politica, educazione e impegno sociale, politica e società civile”[4].
    Con il presente capitolo, come con tutto il rapporto, vorremmo anche noi dare un contributo nella direzione indicata, anche se modesto, ma certamente impegnato. A tale fine il prosieguo verrà articolato in tre sezioni: la prima cercherà di chiarire il significato della formula per Don Bosco, la seconda tenterà di presentarne l’evoluzione all’interno della Congregazione, soprattutto a partire dagli anni ‘70 del secolo scorso, mentre l’ultima è focalizzata sulla riattualizzazione della formula soprattutto ad opera del Rettor Maggiore. A nostro parere (ma è solo un’ipotesi), i due termini del binomio si presentano come un tutt’uno inscindibile in Don Bosco e così sono trattati nella prima parte del capitolo; gradualmente l’educazione ad essere onesti cittadini acquisisce una sua autonomia nella riflessione e nella prassi della Congregazione, pur rimanendo la strettissima connessione con l’educazione del buon cristiano, come cercheremo di mostrare nella seconda sezione; la terza, che riguarda l’attualità, mostrerà il conseguimento di un’autonomia piena, anche se sempre nell’unità di base della formula.

    1. L’educazione del “buon cristiano e onesto cittadino” in don Bosco

    Nel suo sistema educativo don Bosco ha evitato due estremi: da una parte egli non intende formare l’uomo nuovo, come altri moderni educatori e pedagogisti, e dall’altra non vuole neppure restaurare il modello dell’uomo antico secondo la concezione cristiana e civile dell’“Ancien Régime”[5]. La sua azione va immaginata in una maniera molto più articolata: essa infatti si pone come una sintesi tra fini vecchi e nuovi in quanto è riuscito a educare i giovani alla fedeltà alla visione cristiana della vita sempre antica e sempre nuova e all’inserimento in una società che era in continuo progresso rispetto al sistema sociale tradizionale. Tale proposta non costituisce il frutto di una teoria generale dell’educazione elaborata sistematicamente, ma nasce all’interno di una esperienza che non si riduce a sola prassi, ma che si colloca entro una visione umanistico-cristiana che, se in Don Bosco non è riflessa, tuttavia appare in lui presente intellettualmente e operativamente.
    La sintesi di cui sopra si trova enunciata in maniera lapidaria in varie formule di cui la più comunemente utilizzata è il binomio “buon cristiano e onesto cittadino”. Tra le altre formule si possono ricordare, anche se con un senso più ampio, ma con una prospettiva simile, per esempio: “civiltà e religione”, “civilizzazione ed evangelizzazione”, promozione del “bene dell’umanità e della religione”, “dilatare il regno di Gesù Cristo portando la religione e la civiltà tra quei popoli e nazioni che l’una e l’altra tuttora ignorano”[6]. A sua volta, lo stesso binomio base si ritrova in diverse varianti: “buoni cittadini e veri cristiani”, “buoni cristiani e savi cittadini”, “buoni cristiani e uomini probi”. Tali espressioni evidenziano la condivisione da parte di don Bosco di una concezione moderata del sistema sociale, pienamente comprensibile in un periodo in cui i cattolici erano tesi a ricomporre il tessuto morale e civile del Paese, profondamente scosso dagli effetti della rivoluzione francese.
    Anche in questo caso si nota in lui lo stesso sforzo di sintesi, richiamato sopra, volto ad assicurare la coesistenza di valori diversi: infatti, se da una parte non è certamente assente un qualche rimpianto per i buoni tempi antichi ed emerge con evidenza il desiderio del ripristino di una società concepita come integralmente cristiana, dall’altra egli appare anche convinto che non solo è impossibile impedire l’avvento del nuovo mondo, ma che non si deve farlo perché priverebbe lo sviluppo dell’umanità di un contributo certamente prezioso. Pertanto, il modello di uomo e di cristiano da educare rappresenta un punto di sintesi armonica tra il credente della tradizione cristiana e il cittadino della nuova concezione e il progetto operativo da attivare per la sua formazione può essere ancora basato sulla triade classica, pietà e moralità, scienze e civiltà, che però va ripensata e adattata ai nuovi tempi. Quindi, l’adozione convinta dei valori terreni e la riaffermazione dell’importanza delle tre realtà appena richiamata devono aver luogo in modo subordinato e funzionale alla pietà e alla moralità e nel quadro dell’azione risanante e divinizzante della grazia secondo lo stile proprio della sua vita che lo ha visto credente e sacerdote, ma anche ossequente e attivo cittadino, estraneo però alle fazioni politiche e in questo senso politicamente neutrale, cioè solo partiticamente tale.
    Questo modello di uomo tradizionale rinnovato si definisce in base ad un complesso organico di dimensioni sulle quali è opportuno soffermarsi per elencarle e approfondirle adeguatamente, pur nella necessaria brevità della nostra trattazione. Il profilo globale si colloca pur sempre nella linea della sintesi e della coesistenza; lo sfondo è certamente di carattere tradizionale, ma su di esso si evidenziano aspetti significativi di novità. Il fulcro dell’impostazione pedagogica è offerto dalla fede e dal trascendente nella declinazione cristiana; al tempo stesso si nota un apprezzamento sincero, non funzionale e neppure strumentale dei valori secolari. L’originalità di don Bosco, come ha detto un suo estimatore, va cercata nella centralità che lui ha attribuito nella sua azione educativa alla formazione a una vita cristiana, operosa e lieta[7]. In altre parole ci troviamo di fronte a un umanesimo tendenzialmente plenario che, sebbene sul piano teorico manchi di una base e di una riflessione organica e approfondita, tuttavia lo si scopre chiaramente a livello della vita.
    Il senso della vita poggia sulla fede cristiana che a sua volta fa da base alla morale e al sistema sociale. La questione principale che l’uomo tradizionale rinnovato deve affrontare è quella della salvezza dell’anima che rappresenta il traguardo più alto da raggiungere e per il quale egli si impegna totalmente in cooperazione con la grazia. Per conseguire tale metà l’educazione deve attivare tutte le potenzialità del giovane, dalle capacità intellettuali, a quelle emotive fino alla libera volontà. Il traguardo non è solo quello già stupendo di realizzare al pieno la propria umanità naturale, ma di portarsi al livello soprannaturale, di maturare a immagine e somiglianza di Dio. In questo quadro si comprendono le ragioni che spingono don Bosco a presentare l’impegno per conseguire la salvezza come la professione più elevata del cristiano in cui le altre trovano un significato pieno e raggiungono la loro perfezione.
    L’azione educativa deve rispondere alle esigenze di una graduale pedagogia della salvezza che don Bosco delinea in relazione ai bisogni diversificati delle varie categorie di giovani. Riguardo a quelli completamente sbandati si tratta di aiutarli a recuperare il senso dell’esistenza, la voglia e la gioia di vivere mediante la formazione a un lavoro dignitoso che permetta loro di provvedere a se stessi e ai propri familiari; ciò può anche esigere una previa purificazione della intelligenza e degli affetti inquinati dall’ignoranza e dalle cattive abitudini. C’è anche bisogno di creare delle comunità capaci di far riacquistare i valori familiari che possono essere mancati nella prima età della vita. L’educazione compie un salto di qualità quando l’affettività vissuta o recuperata riesce a unirsi in maniera feconda con la ragione e la religione. Al livello più elevato si colloca la santità che è alla portata di tutti perché è assai facile raggiungerla. Nel percorso della salvezza un ruolo importante è svolto dalla Madre del Redentore alla cui intercessione va affidato l’impegno umano per conseguirla.
    Il cristiano maturo è colui che “conosce, ama e serve Dio, Creatore e Signore del Cielo e della terra”[8]. Alla base del suo modo di vivere si trova il timore di Dio che, anche come timore servile o timore della pena, presenta una valenza positiva nel senso che spinge alla conversione del peccato, che assume un significato più elevato quando assurge a timore iniziale che è già rifiuto della colpa, ma che raggiunge la pienezza allorché si integra con l’amore filiale e riesce a fare sintesi tra la visione di Dio Giudice e quella di un Padre misericordioso. E il “farsi amare più che farsi temere”, che assume un’importanza essenziale nella pedagogia di don Bosco, va visto in corrispondenza al “farsi amare più che farsi temere” che deve qualificare i rapporti del credente maturo e riuscito con il Padre che è nei Cieli.
    Un altro tratto fondamentale della fisionomia del buon cristiano e dell’onesto cittadino è costituito dalla fede nella Chiesa cattolica, apostolica e romana con tutti i suoi corollari. Anzitutto solo lei può essere considerata la vera Chiesa voluta dal suo Fondatore, Gesù Cristo. Altrettanto ferma deve essere la fede che va nutrita nei confronti dell’infallibilità del successore di Pietro, il Papa; alla sua persona e al suo magistero deve essere prestata una fedeltà filiale, come altrettanto forte sarà la volontà di vivere in comunione con i vescovi che tra l’altro ci uniscono al Pontefice e attraverso lui a Dio. Il cristiano riuscito viene descritto come colui che, formato nella dottrina cattolica, testimonia senza paura la propria fede in ogni circostanza, si tiene lontano dalle eresie, né condivide alcuna forma di radicalismo politico e che sostiene con convinzione le posizioni del Papa e dei Pastori della Chiesa.
    Quanto detto finora non deve far pensare che il cristiano sia solo un “uomo di eternità”. Egli è contemporaneamente “onesto cittadino” e, in quanto tale, è chiamato a operare nel mondo in maniera ordinata e attiva attraverso il lavoro. Quanti poi si possono permettere di vivere di rendita, dovranno rispondere a Dio del buon uso delle ricchezze di cui dispongono; riguardo a questo aspetto va sottolineata l’insistenza di don Bosco sull’elemosina che egli concepisce come esercizio della giustizia sociale. Ad ambedue le categorie si richiede di eseguire fedelmente gli obblighi della propria condizione con tutta onestà ed esemplarità. Attraverso il lavoro e l’uso corretto delle risorse l’onesto cittadino non solo si realizza come persona, ma contribuisce al bene comune, dando un apporto sostanziale all’utilità sociale.
    Secondo P. Braido, il ventaglio ampio di mete che don Bosco pone all’azione educativa non comprenderebbe una visione matura della persona socialmente e politicamente impegnata[9]: più precisamente, ciò che manca è una riflessione autonoma e approfondita su tale traguardo come finalità specifica perché la relativa elaborazione rimane all’interno degli obiettivi morali e religiosi. Una spiegazione di questa posizione può essere probabilmente ricercata nella natura del tutto elitaria dell’impegno politico nell’Italia del tempo e anche nella opzione politica “educazionista” del Santo piemontese. In altre parole, nella sua visione la persona, impegnata in politica, viene a coincidere con il cristiano che svolge il suo lavoro con onestà e competenza.
    In questo quadro, è chiaro che la vita è fondamentalmente vocazione. Per ognuno Dio ha previsto una chiamata specifica, una collocazione precisa nel mondo e seguendola si può contare sulle benedizioni e sulle grazie del Signore. Nella pedagogia del Santo piemontese la scelta vocazionale rappresenta un passaggio fondamentale nel percorso esistenziale del giovane, soprattutto l’opzione tra stato secolare e stato ecclesiastico. Rimane comunque fondamentale per tutti che la vocazione di base comune è l’azione caritativa ed apostolica. “Infine, il giovane plasmato dal sistema preventivo, è abilitato anche per il futuro all’esercizio delle tradizionali virtù della carità, della temperanza, dell’obbedienza, dell’onestà, della modestia, a trovare motivo di gioia quaggiù e di ferma speranza nell’eternità beata”[10].

    2. Sviluppo graduale all’educazione della persona socialmente e politicamente impegnata

    Si è già detto che in don Bosco le due polarità della formula in esame costituiscono un ‘unità indivisibile e che nel suo sistema manca una concezione matura della formazione dell’uomo socialmente e politicamente impegnato a livello di fini. Ci sembra che nella storia successiva della Congregazione si possano rintracciare segnali dell’emergere graduale, anche se molto lentamente di una considerazione autonoma dell’educazione dell’onesto cittadino e della sua dimensione socio-politica. Ci soffermeremo in particolare su due momenti, il primo a cavallo dei due secoli passati, e riguarda la risposta salesiana all’enciclica “Rerum Novarum”, e il secondo l’incidenza dell’impegno per la giustizia sociale contro la povertà e il sottosviluppo sulla riflessione e la prassi dei Salesiani a partire dal Capitolo Generale Speciale del 1971-72.

    2.1. Le reazioni alla pubblicazione della enciclica “Rerum Novarum”

    Ci si riferisce al periodo relativo agli anni 1891-1910: la prima data è scontata, è quella cioè della divulgazione del documento di papa Leone XIII, mentre la seconda fa riferimento alla morte di don Rua, il rettor maggiore che è succeduto a don Bosco[11]. Anzitutto, va osservato in proposito che, se è vero che nei documenti autorevoli della Congregazione Salesiana i riferimenti all’enciclica sono più numerosi sul piano quantitativo e rilevanti su quello qualitativo rispetto alle mancate menzioni, tuttavia si deve ammettere che le seconde risultano consistenti. Tale constatazione non deve far pensare che queste dipendano dall’esistenza di posizioni fortemente critiche nei riguardi del contenuto del documento; al tempo stesso, non si può negare che esse rappresentano un segno, non limitato certamente ai salesiani, di una certa incapacità di settori consistenti del mondo cattolico di comprendere il mutamento di ottica introdotto dal documento con l’affermazione decisa in esso contenuta della giustizia sociale come dimensione essenziale di ogni azione che voglia fronteggiare con successo il nodo problematico della questione sociale. Comunque, sull’atteggiamento della Congregazione ha certamente influito la scelta politica “educazionista” di don Bosco, a cui si è accennato sopra, e anche la convinzione che le attività da lui avviate in campo formativo a favore in particolare della gioventù povera e abbandonata potessero soddisfare in misura più che adeguata le esigenze e le proposte contenute nella “Rerum Novarum”.
    Per interpretare meglio la risposta salesiana alla enciclica conviene richiamare subito le Deliberazioni del 6° Capitolo generale della Società Salesiana[12]. Esse fanno riferimento soltanto ad alcune delle sue opere a servizio dei giovani, gli ospizi per artigiani e gli oratori festivi. La preoccupazione fondamentale è quella di proteggere gli allievi dagli errori presenti in alcune concezioni sociali del tempo. Le strategie principali per aiutarli consistono: nell’organizzazione di conferenze su temi come il capitale, il lavoro, la merce, il riposo festivo, gli scioperi, il risparmio e la proprietà privata; nella previsione a favore dei nostri giovani di premi rappresentati da libretti delle Casse di Risparmio; nel loro accompagnamento ad inserirsi in società operaie e cattoliche nei luoghi dove sono operanti; nel sostegno attivo rivolto a queste associazioni cattoliche.
    Le risposte appena ricordate contengono molti aspetti positivi, di per sé evidenti, nel senso che si nota un impegno importante dei Salesiani non solo a educare i propri allievi sul piano sociale, ma anche ad aiutarli efficacemente nella transizione al mondo del lavoro e alla vita associata in modo che potessero conservare e sviluppare una visione adeguata della società. Il bilancio delle proposte non può non evidenziare anche carenze e limiti. Le deliberazioni non sembra che vadano applicate anche agli studenti dei collegi e delle scuole umanistiche e francamente non si capiscono le ragioni di questa esclusione. Inoltre, la prospettiva rimane fondamentalmente di natura difensiva, ristretta al sociale, mentre le proposte restano ancora lontane dall’idea di educare in positivo una persona socialmente e politicamente impegnata, assunta come una finalità specifica del progetto da realizzare.
    Un altro aspetto delle reazioni della Congregazione va ricercato nel loro carattere molto diversificato. Di per sé tale tratto contiene anche elementi positivi: infatti, non mancano Paesi e pubblicazioni in cui i Salesiani hanno manifestato un apprezzamento entusiastico nei confronti dell’enciclica di papa Leone XIII e tutto questo è avvenuto con grande tempismo; in altri casi però non sono mancati silenzi veramente sconcertanti.
    Inoltre, se si prescinde dalle Deliberazioni del 6° Capitolo Generale, le reazioni non hanno coinvolto tutta la Congregazione, non presentano una carattere collettivo, ma piuttosto sono venute da singoli confratelli o da gruppi al suo interno. In questo senso, sembra che siano mancate forme di coordinamento e di organizzazione a livello centrale delle varie iniziative, avviate sul tema, benché queste presentassero anche caratteristiche pregevoli. Infatti, la Società Salesiana era in quel momento impegnata soprattutto a consolidare le opere create da don Bosco in modo da garantire la fedeltà al fondatore.
    Si deve anche riconoscere che l’apporto sul piano riflesso all’analisi e all’interpretazione dell’enciclica non si presenta in generale molto significativo. I contributi si sono limitati agli aspetti applicativi e pratici oppure a quelli elogiativi e celebrativi. Poche volte ci si è soffermati sulle idee veramente centrali o sugli elementi di novità o si è avuto il coraggio di affrontare i nodi problematici che la “Rerum Novarum” aveva identificato con precisione, andando alla radice delle questioni sociali.
    Diverso è il discorso se si fa riferimento alla prospettiva più propriamente divulgativa. In questo ambito si possono certamente annoverare iniziative pregevoli di vario tipo che non solo permisero di raggiungere un vasto pubblico, ma hanno anche avuto una incidenza non marginale sul piano politico e legislativo.
    Di particolare valore sono stati i Congressi internazionali che i cooperatori salesiani hanno organizzato per trattare la questione sociale. Anche se la dimensione “beneficenza” in favore delle opera di don Bosco rimane prevalente, tuttavia un’attenzione speciale viene pure dedicata alla lotta alle ingiustizie e all’impegno per una maggiore equità a favore del mondo operaio. E a questo proposito, si registra in positivo tra i Salesiani una presa di coscienza sempre più approfondita che la risposta più adeguata che la Congregazione può dare alla questione sociale vada ricercata nella trasformazione dei laboratori in vere e proprio scuole professionali, cioè nel loro passaggio da puro addestramento a un mestiere a una reale educazione della persona al lavoro.

    2.2. L’evoluzione nella seconda metà del secolo scorso

    Il profondo rinnovamento che il Vaticano II ha portato nella Chiesa e nella Congregazione Salesiana non poteva non coinvolgere anche l’educazione all’impegno cristiano nella società[13]. I primi effetti sono già visibili nel Capitolo Generale XIX (CG19), che pure si è tenuto nel 1965 prima della fine del Concilio tra la terza e la quarta sessione, e si può dire che tutto il decennio successivo sia stato caratterizzato dall’impegno ad adeguare il progetto salesiano agli orientamenti del Vaticano II. Quanto al CG19, va evidenziato che in riferimento al rinnovamento della preparazione dei Salesiani i relativi testi sottolineano soprattutto due esigenze: la necessità della integrazione tra la formazione religiosa e apostolica da una parte e dall’altra quella sociale, tenuto conto delle dinamiche di profondo cambiamento della società in atto nel mondo; il conseguente bisogno di innovazione dell’apostolato educativo alla luce di contesti in rapido mutamento e dei documenti ecclesiali[14]. Scendendo più nei particolare, la meta ultima viene identificata nell’impegno rivolto a formare i giovani a una fede autentica, a una vera libertà e a una collocazione dignitosa nella società civile e nella Chiesa. La strategia per conseguire tale fine generale prende le mosse dalla sensibilità e dall’apertura sociale degli allievi e punta a svilupparne le capacità e le competenze e contemporaneamente a inserirvi ragioni di fede, facendo ricorso a tutti i mezzi di informazione e ai contatti con le realtà del mondo e quelle ecclesiali.
    Sulla base delle sollecitazioni del Concilio e del magistero post-conciliare, i documenti della Congregazione recepiscono sempre più adeguatamente le istanze, tra di loro inestricabilmente intrecciate, di sviluppare nei Salesiani una maggiore coscienza del servizio da svolgere per realizzare la giustizia nel mondo, all’interno della loro identità di religiosi e di educatori, e di aiutarli a ripensare l’azione formativa in modo da renderla capace di promuovere nei giovani e negli adulti una fede integrata e impegnata soprattutto nell’ambito del sociale. In questo campo il testo più importante di riferimento è rappresentato dagli atti del Capitolo Generale Speciale XX (CGS)[15]. I testi del CGS definiscono l’azione educativa dei Salesiani con due formule che tra loro si completano inscindibilmente: una è la “promozione integrale” che può essere personale e comunitaria, umana e cristiana; l’altra è identificata nella “educazione liberatrice” che mira a formare personalità affrancate dai molti condizionamenti negativi che tengono in schiavitù l’umanità dal punto vista socio-culturale ed economico e anche morale, spirituale e religioso, per renderli capaci a loro volta di liberare i propri fratelli e le proprie sorelle. Per realizzare questo servizio alle nuove generazioni è necessario attivare un processo di educazione alla fede che prende le mosse dalla situazione in cui si trovano i nostri destinatari e che si realizza in tre direzioni fondamentali: facilitare l’incontro con Cristo vivente e aiutare ad accoglierlo con una fede forte, sempre più consapevole del progetto di salvezza di Dio riguardo all’umanità; promuovere nei nostri destinatari lo sviluppo di personalità autenticamente cristiana, da una parte orientandoli a trovare la loro vocazione e sostenendoli nella attuazione di una vita gradualmente unificata dal messaggio evangelico, mentre dall’altra li si forma a fornire un apporto attivo allo sviluppo della Chiesa e al rinnovamento cristiano della società; introdurre efficacemente alla vita liturgico-sacramentale. Quanto più specificamente alla preparazione all’impegno per la giustizia nel mondo, essa deve essere anzitutto rivolta a tutti i giovani e fornire loro “una educazione aperta e completa: comprensione dell’attualità sociale, conoscenza della dottrina della Chiesa, formazione alla responsabilità civica, sociale, politica, iniziazione ad un impegno di servizio completo”[16]. L’insegnamento però non basta, ma deve essere accompagnato da una testimonianza coerente di vita per la giustizia nel mondo perché si educa soprattutto per quello che si è. In terzo luogo, la formazione a operare per la realizzazione dell’eguaglianza nella società deve realizzarsi in un orizzonte evangelico, ecclesiale e salesiano, nel senso che non nasce dall’odio di classe né fa ricorso a mezzi violenti, ma si presenta come una manifestazione dell’amore cristiano, non si ferma alla pura informazione, ma pone alla sua base la conversione del cuore verso la giustizia e l’amore di Dio e del prossimo, e si dimostra intransigente nei confronti di qualsiasi istituzione che in qualche modo sia compromessa con il mantenimento di situazioni di ingiustizia nel mondo.
    Dalla metà degli anni ‘70 si impone una nuova esigenza nel mondo salesiano: essa riguarda i valori della tradizione della Congregazione rappresentati in particolare dal sistema preventivo che erano rimasti in secondo piano nella decade dopo il Concilio e che ora si vuole riportati al centro dell’attenzione, anche riletti e reinterpretati alla luce in particolare dei documenti magisteriali più recenti come la Evangelii nuntiandi di Paolo VI (1975) e la Catechesi Tradendae di Giovanni Paolo II (1979)[17]. La formula “ragione, religione, amorevolezza” che compendia per don Bosco il suo sistema, viene intesa come l’ispirazione fondamentale di un progetto educativo di promozione integrale dell’uomo che intende fornire una risposta piena alla domanda di evangelizzazione del mondo giovanile. Le dimensioni principali sono costituite dalla maturazione personale, sociale e collettiva e dall’educazione alla fede tutta incentrata sulla catechesi, nella introduzione alla vita ecclesiale e liturgica e all’orientamento vocazionale. In particolare la promozione sociale consiste nell’educare i giovani: “alla disponibilità, alla solidarietà, al dialogo, alla partecipazione, alla corresponsabilità; all’inserimento nella comunità attraverso la vita e l’esperienza del gruppo; all’impegno per la giustizia e per la costruzione di una società più giusta e più umana”[18]. Tale processo si compie nel quadro di una ispirazione pienamente evangelica, in quanto attuazione dell’amore di Cristo. Le strategie operative sono di tre tipi: bisognerà promuovere un ambiente educativo caratterizzato dalla collaborazione tra educatori e giovani, da spirito e atmosfera di famiglia, fiducia, amicizia e dialogo; sarà necessario sviluppare con gli allievi un rapporto personale che consenta di avviare il processo educativo a partire dalla situazione di ciascuno e di riconoscerne e valorizzarne l’identità e le caratteristiche singolari; la relazione educativa a sua volta dovrà fondarsi sulla convinzione che gli educandi ne sono soggetti attivi e che vanno gradualmente resi responsabili della loro maturazione, sostenuti dagli educatori che svolgeranno un ruolo di accompagnamento e di guida. L’assistenza salesiana è il nome in cui si può riassumere un tale processo educativo e che si basa su atteggiamenti di simpatia, di attesa accogliente, di voglia di contatti dell’educatore e sulla sua presenza fisica, attiva, fraterna, cooperativa e testimoniale.
    Con il Capitolo Generale 23 l’educazione alla fede e all’impegno sociale viene collocato in un’altra ottica, quella della “nuova evangelizzazione”[19]. Pertanto, l’intento principale è di rielaborare in maniera più adeguata la traiettoria da seguire in modo da realizzare al meglio il servizio dei giovani nei contesti concreti in cui la Congregazione opera e in relazione ai nodi problematici che riguardano i destinatari dei suoi interventi. In particolare sono identificati quattro fasi tra loro articolate: la prima è dedicata alla descrizione - mediante il ricorso ai dati storico-sociologici, interpretati alla luce della fede e delle situazioni specifiche in cui vivono le opere salesiane; nella seconda si procede ad esaminare le condizione dei giovani per cercare di comprendere come essi si muovono entro i diversi contesti; il passo successivo consiste nell’identificazione dei nodi e degli interrogativi che le comunità devono affrontare; l’ultima fase mira a elaborare un ampio ventaglio di orientamenti che possano servire ai salesiani per definire proposte efficaci nei loro rispettivi contesti.
    Il cammino di fede che ne risulta, pur essendo sostanzialmente in linea con le indicazioni dei precedenti capitoli, si distingue per una insieme di precisazioni di natura metodologica che tengono conto della varietà delle situazioni analizzate e delle interpellanze percepite ed accolte e che mirano a realizzare una integrazione armonica tra l’educazione alla fede e all’impegno caritativo e sociale[20]. Il punto di partenza è sempre lo stesso: si tratta di andare incontro ai giovani dove vivono, cercando di ottimizzare ciò di cui dispongono e di offrire loro un ambiente educativo con caratteristiche “oratoriane”. La proposta educativa rimane sostanzialmente quella di don Bosco degli “onesti cittadini e dei buoni cristiani”, ma è riformulata in relazione alle sfide del momento per cui la meta finale è quella di formare l’uomo orientato a Cristo che sa integrare fede e vita. Il processo di crescita verso tale traguardo rinvia ad un’azione educativa che è distribuita in quattro ambiti tra loro strettamente connessi e che corrispondono ad altrettanti nodi problematici: “- la crescita umana verso una vita da assumere come «esperienza religiosa»; - l’incontro con Gesù Cristo, uomo perfetto, che porterà a scoprire in Lui il senso dell’esistenza umana individuale e sociale: il Salvatore dell’uomo; - l’inserimento progressivo nella comunità dei credenti colta come segno e strumento della salvezza dell’umanità: - l’impegno e la vocazione nella linea della trasformazione del mondo”[21].
    Uno degli aspetti centrali di tale processo di maturazione, e che a noi qui particolarmente interessa, è l’educazione alla dimensione sociale della carità rispetto alla quale è necessario ed urgente definire atteggiamenti e prospettare attività che preparino efficacemente i giovani a impegnarsi per la realizzazione della giustizia nel mondo. Scendendo più nei particolari, bisognerà: “educare al valore della persona, avviare a conoscere la complessità della realtà sociopolitica, introdurre i giovani in situazioni che richiedono solidarietà, rispondere con progetti concreti di solidarietà, una solidarietà che sia fondata sul Vangelo e illuminata dalla fede”[22].
    La missione di educare alla fede in una situazione di nuova evangelizzazione deve sollecitare le comunità salesiane a riflettere sulla loro identità e sul progetto operativo di ciascuna per impegnarsi ad adeguarli alle nuove condizioni in cui sono chiamate ad intervenire. Un compito particolarmente urgente che le aspetta è quello di tradurre il percorso delineato sopra in itinerari adeguati alle situazioni specifiche in cui si trovano i giovani che sono loro destinatari[23].
    In questa linea il Capitolo Generale 24 del 1996 ha mirato a promuovere la comunione e la condivisione tra salesiani e laici nello spirito e nella missione di don Bosco, ponendo la comunità locale come centro strategico di educazione alla fede dei giovani e di partecipazione e formazione dei laici; a sua volta il successivo ha inteso focalizzare i lavori dell’assemblea capitolare sulla comunità salesiana oggi con le sue dimensioni essenziali, i suoi processi e la sua azione[24].
    In conclusione si può dire che l’accoglimento degli orientamenti del Concilio e del Post-Concilio ha sollecitato la Congregazione ad approfondire e a rinnovare il proprio servizio ai giovani inteso come sviluppo globale della loro personalità che integra fede e vita e l’educazione alla fede con la preparazione all’impegno per la giustizia sociale. Il cammino percorso ha visto una maturazione graduale da un invito generale a conoscere e a diffondere la dottrina sociale della Chiesa nel periodo immediatamente successivo al Concilio, all’approfondimento delle questioni riguardanti la giustizia, la liberazione e la relativa educazione agli inizi degli anni ‘70, alla focalizzazione sulle manifestazioni molteplici della povertà e sulle forme possibili della solidarietà a cui formare i giovani, a cavallo dell’avvio della decade ‘90. Corrispondentemente è stato messo a punto sempre meglio il servizio educativo salesiano: dall’educazione all’impegno cristiano, alla formazione a una fede integrata e impegnata nel sociale, alla ridefinizione di un progetto di educazione integrale che rivede e approfondisce i valori sociali del sistema preventivo, al ripensamento delle strategie e delle metodologie in funzione di contesti differenti. Rimane invece piuttosto carente la connessione tra nodi problematici, interpellanze, proposte e itinerari in relazione alle varie situazioni concrete in cui operano le comunità salesiane.

    3. Il sistema preventivo e l’opzione per i diritti umani: il magistero dell’attuale Rettor Maggiore

    Prendiamo di nuovo le mosse dall’affermazione del Rettore Maggiore, riportata all’inizio di questo capitolo, secondo la quale il binomio di don Bosco più volte citato “educare i giovani a divenire onesti cittadini e buoni cristiani”, se lo si vuole applicare nell’attuale contesto con successo, deve essere ricompreso sul piano storico e politico e rifondato a livello antropologico e teologico. È quello che cercheremo di fare, richiamando in sintesi il suo pensiero sull’argomento e utilizzando i relativi commenti di autorevoli studiosi salesiani. Le tematiche delle prime due sezioni e della quarta che seguono sono riprese dalla lezione magistrale da lui tenuta a Genova in occasione della laurea honoris causa di quella università[25], mentre la terza parte è una sintesi del discorso da lui pronunciato al “Congresso Internazionale Sistema Preventivo e Diritti Umani”[26].

    3.1. Il progetto educativo

    Nel primo dei discorsi citati, il Rettor Maggiore riflette, anzitutto, sulla duplice dimensione dell’educazione preventiva e, in secondo luogo, sul senso da attribuire oggi all’espressione “onesti cittadini e buoni cristiani”[27].
    L’azione preventiva, pur con sfumature diverse, si è mossa di norma, nella storia salesiana, su due istanze; quella di soddisfare, in primo luogo, i bisogni primari dei giovani (vitto, vestito, alloggio, sicurezza, lavoro, sviluppo fisico e psichico, inserimento sociale, un minimo di valori, ecc.); successivamente, anche se i due momenti non sono cronologicamente separabili, quello di dare vita ad una azione educativa più organica, la formazione sociale, morale e religiosa della persona. Questa duplice valenza, applicata anche alla scuola e alla formazione professionale salesiana, a giudizio del Rettor Maggiore, è ritenuta attuale pure oggi, dal momento che è “in atto un deciso recupero delle valenze assistenziali e sociali del progetto educativo salesiano, come anche di quelle valoriali proprie della sfera affettiva, emotiva, naturale e soprannaturale”[28].
    Sulla finalità globale del progetto, espressa con la formula “onesti cittadini e buoni cristiani”, il Rettor Maggiore afferma, come si è ricordato sopra, la necessità e l’urgenza di una riattualizzazione. Con ciò non allude ad un compito da iniziare ma ad un lavoro che i Salesiani stanno già svolgendo, a un laboratorio di pratiche e di studio che è già in atto e che mira a dare vita ad un Sistema Preventivo che è sempre frutto di esperienza e di riflessione e che si sforza di rispondere alle domande dei giovani e delle famiglie di oggi.
    Approfondiamo ora la questione, utilizzando uno dei saggi che sono stati scritti a commento della lezione magistrale del Rettor Maggiore, quello di P. Ruffinatto[29]. La studiosa circoscrive la riflessione all’ambiente educativo realizzato nella scuola e nella formazione professionale salesiana, sostenendo che il Sistema Preventivo, se correttamente attuato, può essere il cuore del progetto educativo salesiano.
    Esordisce facendo cenno al contesto in cui operano i Salesiani della scuola e della formazione professionale soprattutto in Occidente, un contesto di “emergenza educativa”, denunciata ormai da più parti e individuata soprattutto nell’agnosticismo antropologico e nel conseguente funzionalismo e utilitarismo educativo: “I criteri economici e produttivi, infatti, orientano purtroppo anche i processi di insegnamento – apprendimento strumentalizzandoli all’acquisizione di ‘ciò che serve’ nel ‘qui e ora’ lasciando all’educazione un respiro corto ed uno sguardo troppo concentrato sul presente”. Questa crisi, prosegue l’autrice, si esplicita nella tendenza a “sostituire un sistema educativo basato su valori coerenti e condivisi con la filosofia della neutralità”[30].
    Questa particolare emergenza interpella anche i Salesiani. Ma l’autrice ritiene, tuttavia, che i Salesiani possono trovare anche oggi nel Sistema Preventivo una risposta adeguata. Infatti, l’umanesimo pedagogico cristiano su cui si fonda, costituisce una risposta capace di competere con la mentalità funzionalistica e tecnocratica di oggi, mettendo in discussione sia il metodo trasmissivo dove l’adulto indica al giovane, in forma direttiva, i traguardi da raggiungere e i percorsi da intraprendere sia quello spontaneistico, quello cioè che teorizza il processo spontaneo e quasi automatico della maturazione del giovane. Il Sistema Preventivo, pedagogicamente fondato, ha una sua originalità perché “consegna nelle mani dei giovani la responsabilità attiva della propria scelta nei confronti delle diverse proposte, ma nello stesso tempo offre loro la possibilità di un accompagnamento continuo che li aiuta a scoprire le proprie risorse, a gerarchizzarle, ad integrarle e a valutarle in base ad un progetto di vita che man mano si va costruendo nel confronto critico con i vari modelli di persona che vengono presentati”. “[…] visione antropologica e chiarezza dei fini si armonizzano e si fondono, realizzando così un metodo teologicamente fondato ed antropologicamente affidabile, capace cioè di coniugare i valori perenni con le moderne istanze socioculturali, la tradizione con la novità, la chiarezza dei fini e le istanze di personalizzazione educativa”[31].
    Un secondo aspetto, importante ed attuale, sottolineato dall’autrice, è la visione sistemica dell’educazione. Le scuole e i Centri di Formazione Professionale sono condotti da Salesiani e laici, impegnati nella stessa missione. Questa è da intendersi non come azione funzionale, “i religiosi collaborano con i laici”, ma come una missione condivisa, in spirito di collaborazione e scambio di doni, dove religiosi e laici realizzano insieme il progetto educativo. È questo aspetto del progetto, “un tutto organico ed unitario composto di varie parti reciprocamente collegate fra di loro”[32], che è decisamente attuale e che è in grado di contrastare ogni proposta che va nella direzione della frammentazione, della settorializzazione e dell’individualismo pedagogico. A giudizio dell’autrice, infatti, soprattutto oggi, tale visione si presenta come una delle modalità, se non l’unica, idonea ad introdurre prassi progettuali di sistema, dove l’approccio individualistico e disintegrato viene sostituito da proposte unitarie qualificanti e l’azione del singolo viene inglobata nell’attività di tutto il sistema.
    Un terzo aspetto del progetto educativo, si fonda, secondo l’autrice, nello stile preventivo, una caratteristica tutta salesiana. L’azione “preventiva” è, sì, un “arrivare prima” per evitare ad un giovane esperienze negative ma è, ancor più, un “essere prima” che vuol dire l’importanza dello stare accanto “da adulto” a colui che cresce, con una presenza intenzionalmente educativa. Questo atteggiamento “preventivo”, argomenta la Ruffinatto, adottato in una istituzione scolastica o formativa, permette all’adulto che vi opera di non seguire un approccio diagnostico e funzionale con il giovane, col pericolo di identificarlo con il suo problema, di ridurlo alla sua difficoltà, di etichettarlo nel suo disagio, ma di assumere un approccio squisitamente educativo. Lo stile preventivo alimenta una vera “cultura della preventività” che è alla base delle relazioni di tutti i soggetti che operano in una comunità educativa.
    Lo stile preventivo, infine, permea le relazioni di tutti i soggetti che sono chiamati ad agire secondo il criterio della “ragionevolezza”. È l’ultimo aspetto che l’autrice ritiene decisamente attuale, dato il contesto contemporaneo permeato dal fascino sottile e pervasivo del “tutto e subito”; si tratta di quell’azione educativa che da una parte stimola i giovani a sviluppare i propri talenti e ad essere attivi ed intraprendenti nel lavoro, dall’altro li educa a non fare affidamento solo su se stessi, ad essere umili, ad evitare l’ambizione e l’orgoglio intellettuale. “Applicare il principio della ‘ragionevolezza’ nei processi di insegnamento-apprendimento, significa fare una precisa scelta a favore non soltanto dell’istruzione, quanto della formazione della loro mente in un’ottica di integralità”[33]. È da questa visione che hanno tratto e traggono ancora oggi ispirazione i Salesiani nel mettere in atto tutte quelle iniziative che si rivelano idonee ad aiutare i giovani a collocare il sapere nell’orizzonte della fede e ad orientarli a trasformarla in sapienza e visione di vita. Facendo interagire le varie istanze educative del progetto, conclude l’autrice, si può dare vita “ad un intervento educativo non solo amorevole, ma anche ragionevole perché fondato sulle grandi certezze che illuminano la vita e la preservano dal soggettivismo e dal relativismo”[34].

    3.2. L’ambiente educativo

    “L’ambiente educativo” o, altrimenti detto, il “clima umano”, il “clima di famiglia” è, secondo il Rettor Maggiore, uno degli elementi essenziali del Sistema Preventivo di don Bosco. Questo aspetto, afferma, lo rende “valido in tutti i contesti culturali e religiosi, come sta a dimostrarlo l’esperienza assodata in Asia e Africa, dove la maggioranza dei nostri studenti, genitori e collaboratori non sono cristiani, ma trovano nella scuola salesiana un’atmosfera familiare che li fa sentire a loro agio, a casa”[35].
    Anche il Progetto Educativo Nazionale della scuola e della formazione professionale dei Salesiani di don Bosco e delle Figlie di Maria Ausiliatrice in Italia ne aveva sottolineato, già negli anni novanta del secolo scorso, l’importanza: “l’ambiente di famiglia fa sì che le comunità educative siano attente alla dialettica che si instaura tra il momento culturale/formativo propriamente detto e lo sviluppo delle varie dimensioni dell’educazione (intellettuale, affettiva, sociale, politica e religiosa) e si impegnino a gestirla correttamente attraverso un saggio e realistico coordinamento di tutti gli interventi che si sviluppano in quel particolare ambiente”[36].
    Questa dimensione è, secondo i Salesiani, una delle modalità concrete e sperimentate che rende attuabile la finalità educativa della scuola e della formazione professionale oggi. Infatti, gli operatori di queste istituzioni, mentre rispondono “alla domanda esplicita dei giovani, quella di ricevere una seria preparazione culturale e professionale”, sollecitano “in loro anche la domanda implicita sul senso dell’esistenza e vengono avviati alla vita mentre sono incamminati verso il lavoro e l’esercizio di una professione e introdotti nella società civile e nella Chiesa”[37].
    C. Nanni, nel suo contributo a commento della lezione magistrale del Rettor Maggiore, approfondisce soprattutto questo aspetto, provocando, anche sull’onda di altri interventi recenti del Rettor Maggiore, i Salesiani a guardare, per comprendere a fondo l’ambiente educativo oggi, soprattutto il “primo don Bosco, quello che visitava le carceri; quello che andava per le strade e nei luoghi di lavoro a cercare i ragazzi; quello che anche dopo la istituzionalizzazione dell’Oratorio è andato a soccorrere i ragazzi appestati nelle case e nei vicoli di Torino; quello che è andato a conoscere e visitare i ragazzi di Roma; o quello che ha mandato i salesiani e le figlie di Maria Ausiliatrice missionari presso i giovani che non avevano ‘luoghi’ per la loro buona crescita umana e sociale”[38].
    Questa sottolineatura non significa invitare i Salesiani ad abbandonare i luoghi educativi quali sono, ancora oggi, la scuola e la formazione professionale, ma a cercare “una nuova alleanza educativa tra questi luoghi” e i nuovi contesti educativi, propri della società contemporanea, che definisce “non luoghi”. C. Nanni, infatti, dopo aver richiamato il concetto di “ambiente” secondo la letteratura specialistica contemporanea, in base alla quale noi tutti “non solo siamo nel mondo o nel tempo, ma siamo mondo e tempo, non solo apparteniamo a una cultura ma siamo cultura, che il ‘testo’ della nostra vicenda umana è incomprensibile senza il ‘contesto’ fisico e culturale in cui si gioca”[39], passa a descrivere l’ambiente educativo salesiano che si esprime, ancora oggi, come “casa che accoglie, parrocchia che evangelizza, scuola che avvia alla vita, cortile per incontrarsi da amici e vivere in allegria”[40]. Una definizione assunta dai Salesiani a livello di Regola ma che, a giudizio dell’autore, “meriterebbe di essere arricchita di una ulteriore indicazione esplicita - storicamente inoppugnabile - ‘laboratorio che prepara al lavoro e alla vita’”[41].
    Secondo l’autore, i Salesiani oggi devono misurarsi non solo con questo ambiente educativo realizzato nelle proprie istituzioni scolastiche o formative ma anche con un nuovo contesto, definito dalla letteratura specialistica “i non luoghi” che, specialmente in Occidente - ma in larga misura in tutto il “villaggio globale” - sono diventati o stanno diventando i luoghi privilegiati di socializzazione dell’adolescenza e della gioventù e assurgono ad una vera e propria “scuola parallela”, una efficace “università della vita”.
    Alla sfida della separazione crescente tra questi luoghi educativi tradizionali e questi non luoghi, separazione che influisce profondamente anche sul vissuto dei giovani, l’autore ribatte con la proposta di rispondere mediante la realizzazione di una vera e propria alleanza educativa. Una alleanza che si rivela di aiuto anche a quanti operano nei luoghi cosiddetti tradizionali: “A ben vedere i ‘non luoghi’ sono uno stimolo ai ‘luoghi’ tradizionali. Non negano anzi spingono i ‘luoghi’ educativi tradizionali a mettere meglio a fuoco il loro specifico apporto all’apprendere giovanile e adulto. Rispetto all’apprendere informale, essi, infatti, hanno da assolvere fondamentalmente ad una funzione riflessiva, critica, integrativa e sistematica”[42].
    Dopo queste considerazioni le scelte per l’autore sono conseguenti: i “luoghi” e i “non luoghi” non sono da contrapporre ma da integrare, come da integrare e da coordinare sono le attività che i Salesiani svolgono nell’uno e nell’altro ambito, operando in rete anche educativamente.

    3.3. La promozione dei diritti umani e in particolare dei minori secondo l’attuale Rettor Maggiore

    Tenuto conto delle gravi situazioni di ingiustizia e agli attacchi perpetrati nei confronti dei diritti umani che si riscontrano nelle nostre società, il carisma di don Bosco e il suo sistema educativo ci sollecitano a operare sul piano personale come su quello collettivo con uno slancio maggiore e rinnovato per trasformare le strutture della miseria e dell’emarginazione e in particolare per educare a quei valori che possano assicurare un cambiamento nella mentalità che si trova a fondamento delle condizioni di diseguaglianza appena denunciate. Questi ultimi vengono identificati dal Rettore Maggiore nella “cultura dell’altro, della sobrietà nello stile di vita e di consumo, della disponibilità a condividere gratuitamente, della giustizia intesa come attenzione al diritto di tutti; è questa la cultura della dignità della vita, dell’impegno solidale, dell’apertura alla Trascendenza”[43]. La promozione dei diritti umani e in particolare dei minori richiede un cammino da fare i cui passi principali sono scanditi da una serie di impegni.

    3.3.1. Una reinterpretazione dei diritti in prospettiva salesiana
    Se i Salesiani e i loro collaboratori devono diventare difensori e promotori dei diritti umani, come lo richiede la concezione antropologica cristiana, la stessa che ha costituito il riferimento di base sul piano teorico dell’attività di Don Bosco, e come lo vuole fermamente il Rettore Maggiore, è necessario procedere anzitutto a una rivisitazione nell’ottica dello spirito della Congregazione dei valori che sono a fondamento dei diritti. A questo punto vale la pena soffermarsi su quegli aspetti che in particolare riguardano più da vicino i minori.
    Il primo che va menzionato consiste nella “integralità della persona e applicazione del principio di indivisibilità ed interdipendenza di tutti i diritti fondamentali della persona: civili, culturali, religiosi, economici, politici e sociali”[44].
    Una rilettura salesiana dei diritti non può certamente contentarsi di interventi ispirati a una logica di pura sopravvivenza o di assistenza, ma deve portare all’affermazione decisa della necessità di uno sviluppo completo e soddisfacente. Se don Bosco usava ripetere la frase “Voglio che siate felici ora e per sempre” e soprattutto operava efficacemente in questa direzione, bisognerà che i suoi figli siano in prima linea per promuovere una realizzazione integrale dei diritti dei minori che significherà aiutarli a maturare sul piano fisico, mentale, culturale, spirituale, morale, sociale e politico. Questa impostazione olistica implica che una considerazione costante vada prestata a tutti i condizionamenti della vita quotidiana che ostacolano in qualsiasi maniera la pienezza della crescita dei giovani in modo che tali impedimenti vengano efficacemente rimossi.
    In terzo luogo, va affermato il principio della personalizzazione degli interventi educativi, di un’azione che mira a raggiungere “uno per uno” capillarmente e tale strategia è in piena consonanza con le fondamentali linee operative del Sistema Preventivo. Questo significa che gli educatori dovranno conoscere in maniera soddisfacente ogni giovane, la sua condizione specifica e le dinamiche proprie della sua vita quotidiana e anche sollecitare i suoi pareri e servirsene in modo efficace. L’applicazione di tale metodologia permetterà di adeguare gli interventi alla reale situazione di ciascun allievo e, quindi, di perseguire il suo vero bene.
    Il giovane va posto al centro del sistema preventivo non come puro oggetto di educazione, ma come un protagonista dei relativi processi. Pertanto, esso va coinvolto in prima persona in tutti i problemi che toccano la loro vita: tale partecipazione non solo è la strada migliore per arrivare a scegliere le strategie più rispondenti alle necessità di ciascuno, ma costituisce una ottima occasione per responsabilizzare ogni educando ad assumersi i ruoli che gli spettano nella società e ad acquisire e rafforzare le competenze sociali di ciascuno. L’attuazione della centralità dei destinatari richiederà alle opere salesiane di ripensare e rinnovare le modalità di accoglienza e di partecipazione degli allievi nelle attività educative che vengono portate avanti.
    “Last”, ma certamente non “least” viene il principio di inclusione per cui nessuno può essere discriminato sia nell’accesso che durante la fase processuale o nei risultati. Anche in questo caso, il Rettor Maggiore cita una frase molto significativa di don Bosco “basta che siate giovani perché io vi ami assai”[45]. Se qualche priorità va prevista, essa riguarda i giovani che occupano un posto privilegiato nel Sistema Preventivo quali per esempio i poveri, gli svantaggiati, gli emarginati, i diversamente abili, i rifugiati, gli immigrati, quanti sono abbandonati a se stessi e le vittime di abusi.

    3.3.2. Il valore aggiunto della comunità educativa
    L’educazione è opera comune, presuppone un accordo di base sulle finalità, i contenuti, le metodologie da parte di tutte le parti interessate[46]. Una formazione efficace esige la costruzione di una comunità che sia allo stesso tempo soggetto e ambiente di educazione. Essa permette alle opere salesiane di edificarsi sulle esigenze formative dei membri: in sostanza è possibile predisporre una programmazione corrispondente alle varie situazioni e la responsabilità individuale e collettiva viene riconosciuta in tutta la sua potenzialità attraverso l’attribuzione di ambiti rilevanti di azione. La realizzazione di una comunità educativa assicura la convergenza sostanziale sugli orientamenti e le scelte educative, nonostante le differenziazioni che può ingenerare il pluralismo culturale e formativo, in quanto attraverso l’instaurazione di rapporti ispirati alla collaborazione promuove la partecipazione effettiva di tutti alla costruzione della comunità stessa, alla definizione dei ruoli e al raggiungimento dei fini. Da ultimo, una comunità educativa aperta e sensibile nelle sue articolazioni può realizzare una buona interazione con il territorio, anche in vista dell’acquisizione di una consapevolezza dei cambiamenti strutturali, sociali e culturali in atto nel contesto di riferimento. Bisogna pertanto combattere la mentalità che sia possibile fare tutto da soli e diffondere una cultura di rete sia fra le opere della Congregazione sia con altri soggetti. Inoltre, per rinnovare le strutture sociali dall’interno si deve far appello alle responsabilità sociali di tutti e ciò può essere facilitato dalla presenza di una comunità che si ponga come nucleo animatore di quanti sono pronti a impegnarsi in azioni solidali.
    La tradizione educativa cristiana ha sempre ritenuto l’ambiente come formativo per se stesso. Esso va inteso come l’insieme di elementi coesistenti e cooperanti, tali da offrire condizioni favorevoli al processo formativo in cui persone, spazio, tempo, rapporti, insegnamenti, studio, attività diverse sono aspetti da considerare in una visione organica. Pertanto, elemento fondante dell’educazione nelle istituzioni formative di ispirazione cristiana e in particolare in quelle salesiane è la comunità. Questa non si basa tanto nella tolleranza o nel semplice rispetto della libertà altrui quanto nella considerazione dell’altro come offerta di una ricchezza che ci libera dal nostro egoismo e che si presenta con i tratti del volto di Cristo. Inoltre, prima ancora che scelta pedagogica, l’identità comunitaria delle istituzioni appena ricordate ha un fondamento teologico nella natura della Chiesa, che è anzitutto comunione, e nella dimensione relazionale che sottostà alla stessa Trinità e alla natura di un Dio che si rivela come amore.

    3.3.3. Il ripensamento della pastorale
    La realizzazione dei diritti umani in chiave salesiana non si può limitare all’educazione, ma implica una relazione inscindibile dell’educazione con l’evangelizzazione[47]. Quest’ultima infatti si presenta sempre strettamente integrata con la promozione umana e con la liberazione cristiana perché il comandamento dell’amore è unico, pure avendo due poli di riferimento, Dio e il prossimo. La maturità cristiana si fonda non solo sulle virtù personali, ma anche su quelle sociali e politiche e si alimenta al tempo stesso di un’adeguata catechesi sociale e di una valida preparazione nella dottrina della Chiesa.
    Il sistema preventivo è finalizzato alla salvezza integrale della persona, che è al tempo stesso promozione umana e educazione alla fede, come si è visto sopra. L’azione formativa che ne scaturisce va incontro ai giovani nella situazione in cui si trovano e li accompagna per fare insieme un percorso di fede. In ogni momento del cammino la salvezza è annunciata e attuata in vista di portare gli allievi alla maturazione piena in Cristo, una meta che va considerata come un diritto di tutti. “Il confronto con Gesù di Nazareth […] non pone un’altra soglia alternativa o successiva a quella verso cui sono in cammino gli uomini impegnati alla promozione dei diritti umani. La ripensa e la riformula nella verità dell’essere uomo o donna nel progetto di Dio”[48].

    3.4. Lo spazio educativo o la cura degli educatori

    Lo spazio educativo che, secondo il Rettor Maggiore, consiste nel “massimo coinvolgimento con relativa responsabilità, di tutti gli operatori di educazione […] che, a vario titolo, incidono sull’educazione dei giovani e sulla loro capacità di compiere scelte esistenziali (genitori, insegnanti, educatori, assistenti ed operatori sociali…)”[49], è una o la “conditio sine qua non” per la riuscita di un progetto educativo.
    Essere genitore, insegnante, educatore… , era scritto anche nel Progetto Educativo Nazionale, oltre che esercitare una professione, è realizzare una vocazione. Il rapporto vocazionale tra gli educatori è quello che dà fondamento al progetto educativo e si esprime nella convinzione che esiste un insieme di valori e una missione che si realizza insieme. Lo strumento che più di altri alimenta lo “spazio educativo” è la formazione. Solo “con la formazione degli educatori” i Salesiani “progettano il loro avvenire, scommettendo sulla propria identità, sulla qualità della propria offerta e sulla possibilità stessa di un proprio futuro”[50].
    Nel commento alla lezione magistrale del Rettore Maggiore, M. Pellerey argomenta sulle competenze che devono essere presenti nella personalità dell’educatore/formatore[51]. Alla luce di alcune linee di pensiero e di esperienza oggi abbastanza diffuse e che sembrano potersi coniugare validamente ed efficacemente con i principi fondamentali del Sistema Preventivo, egli propone, in primo luogo, una riflessione sulla natura della competenza educativa dal punto di vista morale e spirituale e, in secondo luogo, l’indicazione del ruolo che svolge una comunità di pratica educativa per l’acquisizione di questa competenza.
    Sul primo aspetto così si esprime: “Alla base di questa competenza, perché essa non rimanga solo potenziale e non esercitata effettivamente, deve essere fortemente radicato il desiderio di rispondere all’appello di aiuto che proviene dal giovane, la disponibilità a dedicare il proprio tempo, le proprie energie, le proprie conoscenze e abilità per svolgere con continuità e perizia l’impegno che ne deriva, la capacità di continuare con sistematicità e perseveranza, nonostante difficoltà e disillusioni, nella ricerca del bene individuato. E queste disposizioni interiori sono certamente di natura morale e spirituale”[52]. Tali attitudini, che appartengono alla storia e alla tradizione salesiana, nella letteratura specialistica sono chiamate “riflessione pedagogica”, o “riflessione critica”, oggi lo strumento metodologico più importante nella formazione degli adulti. “Si prende, per quanto possibile, distanza da sé e si cerca di cogliersi e descriversi entro un quadro di significati esistenziali, valori, finalizzazioni a medio e lungo termine. Da questo incontro interiore tra il noi attuale e il noi possibile o desiderabile può emergere un bisogno di cambiamento, di trasformazione o anche una conferma e, di conseguenza, una maggiore serenità”[53].
    La comunità di pratica intesa come uno strumento per acquisire competenze educative, si ispira nel nostro ambito a quella tradizione salesiana che mira a considerare ogni esperienza, una esperienza pedagogicamente significativa; questa prassi, nella letteratura specialistica attuale viene indicata come “apprendimento esperienziale”. La riscoperta del ruolo di una comunità di pratica nella formazione del personale è recente. “È chiaro il ruolo formativo di una realtà viva di pratica educativa se si considera come accanto ai soggetti in educazione, che, differendo tra loro per livello di sviluppo delle conoscenze, abilità e competenze, possono costituire già un sistema di reciproco aiuto e sostegno, ci sono educatori a loro volta diversamente competenti nell’esplicare le loro incombenze. L’intero sistema comunitario viene così a costituirsi con un sistema di relazioni di aiuto e sostegno nell’apprendimento, in quanto si moltiplicano le possibilità di aiuto, stimolo e modello, secondo livelli molteplici di maturità e competenza”. […] “La natura di una comunità educativa si viene così a configurare come una comunità in cui si alimenta e si coltiva un impegno educativo reciproco a vari livelli e secondo le differenti responsabilità e competenze, in un intenso contesto di relazioni interpersonali”[54].
    Il cammino di riflessione porta l’autore a concludere che “a fondamento dell’impegno nel promuovere in sé la competenza educativa e negli altri la loro crescita e il loro apprendimento sta sia il significato personale attribuito all’agire educativo e il valore a esso attribuito, sia il desiderio vivo di dedicare tempo ed energie a questa impresa. Una vera e propria passione educativa alimentata da attribuzioni di senso e di prospettiva esistenziali. Se ciò fa parte della vocazione cristiana fondamentale, diventa radice e fondamento di quella salesiana”[55].
    In conclusione, don Bosco ha sintetizzato la finalità generale del Sistema Preventivo nel famoso binomio “onesti cittadini e buoni cristiani” che per lui significava educare i giovani a un modello di uomo che si può dire tradizionale rinnovato. Il profilo globale si colloca nella linea della sintesi e della coesistenza; lo sfondo è certamente di carattere tradizionale, ma su di esso si evidenziano aspetti significativi di novità. Il fulcro dell’impostazione pedagogica è offerto dalla fede e dal trascendente nella declinazione cristiana; al tempo stesso si nota un apprezzamento sincero, non funzionale e neppure strumentale dei valori secolari: in altre parole ci troviamo di fronte a un umanesimo tendenzialmente plenario, anche se nel sistema di don Bosco manca una concezione matura della formazione dell’uomo socialmente e politicamente impegnato a livello di fini.
    Se i due termini della formula “onesti cittadini e buoni cristiani” si presentano come un tutt’uno inscindibile in don Bosco, tuttavia nella storia successiva della Congregazione si possono rintracciare segnali dell’emergere graduale, anche se molto lentamente. di una considerazione autonoma dell’educazione dell’onesto cittadino e della sua dimensione socio-politica. In particolare, l’accoglimento degli orientamenti del Concilio e del Post-Concilio ha sollecitato la Congregazione ad approfondire e a rinnovare il proprio servizio ai giovani inteso come sviluppo globale della loro personalità che integra fede e vita e l’educazione alla fede con la preparazione all’impegno per la giustizia sociale.
    Con il Capitolo Generale 26 e l’attuale Rettor Maggiore, la dimensione socio-politica raggiunge la piena autonomia, pur nella fondamentale unità di base con la educazione alla fede. Anzi viene compiuto un ulteriore passo avanti nel senso che tutto il progetto educativo è impostato nella luce dei diritti dei minori[56].

    NOTE

    [1] Professore emerito di Sociologia dell’Educazione dell’Università Pontificia Salesiana.

    [2] MALIZIA G. - TONINI M. - VALENTE L., Conclusioni generali, in MALIZIA G. - TONINI M. - VALENTE L. (a cura di), Educazione e cittadinanza. Verso un nuovo modello culturale ed educativo, Milano, FrancoAngeli, 2008, pp. 201-204.

    [3] CHÁVEZ VILLANUEVA P., Educazione e cittadinanza. Formare salesianamente il cittadino, in MALIZIA G. - TONINI M. - VALENTE L. (a cura di), o.c., pp. 37-38.

    [4] Ibidem, p. 39.

    [5] BRAIDO P., Prevenire non reprimere. Il sistema educativo di Don Bosco, LAS, Roma, 2006, pp. 229-249; Idem, Esperienza pedagogica preventiva nel secolo XIX. - Don Bosco, in BRAIDO P. (a cura di), Esperienze di pedagogia cristiana nella storia. Vol. II: Sec. XVII-XIX, LAS, Roma, 1981, pp. 344-351; Idem, Buon cristiano e onesto cittadino. Una formula dell’«umanesimo educativo» di don Bosco, in “Ricerche storiche Salesiane”, 1994, 1, pp.7-75. Cfr. anche: CASELLA F., L’esperienza educativa preventiva di Don Bosco, LAS, Roma, 2007, pp. 75-92; MOTTO F., Un sistema educativo sempre attuale, Leumnn (Torino), Elledici, 2000, pp. 32-46; PRELLEZO J. M., Sistema educativo ed esperienza oratoriana di don Bosco, Leumann (Torino), Elledici, 2000; STELLA P., Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol. II: Mentalità religiosa e spiritualità, LAS, Roma, 2 ed 1981, pp. 73-96 e 459-465.

    [6] BRAIDO P., Prevenire non reprimere. o.c., pp. 230-234.

    [7] ORESTANO F., Celebrazioni, vol. I, Milano, Bocca, 1940, p. 47. Su questa valutazione cfr. più ampiamente BRAIDO P., Prevenire non reprimere. o.c., pp. 235-236.

    [8] BRAIDO P., Esperienza pedagogica preventiva nel secolo XIX. - Don Bosco, o.c., p. 349.

    [9] BRAIDO P., Prevenire non reprimere. o.c., p. 245.

    [10] Ibidem, p. 248.

    [11] PRELLEZO J. M., La risposta salesiana alla «Rerum Novarum». Approccio a documenti e iniziative (1891-1910), in MARTINELLI A. - CHERUBINI G. (a cura di), Educazione alla fede e dottrina sociale della Chiesa. Atti XV Settimana di Spiritualità per la Famiglia Salesiana, Dicastero per la Famiglia Salesiana, Roma, 20-25 gennaio 1992, Editrice S.D.B., Roma, 1992, pp. 39-91; cfr anche WIRTH M., Da Don Bosco ai nostri giorni. Tra storia e nuove sfide, LAS, Roma, 2000, pp. 263-274.

    [12] Deliberazioni dei sei primi Capitoli generali della Pia Società Salesiana preceduti dalle Regole e Costituzioni della medesima, Tip. e Libreria Salesiana, San Benigno Canavese, 1894, pp. 313-314.

    [13] MIDALI M., Educazione alla fede e impegno sociale. La progressiva consapevolezza della Famiglia Salesiana post-conciliare, in MARTINELLI A. - CHERUBINI G. (a cura di), o.c., pp. 93-139; cfr. anche WIRTH M., o.c., pp. 447-463.

    [14] Atti del Capitolo Generale XIX. 8 aprile - 10 giugno 1965. Roma, in “Atti del Consiglio Superiore della Società Salesiana”, 1966, 244, pp. 42-91. Cfr. anche MIDALI M., o.c., pp. 95-98.

    [15] Capitolo Generale Speciale XX, Roma, 10 giugno 1971- 5 gennaio 1972, soprattutto pp. 45-65. Cfr. inoltre, MIDALI M. o.c., pp. 99-104.

    [16] Capitolo Generale Speciale XX, o.c., p. 55.

    [17] CG21. Capitolo Generale 21 della Società Salesiana, Documenti capitolari, Roma, 12 febbraio 1978, Editrice SDB, Roma, 1978, pp. 60-90. Inoltre, cfr. MIDALI M., o.c., pp. 110-113.

    [18] CG21. Capitolo Generale 21 della Società Salesiana, o.c., p. 67.

    [19] Capitolo Generale 23 dei Salesiani di Don Bosco, Educare i giovani alla fede. Documenti del Capitolo Generale 23 della Società di San Francesco di Sales, Roma 4 marzo - 5 maggio 1990, in “Atti del Consiglio generale della Società salesiana di San Giovanni Bosco”, 1990, 333, pp. 5-268. Inoltre, cfr. MIDALI M., o.c., pp. 113-136.

    [20] Capitolo Generale 23 dei Salesiani di Don Bosco, o.c., nn. 89-93, 94-157, 158-180 e 181-214; MIDALI M., o.c., pp. 127-130.

    [21] Capitolo Generale 23 dei Salesiani di Don Bosco, o.c., n. 116; MIDALI M., o.c., pp. 128-129.

    [22] MIDALI M., o.c., p. 129; Capitolo Generale 23 dei Salesiani di Don Bosco, o.c., n. 203-214.

    [23] MIDALI M., o.c., p. 130; Capitolo Generale 23 dei Salesiani di Don Bosco, o.c., n. 216-260.

    [24] Capitolo Generale 24 dei Salesiani di don Bosco, Salesiani e laici: comunione e condivisione nello spirito e nella missione di Don Bosco. Documenti del Capitolo Generale 24 della Società di San Francesco di Sales, Roma, 19 febbraio - 20 aprile 1996, in “Atti del Consiglio generale della Società salesiana di San Giovanni Bosco”, 1996, n.356, pp. 5-358; Capitolo Generale 25 dei Salesiani di Don Bosco, La comunità salesiana oggi. Documenti del Capitolo Generale 25 della Società di San Francesco di Sales, Roma, 24 febbraio - 20 aprile 2002, in “Atti del Consiglio generale della Società salesiana di San Giovanni Bosco”, 2002, n.378, pp. 5-206.

    [25] CHÁVEZ VILLANUEVA P., Educazione e cittadinanza. Formare salesianamente il cittadino, o.c., pp. 24-44.

    [26] CHÁVEZ VILLANUEVA P., La missione salesiana e i diritti umani: in particolare i diritti dei minori, Congresso Internazionale Sistema Preventivo e Diritti Umani - Roma 2-6 gennaio 2009, Roma, 4 gennaio 2009. Cfr. anche CHÁVEZ VILLANUEVA P., Educhiamo con il cuore di Don Bosco per lo sviluppo integrale della vita dei giovani, soprattutto i più poveri e svantaggiati, promuovendo i loro diritti. Strenna 2008, Roma, Istituto Figlie di Maria Ausiliatrice, 2007; Idem, Il servizio dei Salesiani d’Italia a favore dei giovani nella Scuola e nella Formazione professionale, Allegato a “Rassegna CNOS” 2010 2, pp. 13-63; CASELLA F., o.c., pp. 9-101; NANNI C., Il sistema preventivo di Don Bosco, Leumann, Elledici, 2003, pp. 35-50; Idem, Buoni cristiani e onesti cittadini ieri e oggi secondo il sistema preventivo, in corso di pubblicazione; Idem, Priorità educative nelle ambivalenze della globalizzazione, Congresso Internazionale Sistema Preventivo e Diritti Umani - Roma 2-6 gennaio 2009.

    [27] Cfr. CHÁVEZ VILLANUEVA P., Educazione e cittadinanza. Formare salesianamente il cittadino, o.c., pp. 24-44.

    [28] Ibidem, p. 37.

    [29] Cfr. RUFFINATO P., Il sistema educativo di don Bosco, cuore del Progetto Educativo della scuola e della Formazione Professionale, in MALIZIA G. - TONINI M. - VALENTE L. (a cura di), Educazione e cittadinanza, o.c. pp. 131-148.

    [30] Ibidem, p. 132.

    [31] Ibidem, pp. 136-137.

    [32] Ibidem, p. 137.

    [33] Ibidem, p. 144.

    [34] Ibidem, p. 146.

    [35] CHÁVEZ VILLANUEVA P., Educazione e cittadinanza. Formare salesianamente il cittadino, o.c., p. 39; cfr. Capitolo Generale XXVI dei Salesiani Di Don Bosco. CG26, «Da mihi animas, cetera tolle». Documenti Capitolari, Roma, 23 febbraio - 12 aprile 2008, in “Atti del Consiglio generale della Società salesiana di San Giovanni Bosco”, 2008, 401, pp. 33-46.

    [36] SDB - FMA, Progetto Educativo nazionale. Il progetto educativo della scuola e della formazione professionale dei Salesiani di don Bosco e delle Figlie di Maria Ausiliatrice in Italia, Roma, 1995, p. 57.   

    [37] Ibidem.   

    [38] NANNI C., Un ambiente educativo, ispirato a ragione, religione, amorevolezza, in MALIZIA G. - TONINI M. - VALENTE L. (a cura di), Educazione e cittadinanza, o.c., p. 165.

    [39] Ibidem, p. 150.

    [40] Ibidem, p. 154.

    [41] Ibidem.

    [42] Ibidem, p. 162.

    [43] CHÁVEZ VILLANUEVA P., La missione salesiana e i diritti umani: in particolare i diritti dei minori, o.c., p. 10. Il corsivo è nostro; cfr anche Capitolo Generale XXVI Dei Salesiani Di Don Bosco. CG26, o.c., pp. 35-36, 42-45, 66, 75-76.

    [44] CHÁVEZ VILLANUEVA P., La missione salesiana e i diritti umani: in particolare i diritti dei minori, o.c., p. 10 e per il prosieguo anche la 11.

    [45] Ibidem, p. 11.

    [46] CHÁVEZ VILLANUEVA P., La missione salesiana e i diritti umani: in particolare i diritti dei minori, o.c., p. 11; MALIZIA G. et alii, Il progetto di ricerca, in CSSC-CENTRO STUDI PER LA SCUOLA CATTOLICA, Costruire la comunità educante. Scuola Cattolica in Italia. Decimo rapporto, La Scuola, Brescia, 2008, pp. 93-97.

    [47] CHÁVEZ VILLANUEVA P., La missione salesiana e i diritti umani: in particolare i diritti dei minori, o.c., pp. 11-12.

    [48] TONELLI R., Una pastorale giovanile attenta ai diritti umani?, in “Note di Pastorale Giovanile”, 2003, 1, p. 5; CHÁVEZ VILLANUEVA P., La missione salesiana e i diritti umani: in particolare i diritti dei minori, o.c., p. 12.

    [49] CHÁVEZ VILLANUEVA P., Educazione e cittadinanza. Formare salesianamente il cittadino, o.c., p. 41.

    [50] SDB - FMA, o.c., p. 65.

    [51] PELLEREY M., Sulla formazione degli educatori, in MALIZIA G. - TONINI M. - VALENTE L. (a cura di), o.c., pp. 166-184.

    [52] Ibidem, p. 173.

    [53] Ibidem, p.176.

    [54] Ibidem, pp. 178-179.

    [55] Ibidem, p. 182.

    [56] CHÁVEZ VILLANUEVA P., Discorso del Rettor Maggiore Don Pascual Chávez Villanueva alla chiusura del CG26, in Capitolo Generale XXVI Dei Salesiani Di Don Bosco. CG26, o.c., p. 142.


    T e r z a
    p a g i n A


    NOVITÀ 2024


    Saper essere
    Competenze trasversali


    L'umano
    nella letteratura


    I sogni dei giovani x
    una Chiesa sinodale


    Strumenti e metodi
    per formare ancora


    Per una
    "buona" politica


    Sport e
    vita cristiana
    rubrica sport


    PROSEGUE DAL 2023


    Assetati d'eterno 
    Nostalgia di Dio e arte


    Abitare la Parola
    Incontrare Gesù


    Dove incontrare
    oggi il Signore


    PG: apprendistato
    alla vita cristiana


    Passeggiate nel
    mondo contemporaneo
     


    NOVITÀ ON LINE


    Di felicità, d'amore,
    di morte e altro
    (Dio compreso)
    Chiara e don Massimo


    Vent'anni di vantaggio
    Universitari in ricerca
    rubrica studio


    Storie di volontari
    A cura del SxS


    Voci dal
    mondo interiore
    A cura dei giovani MGS

    MGS-interiore


    Quello in cui crediamo
    Giovani e ricerca

    Rivista "Testimonianze"


    Universitari in ricerca
    Riflessioni e testimonianze FUCI


    Un "canone" letterario
    per i giovani oggi


    Sguardi in sala
    Tra cinema e teatro

    A cura del CGS


    Recensioni  
    e SEGNALAZIONI

    invetrina2

    Etty Hillesum
    una spiritualità
    per i giovani
     Etty


    Semi e cammini 
    di spiritualità
    Il senso nei frammenti
    spighe


    Ritratti di adolescenti
    A cura del MGS


     

    Main Menu