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    La gioia di vivere

    in Cristo, cuore

    della proposta salesiana

    di santità giovanile

    Una riflessione salesiana su Fil 4,4

    Juan J. Bartolomé


    «Dio non ha invidia né toglie la gioia dei suoi figli,

    ma la dona quando non c’è,
    la rafforza quando è fragile,
    l’assicura come dimensione permanente della vita»
    (Benedetto XVI).

    In questo secondo anno del triennio di preparazione al bicentenario della nascita di Don Bosco il Rettor Maggiore ci ha offerto una Strenna il cui “obiettivo sarà quello di approfondire la sua [di Don Bosco] proposta educativa: ciò che don Bosco ha inteso offrire ai giovani e il metodo che egli utilizzò per aprire le porte del loro cuore, per conquistare la loro confidenza, per plasmare robuste personalità, dal punto di vista umano e cristiano. “Concretamente” – scrive – “vogliamo avvicinarci al Don Bosco educatore. Si tratta dunque di approfondire ed aggiornare il Sistema Preventivo. Ecco il tema della Strenna 2013”.  [1]
    Come è solito, la Strenna viene introdotta da una frase biblica: “siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto, siate lieti” (Fil 4,4), tratta dalla lettera di Paolo ai Filippesi. [2] Mentre la frase paolina mette al centro la gioia che si trova nel servire il Signore, [3] una convinzione molto cara a Don Bosco, [4] la Strenna ha di mira una conoscenza più approfondita ed una aggiornata applicazione del sistema educativo di Don Bosco. A dire il vero, citazione biblica, titolo e tema della Strenna puntano verso due realtà ben diverse. Sembra però sottinteso che la gioia nel Signore è elemento essenziale del sistema preventivo, un sistema educativo che, all’insegna di Don Bosco educatore, ci permette di offrire ai giovani il ‘vangelo della gioia’. E infatti, don Chávez ci ricorda che “il “vangelo della gioia” caratterizza tutta la storia di Don Bosco ed è l’anima delle sue molteplici opere. Don Bosco ha intercettato il desiderio di felicità presente nei giovani e ha declinato la loro gioia di vivere nei linguaggi dell’allegria, del cortile e della festa; ma non ha mai cessato di indicare Dio quale fonte della gioia vera”. [5]

    1. La citazione paolina

    La frase paolina appartiene alla parte finale della lettera dove Paolo concentra, di solito, la sua esortazione apostolica. Dopo una lunga e aspra polemica contro un gruppo non ben determinato di missionari giudaizzanti (Fil 3,2-21) – “cani”, “cattivi operai” li ha chiamati (Fil 3,2) – l’apostolo ritorna ad una più serena, ma non meno appassionata esortazione: “fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, rimanete saldi nel Signore così come avete imparato, carissimi” (Fil 4,1).

    1.1. Contesto immediato

    Ammonimenti, sollecitazioni e richiami si succedono senza tanta coesione interna (Fil 4,2-20). Rispecchiano circostanze concrete della vita comunitaria e motivi cari all’autore (Fil 1,1.4.9). Contengono una pressante chiamata alla vita di concordia e gioia in comunità (Fil 4,2-7), un singolare apprezzamento dei valori morali dell’ etica pagana che considera lodevoli, che però i credenti debbono vivere sull’esempio trasmesso da Paolo (Fil 4,8-9) e, infine, una sincera professione della sua gratitudine perché i filippesi avevano preso “parte alla sue tribolazioni.., ricolmo come si vede dei loro doni ricevuti” (Fil 4,10-20).
    All’interno di argomenti così vari, il mandato paolino a vivere nella gioia appare a sorpresa, un po’ isolato, persino immotivato. La gioia in cui vivere sempre non trova, dunque, una causa, né una spiegazione: è uno stato che deve caratterizzare il cristiano. Viene dopo un pressante appello fatto dall’ apostolo a dei suoi stretti collaboratori, “i cui nomi sono nel libro della vita” (Fil 4,3), a vivere in concordia, aiutandosi mutuamente: nella comunità cristiana non c’è spazio né per il dissenso né per il conflitto tra apostoli (Fil 4,2-3); in essa, deve regnare la gioia che “nel Signore” è dono gratuito. Ed è seguito da un’esortazione più complessiva, che l’apostolo rivolge alla comunità, in primo luogo, animandola ad usare affabilità verso gli uomini, “che deve essere nota a tutti” (Fil 4,5), poi, incoraggiandola ad avere fiducia piena in Dio con preghiere e richieste “in ogni necessità” (Fil 4,6). Dal contesto più immediato non sembra, dunque, spiccare indizio alcuno che renda più comprensibile la natura, il motivo, la finalità dell’esortata vita di gioia.

    1.2. La formulazione

    Neanche lo stesso enunciato della frase, a un primo sguardo, apporta molta luce alla sua comprensione. La presenza d’imperativi e la sua reiterazione, il suo tratto più caratteristico, sono del tutto normali in un’esortazione. In più, l’invito dell’ apostolo a vivere con gioia non è nuovo nella lettera (Fil 2,18; 3,1).
    Tre particolari sono, però, da tenere in conto.
    1º. La ripetizione, rimarcata, del verbo rallegrarsi all’imperativo identifica la gioia raccomandata come comportamento imposto; non si tratta di una emozione involontaria o intima, naturale, ma di una condotta ingiunta. Per il cristiano, pensa Paolo, vi è un obbligo di gioia: “state sempre lieti” (1 Ts 5,16; cfr. Rom 12,12; 2 Cor 13,11). E se viene imposta non può considerarsi semplice benessere personale o né può uno proporsela come eroico programma di vita.
    2º. Questa gioia la si deve vivere sempre e non saltuariamente, cioè solo se uno si sente bene o quando tutto intorno va bene, ma senza pausa né eccezioni, a tutti i costi. E una gioia non fortuita, né effimera, vissuta nel quotidiano, che non dipende, perché non proviene, da motivazioni esterne e che si deve esperimentare pure in momenti di difficoltà. “Afflitti, ma sempre lieti”, dice Paolo sul ministero apostolico (2 Cor 6,10); e ai cristiani di Roma: “noi ci vantiamo anche nelle tribolazioni” (Rom 5,3).
    3º. La gioia prescritta da Paolo ai suoi è da viversi “nel Signore”. In altri passaggi l’apostolo addita nuovi motivi per fondamentare la letizia richiesta (Fil 1,18: l’annunzio del vangelo; Fil 1,25-26: la crescita nella fede della comunità; Fil 2,18: la consegna della vita dell’apostolo per la fede dei filippesi; Fil 2,29: l’accoglienza dell’inviato da Paolo). Qui il movente si esprime con una formula tra le più caratteristiche di Paolo (Fil 1,14: 2,24.28; 3,1; 4,2.4; 2,19), sconosciuta in pratica dagli altri autori del NT: “nel Signore”. Il che fa ancora più insolita questa gioia: ha il Signore Risorto come spazio o luogo di realizzazione.

    Gioire – e sempre! –, può essere comandato?
    Per Paolo, la gioia può, anzi deve, essere sempre richiesta dal cristiano poiché prima gli è stata donata; quale “frutto dello Spirito” (Gal 5,22; Rom 14,17), Essendo lo Spirito il modo di farsi presente Dio nel mondo, la gioia è quanto questa presenza, sentita e acconsentita, produce nel credente: [6] solo ai ‘salvati’ compete la gioia. Poterla sentire è un modo di sapersi salvo in Cristo Gesù.
    Non è casuale infatti che, in greco, gioia (chara) e grazia (charis) derivino dalla stessa radice: “gioia e grazia vanno insieme”. [7] La gioia è la forma cristiana di vivere nella grazia, cioè di vivere riconciliati con Dio. “Elemento centrale dell’esperienza cristiana”, [8] affonda le sue radici, dunque, nella salvezza acquistata nella morte di Cristo (cfr. Rom 5,10-11); è come un compendio dell’esistenza cristiana (cfr. 2 Cor 13,11), la prova della sua autenticità (cfr. 2 Cor 1,24). La gioia è il modo di testimoniare una salvezza che si è ricevuta, di un incontro con Cristo che si è tenuto, [9] segno di una “fede che progredisce” (Fil 1,25), che si fa visibile all’esterno e si presenta al mondo. È, direi, il volto visibile di una vita di fede in Cristo.
    L’autore della 1 Pt è stato azzeccato quando scrisse: “Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora senza vederlo credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriate, mentre conseguite la meta della vostra fede, cioè la salvezza delle anime” (1 Pt 1,8-9). Questa gioia può, anzi deve, essere ingiunta, solo perché è da viversi “nel Signore”. [10]

    Gioire nel Signore
    “Nel Signore”, assieme con “In Cristo [Gesù]”, “in Lui” sono variazioni di una formulazione dell’apostolo, a lui molto cara, [11] ma alquanto rara, quasi senza paralleli nella letteratura contemporanea. [12] Ciò che sorprende non è il fatto che Paolo non sia solito spiegare un simile linguaggio, ma che lo usi come base per argomentare (1 Cor 6,13-18; 10,14-21; Gal 3,14-16), dando per scontato che i suoi lettori lo capiscano senza ulteriori spiegazioni.
    Anche se la preposizione in della formula ha un marcato senso locale, insieme a Cristo/Signore può alludere luogo, modo, causa o strumento. L’uso paolino sembra favorire l’idea di associazione o appartenenza, di solidarietà e partecipazione. Esprime l’atto redentore avvenuto in Cristo, lo stato oggettivo di salvezza, la nuova creatura (2 Cor 3,17; 5,17) che l’intervento divino ha già reso possibile e che si definisce come un’identificazione intima e misteriosa tra Cristo e i cristiani.
    L’apostolo ricorre ad essa per parlare dell’esistenza cristiana, intesa sia individualmente sia collettivamente (1 Ts 4,1; 1 Cor 3,1; 7,39; 15,58; 2 Cor 2,14) come partecipazione del credente alla morte e risurrezione di Cristo. Il cristiano è in Cristo perché è stato in Lui già salvato da Dio e perché in Lui aspetta senza timori la definitiva salvezza. Essere nel Signore è una realtà stabile che determina la vita del cristiano fino a quando il Signore verrà, lo stato che media tra l’inizio della salvezza e la sua anelata consumazione.
    Cristo, più che come strumento, è spazio di salvezza, [13] ambito in cui l’efficacia della risurrezione è in atto ed è operante lo Spirito: “non vi è condanna per colui che vive in Cristo” (Rm 8,1-2); “siete nello Spirito…, Cristo è in voi” (Rm 8,9-10). I cristiani sono in Cristo (Gal 1,22; 3,28; Fil 3,8-9) e Cristo è nei cristiani (Rm 8,10; Gal 2,20): i credenti hanno il loro fondamento in Lui ed Egli è attivo in loro (Gal 2,8; Rm 8,2.39; Fil 2,13; Col 1,29). Cristo è colui che determina, dirige, impone e rende possibile la vita del cristiano. [14]
    La gioia di essere nel Signore non è, dunque, una sensazione emotiva, un moto salutare dell’animo, ma neppure solo la lieta disposizione del cuore del credente a obbedire sempre al suo Signore. È piuttosto il benessere che risulta dal lasciare che sia Lui a vivere in noi (cfr. Gal 2,20). È lui, il Signore, morto e risorto, il luogo dove i cristiani sono, provano sentimenti e agiscono: “abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù” (Fil 2, 5). “Dunque, non un ottimismo facile sta alla base della gioia cristiana, ma la coscienza di essere uniti a Cristo e partecipi della sua vita”. [15]

    1.3 La situazione concreta

    Manca ancora fare riferimento alle circostanze concrete che portarono Paolo a sollecitare i filippesi a vivere sempre nella gioia. Misconoscere la particolare situazione che tanto l’apostolo come la comunità attraversavano non faciliterebbe affatto la corretta comprensione non già solo della frase dell’apostolo, ma innanzitutto della sua reale intenzione.
    Fil ci trasmette l’immagine di una comunità in cui Paolo aveva riposto tutta la propria fiducia (Fil 1,3-11; 2,12; 4,1.16) e da cui si sentiva amato (Fil 1,7.27; 2,12.18.24). Contraccambiava il suo affetto con la sincera e concreta dedizione dei suoi dilettissimi filippesi (Fil 1,7: “vi porto nel cuore”). Era, infatti, l’unica comunità dalla quale accettò, a più riprese, degli aiuti finanziari (Fil 4,15; 2 Cor 11,8-9). Fil è probabilmente la lettera più serena (Fil 1,5; 2,1; 3,10; 4,15; 3,2), la più personale (Fil 1,7-8; 2,18; 4,1.14), la meno dogmatica che sia uscita dalla penna di Paolo. In essa l’apostolo scopre se stesso i suoi pensieri più intimi, rivela con dettaglio e rara trasparenza il suo incontro personale con Cristo (Fil 3,2-16). Sembrerebbe, dunque, che la gioia di essere apostolo (Fil 4,1) e di rimanere cristiano (Fil 1,25) è di casa nella comunità di Filippi.
    Quando Paolo, verso l’anno 56, scrive ai filippesi è un uomo vitalmente maturo, maturato nella lavoro apostolico…, e prigioniero: si trova “nel pretorio…, in catene per Cristo” (Fil 1,13), incerto sul destino che lo aspetta, ma sicuro che qualunque sia l’esito della prigionia la causa del vangelo ne uscirà rafforzata (Fil 1,12). Anche se nutre il desiderio di ritornare a vederli di persona (Fil 2,24), non nasconde loro che probabilmente non gli sarà possibile, non sapendo se uscirà vivo o morto dalla prigione; decisivo per lui è che “ora Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia che io viva sia che io muoia” (Fil 1,20). Più avanti parlerà loro del dramma intimo in cui viveva il suo ministero, catturato tra due fedeltà: quella a Cristo, suo unico guadagno (Fil 3,7-11) e quella nei confronti di quella sua cara comunità, sua gioia e sua corona (Fil 4,1): “sono messo alle strette infatti tra queste due cose: da una parte il desiderio di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; d’altra parte, è più necessario per voi che io rimanga nella carne.. per il progresso e la gioia della vostra fede” (Fil 1,23-25).
    Non si deve dimenticare, dunque, che il suo imperioso appello a vivere nella gioia viene da un carcerato, la cui sorte è in forse: se i filippesi non lo vedranno più, potranno però ricordare che l’apostolo ha provato gioia quando scrisse loro dalla prigione (Fil 4,1) e che gioire sempre nel Signore (Fil 3,1; 4,4; cfr. 1,25; 2,28.29) è stata la sua ultima esortazione. [16] La gioia che vuole regni nei suoi fedeli è una gioia che lui esperimenta quando pensa e prega per loro (Fil 1,4).
    Non era neppure buona la situazione della comunità di Filippo, primizia della missione paolina in territorio europeo. Paolo vi giunse per la prima volta verso l’anno 49, accompagnato da Silvano, Timoteo e, probabilmente, da Luca (At 16,16-17). Il loro soggiorno non dovette essere molto prolungato; dopo aver sofferto qualche difficoltà (1 Ts 2,1-2), denigrato, malmenato e messo in prigione (cfr. Fil 1,7.30; 2 Cor 11,25; At 16,26-34), si vide costretto ad abbondonare la città e partì per Tessalonica (At 16,40-17,1; 1 Ts 2,1-2), lasciando dietro di sé una comunità poco numerosa, certamente, ma consolidata nella fede (Fil 1,27-30) e molto legata sentimentalmente alla sua persona (Fil 1,10; 4,10; 2 Cor 8,1-5; Rm 15,26; At 26,17).
    Non tutto però andava per il meglio. La rivalità personale che Paolo avverte in alcuni predicatori mentre lui è in prigione (Fil 1,15) e che “aggiungono dolore alle mie catene” (Fil 1,17) [17]; l’appello alla concordia nei sentimenti e nell’umiltà a esempio di Gesù Cristo (Fil 2,2: “rendete piena la mia gioia con l’unione dei vostri spiriti”); l’accorato invito pubblico a Evodia e Sintiche di “andare d’accordo nel Signore” (Fil 4,2); e, principalmente, la presenza eversiva di propagandisti giudeo-cristiani che si comportavano “da nemici della croce di Cristo” (Flp 3,18), impegnati come erano in una contro-missione che chiedeva la circoncisione dei credenti (Fil 3,2-19), dimostrano che non mancavano malintesi, conflitti personali e gravi contese. In più, la comunità a sua volta ha dovuto soffrire per Cristo (Fil 1,29: “a voi è stata concessa la grazia non solo di credere in Cristo, ma anche di soffrire per lui”) fino al punto che Paolo poté affermare che avevano sostenuto la sua stessa passione (Fil 1,7.27.30).
    La comunità che riceve il mandato apostolico di gioire nel Signore è dunque una comunità provata, che conosce il dissenso interno e la persecuzione esterna, ma fedele all’apostolo (Fil 4,10.14) e fedele al Signore. La gioia di vivere la fede non resta a suo arbitrio, né la fa possibile una contentezza nata dalle soddisfazioni nella vita; non si spegne nella sofferenza né si alimenta nel trionfo. Secondo Paolo, può, anzi deve, fiorire mentre, e perché, si combatte “unanimi per la fede del vangelo, senza lasciarsi intimidire in nulla dagli avversari” (Fil 1,27-28). E altrove lui stesso si propone come esempio: “Sono pieno di consolazione, pervaso di gioia in ogni nostra tribolazione” (2 Cor 7,4). Cristiana è, dunque, solo gioia che può vivere nella pace e convivere con la prova (cfr. Mt 5,11-13).

    2. Don Bosco, “messaggero della gioia” [18]

    “Dio è Dio della gioia”, pensava san Francesco di Sales. [19] Meglio ancora, in “Dio stesso tutto è gioia poiché tutto è dono”. [20] Don Bosco, da lucido educatore cristiano, fece della gioia “elemento costitutivo del sistema [educativo], inscindibile dallo studio, dal lavoro e dalla pietà”, [21] “il frutto per eccellenza di una autentica pratica della pedagogia salesiana” . [22]
    Bisogno basilare di vita, desiderio intimamente sentito durante la giovinezza, [23] l’allegria è, per don Bosco, “risultato di una valutazione cristiana della vita… Dalla religione dell’amore, della salvezza, della grazia, non può che scaturire la gioia, la letizia, l’ottimismo fiducioso e positivo”. [24] Ed è proprio per questo che a casa di don Bosco, “l’allegria è fatta coincidere con la santità”, [25] come compare esplicitamente nella vita di Domenico Savio [26] e nelle altre vite scritte da don Bosco: “il giovinetto – commenta don Caviglia – che si sente in grazia di Dio prova naturalmente la gioia”. [27] Don Bosco sapeva che i giovani tendono naturalmente all’allegria, e hanno bisogno di divertimenti e giochi, ma per lui la vera gioia soltanto c’è in colui nel quale alberga la grazia. [28]
    Da questa convinzione nasce il progetto educativo. Un anno dopo aver trovato, l’Oratorio, sede stabile nella tettoia/casa Pinardi, nella periferia di Valdocco (12 aprile 1846), don Bosco pubblicava Il giovane provveduto, [29] dove appaiono già alcune delle sue idee e opzioni educative fondamentali. [30] Benché avesse l’apparenza di “un libro di pratiche di pietà idonee” per aiutare i ragazzi a coltivare la religiosità e la virtù, don Bosco lo presentò “già nelle prime righe del proemio Alla gioventù, come ‘metodo di vita cristiano’”, [31] che favorisse al contempo la pietà e la felicità: “Io voglio insegnarvi un metodo di vita cristiano, che sia nel tempo stesso allegro e contento, additandovi quali siano i veri divertimenti e i veri piaceri, talché voi possiate dire col santo profeta Davide: serviamo il Signore in santa allegria: servite Domino in laetitia. Tale appunto è lo scopo di questo libretto, servire al Signore e stare sempre allegri”. [32]
    Nella mente di don Bosco Il giovane provveduto non era un altro manuale di pietà per giovani, [33] né poteva garantire da solo il compimento dei fini che proponeva, cioè “diventare la consolazione dei vostri parenti, l’onore della patria, buoni cittadini in terra per essere poi un giorno fortunati abitatori del cielo”. [34] Il volumetto era per lui una vera proposta educativa che i suoi primi destinatari avevamo cominciato a conoscere ed esperimentare, [35] “in esso, infatti, frutto della prima attività sacerdotale e letteraria di don Bosco, troviamo lanciato il programma di santità giovanile, che egli ha concepito e formulato”. [36] È possibile che non tutti i ragazzi dell’Oratorio lo avessero letto il volume da capo a fondo, [37] ma “l’esperienza religiosa che esso proponeva era collegata con l’intero sistema e stile di vita nel quali i giovani erano immersi nel quotidiano dell’Oratorio… [Nell’Oratorio] i senza famiglia trovavano le dolcezze di una casa, la sicurezza della paternità e della fraternità nella persona del direttore e degli educatori, la gioia dell’amicizia, le prospettive di un inserimento significativo nella società con una cultura e una capacità lavorativa dignitosa e redditizia; insieme uno stile generale di allegria garantito da infinite manifestazioni che il genio educativo sapeva inventare: gioco, teatro, escursioni, musica, canto”. [38]
    Don Bosco, ovviamente, non era stato il primo “ad avvertire il rapporto tra felicità e religione”. [39] E sarebbe pure anacronistico considerare Il giovane provveduto come una specie di manuale di spiritualità giovanile ante litteram. Non pretendeva nemmeno raccogliere la totalità dell’esperienza educativa dell’Oratorio, un’istituzione che, in più, era ancora nei suoi inizi. Ma il libro divenne manuale di preghiera e programma di vita sostanzialmente immutato durante i decenni successivi nelle case salesiane, letto e riletto da generazioni di giovani fino alla prima metà del secolo XX. Il successo della proposta riflette la perspicacia educativa di don Bosco, che seppe mostrare non solo la piena congruenza tra pietà e allegria, vita di fede e vera felicità, ma insegnò pure il cammino concreto per riuscirne. [40]
    Il giovane provveduto non era, solo, una indovinata e attuabile proposta educativa per una gioventù che a stento poteva pensare alla felicità mentre doveva lottare per sopravvivere in una società in rapido e profondo mutamento. [41] Questo “metodo di vita cristiana” offriva, inoltre, alcune idee essenziali sulla spiritualità del prete educatore dei giovani, che era diventato già don Bosco. La sua convinzione personale secondo la quale non c’era affatto contrasto tra servire Dio e vita felice, si fondava nell’ intenso amore che alimentava per i suoi giovani: perché li amava, li voleva allegri adesso e nell’eternità, come soleva ripetere. Così, p. es., concludeva la breve introduzione: “Miei cari, io vi amo tutto di cuore, e basta che siate giovani perché io vi ami assai, e vi posso accertare che troverete libri propostivi da persone di gran lunga più virtuose e più dotte di me, ma difficilmente potrete trovare chi più di me vi ami in Gesù Cristo, e che desideri la vostra vera felicità… Vivete felici, e il Signore sia con voi”. [42]
    Frutto e prova della carità pastorale di don Bosco è, dunque, un sistema educativo che ha “l’allegria tra i fattori primi”. [43] L’allegria è per don Bosco “non solo ricreazione, divertimento, ma autentica, insostituibile realtà pedagogica”, “il timbro particolare del [suo] amore educativo”. [44]

    3. Spunti per un’ulteriore riflessione

    Tra la ripetuta esortazione paolina ai filippesi a vivere gioiosi nel Signore e l’offerta di Bosco ai giovani di Valdocco di un metodo per vivere lieti nel servizio di Dio c’è una grande differenza. L’apostolo di Tarso fa un appello generico, apparentemente senza un motivo concreto; l’educatore di Torino presenta la gioia come l’ordinario modo di essere santo e abbozza un cammino per realizzarlo. [45] Ci sono però delle profonde corrispondenze che meriterebbero non solo essere notate brevemente, ma che sono degne di ulteriori approfondimenti.

    1. Si vogliono felici quanti si vogliono bene

    “Miei cari” (Fil 2,12), scrive Paolo da Efeso ai filippesi, “Dio mi è testimone del profondo affetto che ho per tutti voi” (Fil 1,8), “fratelli carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona” (Fil 4,1). E don Bosco: “Sebbene qui in Roma…, il mio pensiero vola sempre dove ho il mio tesoro in Gesù Cristo, i miei cari figli dell’Oratorio”. [46]
    Non mi sembra irrilevante che tutte e due, Paolo e don Bosco, desiderino la felicità per quelli che amano con predilezione. Il mandato di rallegrarsi, in Paolo, il servire Dio nella gioia come ‘metodo di vita’, in don Bosco, hanno come origine e causa l’amore appassionato che ciascuno dei due sentiva per i suoi: i prediletti degli apostoli debbono vivere allegri!. Prima si sanno ben voluti, poi si sentono felici. [47] Il ché vuol dire pure che solo chi ama può, come Paolo ai filippesi, comandare di vivere felici e sa, come don Bosco, tracciare un cammino per raggiungere la felicità. La gioia imposta o agevolata è segno e prova di amore donato, d’amore proprio di apostoli educatori. [48]
    Proprio perciò, perché ci sia la gioia come impegno di vita, la comunità deve sapersi amata sino alla fine (cfr. Gv 13,1). Paolo e don Bosco hanno riprodotto il comportamento di Gesù, autentificandosi così come suoi apostoli: “Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore…Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (Gv 15,9.11).

    2. La gioia, comandata dall’apostolo, facilitata dall’educatore

    “Per il resto, fratelli miei, state lieti nel Signore” (Fil 3,1); “ve lo ripeto ancora – insiste Paolo più avanti – rallegratevi” (Fil 4,4). Don Bosco, invece, scrive: “Io voglio insegnarvi un metodo di vita cristiano, che sia nel tempo stesso allegro e contento.., talché voi possiate dire col santo profeta Davide: serviamo al Signore in santa allegria”. [49]
    Esortare alla gioia è mansione di apostoli di Cristo. Mentre Paolo può chiedere, ed aspettarsi, dai suoi che vivano nella gioia poiché sono stati salvati in Cristo Gesù, don Bosco, magari con più realismo pratico e sensibilità educativa, facilita un ambiente adeguato [50] e una metodologia precisa [51] per far sì che i suoi giovani servano Dio nell’allegria. Lo scopo finale dei due rimane sempre lo stesso, vivere nel Signore, in linguaggio paolino, cioè la virtù o la santità, come preferisce don Bosco. [52] Il merito di don Bosco, [53] in paragone con Paolo, è che lui mise a disposizione dei suoi giovani un programma a loro adeguato e un’esperienza quotidiana di santità gioiosa. [54] L’apostolo ‘può’ indire la gioia, l’educatore la deve fare possibile mostrandone il cammino.

    3. Una gioia da vivere sempre

    “Rallegratevi nel Signore, sempre” (Fil 4,4) esorta Paolo. “Stai allegro”, ripete spesso don Bosco. [55] E riflette: “Altronde noi vediamo che quelli, i quali vivono in grazia d’Iddio, sono sempre allegri, ed anche nelle afflizioni hanno il cuor contento. Al contrario coloro che si danno a’ piaceri vivono arrabbiati, e si sforzano onde trovare la pace ne’ loro passatempi, ma sono sempre infelici: Non est pax impiis”. [56]
    Poco prima di ripetere il mandato della gioia (Fil 4,1.4), Paolo ha messo in guardia i suoi perché si allontanassero dai ‘cani’, predicatori che agitavano la vita comune (Fil 3,2), nemici veri della croce di Cristo (Fil 3,17). La gioia, quando viene questionata o è combattuta in comunità, va presa in difesa, perché è dono da conservare come grazia che è. Non dovremmo far passare inavvertita l’insistenza di don Bosco: si vive sempre, allegro o contento, infelice o arrabbiato; la differenza radica nel vivere con o senza Dio. “L’allegria genuina autentica, non è possibile a chi non ha il cuore in pace, mentre diviene un efficace richiamo per chi ne fosse privo: ‘Il demonio – diceva don Bosco – ha paura della gente allegra” (MB X, 648).” [57]
    Nelle parole di don Bosco appare l’esperienza profondamente cristiana: la felicità è una esperienza sentita sempre…, sofferta a volte (cfr. Mt 5,11): chi vive in grazia ha “il cuor contento anche nelle afflizioni”. [58] La mescolanza di afflizioni e allegria nei buoni è il prezzo a pagare: don Bosco ben lo sapeva; basta ricordare qui il sogno del pergolato di rose. [59] La gioia, quella cristiana, quella salesiana, “è una gioia che si alimenta al sacrificio, talvolta arduo, accolto col sorriso sulle labbra…, come cosa del tutto normale, senza atteggiamenti di vittima o di eroe”. [60] “Sono pieno di consolazione, pervaso di gioia in ogni mia tribolazione” (2 Cor 7,4), ammette Paolo ai corinzi. E don Bosco, al fidato coadiutore Enria: “Oggi don Bosco è più allegro del solito… Eppure oggi ho ricevuto il più forte dispiacere che abbia avuto in vita mia”. [61]
    La difesa apostolica della gioia credente, dunque, impone la necessità – da don Bosco avvertita – di un vero discernimento su “quali siano i veri divertimenti e i veri piaceri”. [62] Arduo compito per l’educatore cristiano oggi!: “Il mondo moderno offre ai giovani molti piaceri e divertimenti, ma poca gioia. L’educatore può ritenere di aver fatto un grande passo avanti nella sua pratica educativa quando ha fatto comprendere e, meglio ancora, sperimentare al giovane la differenza che esiste tra il piacere e la gioia”. [63] Che sia difficile assai, non lo fa meno urgente. Ma l’educatore salesiano – ci avverte don Chávez – deve aiutare i giovani a riconoscere e usufruire le gioie quotidiane: “occorre un paziente sforzo di educazione per imparare, o imparare nuovamente, a gustare, con semplicità, le molteplici gioie umane che il Creatore mette ogni giorno sul nostro cammino”. [64]

    4. Solo nel Signore è possibile la gioia

    “Rallegratevi nel Signore” (Fil 4,4). “Se volete – diceva spesso ai giovani don Bosco – che la vostra vita sia allegra e tranquilla dovete procurare di starvene in grazia di Dio”. [65]
    Don Bosco, come prima Paolo, era convinto che una felicità piena e durevole solo è possibile vivendo in grazia, agendo da cristiano. Senza escludere il valore pedagogico della gioia, come ambiente da respirare nelle sue opere, [66] e la sua mancanza, come criterio di diagnosi infallibile per giudicare il loro disagio ed efficacia educativa, [67] per don Bosco l’allegria ha il suo fondamento in Dio: [68] “Don Bosco in essa vede un’imprescindibile manifestazione della vita di grazia… La vita in santa allegria è appunto il modo di vita cristiana che don Bosco intende proporre ai giovani”. [69]
    E proprio per questo, oltre a curare fino al dettaglio altre espressioni più vistose di allegria nell’Oratorio, [70] don Bosco mise, e difese, la pratica sacramentale come mezzo ordinario e indispensabile di educazione integrale: “Dicasi quanto si vuole intorno ai vari sistemi di educazione, ma io non trovo alcuna base sicura, se non nella frequenza della confessione e comunione”. [71] E sulle pagine scritte da lui sul sistema preventivo, quel breve trattato in cui “è ancorata la sua fama di educatore pedagogista”, [72] don Bosco lo afferma con forza: “La frequente confessione, la frequente comunione, la messa quotidiana sono le colonne che devono reggere un edifizio educativo, da cui si vuole tener lontano la minaccia e la sferza”. E consiglia a continuazione che si sottolinei spesso ai giovani “la bellezza, la grandezza, la santità di quella Religione che propone dei mezzi così facili, così utili alla civile società, alla tranquillità del cuore, alla salvezza dell’anima come appunto sono i santi Sacramenti”. [73]
    Rimarchevole mi sembra, e molto, che don Bosco privilegi la confessione come “chiave dell’educazione”. In essa apprezzava lo stesso stile di avvicinare il giovane che lui utilizzava all’interno del processo educativo: “si tratta della medesima paternità, amicizia e confidenza che risvegliano nel giovane l’attenzione ai movimenti della grazia”. [74] “Il secondo sostegno della gioventù è la santa comunione”, scrisse nel cenno biografico del Besucco. [75] E nella vita di Savio fa dire al suo protagonista “Se poi voglio qualche cosa di grande, vo a ricevere l’Ostia santa… Che cosa mi manca per essere felice? Nulla in questo mondo… Di qui – commenta don Bosco – nasceva quella ilarità, quella gioia celeste che traspariva in tutte le sue azioni”. [76] Non c’è dubbio, Gesù Cristo, raggiunto nei sacramenti, “domina la vita spirituale di don Bosco e dell’ambiente che lui ha al centro” [77]. Essere con Lui, in Lui, è motivo di gioia.
    “Tra gli ostacoli alla nuova evangelizzarne c’è proprio la mancanza di gioia e di speranza […] Spesso questa mancanza di gioia e di speranza sono così forti da intaccare lo stesso tessuto delle nostre comunità cristiane […]. Possa il mondo del nostro tempo, che cerca ora nell’angoscia, ora nella speranza, ricevere la Buona Novella non da evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti e ansiosi, ma da ministri del Vangelo, la cui vita irradi fervore, che abbiano per primi ricevuto in loro la gioia del Cristo, e accettino di mettere in gioco la propria vita affinché il Regno sia annunziato e la Chiesa sia impiantata nel cuore del mondo». [78]
    Salesiani e salesiane, come gli altri membri della Famiglia Salesiana, sentiamoci fieri di aver ricevuto da don Bosco una eredità pedagogica che ha saputo fare della gioia non solo una esperienza quotidiana di vita, ma soprattutto il cammino salesiano verso la santità, verso Dio. Niente di strano, dunque, che le parole “gioia”, “gioioso” abbiano “un onorevole posto” [79] nelle nostre Costituzioni, dove sono state accolte come “tratto costitutivo” [80] del carisma salesiano. E così debbono rimanere.


    NOTE

    1 P. CHÁVEZ, Come Don Bosco offriamo ai giovani il vangelo della gioia attraverso la pedagogia della bontà. Strenna 2013, Direzione Generale Opere Don Bosco, Roma, 2012, 3.
    2 Chiama l’attenzione il fatto che tra le 93 citazioni bibliche della lettera ai Filippesi trovate negli scritti di Don Bosco (F. PERRENCHIO, La Bibbia negli scritti di Don Bosco, LAS, Roma, 2010, 24), non ci siano Fil 4,4. Cfr. M. WIRTH, La Bibbia con Don Bosco. Una lectio divina salesiana. Vol. III: Atti, Lettere, Apocalisse, LAS, Roma, 2012, 365-385).
    3 “Servite Domino in laetitia era il moto d’intercalare tra i suoi diletti; e questa santa allegria formava per lui la base del suo edificio sociale per la sicura educazione della gioventù” (MB VI, 4). La formula “caratterizza tutta la sua proposta educativa” (A. GIRAUDO, Don Bosco, maestro de vida espiritual. Servid al Señor con alegría, CCS, Madrid, 2012, 40) e rappresenta uno dei “grandi valori della santità salesiana” (E. VIGANÒ, Lettere circolari ai salesiani. Vol. I, Direzione Generale Opere Don Bosco, Roma 1996, 536)
    4 “Don Bosco seppe vedere la funzione della gioia nella formazione e nella vita della santità, e volle diffusa tra i suoi la gaiezza e il buon umore. Servite Domino in laetitia poteva dirsi in casa di Don Bosco l’undecimo comandamento” (A. CAVIGLIA, “Il ‘Magone Michele’. Una classica esperienza educativa. Studio”: Salesianum 11 (1949) 466).
    5 CHÁVEZ, Strenna 2013, 19.
    6 BENEDETTO XVI, Messaggio per la XXVII Giornata Mondiale della Gioventù 2012, n. 2. Cfr.
    https://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/messages/youth/documents/hf_ben-xvi_mes_20120315_youth_it.html
    7 BENEDETTO XVI, L’infanzia di Gesù, Rizzoli – LEV, Roma, 2012, 38. Paolo utilizza il verbo chaírein 19 volte, di cui 10 in Fil (1,18; 2,17.18.28; 3,1; 4,4.10); e il sostantivo chara, 21 volte, di cui 5 in Fil (1,4.25; 2,2.29; 4,1).
    8 BENEDETTO XVI, Messaggio per la XXVII Giornata Mondiale della Gioventù 2012, proemio. Cfr.
    https://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/messages/youth/documents/hf_ben-xvi_mes_20120315_youth_it.html
    9 “Chi si è avvicinato a Lui e ha fatto esperienza del suo amore vuole subito condividere la bellezza di questo incontro e la gioia che nasce da questa amicizia” (BENEDETTO XVI, Messaggio per la XXVIII Giornata Mondiale della Gioventù 2013, n. 3. Cfr. https://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/messages/youth/documents/hf_ben-xvi_mes_20121018_youth_it.html)
    10 Bella e indovinata la presentazione di Benedetto XVI: “Dio vuole renderci partecipi della sua gioia, divina ed eterna, facendoci scoprire che il valore e il senso profondo della nostra vita sta nell’essere accettato, accolto e amato da Lui, e non con un’accoglienza fragile come può essere quella umana, ma con un’accoglienza incondizionata come è quella divina: io sono voluto, ho un posto nel mondo e nella storia, sono amato personalmente da Dio. E se Dio mi accetta, mi ama e io ne divento sicuro, so in modo chiaro e certo che è bene che io ci sia, che esista. Questo amore infinito di Dio per ciascuno di noi si manifesta in modo pieno in Gesù Cristo” (Messaggio per la XXVII Giornata Mondiale della Gioventù, 2012, n.2).
    11 Paolo adopera la formula in Cristo 34 volte, una in Fil 1,13; in Cristo Gesù, 48, quattro in Fil 1,1; 2,5; 4,7.21); nel Signore, 50, sei in Fil 1,14; 2,24.28; 3,1; 4,2.4; in Lui, 29.
    12 Una simile formulazione non ha, sembra, antecedenti né paralleli nell’antichità (M. D. HOOKER, A Preface to Paul, Oxford University Press, New York, 1980, 43). Assente nei sinottici, ricorre solo in 1 Pt (3,16.19; 5,10.14), e specialmente Gv (6,56; 14,20; 15,2.4-7; 16,33; 17,21; 1 Gv 2,5.6.8.24.27).
    13 Nel pensiero dell’apostolo la comunità o chiesa non è la somma degli individui, ma un tutto ‘nel Signore’. Tutti i credenti costituiscono l’ambito della sovranità, in cui Gesù è creduto ed invocato come Kyrios" (T TRILLING W., Conversaciones con Pablo. Un recorrido original por la obra del Apóstol, Herder, Barcelona 1985, 155).
    14 Cfr. F. NEYRINCK, “La dottrina di Paolo su “Cristo in noi” – “Noi in Cristo’”, Conc 5 (1969) 2025-2038.
    15 G. BARBAGLIO, Le Lettere di Paolo. Vol. 2, Borla, Roma, 1980, 586.
    16 J. GNILKA, Der Philipperbrief, Herder, Freiburg – Basel – Wien, 1980 3 , 169.
    17 Significativo il commento che aggiunge: “Ma questo che importa? Purché in ogni maniera… Cristo venga annunziato, io me ne rallegro e continuerò a rallegrarmi” (Fil 1,18). La gioia dell’apostolo non proviene dal suo successo personale, ma dal fatto che il vangelo venga annunziato.
    18 “Was berechtigt, diesen Pädagogen als ‘Botschafter der Freude’ zu apostrophieren? Seine eigene Frohnatur und ihre Entfaltung im Dienst an der Jugend sowie sein Gespür für die Bedeutung der Freude in der Erziehung und seine erfinderische Kraft, in der Erschliessung ungetrübter Freudenquellen” (G. SÖLL, Don Bosco – Botschafter der Freude. Gedanken zu einem Grundzug salesianischer Pädagogik, Don Bosco Aktuell. Schriftenreihe des Kölner Kreises 11 [1977] 13).
    19 Lettera a Presidente Brulart, Annecy, 18 febbraio 1605, in Oeuvres, Vol. XIII, Annecy 1892-1964, 16.
    20 PAOLO VI, Gaudete in Domino, Esortazione apostolica, 9 maggio 1975, conclusione. Cfr. https://www.vatican.va/holy_father/paul_vi/apost_exhortations/documents/hf_p-vi_exh_19750509_gaudete-in-domino_it.html
    21 P. BRAIDO, Prevenire non reprimere. Il sistema educativo di don Bosco, LAS, Roma, 1999, 324. Il successo nell’educazione dipende in prima linea dell’ambiente in cui si realizza: “Die Umwelt formt den jungen Menschen, die Persönlichkeit führt und erzieht ihn. Don Bosco kann als Paradigma für die Formkraft der Umwelt genommen werden” (F. S. EGGERSDORFER, Jugenderziehung, Kösel Verlag, München 1962, 82).
    22 J. M. PETITCLERC, La Pedagogie de Don Bosco en 12 mots clés, Editions Don Bosco, Paris, 2012, 114.
    23 “L’aspirazione alla gioia è impressa nell’intimo dell’essere umano. Al di là delle soddisfazioni immediate e passeggere, il nostro cuore cerca la gioia profonda, piena e duratura, che possa dare «sapore» all’esistenza. E ciò vale soprattutto per voi, perché la giovinezza è un periodo di continua scoperta della vita, del mondo, degli altri e di se stessi. È un tempo di apertura verso il futuro, in cui si manifestano i grandi desideri di felicità, di amicizia, di condivisione e di verità, in cui si è mossi da ideali e si concepiscono progetti” (BENEDETTO XVI, Messaggio per la XXVII Giornata Mondiale della Gioventù 2012, n. 1. Cfr.
    https://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/messages/youth/documents/hf_ben-xvi_mes_20120315_youth_it.html).
    24 P. BRAIDO, Il sistema preventivo di Don Bosco, PAS-Verlag, Zürich 1964.
    25 BRAIDO, Prevenire, 325. “L’idea che la vita cristiana consiste nel servire il Signore in santa allegria non ha fonte immediata; invece, nella sua formulazione letteraria trova corrispondenza trasparente con una determinata espressione della Vita di Comollo che don Bosco aveva pubblicato tre anni prima… Ci si presenta come una delle idee più feconde e più peculiari del patrimonio di don Bosco” (STELLA, Valori, 84)
    26 “Sappi – fa dire don Bosco a Domenico Savio al suo amico Camillo Gavio – che noi facciamo consistere la santità nello star molto allegri” (G. BOSCO, Vita del giovanetto Savio Domenico allievo dell’Oratorio di S. Francesco di Sales, Paravia, Torino 1859, 86: OE XI, 236).
    27 CAVIGLIA, “Il Magone”, 149.
    28 Questo vangelo della gioia, la cui metodologia è l’amorevolezza, ha come mèta, “la santità, che ha la gioia come punto di partenza e come punto di arrivo” (I. REUNGOAT, “Il Sinodo: dono e responsabilità”, Lettera circolare 932 (2012) 7.
    29 G. BOSCO, Il giovane provveduto per la pratica de’ suoi doveri, degli esercizi di cristiana pietà, per la recita dell’uffizio della Beata Vergine e de’ principali Vespri dell’anno coll’aggiunta di una scelta di laude sacre ecc., Tip. Paravia e comp., Torino, 1847: OE II 183-532. “Ma già da qualche anno il santo autore si era preoccupato di esso” (P. STELLA, Valori spirituali nel “Giovane provveduto” di San Giovanni Bosco, Roma, 1960, 3). Sulle circostanze dell’edizione, vedi MB III, 8s. Sulle possibile fonti utilizzate da don Bosco per scriverlo, vedi STELLA, Valori, 46-79.
    30 Con J. AUBRY, Avec Don Bosco vers l’ans 2000. Vingt conférences salésiennes, Maison Généralice Salésienne, Roma, 1990, 55, il tema della gioia nel pensiero e la prassi educativa di don Bosco dovrebbe considerare, oltre il Giovane provveduto (1847), le tre biografie di giovani esemplari (Savio: 1859; Magone: 1861; Besucco: 1864) e i due più importanti studi pedagogici: Il sistema preventivo (1877) e la Lettera da Roma (1884), “rédigés a trois moments-clefs de sa vie”.
    31 P. BRAIDO, Don Bosco prete dei giovani nel secolo delle libertà, vol. I, LAS, Roma, 2003 2, 227.
    32 BOSCO, Il giovane 3-4: OE II 185-186. “Ma (taluni diranno) se cominciamo al presente a servire il Signore, diventiamo malinconici. Non è vero, sarà malinconico colui che serve il demonio… Coraggio adunque, miei cari, datevi per tempo alla virtù, e vi assicuro, che avrete sempre un cuore allegro e contento e conoscerete quanto sia dolce servire al Signore” (o. c., 13: OE II 193).
    33 “Codice fondamentale per le pratiche di pietà all’Oratorio, sia per gli esterni che per gl’interni, fu il Giovane provveduto: sia per i giovani che per gli adulti, per i laici e per i chierici” (STELLA, Don Bosco II, 304). Ma pensare che fosse semplicemente un manuale di devozione è “il primo pregiudizio da sfatare” (STELLA, Valori, 80).
    34 BOSCO, Il giovane, 5: OE II 187.
    35 “Si è portati a considerare Il Giovane provveduto per la pratica dei suoi doveri negli esercizi di cristiana pietà (1847) come un semplice manuale di preghiere e pratiche devote, ma Don Bosco propriamente intendeva farne come un metodo di vita; sia con la parte devozionale; sia anche con la parte previa di istruzioni circa il modo religioso di intendere il proprio essere, il creato, il proprio divenire fine all’adolescenza, le manifestazioni quotidiane della vita…” (P. STELLA, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol. I: Vita e Opere, PAS-Verlag, Zürich 1968, 235).
    36 STELLA, Valori, 81. Un programma “al cui il santo si mantenne fedele fino all’ultimo dei suoi giorni” (ivi)
    37 Cfr. F. DESRAMAUT, “All’ascolto di don Bosco nel 1867”, in C. SEMERARO (a cura di), Religiosità popolare a misura dei giovani, Colloqui salesiani, 13, LDC, Leuman-Torino 1987, 103.
    38 BRAIDO, Don Bosco I, 229. Secondo A. CAVIGLIA don Bosco avrebbe avuto la originalità di inserire nell’educazione, “la sua trionfante novità, ch’è quella dell’allegria aperta e vivace, anche rumorosa, condivisa dall’educatore” (“Un documento inesplorato. La ‘Vita di Besucco Francesco’ scritta da Don Bosco e il suo contenuto spirituale”: Salesianum 10 [1948] 655-656).
    39 Cfr. P. STELLA, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol. II: Mentalità religiosa e Spiritualità, LAS, Roma 1981 2 , 187, che mostra la dipendenza di don Bosco da un manualetto di ascetica per adolescenti, e cioè Guida angelica, ossia pratiche istruzioni per la gioventù. Opera utilissima a ciascun giovanetto, data alla luce da un sacerdote secolare milanese. Corretta ed accresciuta, Torino, Stamperia Reale, 1767; si veda pure, STELLA, Valori, 46-79.
    40 “Il Giovane provveduto ci si è rivelato come il luminoso programma di spiritualità giovanile santamente allegra, a cui il Santo si è ispirato. La vitalità di un tale metodo di vita non ha misura, perché essa traduce le istanze dell’animo giovanile di tutti i tempi… Metodo di vita che non ha mancato e non mancherà di trascinare i giovani verso la loro realizzazione e che a buon diritto può meritare a don Bosco il titolo di Maestro della Santità giovanile” (STELLA, Valori, 128).
    41 Cfr. STELLA, Don Bosco I, 103-108. A. CAVIGLIA parla di una pedagogia del povero, della quale don Bosco sarebbe stato “l’iniziatore e il classico modello”: “un’intera sistematica concezione, che parte dalla vita e dalla psicologia del povero e s’immedesima con esso, per elevarne il livello morale e spirituale” (La Vita di Domenico Savio e “Savio Domenico e Don Bosco”. Studio, SEI, Torino 1943, 75).
    42 BOSCO, Il giovane, 5-6: OE II 187-188.
    43 CAVIGLIA, “Un documento”, 656.
    44 BRAIDO, Prevenire, 328.183. “Come si possono rianimare questi miei cari giovani, acciocché riprendano l’antica vivacità, allegrezza, espansione? Coll’amore! Amore? Ma i miei giovani non sono amati abbastanza? Tu lo sai se io li amo… Ho fatto quanto ho potuto e saputo per coloro che formano l’affetto di tutta la mia vita” (Lettera alla comunità salesiana dell’Oratorio di Valdocco, Roma, 10 maggio 1884, in P. BRAIDO (Ed.), Don Bosco Educatore. Scritti e testimonianze LAS, Roma, 1992, 380-381).
    45 “Un impegno certamente caro a Don Bosco è portare a contatto i giovani con la Scrittura”, però sua finalità non è fare scuola di Bibbia, “ma fa scuola, educa [loro] con la Bibbia” (C. BISSOLI, “La Bibbia nel cuore di Don Bosco, in WIRTH, La Bibbia. III, 597.596).
    46 Lettera a don Rua, gennaio-febbraio 1870: OE II, 70-71. “Io vivo qui [a Roma] col corpo, ma il mio cuore, i miei pensieri e fin le mie parola sono sempre all’Oratorio, in mezzo a voi. È questa una debolezza, ma non la posso vincere” (Lettera a don Rua, 9 febbraio 1872: OE II, 193).
    47 Nella lettera da Roma del 1884 “la causa della deprecata decadenza educativa era appunto questa: non amare ciò che piace ai giovani, e soprattutto la vita gioiosa, specialmente nel cortile”, BRAIDO, Il Sistema, 197).
    48 Don Bosco sarebbe stato “der Heilige der Erzieherliebe”. “Wohl niemand aber hat bewusster die gegenseitige Achtung und Liebe zum Fundament des Gehorsams und Erfolgs in der Erziehung genommen als Don Bosco. Nicht von aussen erwartet er sich alle pädagogische Wirkung, sondern ausschliesslich von innen” (EGGERSDORFER, Jungenderziehung, 246. 230)
    49 BOSCO, Il giovane 3-4: OE II 185-186.
    50 “S’il est un mot qui caractérise l’ambiance d’une maison salésienne, c’est la joie. Il s’agit, je pense, du meilleur indicateur d’ un réelle mise en œuvre de la pédagogie salésienne. Se l’enfant se sent aimé, pris en compte de manière personnalisé, libre de s’exprimer, soutenu dans ses difficultés, reconnu dans ses talents, valorisé dans sa progression, alors la joie ne tardera pas a illuminer son visage (PETITCLERC, La Pedagogie, 109)
    51 “Il y avait dressé un programme spirituel parfaitement adapté à la jeunesse. Sa ‘méthode de vie’ correspondait aux désirs de l’âme jeune de tous les temps. Son idéalisme et son aspiration à la joie y étaient intelligemment combinés avec un style de sainteté détendue” (F. DESRAMAUT, Don Bosco en son temps (1815-1888), SEI, Torino, 1996, 249).
    52 “Io sono contento che vi divertiate, che giochiate, che siate allegri; è questo un metodo per farvi santi, come S. Luigi” (MB XI, 231; cfr. MB VII, 159).
    53 AUBRY, Avec don Bosco, 58, lo considera “l’inspiration géniale de don Bosco”
    54 “C’est pourquoi non ne peut pas concevoir un milieu vraiment salésien où ne serait pas faite sous une forme adaptée une ‘proposition’ de spiritualité juvénile, mais surtout où il n’y aurait pas effectivement ‘allégresse’… On ne peut concevoir une spiritualité salésienne de jeunes sans expérience de la béatitude évangélique reçue et communiquée” (AUBRY, Avec Don Bosco, 79).
    55 Cfr. MB, VI 401; VIII, 92.751; IX, 7; XV, 830.
    56BOSCO, Il giovane 28: OE II 208
    57 Il Progetto di vita dei salesiani di don Bosco. Guida alla lettura delle Costituzioni salesiane, Direzione Generale Opere Don Bosco, Roma, 1986,192.
    58 Parlando ai giovani, il papa presenta Pier Giorgio Frassati (1901-1925) come modello: “ha sperimentato tante prove nella sua pur breve esistenza, tra cui una, riguardante la sua vita sentimentale, che lo aveva ferito in modo profondo. Proprio in questa situazione, scriveva alla sorella: «Tu mi domandi se sono allegro; e come non potrei esserlo? Finché la Fede mi darà forza sempre allegro! Ogni cattolico non può non essere allegro... Lo scopo per cui noi siamo stati creati ci addita la via seminata sia pure di molte spine, ma non una triste via: essa è allegria anche attraverso i dolori» (Lettera alla sorella Luciana, Torino, 14 febbraio 1925) (BENEDETTO XVI, Messaggio per la XXVII Giornata Mondiale della Gioventù 2012, n. 6. Cfr. https://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/messages/youth/documents/hf_ben-xvi_mes_20120315_youth_it.html)
    59 MB III, 32-36. Chiama l’attenzione il fatto che don Bosco, anche se manifestò aver avuto il sogno ripetutamente, nel 1847, 1848, 1856, lo raccontò “diciassette anni dopo che era avvenuto”, nel 1864, “a coloro che già appartenevano alla sua Congregazione”.
    60 Ibidem, 193.
    61 MB XVIII 376 (Commento di don Bosco al coadiutore Enria, il 15 agosto 1887, dopo aver conosciuto l’esonero di don Dalmazzo per mandato papale dagli incarichi di parroco del Sacro Cuore, Roma, e da procuratore generale della Congregazione).
    62 BOSCO, Il giovane, 2: OE II 186.
    63 AUBRY, Avec Don Bosco, 79-80.
    64 CHÁVEZ, Strenna 2013, 20.
    65 MB XII, 133. “Solo la religione e la grazia di Dio può rendere l’uomo contento e felice” (G. BOSCO, La forza della buona educazione. Curioso episodio contemporaneo, Torino, Paravia, 1855, 46). “La sola pratica costante de la religione può renderci felici nel tempo e nell’eternità” (G. BOSCO, Il Pastorello delle Alpi ovvero Vita del giovane Besucco Francesco d’Argentera, Torino, Tip. Oratorio di S. Francesco di Sales, 1864, 180).
    66 “La joie est la composante essentielle de cette ambiance éducative qui caractérise les maisons salésiennes, au point qu’on ne puisse concevoir une action éducative salésienne sans se préoccuper de la qualité de cette ambiance” (PETITCLERC, La Pedagogie, 112).
    67 Esempio esimio sono le due lettere spedite da Roma, nel maggio 1884, “uno dei più efficaci e dei più ricchi documenti pedagogici di don Bosco” (STELLA, Don Bosco II, 469). Cfr. P. BRAIDO, “Due lettere datate da Roma, 10 maggio 1884”, en Don Bosco Educatore 344-390; J. M. PRELLEZZO, “La(s) ‘carta(s)’ de Roma (1884), CFP 17 (2011) 179-201.
    68 “Uomo allegro il Ciel aiuta” (MB IX 879). “Die Frömmigkeit des Heiligen war durch eine einzigartige Fröhlichkeit gekennzeichnet, eine dauerhafte Freude, die keinen launischen Schwankungen unterlag… Die Freude war bei dem Mann aus Turin der Pulsschlaf seines Herzens, weil es eine ganz und gar in Gott gegründete Freude war” (W. NIGG, Don Bosco, ein zeitloser Heiliger, Don Bosco Verlag, München 1977, 133).
    69 STELLA, Valori, 84. “Persuaso dunque intimamente per esperienza personale che allegria e vita cristiana non sono in contrasto, pone la sua cura di educatore cristiano a dosare insegnamenti e pratica religiosa dei giovani, in modo da renderli compartecipi sempre più maturi della sua persuasione, che la vita cristiana non solo è affatto triste per sua natura, ma anche per sua natura è portata a espandersi nell’allegria” (STELLA, Don Bosco. II, 190).
    70 I giochi e la ricreazione in cortile, la ginnastica, le feste, il teatro e la declamazione, la musica e il canto, le passeggiate appartengono alla “pedagogia della gioia”, messa in atto da don Bosco: “sono mezzi efficacissimi per ottenere la disciplina, giovare alla moralità ed alla santità” (G. BOSCO, Inaugurazione del Patronato di S. Pietro in Nizza a mare. Scopo del medesimo esposto dal sacerdote Giovanni Bosco con appendice sul sistema preventivo nella educazione della gioventù, Tip. e Libr. Salesiana, 1877, 28). Cfr. BRAIDO, Prevenire, 324-337.
    71 BOSCO, Il Pastorello,100: OE XV, 342. “Due sono le ali per volare a cielo: la confessione e la comunione” (MB VII, 50).
    72 BRAIDO, Don Bosco Educatore, 205. Don Bosco amava le feste dell’Oratorio “per la gloria che arrecavano a Dio e per il gran bene che producevano ai giovani, specialmente coi sacramenti” (MB IX, 666)
    73 BOSCO, Inaugurazione, 28. “Il primo metodo per educar bene è il far buone confessioni e buone comunioni” (MB IV, 555). “Quando nelle case si trascura la frequenza ai santi Sacramenti, queste non possono prosperare” (MB XIII, 643). Cfr. MB III, 355; VI, 145; XI, 221.
    74 CG21, 93.
    75 BOSCO, Il Pastorello 105: OE XV, 347. Commenta don Viganò: “Don Bosco considerava la pedagogia eucaristica come punto culminante della sua prassi educativa” (E. VIGANÒ, “Spiritualità Salesiana per la nuova evangelizzazione”, in Lettere Circolari, Vol. III, Direzione Generale Opere Don Bosco, Roma, 1996, 1065.)
    76 G. BOSCO, Vita del giovanetto Savio Domenico allievo dell’Oratorio di S. Francesco di Sales, Paravia, Torino, 1859, 69: OE XI, 219.
    77 STELLA, Don Bosco II; 107.
    78 SINODO DEI VESCOVI. XIII Assemblea, La Nuova Evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana. Lineamenta, Roma, 2011, n. 25. Cfr. Paolo VI, Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975), n. 80: AAS 68 (1976) 75.
    79 F. DESRAUMAUT, Spiritualità Salesiana. Cento parole chiave, LAS, Roma 2001, 333. Cfr. A. STRUS, “Ottimismo e gioia”, in J. J. BARTOLOME – F. PERRENCHIO, Parola di Dio e spirito salesiano, ElleDiCi, Leumann 1996, 283-296.
    80 C. BISSOLI, “Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti” (Fil 4,4). Lectio divina (salesiana) sulla Strenna del Rettor Maggiore per il 2013”: NPG 46 (2012) 32.


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