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    Introduzione alla

    lettura di un testo della

    Tradizione Salesiana

    Necessità di un accostamento ermeneutico
    alle fonti salesiane *

    Francesco Motto

    La lettura delle fonti storiche salesiane, come di qualunque fonte storica, senza la guida di alcuni principi ermeneutici potrebbe essere rischiosa, addirittura controproducente, per chi è interessato a scoprire lo spirito salesiano, la spiritualità di Don Bosco, di S. Maria Mazzarello e di altri salesiani, onde viverli ai nostri giorni.
    Si tratta infatti di scritti di 100-150 anni fa, che rispecchiano necessariamente la cultura, la situazione di un'epoca ben diversa dall'attuale. Inoltre si tratta di «ideale» vissuto da Don Bosco e dai suoi primi discepoli, piuttosto che definito. Non è pertanto facile ritornare alla genuinità di tale ideale. Si potrebbe scambiare ciò che si spiega a causa dei tempi con ciò che invece è il proprium, la sostanza dello spirito, al quale si può ritornare in ogni epoca.
    In altre parole: ai testi della tradizione salesiana, così come ad ogni fonte storica, ci si deve accostare con un preciso sguardo ermeneutico.

    1. Il problema ermeneutico

    Il problema ermeneutico ha assunto grandissima importanza da quando ci si è accorti della storicità di ogni manifestazione umana. Storicità nel senso che tutte le attività dello spirito umano (e quindi anche quelle legate alla fede ed alla grazia) sono condizionate dall'ambiente storico in cui vive l'uomo, nel quale c'è un preciso modo di comprendere il mondo, la società, l'uomo, Dio stesso. L'ermeneutica ( = interpretazione, spiegazione, traduzione), sorta come « scienza» (o arte) di interpretare correttamente documenti scritti, specialmente antichi, ha assunto via via un significato più ampio. Si potrebbe definirla:
    - la scienza (in senso lato) di «comprendere» un documento, un gesto, un avvenimento cogliendone tutti i sensi, anche quelli non avvertiti dal suo autore o attore:
    – una metodica, che si avvicina alla spiegazione e si applica a tutte le forme nelle quali si esprime lo spirito dell'uomo (e che quindi veicolano un significato);
    – il ponte tra una tradizione (lingua, formula...) propria di una cultura passata, che diventa sempre più incomprensibile, e una cultura che invece la vuole in qualche modo «comprendere» per poterla conservare.
    I concetti, le espressioni linguistiche sono sempre relativi all'ambiente che li ha prodotti, alle consuetudini culturali, agli atteggiamenti spirituali dell'epoca. Pertanto se si vuole mantenere il legame con quel testo, con quel passato, con quella tradizione, si deve interpretarla, riesprimerla in linguaggio attuale, conforme al nostro ambiente, toglier loro, per così dire la polvere del tempo, per riscoprirne il nucleo, la sostanza, il valore.
    L'ermeneuta è come il traduttore: deve « comprendere » perfettamente nelle sue coordinate culturali, sociali, politiche... ciò che deve tradurre (e che è estraneo ai suoi ascoltatori) e deve saperlo riesprimere in un equivalente linguaggio familiare, comprensibile ai suoi ascoltatori, vale a dire integrato nel loro sistema di rappresentazione. (Qui si comprende la difficoltà di traduzione di testi in altre lingue semplicemente tramite un cervello elettronico.)
    Anche a seguito delle pubblicazioni di F. Schleiermacher, W. Dilthey, M. Heiddeger, H.G. Gadamer, P. Ricoeur e di altri, l'ermeneutica, applicata inizialmente alle scienze bibliche e giuridiche, è sconfinata praticamente in tutte le scienze antropologiche, teologiche, storiche, e soprattutto nelle scienze del linguaggio, fino a diventare, nella riflessione filosofica, la teoria generale della « comprensione a. Oggi è acceso il dibattito circa la strutturazione filosofica dell'ermeneutica, la «questione ermeneutica», l'ermeneutica intesa sia come teoria epistemologica dell'interpretare, sia come pratica interpretativa, sia come struttura originaria dell'essere storico.

    2. Necessità di un accostamento ermeneutico alle fonti salesiane

    Noi servendoci dell'ermeneutica vogliamo risalire ad un altro spirito, distinto dal nostro, e tuttavia vicino al nostro; vogliamo conoscerlo perché fa appello alla nostra intelligenza ed alla nostra volontà di vivere lo spirito di Don Bosco e della tradizione che da lui ha avuto origine. Mediante le fonti salesiane vogliamo imparare a conoscere lo spirito di Don Bosco, altro dal nostro, oggi, ma tuttavia imparentato con quello, perché vogliamo essere fedeli al fondatore.
    La più grave difficoltà nasce – ormai lo si sarà intuito – dal fatto che fra il tempo di Don Bosco ed il nostro si è verificata una rottura della tradizione, della teologia, della cultura in genere. Oggi poi che si parla di « svolta epocale »... I presupposti filosofici, teologici, i metodi educativi, i sistemi di governo, le scelte di valore, le forme di relazione di oggi hanno poco a che vedere con quelli del tempo di Don Bosco, della Mazzarello, per non dire di quelli di S. Francesco di Sales. Alcune espressioni di Don Bosco, alcune sue posizioni teoriche e pratiche. alcuni suoi modi concreti di vivere il rapporto con Dio e con la società non sono più perfettamente comprensibili ai nostri giorni, perché il contesto in cui li rileggiamo e li consideriamo è radicalmente mutato. Eppure non possiamo non essere fedeli a Don Bosco e alla tradizione salesiana.
    Una seconda difficoltà nasce dal fatto che Don Bosco stesso, per conto suo, era già sovraccarico di tradizione: la sua cultura teologica, religiosa, ascetica ecc. era tutta legata al passato, quasi immobile, e per di più impoverito per la crisi sociopolitico culturale che aveva accompagnato la rivoluzione francese. Anche la sua esperienza di vita, la religiosità familiare, contadina, con «le virtù della sua gente », sono tutte tradizionali. L'armamentario teologico di Don Bosco, il suo lessico fanno parte di una tradizione cristiana. E ciononostante Don Bosco fu innovativo nella vita vissuta e nella sua esperienza.
    Se poi pensiamo che i suoi orizzonti furono più ampi delle sue realizzazioni, e se consideriamo le enormi dilatazioni contenute nei suoi discorsi, nei suoi sogni e nei suoi desideri, ci sarebbe molto da riflettere sui compiti che attende la famiglia salesiana.
    Il problema numero uno oggi è dato dal fatto che per essere fedeli a Don Bosco (e alla tradizione salesiana) non basta ripetere le sue frasi. Per formulare la spiritualità salesiana non sono sufficienti la custodia e la diffusione delle espressioni tipiche di Don Bosco e dei suoi successori. Non è detto che ripetendo pedissequamente le formule, comprendiamo l'identità. Si corre il forte rischio di farsi cullare in una micidiale illusione. Il tempo, la storia e le epoche non sono intercambiabili a piacimento. Se pretendiamo di poter dire nel nostro tempo ciò che è lo spirito salesiano, quali sono gli atteggiamenti salesiani verso il mondo, la chiesa, i giovani, la comunicazione sociale ecc., usando invariate le frasi di Don Bosco, è pretendere di far tornare indietro il tempo e la storia.
    La soluzione è quella di fare « attenta» lettura di quelle fonti che meglio mettono in risalto il significato e l'importanza che esse hanno attualmente per noi, chiamati ad essere fedeli a Don Bosco e al suo spirito, alla vigilia del terzo millennio dopo Cristo. Perché tale scelta? Rispondiamo. Io posso comprendere solo ciò di cui, pensando ed agendo, posso realizzare il significato profondo che ha per me, per la mia vita, e cioè posso farlo mio, perché ha qualche cosa da dire alla mia vita ed al mio pensiero. Perciò per comprendere delle fonti storiche è necessario che le mie categorie si concordino – in qualche modo – con quelle delle fonti che voglio comprendere. Quando riesco a fare ciò?
    Ci riesco quando leggo testi contemporanei, perché il rapporto con la realtà è identico o analogo sia in colui che ha vergato il testo sia in me che lo leggo: in tal modo avviene la comunicazione. Ma se le categorie dello scrittore e del lettore sono diverse, se adottano due codici linguistici diversi, allora è impossibile comprendere il discorso. In termini radiofonici si direbbe che c'è una diversa frequenza o lunghezza d'onda fra trasmittente e ricettore. Allora non capisco il senso profondo del testo che leggo: non avviene il processo di identificazione.
    La lettura ermeneutica vuole supplire a tale incomunicabilità, vuole eliminare il fenomeno negativo consistente nel fatto che, pur leggendo testi preziosi di Don Bosco e di altri salesiani, non comprendiamo come possano aiutarci oggi a vivere su una scia di una tradizione, che ancora ci affascina.
    Facciamo quattro esempi, che per altro credo noti, ma comunque sempre utili alla comprensione di ciò che stiamo dicendo.

    1. Il Da mihi animas, caetera tolle è il motto che Don Bosco prese quando divenne diacono: lo derivava probabilmente dalle letture che faceva in seminario. Nella «vita» di Domenico Savio Don Bosco offre una lettura allegorica ed inequivocabile del termine: con animas intende l'elemento spirituale dell'uomo, così come leggeva nella letteratura ascetica e pastorale di ispirazione tridentina che aveva sotto mano. Il passo biblico (Gen. 14, 21) diventa così, sulle labbra di Don Bosco, una formula giaculatoria, eucologica, una formula di preghiera, oltre che l'espressione della sua opzione fondamentale: dunque un dialogo fra Don Bosco e Dio in ordine ad una finalità religiosa.
    Ora non va trascurato il fatto che la lettura accomodatizia di Don Bosco ha un forte impatto con la sua esperienza apostolica.
    a) Le anime del Da mihi animas diventano i «ragazzi concreti» che Don Bosco aveva dinnanzi, quelli dei tempi di pauperismo in cui viveva, coi quali aveva a che fare. Quando invece don Michele Rua, all'inizio di questo secolo, cita la stessa frase il quadro sociale in cui parla è diverso: è il tempo del movimento operaio, ben lontano dunque dal pauperismo dei tempi di don Bosco. Dunque anche le anime, i giovani concreti sono diversi. E ancor più diversi saranno i giovani intesi da noi, che adottiamo oggi l'identica espressione, magari inserendola nelle Costituzioni rinnovate.
    b) Analogamente si può dire per il Coetera tolle (distacco dalle cose e dalle creature). In Don Bosco non è traducibile nel senso di annegamento di sé in Dio come nella teologia contemplativa. Don Bosco si pone su un'altra linea: quella della teologia spirituale attiva, pratica, tendente all'azione, sotto lo stimolo dell'urgenza e della consapevolezza di una missione celeste. Mentre altri danno largo spazio, all'interno della propria coscienza, all'impegno psicologico per portarsi ad uno
    stato di unione con Dio nella preghiera, in Don Bosco il senso dell'operosità dà al distacco un'accezione particolare. In vista dell'azione apostolica il distacco è uno stato d'animo necessario per la più assoluta libertà e disponibilità alle esigenze dell'apostolato stesso.
    In Don Bosco il distacco è sì vicino a S. Alfonso per il quale la perfezione cristiana sta nella conformità alla volontà di Dio, ma tale impegno di conformarsi alla volontà di Dio acquista senso nell'operosità: impegnarsi in quelle opere che Dio assegna da compiere. La città celeste si costruisce mediante l'impegno nella città terrestre. Si è dunque ben lontani da disinteresse o rifiuto di questo mondo, come potrebbe far supporre una lettura epidermica, banale e non « incarnata» del coetera tolte. [1]

    2. Secondo esempio. Il tema fondamentale della spiritualità di Don Bosco – lo abbiamo appena detto – è la salvezza delle anime. Ma Don Bosco ha rivestito questa intuizione (e non poteva fare diversamente) con le categorie con cui al suo tempo si indicava tale salvezza, vale a dire:
    • una salvezza solo dentro la Chiesa cattolica (interpretazione stretta, propria del catechismo dell'epoca, da cui nasce l'urgenza della strenua lotta ai protestanti, della missio ad gentes ecc.);
    • una salvezza soprattutto attraverso atti formalmente religiosi, con cui si acquista quasi il «diritto» al Paradiso;
    • una salvezza drammatica, per cui lottare in tutti i modi (si pensi ai molti sogni «terribili» di Don Bosco);
    • una salvezza in una mentalità dualistica: per cui l'anima (parte più importante dell'uomo) cerca di sfuggire al corpo per salvarsi.
    Oggi invece la teologia, specialmente pastorale, ci dice che:
    • vari sono i livelli di questa salvezza: comunione con Dio, relazione con chi è accanto a noi, sforzo di costruire una società migliore;
    • la salvezza è anzitutto la persona di Gesù Cristo, operante nella storia dell'umanità, che si propone come dono alla libertà e responsabilità di ogni persona. Dono che postula una risposta. («Il regno di Dio è anzitutto una persona che ha il volto e il nome di Gesù di Nazareth»: Redemptoris Missio, n. 18);
    • la salvezza è offerta a tutti gli uomini di buona volontà, nei quali opera la grazia («Dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire in contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero Pasquale»: Red. Mis, n. 10);
    • luogo di questa risposta è l'esistenza quotidiana. [2]

    3. Terzo esempio. Si legge nella lettera da Roma alla comunità salesiana di Valdocco: «Che essendo [i giovani] amati in quelle cose che loro piacciono, col partecipare alle loro inclinazioni infantili, [i giovani] imparino a vedere l'amor in quelle cose che naturalmente loro piacciono poco». Lette oggi queste parole, ci può essere chi vi trovi un tentativo di strumentalizzazione, di manipolazione dei giovani. Forse sono pochi gli sprovveduti che giudicano Don Bosco con la mentalità di oggi; ma forse sono ancor meno quelli che vi vedono una scoperta nuova per i suoi tempi: «l'educazione è cosa di cuore» (cfr. Lettera sui castighi, sorta in ambito salesiano a Valdocco). Condizione sine qua non per un rapporto educativo è, per Don Bosco, che ci si ami fra educatore ed educando e che tale amore venga percepito: «Che i giovani non solo siano amati, ma che essi stessi conoscano di essere amati» (Lettera da Roma cit.).
    È una intuizione detta col linguaggio del suo tempo; a qualcuno oggi forse non dice molto; ma se superiamo il rivestimento culturale, scopriamo una grande intuizione, che possiamo riscrivere secondo le connotazioni della cultura in cui viviamo, disposti però a fare altrettanto in tempi ravvicinati (5 o 10 anni).
    Si tratta dunque di «tradurre» in termini e metodologie educative attuali quello che era il messaggio espresso entro precise coordinate storico-temporali.

    4. Quarto esempio. Rileggiamo il famoso binomio: buon cristiano e onesto cittadino. Chi può pensare che l'« onesto cittadino e il buon cristiano» di Don Bosco sia il medesimo «onesto cittadino e buon cristiano» del nostro fine millennio? La formula è tutta da reinterpretare sia storicamente che teoricamente, fermo restando anche la necessità di dimostrare la possibilità di saldatura fra i due obiettivi educativi. Né la soluzione si può trovare ricorrendo alla formula, invero riduttiva, dell'« onesto cittadino perché buon cristiano» o, peggio ancora, facendo disinvoltamente appello alla politica del Pater poster.
    La maturazione etica della coscienza cristiana ha riscontrato, ad esempio, i limiti di un assistenzialismo, che, obliando la dimensione politica della povertà, non riesce a mordere sulle cause della medesima. C'è una filosofia degli aiuti che lascia intatti i privilegi dei benefattori e addirittura si risolve in operazioni a loro vantaggio. Non abbiamo inventato noi il tragico impatto del vangelo con la politica, per cui la «carità pastorale» deve dire una parola al riguardo. La dimensione sociopolitica è strutturale alle persone ed è una dimensione decisiva per la vita nella società umana. Come educatori dell'« onesto cittadino» non si può guardare indifferentemente lo scempio delle città, la disoccupazione giovanile, il tradimento di legittime attese di tante famiglie, la violenza spicciola o istituzionalizzata, la mancanza di futuro per i giovani, i megastadi e la miseria degli immigrati... Per essere solidali occorre che la denunzia non sia fumosa, annacquata, superficiale, senza indirizzo; occorre però d'altra parte proporre concetti teorici e progetti operativi concreti da tradurre in programmi ben definiti e articolati.
    La fedeltà a Don Bosco non è solo mantenere sempre, come lui, in primo piano la «questione morale » e la formazione della coscienza religiosa, ma anche mettere in azione l'intelligenza, la creatività e il cuore per superare le debolezze del Sistema Preventivo, prima fra tutti l'educazione, teorica e pratica, alle virtù politiche e sociali. La solidarietà non deve solo essere un atto di affetto, un gesto di donazione, ma anche un contributo di competenza, una proposta fondata su analisi attenta delle cause, confronto di possibili soluzioni, consultazione con tutti gli operatori sul campo.
    Allo stesso modo a Don Bosco, che ha preparato i suoi giovani con lo studio e col lavoro manuale agli sbocchi professionali e di vita propri del suo tempo, si è fedeli solo se si abilitano i nostri giovani alle richieste della «catena di montaggio» della società contemporanea.
    Si dovrà dunque sviluppare in noi una maturità politica da educatori, che ci liberi sia dalle istintività del politicante o attivista, sia dall'astensionismo dell'individuo pregiudizialmente agnostico, indifferente, diffidente nei confronti di ogni problema o scelta politica. Non ci sono più motivi validi che giustificano lo scetticismo e l'assenteismo di educatori che si ispirano al «buon cristiano» e all'«onesto cittadino» di donboschiana memoria.

    3. La funzione pratica che ha per noi la lettura ermeneutica delle fonti salesiane

    L'aspetto storico dell'interpretazione delle fonti dà grande importanza al fatto che
    i testi sono stati scritti sotto l'influsso del momento vissuto da una persona in carne ed ossa ed esige pertanto un'interpretazione critico-storica: al di là dunque delle stesse fonti, cioè al di là di quanto a prima vista presentano le fonti (si veda il n. IV. 2. B).
    Arrivare a ricostruire il tempo, il luogo, lo sfondo concreto di quanto dicono i testi di Don Bosco e della tradizione salesiana, ci conduce a riflettere sulla loro storicità e su cosa voglia dire vivere nel solco di tale tradizione.

    1. La storicità dell'ideale di Don Bosco fu, in qualche modo, percepita anche al suo tempo, nel quale si esaltarono in lui e nei salesiani una «novità» provvidenziale per il secolo XIX. Pertanto non c'è nessun testo che non si spieghi innanzitutto per il suo rapporto coll'ottocento, e che non dia una risposta ad una domanda della sua epoca. Quindi la prima domanda di fronte ai testi di Don Bosco è questa: cosa hanno voluto dire a coloro che al tempo di Don Bosco volevano imitarlo? La seconda domanda: cosa possono dire a noi oggi questi testi? In altre parole: che atteggiamento dobbiamo assumere di fronte ad essi?
    Nel caso degli scritti di Don Bosco dobbiamo dire che in essi si trovano sia il messaggio evangelico che l'interpretazione che ne dà Don Bosco. Il suo spirito, il suo ideale sono una sintesi di vangelo e cultura, di vangelo interpretato attraverso determinate concezioni e immagini legate al temperamento personale di Don Bosco ed al tempo in cui egli visse. Noi quindi a nostra volta, con i mezzi del nostro tempo, dobbiamo cercare di dare la nostra risposta – decisa ed incondizionata come quella di Don Bosco – ma pur sempre nostra alle identiche istanze evangeliche.
    Se negli scritti di Don Bosco vediamo come egli dovette e poté aderire al vangelo nel modo che allora era possibile, anche noi, uomini della fine del XX secolo, dobbiamo aderire al vangelo nell'unico modo che oggi ci è possibile, ossia in connessione con i problemi, le concezioni, i compiti, i «segni» propri del nostro tempo.

    2. Ma anche le fonti successive hanno la loro importanza. Ci possono far risalire al Don Bosco storico, purché le leggiamo con i principi ermeneutici appena abbozzati, in quanto questi scritti contengono una tradizione storica interpretata.
    Inoltre e di conseguenza, tali fonti sono modello per noi del come accogliere, interpretandolo a nostra volta, l'ideale di Don Bosco: in esse vediamo come fu accolta e diversamente attuata l'istanza evangelica del fondatore e come queste risposte variabili siano delle vere «interpretazioni esistenziali» dell'originario carisma salesiano, dipendenti sia dalla tradizione recepita sia dal quadro vitale in cui e per cui tali nuove fonti storiche furono scritte. Tipico il caso delle Memorie Biografiche, che sono frutto e testimonianza di un'epoca (idee, strutture mentali, prospettive teologiche, spirituali, sociali, politiche) che ci ha preceduti, ma che non devono diventare un diaframma, uno schermo fra Don Bosco e noi, invitati a leggere Don Bosco, oltre le Memorie Biografiche, secondo gli interrogativi propri del nostro bagaglio scientifico, con gli strumenti offertici dal progresso delle scienze.
    Siamo così al problema della continuità e discontinuità della tradizione, al rapporto fra conservatori e progressisti: la risposta è solo nello scoprire il fuoco vivo dello «spirito>, sotto le ceneri della storia e far sì che quel fuoco divampi anche oggi.
    Quando chiediamo alle fonti salesiane di dirci cos'è il carisma salesiano, esse ci rinviano alla storia. Soltanto che più che una dottrina, una concezione, un dato disponibile bell'e fatto, al quale mettere un vestito nuovo, il carisma è una realtà storica che ci sollecita a reinterpretarlo. E ciò non è affatto un sottrarsi alla tradizione, un cedere al mondo, un amore delle novità. L'interpretazione è coraggio di cercare come rivivere oggi l'ideale di Don Bosco in una forma di vita «profetica» come fu quella di Don Bosco a suo tempo, lasciando che il vangelo di Cristo operi in noi, radicalmente, come operò in lui. Dov'è oggi la massa d'urto, la corrente trascinatrice che fu propria di Don Bosco e dei suoi primi figli e figlie?
    Non c'è più spazio vitale per mantenere schemi ottocenteschi (e novecenteschi) ormai superati; occorrono nuovi modelli di opere e persone, credibilmente spiegabili come ispirati a Don Bosco. Occorre scoprire la tensione fra ideale e realizzazione, fra intuito del senso moderno che ebbe Don Bosco e l'incarnazione di tale intuito nel tessuto sociale in cui si trovava ad operare.
    Mai va dimenticato che in tutti i processi storici la vitalità è data dal ripensamento e dalla rielaborazione delle esperienze pregresse. Cercheremo di rivivere l'ideale di Don Bosco con le sue caratteristiche inconfondibili, ma informe concrete nuove, eloquenti per gli uomini di questo fine millennio.
    La fedeltà alla tradizione comporta pure il rischio di perdere quel frutto che, ricevuto da Don Bosco, dobbiamo moltiplicare. Ma senza rischio, non c'è frutto. Il talento sotterrato non produce frutto.

    4. Criteri di lettura di un testo

    Cercare di costruire un'attendibile metodologia dell'interpretazione su un insieme di criteri o canoni fissi e precisi è un miraggio. [3] Non esistono criteri di interpretazione, a un tempo generali e pratici, ma esistono criteri che aiutano a scegliere tra significati alternativi che sono già stati dati al testo fin dalla sua stesura. I criteri sono giudizi di probabilità preliminare fondati sull'esperienza, sulla logica della convalidazione. L'obiettivo è aumentare la probabilità che l'interpretazione data sia corretta. La conclusione che se ne trarrà sarà valida finché non siano prodotte nuove prove che dimostrino il contrario.
    Pertanto va tenuto presente che:
    – non basta ricostruire il pensiero dell'autore. occorre anche cogliere l'intenzione profonda del testo, al di là della stessa comprensione dell'autore;
    – non basta cogliere l'intenzione profonda del testo, ma occorre anche scoprire ciò che esso significava per i destinatari originari;
    – non basta scoprire ciò che il testo significava per i destinatari originari, occorre anche rilevare ciò che il testo significa oggi, per me.
    Non si tratta di significati diversi, perché rimane fra loro un legame di continuità. Lo si è già accennato: man mano che la storia procede, come gli eventi passati acquistano un supplemento di significato, così anche per le formulazioni che ad essi si riferiscono. Ogni evento, ogni testo letterario ha la sua piena intelligibilità nell'orizzonte completo della storia (storia delle interpretazioni).

    1. In linea teorica di fronte ad una fonte storica bisogna saper distinguere, per lo meno, fra le seguenti operazioni:
    a) quella della comprensione del testo («ars intelligendi»): scoprire il significato verbale del testo in sé e per sé, vale a dire scoprire ciò che quel testo significava per l'autore e per i primi destinatari, nel loro primitivo contesto linguistico, letterario, culturale...;
    b) quella della spiegazione del testo («ars explicandi »): esplicitare il significato verbale in schemi e formulazioni moderne, tradurlo in forme comprensibili dagli attuali codici di comunicazione. E la cosiddetta significanza, vale a dire la relazione percepita tra significato verbale ricostruito e qualche cosa d'altro, cioè noi stessi, le nostre idee, il nostro contesto, i nostri criteri di valore, interessi ecc.;
    c) alla spiegazione/traduzione può seguire l'applicatio: vale a dire l'attualizzazione «operativa» del messaggio «compreso in sè » e « spiegato/tradotto » in categorie attuali. Attualizzazione che non deve essere manipolazione dei testi... Ovviamente è necessario, in ordine alla validità dell'attualizzazione, basarsi su principi teorici che siano in accordo con gli orientamenti fondamentali del testo.
    Inoltre per cogliere, per « comprendere » il significato verbale – e non fare opera di creazione – si dovrà partire dalla prospettiva non dissimile da quella dell'autore, che dà esistenza al significato stesso. Viene così logicamente escluso quello storicismo radicale e quello psicologismo puro tendenti ad affermare come i significati del passato ci siano totalmente estranei e che per noi non ci siano «accessi» autentici a quei significati (cfr. il «passato onticamente estraneo» di M. Heiddeger).
    Il significato verbale si prende per quello che è, non è una variabile dipendente; la significanza invece sì: giudica, descrive, è mobile, transeunte, storica. La significanza che un testo ha per una persona non è del tutto identica a quella che esso ha per un'altra persona. Poiché si tratta di due diverse persone, diverso sarà il loro rapporto col particolare significato verbale, che pure può, per definizione, essere condiviso.
    Dunque la significanza è per sua natura illimitata, trattandosi di infinite possibilità di «significato in rapporto a...». Ne segue altresì che ogni interpretazione è parziale: nessuna interpretazione può esaudire da sola i significati di un testo (significati possibili che, sia detto chiaro, non sempre sono utili e compatibili).

    2. In termini pratici, di fronte ad un testo del passato, si può procedere in tante direzioni. Semplificando e sintetizzando si potrebbe seguire un itinerario come il seguente:

    A. Lettura storico-critica (esegesi): scoperta del significato verbale del testo (senso immediato, grammaticale, psicologico, storico), vale a dire di ciò che l'autore ha voluto comunicare al lettore con quel suo testo. Tale analisi si ottiene attraverso lo studio:
    a) dell'autore: personalità, mentalità, tendenze, dipendenze, esperienze;
    b) del testo stesso: genere letterario, fonti utilizzate, fasi preredazionali, vocabolario, stile, ripetizioni, sottolineature, struttura interna (= critica letteraria, critica strutturalistica, semiotica, sociologica, simbolica, psicanalitica, ecc.), intenzionalità, assenze importanti, condizioni/motivazioni di nascita, tono e modalità delle affermazioni (assiomatico, dubitativo, interrogativo, problematico...), capacità di coinvolgimento del lettore;
    c) del contesto storico: spazio-temporale, socio-culturale, rapporto fra quel testo e altri testi dell'autore, rapporto fra quel testo e altri testi contemporanei;
    d) della fortuna che ebbe all'epoca e in seguito.
    Criteri validi per verificare l'esattezza, o, meglio, la probabilità della propria lettura, potrebbero essere, fra gli altri:
    • la legittimità: la lettura deve essere ammissibile entro la mentalità, la cultura, gli schemi mentali in cui è stato composto il testo;
    • la corrispondenza: la lettura deve rendere conto di ogni componente linguistica del testo;
    • l'appropriatezza: congruenza col genere letterario identificato;
    • la plausibilità o coerenza: il contesto invocato è il più probabile; rispecchia la situazione « oggettiva» dell'autore. Si tratta di un lavoro non facile, spesso affidato a specialisti multidisciplinari, per l'impossibilità che ogni lettore sia in grado di fare personalmente ricerche di questo tipo, implicanti approcci sia sincronici che diacronici. Gi strumenti sofisticati degli esperti non sostituiranno comunque il senso storico.
    Utili esemplificazioni si possono trovare sui vari numeri di «Ricerche Storiche Salesiane ».

    B. Lettura interpretativa (ermeneutica esistenziale): appropriazione del testo
    da parte del lettore, mediante la messa in moto del circolo fra testo e interprete, dell'interdipendenza fra l'autorità del testo e le legittime precomprensioni dell'interprete/lettore, in un gioco di domande/risposte fra i due fino all'eventuale attualizzazione operativa.
    L'esegesi, la ricognizione sul testo è prioritaria; l'interpretazione potrà essere valida solo se fondata su valida esegesi. Se il compito principale della lettura storicocritica è di raggiungere il senso autentico del testo (e magari anche i diversi sensi), si deve poi comunicare tale senso. In questa seconda fase si tratta – per tornare alla terminologia precedente – non più semplicemente di a comprendere» il significato verbale, ma la significanza, cioè di porre il testo in rapporto con schemi mentali, correnti di pensiero, strutture sociali e politiche odierne. Rimane innegabile che chiunque legge ed ascolta un messaggio lo interpreta e, interpretandolo, vi aggiunge qualche cosa che oggettivamente non era ancora presente in ciò che aveva letto o ascoltato e che dunque deborda, in un certo modo, il messaggio trasmessogli.
    In tale operazione si può procedere mediante:
    • confronto: l'interprete (lettore) mette la propria conoscenza previa, quella relativa alla «cosa» di cui il testo parla, accanto a quella che si rivela nel testo, per misurare l'una con l'altra;
    • dialogo: l'interprete offre al testo il proprio bagaglio di domande e attende di ricevere da esso adeguate risposte;
    • traduzione: da parole e categorie usate nel testo, più o meno estranee a noi, ad altre parole e categorie che siano equivalenti o più familiari.
    Ovviamente non tutto questo lavoro di interpretazione/attualizzazione lo si deve chiedere allo storico, cui compete principalmente la corretta lettura del passato, visto dalla prospettiva da lui scelta. Il modulo di vita è frutto della lettura esistenziale del testo fatta da tanti: incominciando da chi è delegato dall'istituzione a stabilire norme di comportamento, da chi è maggiormente in sintonia con le fonti in oggetto per sensibilità, capacità, studio, da chi, pur operando sul campo, non disattende la riflessione sul vissuto, da chi è più «ricco di spirito» ecc. [4]

    NOTE

    1. Cfr. P. STELLA, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. II. Mentalità religiosa e spiritualità, Roma, LAS, 1981, pp. 13-18.
    2. Si pensi oggi quanto diventi sempre più inattuale la divisione ormai millenaria fra materia e spirito, corpo e anima, lavoro manuale e intellettuale, terra e cielo, mondo attuale e quello futuro, umano e divino... Supposto il contesto di rigorismo dettato da una letteratura drammatizzante in vista dei sacramenti, è da dimostrare che la « sopravvalutazione » dell'anima in Don Bosco torni a discapito dei valori « terrestri »; così come, per fare un altro esempio, sarebbe da dimostrare che l'aspetto sentimentale della pietà individuale in Don Bosco sia priva di una qualsivoglia base cristologica ed ecclesiale.
    3. E. D. Hiesc jr, Teoria dell'interpretazione e critica letteraria, Il Mulino, Bologna, 1967 pp. 210214. Si tratta del volume che seguiamo, con molta libertà e notevoli semplificazioni, nel presentare i criteri di lettura di un testo. Utile anche l'altro saggio dello stesso autore americano: Come si interpreta un testo, Armando Editore, Roma, 1978.
    4. Per una più ampia e complessa panoramica sui modelli interpretativi, si veda R. FARINA, Leggere Don Bosco oggi. Note e suggestioni metodologiche, in La formazione permanente interpella gli Istituti religiosi, a cura di P. BROCARDO, Torino, LDC, 1976, pp. 349-404. Non di modesta utilità – si licet parva componere magnis – sarebbe anche la lettura del recente documento della Pontificia Commissione Biblica, L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, 1993.

    * Il presente articolo è tratto da: Dicastero per la Famiglia Salesiana, I sentieri della speranza nella spiritualità salesiana. Atti della XVII Settimana di Spiritualità della Famiglia Salesiana. Roma, Salesianum 24-29 gennaio. 1994.


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