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    STRENNA 2022

    «Fate tutto per amore,

    nulla per forza»

    (San Francesco di Sales)

    Don Ángel Fernández Artime, SDB, Rettor Maggiore

    STRENNA 2022

    Nel quarto centenario della morte di san Francesco di Sales:
    due giganti che si succedono nel carisma salesiano


    Dichiaro subito che non è mia intenzione scrivere un opuscolo sulla vita di san Francesco di Sales: esistono già eccellenti biografie composte da veri esperti. Sarebbe, inoltre, assolutamente presuntuoso da parte mia e certamente al di là delle mie capacità e delle mie intenzioni. Con queste pagine intendo piuttosto offrire un contributo perché la splendida figura di san Francesco di Sales, nel IV centenario della sua morte, illumini la nostra Famiglia salesiana, la Famiglia di don Bosco, che ha in lui le sue radici e che attinge quotidianamente alla sua spiritualità.
    In questo commento alla Strenna 2022 per la Famiglia salesiana, desidero parlare di due giganti che si succedono nel carisma salesiano. Anzitutto perché entrambi sono un grande dono nella Chiesa e in secondo luogo perché don Bosco, come nessun altro, ha saputo tradurre la forza spirituale di Francesco di Sales nell’educazione e nell’evangelizzazione quotidiana dei suoi ragazzi poveri. A tutta la Famiglia salesiana, nella Chiesa e nel mondo d’oggi, continua ad essere affidato questo compito.
    Oso affermare che fin dalle loro origini, in modo emblematico, Francesco di Sales e Giovanni hanno molto in comune. Fin dalla culla.
    Francesco di Sales è nato sotto il cielo della Savoia, che corona le valli attraversate da torrenti che nascono dalle cime più alte delle Alpi.
    Come non pensare che anche Giovanni Bosco fosse un po’ “savoiardo”? Non è nato in un castello, ma, come Francesco, ha avuto il dono di una madre tenerissima e piena di fede. Françoise de Boisy era molto giovane quando aspettava il suo primo figlio e, ad Annecy, davanti alla Sacra Sindone, che le parlava della passione del Figlio di Dio benedetto, emozionata fece una promessa: il bambino che portava nel suo grembo sarebbe appartenuto a Gesù per sempre.
    A sua volta, mamma Margherita confiderà un giorno al suo Giovanni: «Quando sei venuto al mondo ti ho consacrato alla beata Vergine»[1]. E a Torino anche don Bosco si inginocchierà davanti alla Sacra Sindone.
    Le madri cristiane generano santi. In un castello, come Francesco; o in una casa di campagna diroccata, come Giovanni.
    Si dice che la prima frase completa che Francesco riuscì a pronunciare fu: «Il buon Dio e mia madre mi vogliono molto bene». E davvero il buon Dio si è preso cura di Francesco, come a suo tempo si prenderà cura di Giovanni. E ha dato ad entrambi un cuore grande.
    Francesco studiò a Parigi e a Padova, nelle università più prestigiose dell’epoca. Giovanni studiava a lume di candela nel sottoscala del “Caffè Pianta” di Chieri. Ma lo Spirito non si ferma davanti alle difficoltà umane. I due erano destinati a “incontrarsi”. E un giorno don Bosco disse a un gruppo di giovani che erano cresciuti con lui nell’Oratorio di Valdocco: «Ci chiameremo salesiani»[2]. Da quel momento, sempre guidato dallo Spirito, cominciò a crescere il grande albero della Famiglia di don Bosco: la Famiglia salesiana.
    San Francesco di Sales è una delle figure della storia che, con il passare del tempo, è cresciuta in rilevanza e significato, grazie alla feconda diffusione delle sue intuizioni, delle sue esperienze e delle sue convinzioni spirituali. Dopo quattrocento anni, la sua proposta di vita cristiana, il suo metodo di accompagnamento spirituale e la sua visione antropologica riguardo al rapporto tra gli uomini e Dio sono ancora affascinanti.
    Il tema scelto per questa Strenna di famiglia, fedele come sempre all’eredità e alla tradizione lasciataci da don Bosco, viene dalla penna dello stesso Francesco di Sales, che scriveva alla figlia spirituale santa Giovanna Francesca de Chantal: «Ma se siete molto affezionata alle preghiere che avete indicato sopra, non cambiate, vi prego, e se vi sembra di rinunciare a qualcosa che vi propongo, non fatevi scrupoli, perché la regola della nostra obbedienza, che vi scrivo a grandi lettere, è: FARE TUTTO PER AMORE, NIENTE PER FORZA; È MEGLIO AMARE L’OBBEDIENZA CHE TEMERE LA DISOBBEDIENZA »[3].
    Le Costituzioni dei Salesiani di Don Bosco contengono molti elementi e caratteristiche della spiritualità di san Francesco di Sales. Lo stesso vale per le Figlie di Maria Ausiliatrice e per molti altri gruppi della Famiglia di don Bosco, dal momento che la loro identità ha tanti elementi salesiani. In questo senso non è difficile trovare armonia, collegamenti e applicazioni dirette tra i testi scritti quattrocento anni fa da Francesco di Sales e quegli elementi che, come tratti della nostra identità, appartengono al nostro patrimonio spirituale salesiano.
    In particolare, come guida per il presente scritto, mi avvalgo dell’articolo 38 delle Costituzioni dei Salesiani di Don Bosco, che – nel quadro del nostro servizio educativo pastorale – descrive le caratteristiche del sistema preventivo nella nostra missione ed esprime una sintesi degli aspetti che desidero sviluppare, quasi fosse un indice di lettura aggiornato del pensiero di san Francesco di Sales. Così leggiamo:
    «Per compiere il nostro servizio educativo e pastorale, don Bosco ci ha tramandato il Sistema Preventivo.
    “Questo sistema si appoggia tutto sopra la ragione, la religione e sopra l’amorevolezza”: fa appello non alle costrizioni, ma alle risorse dell’intelligenza, del cuore e del desiderio di Dio, che ogni uomo porta nel profondo di se stesso.
    Associa in un’unica esperienza di vita educatori e giovani in un clima di famiglia, di fiducia e di dialogo.
    Imitando la pazienza di Dio, incontriamo i giovani al punto in cui si trova la loro libertà. Li accompagniamo perché maturino solide convinzioni e siano progressivamente responsabili nel delicato processo di crescita della loro umanità nella fede» (Cost. 38).
    Ciò che distingue la nostra Famiglia salesiana, nelle multiformi e differenti società e culture di oggi, è proprio il Sistema Preventivo di don Bosco, che possiede la capacità di essere applicato, conosciuto e accettato nei contesti più diversi. Trovo nell’articolo citato e nelle linee centrali del pensiero e della spiritualità di san Francesco di Sales tanti elementi comuni, che mi permettono di istituire un dialogo tra Francesco di Sales e don Bosco. Li elenco:

    - Niente con la forza. La libertà è un dono di Dio: à per questo il nostro sistema educativo “non fa appello alle costrizioni”.
    - La presenza di Dio nel cuore dell’uomo: à per questo riconosciamo il “desiderio di Dio, che ogni uomo porta nel profondo di se stesso”.
    - La vita in Dio: à che “associa in un’unica esperienza di vita educatori e giovani”.
    - La dolcezza e l’amabilità nel tratto: à che ci portano a vivere con i nostri giovani “in un clima di famiglia, di fiducia e di dialogo”.
    - Un amore incondizionato e senza riserve: à che rende possibile nella nostra famiglia che “imitando la pazienza di Dio, incontriamo i giovani al punto in cui si trova la loro libertà”.
    - Con la necessità di una guida spirituale: à e quindi “li accompagniamo perché maturino solide convinzioni”.
    - Fino a vivere “tutto per amore”: à affinché “siano progressivamente responsabili nel delicato processo di crescita della loro umanità nella fede”

    Niente con la forza. La libertà è un dono di Dio
    Per questo che il nostro sistema educativo “non fa appello alle costrizioni”.

    «La carità e la dolcezza di san Francesco di Sales mi guidino in ogni cosa»: questa fu una delle risoluzioni prese dal giovane don Bosco in occasione degli esercizi spirituali prima dell’ordinazione sacerdotale [4]. Nel seminario di Chieri aveva avuto l’opportunità di conoscere le opere principali di san Francesco di Sales. La risoluzione mostra che don Bosco aveva scoperto e trovato in lui un modello non solo di azione ma anche di vita. La carità e la dolcezza che san Francesco di Sales mostrò nelle relazioni con le persone ebbero un impatto convincente su don Bosco e lo segnarono per tutta la vita. In quelle virtù egli riconobbe certamente una consonanza con l’indicazione ricevuta da un misterioso personaggio nel sogno che aveva fatto quando aveva nove anni: «Non con le percosse ma con la mansuetudine e la carità dovrai guadagnare questi tuoi amici»[5].
    “Niente per forza” è una bella proposta, un invito da accogliere come preziosa regola di vita personale.
    Diventa un orientamento quando si tratta di accettare un compito, di assumere l’atteggiamento con cui svolgere una missione, accogliere una responsabilità o un servizio per gli altri. Essa sostiene e dà consistenza a una opzione e a un modo di vivere da cristiani, in sintonia con la decisione stessa di Dio, che ci ha creati e resi liberi.
    Tutti abbiamo sperimentato che le cose che vengono comandate senza ragione, senza un “perché”, semplicemente per un’imposizione e con la forza, non durano a lungo; o durano finché dura l’ordine ricevuto. Dio non agisce così. San Francesco di Sales l’ha sperimentato nella sua attività pastorale. Come vescovo tridentino, promotore della riforma cattolica, educato nella lotta contro la tiepidezza della fede, scelse la via del cuore e non quella della forza. In realtà non ha fatto altro che contemplare e vivere l’atteggiamento di Dio. Così scrisse alla sua figlia spirituale: «Come un buon padre che tiene per mano suo figlio, egli adatterà i suoi passi ai tuoi e sarà felice di non camminare più veloce di te»[6].
    La realtà dell’Incarnazione è la ragione più sublime per affermare la dignità della persona umana. Si può dire che Dio non solo ci ha creato a sua immagine e somiglianza, ma che, in Cristo, Dio stesso - sono parole di Francesco di Sales - «si è fatto a nostra immagine e somiglianza»[7]. Questa grandezza dell’essere umano, il suo valore come persona, si manifesta in modo speciale nella libertà, che rende la persona responsabile. Per il santo umanista Francesco di Sales, la libertà è l’elemento più prezioso della persona, perché è la vita del cuore[8]. E ha così grande valore e dignità che Dio stesso, che ce l’ha concessa, non la pretende con la forza e, quando ce la richiede, vuole che sia sinceramente e volentieri. Dio «non ha mai costretto nessuno a servirlo e non lo farà mai»[9].
    L’intervento di Dio, la sua grazia, non si attua mai senza il nostro consenso. Dio agisce con forza, non per costringere, ma per attirare il cuore, non per violare, ma per rendere amorosa la nostra libertà. La libertà donata da Dio alla persona umana è sempre rispettata. Dio – come amava dire Francesco di Sales – ci attira a sé; talvolta come una vocazione o un appello; come una “prevenzione”, perché egli ci anticipa sempre; come la voce d’un amico; come un’illuminazione; come un’ispirazione o un invito. Dio non si impone: bussa alla nostra porta e aspetta che gli apriamo[10].
    Allo stesso modo, don Bosco, nei suoi rapporti con i ragazzi più svantaggiati e più poveri di Valdocco, ha imparato a seguire la via del cuore nell’accoglierli e accompagnarli nella loro educazione. L’attuazione dello zelo pastorale, del desiderio di salvare le anime, dell’impegno per il pieno sviluppo dei suoi ragazzi si realizza senza coercizione, senza imposizioni, sempre con l’accettazione, da parte del giovane, della proposta di entrare in una relazione di amicizia, perché nel suo cuore sente di essere benvoluto, che c’è qualcuno che pensa al suo bene e che vuole la sua felicità.
    La libertà umana sarà sempre da salvaguardare, anche quando entrano in gioco altri valori come la fede, la giustizia e la verità. Per noi, Famiglia di don Bosco, questo atteggiamento è fondamentale. Non riteniamo possibile educare senza il sacro rispetto della libertà di ogni persona. Dove non si rispetta la libertà dell’individuo, Dio è assente. Per questo motivo, secondo san Francesco di Sales, Dio attrae la persona con il suo amore nel modo più conforme alla nostra natura. Ecco come si esprime in questo bel testo:
    «Il legame proprio della volontà umana è il godimento e il piacere. Mostra le noci a un bambino, dice sant’Agostino, ed egli è attratto come una calamita; è attratto dal legame, non del corpo, ma del cuore. Vedete, dunque, come il Padre Eterno ci attira: insegnandoci ci delizia, ma senza imporci alcuna necessità. È così dolce la mano di Dio nel maneggiare il nostro cuore, e così abile la Sua abilità nel comunicarci la Sua potenza, senza privarci della nostra libertà, e nel darci il Suo potente impulso, senza ostacolare quello della nostra volontà, che, come la Sua potenza ci dà dolcemente la potenza, così la Sua dolcezza ci conserva potentemente la libertà della volontà. Se tu conoscessi il dono di Dio, disse il Salvatore alla Samaritana, e chi è che ti dice: “Dammi da bere”, forse glielo avresti chiesto ed Egli ti avrebbe dato acqua viva. Le ispirazioni, Teotimo, ci avvertono e, prima che noi le pensiamo, si lasciano sentire; ma, una volta che le abbiamo sentite, sta a noi acconsentire, assecondarle e seguirne i movimenti, o dissentire e respingerle. Si lasciano sentire senza di noi, ma non ci fanno acconsentire senza di noi»[11].
    Dio attrae, scrive Francesco di Sales, come i profumi di cui parla il Cantico dei Cantici. La forza dell’attrazione di Dio, potente ma non violenta, sta nella dolcezza della sua attrazione. E la dolcezza permette di raggiungere la meta di conciliare libertà umana e attrazione di Dio. Nell’esperienza spirituale vissuta e condivisa da Francesco di Sales, l’amore di Dio non ha nulla da invidiare all’amore umano per le creature. Nessun amore allontana mai il nostro cuore da Dio, ma solo ciò che gli è contrario. Nella mistica salesiana, l’amore di Dio di cui parliamo, lungi dall’escludere l’amore per gli altri, lo esige[12].
    Facendo esperienza di Dio, comprendiamo che egli rispetta la libertà umana e allo stesso tempo vuole il nostro bene e ci offre tanti segni del suo amore. Forse il primo di questi segni è proprio il rispetto incondizionato della nostra libertà. L’amore scompare, se cerca di imporre o esigere. Qui sta la forza dell’immagine positiva, che Francesco di Sales presenta, di un Dio amoroso, che offre la sua amicizia, che dona i suoi beni e che, nella comunicazione con lui, lascia spazio aperto alla reciprocità nella libertà.
    Tutto questo ci illumina anche sulla cura e sul rispetto della libertà religiosa nei confronti di ogni persona. Si tratta di curare, come Francesco di Sales, una presenza amichevole tra i non cattolici, una presenza da intendere come una forma di evangelizzazione attraverso la testimonianza, che a volte dovrà essere non solo rispettosa, ma tranquilla, silenziosa: questa presenza sarà pienamente valida, poiché si basa non solo sul principio della non violenza ma – cosa più importante – su un profondo rispetto della libertà delle persone.
    Ci sentiamo molto in sintonia con la modalità di presenza che san Francesco di Sales praticava in zone di conflitto a causa delle guerre di religione del suo tempo, dando una testimonianza profetica di pazienza e perseveranza con uno stile incentrato sulla croce di Cristo e sulla fiducia nell’intercessione materna di Maria. In tante parti del mondo la nostra presenza come Famiglia salesiana richiede, per scelta, questo stile. E certamente, approfondire l’eredità di Francesco di Sales e cercare di applicare la sua spiritualità nelle situazioni concrete del nostro tempo, sarà il modo migliore per crescere nella “salesianità”.

    La presenza di Dio nel cuore dell’uomo:
    Riconosciamo il “desiderio di Dio, che ogni uomo porta nel profondo di se stesso”.

    Dire “Niente per forza” non è solo una strategia o un metodo ma, soprattutto, esprime la profonda convinzione di fede e la fiducia nell’essere umano – l’umanesimo cristiano – che san Francesco di Sales ha vissuto, in certo modo controcorrente, e che don Bosco ha saputo sviluppare magnificamente con il suo ottimismo e la sua piena fiducia nei giovani, nei suoi ragazzi: l’essere umano, il giovane, ogni persona, tutti noi, portiamo iscritto nel nostro essere il bisogno di Dio, il desiderio di Dio, «la nostalgia di Dio»[13]. Il desiderio naturale di vedere Dio si trasforma nei nostri santi nella convinzione che Dio c’è e si rende presente ad ogni persona in quei momenti della vita che solo Dio sceglie e nel modo che solo Dio conosce[14].
    Questi principi teologici, così vicini al nostro sentire, si esprimono concretamente nell’atteggiamento spirituale, profondamente salesiano, di collaborazione con l’azione di Dio nel servire l’uomo in uno spirito di libertà. È un atteggiamento che già in san Francesco di Sales prende la forma dell’ottimismo, della positività, della fiducia nella natura umana e, di conseguenza, nel valore dell’amicizia e nella ricerca della felicità.
    Dall’immagine positiva di Dio che ci viene offerta dalla sua amicizia, è facile comprendere un elemento che illumina la spiritualità salesiana vissuta e proposta da don Bosco: «Studia di farti amare piuttosto che farti temere»[15]. Il nostro Padre don Bosco, seguendo Francesco di Sales, vuole che Dio sia amato piuttosto che temuto. Il “timore di Dio”, inteso come atteggiamento che deve accompagnare un cammino di santità, non è la paura e il timore di un terribile castigo, ma un timore strettamente unito alla fiducia nella bontà di Dio.
    Lungi dal seminare pessimismo, negatività o paura, la certezza della presenza di Dio, il desiderio di incontrarlo, di coltivare l’amicizia verso Dio e di vederla ricambiata, sono la base della spiritualità salesiana. Al contrario di coloro che consideravano Dio come un guardiano che punisce le infrazioni alla legge, o come un Dio lontano e indifferente, Francesco di Sales lo sperimentò come un «Dio preoccupato dell’uomo e della sua felicità, rispettoso della sua libertà, e impegnato a guidarlo con fermezza e dolcezza»[16].
    Francesco di Sales condivide l’idea aristotelica secondo la quale in ogni persona c’è un’aspirazione alla felicità, una spinta e un movimento orientati a questo fine; è un desiderio naturale comune a tutta l’umanità. Ma allo stesso tempo, sulla base della sua esperienza personale, è consapevole che un primo approccio alla felicità consiste nell’accettazione di se stessi, di ciò che si è, mentre si rischia di confondere la felicità con i mezzi per raggiungerla. Alcuni, infatti, la cercano nelle ricchezze, altri nel piacere, altri nella gloria umana. In realtà, per Francesco di Sales, solo il bene supremo può soddisfare pienamente il cuore umano. E il bene supremo è Dio, al quale il cuore umano tende per sua natura. Francesco aveva imparato dai suoi maestri di filosofia che la “felicità pratica” consiste nel possesso di saggezza, onestà, bontà e piacere; mentre la “felicità essenziale” della persona umana può essere trovata solo in Dio.
    Come discepolo di Tommaso d’Aquino, Francesco aveva fiducia nella capacità dell’intelletto e della volontà umana di intuire o scoprire Dio come loro fine ultimo. Viene in mente la confessione di sant’Agostino, che riassume mirabilmente queste idee e con la quale Francesco di Sales compose alcune delle sue omelie: «Dio mio! Il mio cuore è creato per te e non avrà riposo né tranquillità finché non gioirà in te» (cfr. Confessioni, I, 1.1)[17].
    In ogni caso la tendenza che sentiamo naturalmente verso Dio, non può essere raggiunta a partire solo da noi stessi, perché è dono di Dio, il quale prende sempre l’iniziativa. San Francesco di Sales ci offre nella sua spiritualità la convinzione che, sebbene noi tendiamo alla felicità - identificata nell’incontro con Dio - non possiamo raggiungerla da soli: Dio si impegna a donarcela, perché così ha voluto. E questa promessa di pienezza, insieme al desiderio di Dio in noi, è chiamata a portare molto frutto.
    La visione antropologica e teologica di Francesco di Sales ci permette di mantenere nel giusto equilibrio il dialogo tra fede e ragione - cosa molto importante anche per noi oggi. Al suo tempo, Francesco di Sales, dialogando con i suoi avversari - che chiamava fratelli - sosteneva che l’accettazione di Dio come bene supremo trovava sostegno nella ragione, nella stessa natura umana. Al contrario di coloro che si affidavano unicamente alla Bibbia, Francesco di Sales mostrò che la ragione e la fede scaturiscono dalla medesima fonte, ed essendo opera dello stesso Autore, non possono essere contrarie l’una all’altra. La teologia non elimina l’uso della ragione, ma lo presuppone; non lo annulla, ma lo completa.
    Nel contesto del suo tempo Francesco di Sales ha elaborato la sua riflessione e ha sviluppato la sua spiritualità. Oggi tocca a noi dare continuità alla corrente spirituale che da lui trae origine e che ha portato tanta luce nella vita di tante persone, nella loro ricerca della felicità e, in definitiva, nella loro ricerca di Dio.
    Francesco di Sales e don Bosco, ciascuno nel proprio tempo, hanno vissuto e ci hanno lasciata in eredità una forte convinzione, che Francesco esprime così: «Non c’è terreno così ingrato che la dedizione del contadino non possa rendere produttivo»[18]. Con queste parole Francesco propone un altro elemento fondamentale della spiritualità e della pedagogia salesiana: la pazienza, che non è altro che l’imitazione della pazienza che Dio ha con noi. Questa è stata anche una costante nella vita di don Bosco.
    Oggi, come Famiglia che partecipa di questa spiritualità, tocca a noi continuare a confidare nelle risorse della nostra intelligenza, del nostro cuore e del nostro desiderio di Dio di fronte a qualsiasi tipo di difficoltà, e a consolidarle. Certamente questo lavoro richiede il profilo specifico e ben definito dell’educatrice e dell’educatore salesiano. Essi devono avere in se stessi e custodire decisamente la convinzione che c’è sempre un punto accessibile al bene nel cuore di ogni persona, di ogni giovane, per quanto nascosto possa essere - così credeva anche don Bosco - e che ogni cuore umano è capace di incontrare Dio. Sta a noi aiutare ogni giovane e ogni persona in questo percorso.

    La vita in Dio:
    che “associa in un’unica esperienza di vita educatori e giovani”.

    Francesco di Sales ha saputo presentare la vita spirituale come una realtà alla portata di tutti. Il termine per eccellenza da lui utilizzato per riferirsi alla vita cristiana in Dio è “devozione”, intesa come espressione dell’amore per Dio, con la caratteristica di non essere né esclusivo né chiuso.
    Francesco di Sales non trova alcuna opposizione nel voler essere completamente di Dio vivendo pienamente il proprio essere nel mondo. Questa è probabilmente la sua proposta più originale e “rivoluzionaria”.
    Se la devozione è amore, amore per Dio anzitutto, è anche amore per il prossimo. E questa devozione può essere praticata da tutti, in qualsiasi condizione e situazione. Per condurre un’autentica vita cristiana, secondo Francesco di Sales, non è necessario ritirarsi dal mondo, andare nel deserto o entrare in un convento.
    Nella sua Introduzione alla vita devota, rivolgendosi con il nome poetico di Filotea ad ogni persona che vuole amare Dio, Francesco traccia un itinerario di vita cristiana per coloro che “vivono nel mondo”, mostrando che è necessario usare le proprie ali per elevarsi all’altezza della preghiera, e allo stesso tempo usare i propri piedi per camminare insieme agli altri uomini in una conversazione santa e amichevole.
    «La vera e viva devozione, Filotea, esige l’amore di Dio, anzi non è altro che un vero amore di Dio; non un amore genericamente inteso. Infatti l’amore di Dio si chiama grazia in quanto abbellisce l’anima, perché ci rende accetti alla divina Maestà; si chiama carità, in quanto ci dà la forza di agire bene; quando poi è giunto ad un tale livello di perfezione, per cui, non soltanto ci dà la forza di agire bene, ma ci spinge ad operare con cura, spesso e con prontezza, allora si chiama devozione [...]. A dirlo in breve, la devozione è una sorta di agilità e vivacità spirituale per mezzo della quale la carità agisce in noi o, se vogliamo, noi agiamo per mezzo suo, con prontezza e affetto. Ora, com’è compito della carità farci praticare tutti i comandamenti di Dio senza eccezioni e nella loro totalità, spetta alla devozione aggiungervi la prontezza e la diligenza. Ecco perché chi non osserva tutti i comandamenti di Dio non può essere giudicato né buono né devoto. Per essere buoni ci vuole la carità e per essere devoti, oltre alla carità, bisogna avere grande vivacità e prontezza nel compiere gli atti»[19].
    Non posso tralasciare di riportare qui alcune delle righe più luminose e feconde del nostro Autore, che si riferiscono alla convinzione che ogni persona giunge in questo mondo con un disegno personale di Dio su di lui o su di lei; un piano di felicità e di piena realizzazione della volontà di Dio per ciascuna delle sue creature.
    Nella sua Introduzione alla vita devota, parlando della necessità per ogni persona di trovare nel proprio stato di vita il modo migliore per dare gloria a Dio, san Francesco di Sales, rivolgendosi a Filotea, dice:
    «La devozione deve essere vissuta in modo diverso dal gentiluomo, dall’artigiano, dal domestico, dal principe, dalla vedova, dalla nubile, dalla sposa; ma non basta, l’esercizio della devozione deve essere proporzionato alle forze, alle occupazioni e ai doveri dei singoli. Ti sembrerebbe cosa fatta bene che un Vescovo pretendesse di vivere in solitudine come un Certosino? E che diresti di gente sposata che non volesse mettere da parte qualche soldo più dei Cappuccini? Di un artigiano che passasse le sue giornate in chiesa come un Religioso? E di un Religioso sempre alla rincorsa di servizi da rendere al prossimo, in gara con il Vescovo? Non ti pare che una tal sorta di devozione sarebbe ridicola, squilibrata e insopportabile? Eppure queste stranezze capitano spesso, e la gente di mondo, che non distingue, o non vuol distinguere, tra la devozione e le originalità di chi pretende essere devoto, mormora e biasima la devozione, che non deve essere confusa con queste stranezze»[20].
    Il cammino proposto conduce a una teologia cristiana della vocazione secondo la quale spetta a ciascuno realizzare il processo di ricerca della propria vocazione. Francesco anticipa quanto sarà affermato dal Concilio Vaticano II: «Muniti di salutari mezzi di una tale abbondanza e d'una tale grandezza, tutti i fedeli d’ogni stato e condizione sono chiamati dal Signore, ognuno per la sua via, a una santità, la cui perfezione è quella stessa del Padre celeste»[21].
    Sia Francesco di Sales sia don Bosco fanno della vita quotidiana un’espressione dell’amore di Dio, che viene ricevuto e anche ricambiato. I nostri santi hanno voluto avvicinare la relazione con Dio alla vita e la vita alla relazione con Dio. È la proposta della “santità della porta accanto” o della “classe media della santità”, di cui Papa Francesco ci parla con tanto affetto:
    «Mi piace vedere la santità nel popolo di Dio paziente: nei genitori che crescono con tanto amore i loro figli, negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati, nelle religiose anziane che continuano a sorridere. In questa costanza per andare avanti giorno dopo giorno vedo la santità della Chiesa militante. Questa è tante volte la santità “della porta accanto”, di quelli che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di Dio, o, per usare un’altra espressione, “la classe media della santità”»[22].
    Come don Bosco, anche noi oggi dobbiamo essere aperti e pronti a svolgere l’importante compito di accompagnare i giovani nella loro ricerca della vocazione e della santità, oltre a viverlo noi stessi. Questo è ciò che forse ci stanno chiedendo con maggiore urgenza e manifestano come loro bisogno. Sentiamo ancora l’eco recente dell’appello rivolto alla Chiesa durante il Sinodo sui giovani, i quali chiedono, tra le altre cose, di essere accompagnati nel discernimento della loro vocazione. L’esortazione apostolica di Papa Francesco Christus Vivit, volendo rispondere ai giovani, rappresenta una sfida anche per noi Famiglia salesiana:
    «Ci sono sacerdoti, religiosi, religiose, laici, professionisti e anche giovani qualificati che possono accompagnare i giovani nel loro discernimento vocazionale. Quando ci capita di aiutare un altro a discernere la strada della sua vita, la prima cosa è ascoltare»[23].
    E così tocchiamo, quasi con mano, un altro elemento fondamentale della nostra spiritualità: la presenza e l’ascolto, per aiutare tutti coloro che vengono da noi, coloro che avviciniamo, a stabilire un rapporto di amicizia, un incontro di vicinanza, qualcosa che ancora una volta acquista quel gusto – tutto salesiano – che ci fa mettere il giovane e la persona umana al centro. Il “Da mihi animas” di don Bosco, e prima ancora quello di Francesco di Sales, sono ancora oggi pienamente validi.
    San Francesco di Sales orientò la propria vita pastorale per realizzare la missione a lui affidata, nella partecipazione all’amore di Dio che lo portò a condividere la missione salvifica di Cristo Buon Pastore. Cominciando dall’amore di Dio da lui personalmente sperimentato, egli sente che questo amore ardente, o ardore amante, si traduce nella gioia per la conversione del peccatore e nel dolore per la durezza di cuore di coloro che rifiutano questo invito. Questa è la lettura del “Da mihi animas” propria di san Francesco di Sales[24].
    Faremmo una buona attualizzazione di questo zelo pastorale e della carità di san Francesco se, come lui, mantenessimo la nostra vita saldamente radicata in Cristo. Solo così l’azione apostolica è feconda, perché si realizza a partire dal bisogno che sperimentiamo di comunicare l’amore con cui ci sentiamo amati. Ancora una volta, un bell’omaggio a san Francesco di Sales nel quarto centenario della sua morte sarà il rinnovamento e, in alcuni casi, il recupero del dinamismo apostolico del da mihi animas cetera tolle, donandoci a Dio e ai giovani con la stessa carità pastorale sua e di don Bosco.
    La spiritualità salesiana di don Bosco si colloca in una linea molto diversa rispetto ad altre correnti spirituali, che alcuni specialisti chiamano “astratte”, perché si ispira a un maestro come Francesco di Sales, proponendo una spiritualità per la vita ordinaria[25]. In una felice espressione attribuita al Santo, si dice che «bisogna fiorire dove Dio ci ha piantati»[26]. Questa è una caratteristica fondamentale della spiritualità salesiana: è realistica. Imparare ad amare la condizione che abbiamo, accettare la vita così com’è e amarla come manifestazione dell’accettazione della volontà di Dio, può sembrare un atteggiamento passivo, ma non è così quando si tratta di praticare la virtù, fare il bene, compiere il proprio dovere, affrontare le cose della vita quotidiana, nel luogo dove la provvidenza di Dio ci ha piantato, forse dove non sempre avremmo voluto essere, o forse avremmo voluto essere. Tutto questo è per preparare il cuore all’accettazione della volontà di Dio.
    Viene subito in mente che questa era la spiritualità proposta dallo stesso don Bosco ai suoi ragazzi e ai salesiani. Per esempio, nei confronti delle mortificazioni desiderate da Domenico Savio, come risulta da questo dialogo tra il ragazzo e don Bosco:
    «– Povero me! io sono veramente imbrogliato. Il Salvatore dice, che se non fo penitenza, non andrò in paradiso; ed a me è proibito di farne: quale adunque sarà il mio paradiso?”.
    – La penitenza, che il Signore vuole da te, gli dissi, è l’ubbidienza. Ubbidisci, e a te basta.
    – Non potrebbe permettermi qualche altra penitenza?
    – Sì: ti si permettono le penitenze di sopportare pazientemente le ingiurie qualora te ne venissero fatte; tollerare con rassegnazione il caldo, il freddo, il vento, la pioggia, la stanchezza e tutti gli incomodi di salute che a Dio piacerà di mandarti.
    – Ma questo si soffre per necessità.
    – Ciò che dovresti soffrire per necessità offrilo a Dio, e diventa virtù e merito per l’anima tua.
    Contento e rassegnato a questi consigli se ne andò tranquillo»[27].
    La nostra Famiglia salesiana ha fatto proprio questo modo di vivere la relazione con Dio attraverso il compimento del dovere, con la consapevolezza che è il modo che abbiamo di corrispondere, partecipare e cooperare con Dio alla sua azione creatrice e con Cristo alla costruzione del Regno.
    Don Bosco ha promosso e vissuto con i suoi giovani e i suoi salesiani le caratteristiche di questo modo semplice, vicino, quotidiano di essere in relazione con Dio. Questo modo equivale alla scelta di Francesco di Sales di proporre la pratica quotidiana delle virtù, ma con l’attenzione che siano quelle corrispondenti alla propria condizione e al proprio stato. Non altre.
    «Nella creazione Dio comandò alle piante di portare frutto, ciascuna secondo il proprio genere: allo stesso modo, ai Cristiani, piante vive della Chiesa, ordina di portare frutti di devozione, ciascuno secondo la propria natura e la propria vocazione»[28].

    La dolcezza e l’amabilità nel tratto:
    che ci portano a vivere con i nostri giovani “in un clima di famiglia, di fiducia e di dialogo”.

    San Francesco di Sales è conosciuto soprattutto per la sua bontà e la sua dolcezza. Così scrive in una delle sue lettere:
    «Mi piacciono soprattutto queste tre piccole virtù: gentilezza di cuore, povertà di spirito e semplicità di vita. E anche gli esercizi più impegnativi: visitare i malati, servire i poveri, confortare gli afflitti, e altri, ma tutto non per obbligo, ma con vera libertà»[29].
    Coloro che hanno studiato la vita e la personalità di san Francesco sono d’accordo nell’affermare che il suo carattere affabile non era spontaneo[30], come non lo era in don Bosco. San Francesco di Sales si propose come modello da imitare Gesù Cristo mite e umile di cuore[31], e si può dire che la dolcezza fu la sua virtù caratteristica. Una «dolcezza però ben diversa da quell’amabilità artefatta che consiste tutta nella ricercatezza dei modi e nello sfoggio di un’affabilità cerimoniosa, e affatto aliena sia dall’apatia, che di nulla si commuove, sia dalla timidità che non ardisce, anche quando bisogna, indignarsi. Tale virtù, germogliata nel cuore del Sales come frutto soavissimo della carità, nutrita in lui dallo spirito di compassione e di accondiscendenza, ne temprava con la sua dolcezza la gravità dell’aspetto e ne illeggiadriva la voce ed il gesto in modo da conciliargli presso tutti la più affettuosa riverenza»[32].
    Fu questa dolcezza che attirò don Bosco fin dall’inizio del suo lavoro pastorale, e che caratterizzò anche il suo stile educativo nel rapporto con i suoi ragazzi. Riflettere oggi da Roma, dove scrivo, sulla bontà e sulla dolcezza, ci permette di intuire alcuni dei sentimenti che don Bosco aveva nei confronti dei suoi ragazzi e che comunicò nella lettera scritta da Roma il 10 maggio 1884 ai suoi salesiani, non senza dolore, perché li vedeva trascurare quei sentimenti e quello stile educativo. Egli esorta: «La carità di quelli che comandano, la carità di quelli che devono obbedire faccia regnare fra di noi lo spirito di san Francesco di Sales»[33].
    Don Bosco ci insegna che l’accoglienza, la cordialità, la gentilezza, la bontà, la pazienza, l’affetto, la fiducia, la dolcezza, la mitezza, sono espressioni dell’amore che genera fiducia e familiarità. È in questo ambiente che nasce la nostra spiritualità salesiana, ricca di comprensione e misericordia, di accoglienza e di capacità di attendere con pazienza la crescita dei giovani.
    Come Francesco di Sales, don Bosco voleva vivere e fare proprie la mitezza e l’umiltà di cuore di Gesù (Mt 11,29). Nel sogno a nove anni aveva ricevuto un comando dalla “Maestra”, mentre si trovava in mezzo a una folla di capre, cani, gatti, orsi e altri animali: «Ecco il tuo campo, ecco dove devi lavorare. Renditi umile, forte, robusto; e ciò che in questo momento vedi succedere di questi animali, tu dovrai farlo pei figli miei»[34]. Commuove che nei primi ricordi registrati nelle Memorie dell’Oratorio di San Francesco di Sales, che don Bosco scrisse per obbedienza, l’atteggiamento umile con cui affrontare le difficoltà abbia un’alta priorità.
    Le qualità della mitezza e dell’umiltà di cuore furono per Francesco di Sales gli unici aiuti per la sua missione nella regione dello Chablais, dove come missionario svolse una bellissima e intensa opera pastorale, modello di stile apostolico anche per oggi. In modo molto diverso da altri missionari, che cercavano di farsi temere, Francesco di Sales – in sintonia con il detto proverbiale a lui attribuito – attirò più mosche con un cucchiaio del suo solito miele che con un barile di aceto![35].
    Questo spirito di bontà, dolcezza e mitezza si è profondamente inciso nei primi salesiani e appartiene alla nostra più antica tradizione. Tutto ciò sta ad indicare che non possiamo trascurarlo, né tantomeno perderlo, con il rischio di danneggiare significativamente la nostra identità carismatica.
    Il modo in cui questo spirito di bontà e gentilezza si trasmette e si comunica tra di noi si può cogliere nella vita di quei ragazzi che sono diventati salesiani proprio per la loro personale esperienza del tratto familiare, accogliente, gentile e rispettoso offerto dalla convivenza con don Bosco e con i primi salesiani a Valdocco. Infatti, nei primi tempi si parlava di un “quarto voto salesiano”, che comprendeva la bontà (prima di tutto), il lavoro e il sistema preventivo[36].
    Insieme a questa testimonianza leggiamo quella dei testimoni citati nella Lettera da Roma, in particolare Valfrè, che appare in sogno a don Bosco ed era all’Oratorio prima del 1870:
    «Era una scena tutta vita, tutta moto, tutta allegria. Chi correva, chi saltava, chi faceva saltare [...] In un luogo era radunato un crocchio di giovani che pendeva dal labbro di un prete il quale narrava una storiella. In un altro luogo un chierico che in mezzo ad altri giovanetti giuocava all’asino vola ed ai mestieri [...] Si vedeva che fra i giovani e i superiori regnava la più grande cordialità e confidenza [...] la famigliarità porta amore, e l’amore porta confidenza […] apre i cuori»[37].
    Non possiamo immaginare una presenza salesiana nel mondo, una presenza delle Figlie di Maria Ausiliatrice, dei Salesiani di Don Bosco e degli attuali trentadue gruppi che compongono la Famiglia Salesiana di Don Bosco, che non abbia la caratteristica della bontà come elemento distintivo; o almeno dovremmo averla, come ha voluto ricordare Papa Francesco con la sua illuminante espressione di “opzione Valdocco”[38]. Si tratta della nostra opzione per lo stile salesiano fatto di gentilezza, affetto, familiarità e presenza. Abbiamo un tesoro, un dono ricevuto da don Bosco, che ora tocca a noi ravvivare.
    Nella Carta d’Identità della Famiglia Salesiana notiamo che l’affetto e l’amorevolezza salesiana sono aspetti caratteristici dell’identità della Famiglia Salesiana.
    «L’amorevolezza di don Bosco è, senza dubbio, un tratto caratteristico della sua metodologia pedagogica ritenuto valido anche oggi, sia nei contesti ancora cristiani sia in quelli dove vivono giovani appartenenti ad altre religioni.
    Non è però riducibile solo a un principio pedagogico, ma va riconosciuta come elemento essenziale della nostra spiritualità.
    Essa infatti è amore autentico perché attinge da Dio; è amore che si manifesta nei linguaggi della semplicità, della cordialità e della fedeltà; è amore che genera desiderio di corrispondenza; è amore che suscita fiducia, aprendo la via alla confidenza e alla comunicazione profonda (“l’educazione è cosa di cuore”); è amore che si diffonde creando un clima di famiglia, dove lo stare insieme è bello ed arricchente»[39].
    Francesco di Sales attirava la gente con la sua dolcezza. San Vincenzo de’ Paoli lo descrisse come la persona più simile a nostro Signore[40]. Aveva imparato da Gesù, mite e umile di cuore. Il Cuore di Gesù ha un profondo significato sia per Francesco di Sales sia per don Bosco. L’amore di Dio fatto carne trova nel cuore umano di Gesù l’espressione più eloquente dell’amore. A partire dalla libertà con cui Dio crea l’umanità, attraverso la dolcezza, la bontà e l’affetto come modi di Dio di trattare i suoi figli e le sue figlie, arriviamo al centro della spiritualità salesiana, che è anche il modello del nostro essere e vivere: l’amore.
    Per molti dei nostri giovani, l’esperienza maggiormente ricordata dell’incontro con la Famiglia salesiana nel mondo è spesso la familiarità, l’accoglienza e l’affetto con cui si sono sentiti trattati. Insomma, lo spirito di famiglia.
    Da dove proviene la capacità di amore e di amabilità, di donazione e di consegna di sé in Francesco di Sales? Senza dubbio dalla profonda certezza che raggiunse dopo aver superato due forti crisi che lo avevano fatto sentire indegno dell’amore di Dio. Infatti, l’esperienza della crisi e dell’oscurità – che tutti possiamo sperimentare e che è stata vissuta anche da grandi santi come Teresa di Gesù, Teresa di Calcutta, Giovanni della Croce – in Francesco di Sales fece nascere una speranza purificata, che lo portò a confidare non nei propri meriti, ma nella misericordia e nella bontà di Dio. Si è mosso nella direzione del “puro amore”: un amore che ama Dio per se stesso. Dio non ci ama perché siamo buoni, ma perché Lui è buono; e noi non amiamo Dio perché vogliamo qualcosa di buono da Lui, ma perché Lui stesso è il bene più grande.
    Il compimento della volontà di Dio non si raggiunge, dunque, attraverso sentimenti di “indegnità”, ma con la speranza nella misericordia e nella bontà di Dio. Questo è l’ottimismo salesiano.
    Questa prospettiva ci porta a rifiutare con convinzione qualsiasi raffigurazione di Dio come un giustiziere arbitrario, e ad accettare invece il Dio rivelato da Gesù – un Dio di misericordia e amore –, a contemplare come il cuore di Francesco di Sales si allarga quando percepisce l’amore infinito di Dio. Così, quando ci parla dell’amore di Dio, egli parla della propria esperienza, del proprio vissuto. In definitiva, Francesco di Sales risponde all’amore di Dio con l’amore. È davvero commovente questa dichiarazione profondamente sincera, che il Santo esprime nella preghiera:
    «Qualunque cosa accada, Signore, tu che hai in mano tutte le cose e le cui vie sono giustizia e verità; qualunque cosa tu abbia deciso per me su questo segreto eterno della predestinazione e della riprovazione; tu i cui giudizi sono un abisso profondo, tu che sei sempre un giudice giusto e un Padre misericordioso, io ti amerò, Signore, almeno in questa vita, se non mi è dato di amarti nella vita eterna; tu i cui giudizi sono un abisso profondo, tu che sei sempre un giudice giusto e un padre misericordioso, io ti amerò, o Signore, almeno in questa vita, se non mi sarà dato di amarti nella vita eterna; almeno ti amerò qui, o Dio, e spererò sempre nella tua misericordia, e ripeterò sempre tutte le tue lodi, nonostante tutto ciò che l’angelo di Satana sostiene per ispirarmi contro. O Signore Gesù, tu sarai sempre la mia speranza e la mia salvezza nella terra dei vivi. Se, perché necessariamente me lo merito, devo essere maledetto tra i maledetti che non vedranno il tuo dolce volto, concedimi almeno di non essere tra coloro che maledicono il tuo santo nome»[41].
    La crisi di Francesco di Sales ha rivelato la parte più profonda del suo essere: un cuore innamorato di Dio. Egli comprese che la sottomissione della propria volontà alla volontà del Padre, a imitazione di Cristo nell’Orto degli Ulivi, è il vertice dell’amore puro. Una tale risposta al volere di Dio può essere data solo per puro amore, e scaturisce dal centro più sublime dello spirito. È un amore basato sulla fedeltà e sul sacrificio per la persona amata. Gesù, nell’agonia del giardino, è il nostro modello: «Non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu» (Mc 14,36)[42].
    La convinzione che l’amore di Dio non si basa sullo stare o sul sentirsi bene, ma sul compiere la volontà di Dio Padre, è il centro della spiritualità di Francesco di Sales e deve essere il modello per tutta la Famiglia di don Bosco. Francesco esprime questa convinzione in modo splendido alludendo alla necessità di fare un cammino dalle consolazioni di Dio al Dio delle consolazioni, dall’entusiasmo al vero amore, rimanendo fedeli in mezzo alle prove; passando dall’innamoramento al vero amore per gli altri. Un amore puro, disinteressato, che non cerca nulla per sé, che si decentra da sé. E Dio, che vuole salvare tutti, ci mostra che l’amore perfetto allontana ogni paura (1Gv 4,18). Fare tutto per amore, niente per paura, perché è la misericordia di Dio e non i nostri meriti che ci spinge ad amare.
    A partire da questa spiritualità salesiana, sarà significativo per noi scoprire l’amore incondizionato di Dio come centro di tutto il dinamismo della carità e dello zelo pastorale verso gli altri, che Francesco di Sales prima, e don Bosco poi, hanno sviluppato magnificamente.

    Un Amore incondizionato e senza riserve:
    “imitando la pazienza di Dio, incontriamo i giovani al punto in cui si trova la loro libertà”.

    La santità per tutti è un elemento essenziale della proposta spirituale di Francesco di Sales, fondata sull’amore per Dio, per tutti e per ciascuno. Questo amore trova nella devozione al Sacro Cuore di Gesù un solido modello da imitare e da seguire. Insieme alla mitezza e all’umiltà, la sottomissione della propria volontà, a imitazione di Cristo nell’Orto degli Ulivi, è il vertice dell’amore puro. Amare è un atto di volontà, un atto di abbandono, in cui si sceglie la volontà di Dio.
    Nel Trattato dell’Amore di Dio, Francesco di Sales cita il cuore più di trecento volte. Essendo un umanista cristiano, continuamente si richiama alla persona creata a immagine e somiglianza di Dio; e nella persona umana ritrova la “perfezione dell’universo”:
    «L’uomo è la perfezione dell’universo, lo spirito è la perfezione dell’uomo, l’amore è la perfezione dello spirito e la carità è la perfezione dell’amore. Quindi, l’amore di Dio è il fine, la perfezione e l’eccellenza dell’universo. In questo consiste la grandezza e il primato del comandamento dell’amore divino, chiamato dal Salvatore il più grande e primo comandamento»[43].
    Il cuore dell’essere umano (donna e uomo), un cuore come quello del figlio prodigo (Lc 15) quando si allontana dal bene, conserverà sempre quella volontà che continua ad attirarlo al bene, perché questo è il modo nel quale Dio ci ha creato, e noi non possiamo arrivare a Dio con le nostre sole forze, contando solo sulla nostra natura umana, se lui non ci aiuta con la sua provvidenza, con la sua grazia e con il suo amore. L’inclinazione naturale verso il bene, il bello e il vero può essere sufficiente per farci partire, per metterci in cammino, ed è lì che l’azione di Dio in noi, la sua grazia, che non è negata a nessuno che lo cerchi, ci assiste e ci guida.
    Se sant’Agostino diceva che «il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te»[44], seguendo il pensiero di Francesco di Sales, potremmo dire con von Balthasar, che è «impaziente il tuo cuore [Dio] finché noi non riposiamo in te, e tempo ed eternità sprofondano l’uno nell’altra»[45].
    Nella tradizione salesiana troviamo numerosi esempi della devozione preferenziale al Cuore di Gesù, sia in Francesco di Sales sia in Giovanna di Chantal, e in modo molto speciale in una delle figlie della Visitazione: santa Margherita Maria Alacoque; fino ad arrivare al tempo di don Bosco, con il particolare impulso dato a questa devozione da parte di Papa Pio IX[46], che beatificò Margherita Maria Alacoque e che dichiarò nel 1877 san Francesco di Sales dottore della Chiesa. L’epoca di don Bosco è stata segnata dalla devozione al Sacro Cuore di Gesù e, fin dalla costruzione della Basilica realizzata dal nostro Padre su richiesta del Papa Pio IX, la Famiglia salesiana è legata all’Amore di Gesù espresso nel suo cuore. Forse questo è un altro punto di somiglianza e di contatto tra san Francesco di Sales e don Bosco: la fedeltà alla Chiesa e alla missione di annunciare il Vangelo, mettendo Cristo al centro dell’azione pastorale allo scopo di raggiungere tutti. Non è irrilevante definire la Basilica minore del Sacro Cuore di Roma “tempio internazionale”, come il “Tibidabo” a Barcellona e molti altri templi dedicati al Sacro Cuore di Gesù in tutto il mondo salesiano e, naturalmente, nella Chiesa intera.
    Nel Cuore di Gesù è viva la presenza incarnata dell’amore di Dio e la sua volontà di redenzione del mondo. Questo ci assicura che l’ultima parola di Dio nel mondo è Lui, l’amore.
    Il Papa emerito Benedetto XVI, nella sua preziosa e magistrale enciclica Deus Caritas Est, descrive Gesù Cristo come l’incarnazione dell’amore di Dio, la manifestazione dell’intervento di Dio nella storia umana, che trova in Gesù la sua massima espressione:
    «Quando Gesù nelle sue parabole parla del pastore che va dietro alla pecorella smarrita, della donna che cerca la dracma, del padre che va incontro al figliol prodigo e lo abbraccia, queste non sono soltanto parole, ma costituiscono la spiegazione del suo stesso essere ed operare. Nella sua morte in croce si compie quel volgersi di Dio contro se stesso nel quale Egli si dona per rialzare l’uomo e salvarlo — amore, questo, nella sua forma più radicale. Lo sguardo rivolto al fianco squarciato di Cristo, di cui parla Giovanni (cfr 19, 37), comprende ciò che è stato il punto di partenza di questa Lettera enciclica: “Dio è amore” (1 Gv 4, 8). È lì che questa verità può essere contemplata. E partendo da lì deve ora definirsi che cosa sia l’amore. A partire da questo sguardo il cristiano trova la strada del suo vivere e del suo amare»[47].
    Questo piccolo excursus sulla devozione al Sacro Cuore ci avvicina al centro della nostra spiritualità. Non c’è bontà, non c’è dedizione ai bisognosi, non c’è amabilità o libertà, non c’è carità o nessuno dei tratti che abbiamo presentato, se manca la sorgente originale dell’Amore di Dio. È l’amore e non il peccato che spiega la libera decisione di Dio di far parte dell’umanità e di essere uno di noi. Così capiamo che l’incarnazione, il divenire uomo del Figlio, è eternamente voluta da Dio. Non è una sorta di “piano B” che Dio inventa a causa del peccato dell’uomo. Anche se non ci fosse stato il peccato dal quale redimerci, Dio si sarebbe comunque fatto uomo. Questa è la profonda convinzione di Francesco di Sales.
    L’incarnazione, inoltre, non è solo un fatto storico, ma un evento continuo, metafisico e, allo stesso tempo, personale. Dio si incarna nella nostra storia, per pura e gratuita iniziativa Sua.
    Da qui l’apostolato e la nostra dedizione alla missione prendono pienezza di significato, perché sono imitazione di Colui che ha dato per amore la sua vita per noi: amando allo stesso modo, con il dono della nostra vita, con quell’umiltà che Francesco di Sales chiamava “carità discendente”, entrando in relazione con gli altri, facendoci piccoli con i piccoli, per amore, per elevarli. Questa è l’“estasi”, è uscire da noi stessi e andare incontro agli altri con un atteggiamento di servizio come fece Gesù nella lavanda dei piedi (Gv 13). O quando «Gesù li chiamò a sé e disse: “Chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo […] come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”» (Mt 20, 27-28).
    Alla luce della Parola del Signore e seguendo il buon esempio di Francesco di Sales, comprendiamo la paternità di don Bosco come espressione del suo amore incondizionato per i giovani poveri, abbandonati e in pericolo.
    Nella nostra spiritualità salesiana, la devozione e la vita spirituale non sono separate dall’apostolato e dall’esercizio della carità. Per questo, accanto alla chiesa, don Bosco volle un centro educativo e formativo per i suoi ragazzi; un ambiente che, come quello di Valdocco e come tutte le altre presenze salesiane del mondo, fosse una casa per i giovani più bisognosi, un cortile dove potessero incontrarsi con gli amici. In questo modo si completa e si realizza in pienezza l’autentica devozione, che conduce all’esercizio della carità verso il prossimo.
    Don Bosco vuole che l’amore per Cristo ci porti all’amore per i giovani, caratteristica salesiana della nostra vita e sfida permanente per la Famiglia di don Bosco, oggi e sempre.

    Con la necessità di una guida spirituale:
    “li accompagniamo perché maturino solide convinzioni”.

    La Famiglia salesiana continua a praticare l’arte dell’accompagnamento, la stessa arte che Francesco di Sales e don Bosco hanno sviluppato, ciascuno nel proprio tempo.
    Il ministero, il servizio della guida spirituale, è stato ed è stimato nella Chiesa come un elemento veramente importante della pedagogia e del sistema educativo salesiano e che dovremmo esercitare ancora meglio. Si tratta dell’accompagnamento. Anche per questo compito mettiamo in pratica i principi salesiani ereditati da Francesco di Sales: la bontà, l’amabilità, la pazienza, l’ascolto, l’attesa.
    I giovani di oggi, come quelli di tutti i tempi, aspettano una mano amica che li aiuti nel loro cammino. La direzione spirituale che Francesco di Sales offriva a tante persone, aiutandole a camminare verso Dio nello stato di vita in cui si trovavano, era ciò che don Bosco faceva con i suoi giovani, accompagnando ognuno di loro attraverso la creazione di un ambiente educativo e con il contatto personale. Non per niente don Bosco ha inventato la “parolina all’orecchio”: un modo per dire e proporre a ciascuno un cammino personale di santità e di crescita, fino a diventare ciò che Dio aveva “sognato” per ognuno di loro.
    Riflettere su questo servizio ai giovani ci incoraggia ad approfondire il significato che l’accompagnamento personale ha per ciascuno di noi. È un modo prezioso di servire gli altri con la generosità del tempo dedicato all’ascolto. Nella relazione tra le persone non c’è niente di più apprezzato del tempo generosamente donato all’ascolto dell’altro: lasciando altri impegni, altre mansioni, offrendo piena disponibilità per accogliere, ascoltare, orientare, guidare, proporre, accompagnare.
    Nel quarto centenario della morte di san Francesco di Sales non possiamo dimenticare questo semplice e umile servizio ai giovani, che esprime chiaramente l’apprezzamento e l’importanza che diamo alla loro vita quando dedichiamo il nostro tempo a stare con loro, ad ascoltarli, a capirli e ad aiutarli a seguire nella loro vita il progetto che Dio propone loro.
    Per noi, seguaci della spiritualità di san Francesco di Sales in don Bosco, aiutare i giovani a scoprire e seguire la volontà di Dio dà senso alla nostra vocazione educativa ed evangelizzatrice. Questo è anche il motivo per cui siamo nati nella Chiesa, la ragione per la quale lo Spirito Santo ha suscitato in don Bosco il carisma salesiano, vissuto oggi nella sua Famiglia spirituale.
    Nella dimensione del servizio pastorale di accompagnamento, si concretizza ed esprime la nostra predilezione per i giovani poveri e abbandonati. Non è certamente lo stesso ambiente culturale, né sono le stesse persone che la ricerca della volontà di Dio riveste nella vita di ogni persona, di ogni giovane, di ogni destinatario della nostra missione. È evidente che riconosciamo importante la persona che sta di fronte a noi quando, lasciando da parte altre cose, prestiamo attenzione alla sua vita, alla sua storia, alla sua situazione. Questo è il modo concreto di mettere in pratica il motto di don Bosco: “Da mihi animas, cetera tolle” – tanto urgente e importante per noi oggi quanto lo era per lui.
    Nella vivacità del linguaggio salesiano, scopriamo in don Bosco il desiderio di diventare “l’amico dell’anima” di tanti giovani, così come Francesco di Sales aveva sperimentato l’amicizia spirituale che nasceva nelle persone che accompagnava. Don Bosco, seguendo le orme di Francesco di Sales, cercò di condurre i suoi giovani all’amicizia con Dio, centro di tutta la vita spirituale: nella vita quotidiana, nelle circostanze più ordinarie e nei momenti speciali e difficili. Voleva essere per quei giovani l’amico di cui potevano fidarsi, e come amico e padre desiderava avvicinarli a Dio. Così racconta lo stesso don Bosco:
    «Fu in quelle occasioni che mi accorsi come parecchi erano ricondotti in quel sito [cioè il carcere] perché abbandonati a se stessi. “Se questi giovanetti avessero fuori un amico, che si prendesse cura di loro, li assistesse e li istruisse nella religione nei giorni festivi, chi sa che non possano tenersi lontani dalla rovina o almeno diminuire il numero di coloro, che ritornano in carcere?”. Comunicai questo pensiero a don Cafasso, e col suo consiglio e co’ suoi lumi mi sono messo a studiar modo di effettuarlo abbandonandone il frutto alla grazia del Signore senza cui sono vani tutti gli sforzi degli uomini»[48].
    Nell’Introduzione alla vita devota, Francesco di Sales, proponendo la ricerca dell’“amico dell’anima” per poter camminare nella vita, non pone alcuna condizione per accogliere la persona che cerca una guida. È un’accoglienza incondizionata. Questo è lo “stile salesiano di accompagnamento”[49].
    «Quando il giovane Tobia ricevette l’ordine di recarsi a Rage, rispose: “Non conosco la strada”. Il padre gli disse allora: “Va’ tranquillo e cerca qualcuno che ti faccia da guida”. Ti dico la stessa cosa, Filotea. Vuoi metterti in cammino verso la devozione con sicurezza? Trova qualche uomo capace che ti sia di guida e ti accompagni; è la raccomandazione delle raccomandazioni. Qualunque cosa tu cerchi, dice il devoto Avila, troverai con certezza la volontà di Dio soltanto sul cammino di una umile obbedienza, tanto raccomandata e messa in pratica dai devoti del tempo antico.”[50].
    Trovare quegli amici dell’anima che ci accompagnano nel nostro cammino sarebbe anche un bel frutto di questo centenario salesiano. Don Bosco ha tenuto in particolare considerazione tutto questo, e lo ha realizzato con l’accoglienza incondizionata, la cura dell’ambiente e della presenza, l’amicizia, l’affetto, la fiducia, la ricerca del bene di ogni persona, l’ascolto di Dio che ha messo sul nostro cammino proprio la persona che ci può accompagnare. Ripercorrendo la propria esperienza, nelle Memorie dell’Oratorio don Bosco mostra il grande valore dell’accompagnamento nella sua stessa vita, specialmente in certi momenti decisivi. Egli dice:
    «Don Cafasso, che da sei anni era mia guida, fu eziandio mio direttore spirituale, e se ho fatto qualche cosa di bene lo debbo a questo degno ecclesiastico nelle cui mani riposi ogni mia deliberazione, ogni studio, ogni azione della mia vita»[51].
    Francesco di Sales aveva scritto su questo argomento nella sua Filotea:
    «[Questo amico] per te deve rimanere sempre un Angelo: ossia, quando l’avrai trovato, non fermarti a dargli stima come uomo, e non riporre la fiducia nelle sue capacità umane, ma in Dio soltanto, che ti incoraggerà e ti parlerà tramite quell’uomo, ponendogli nel cuore e sulla bocca ciò che sarà utile al tuo bene; tu devi ascoltarlo come un Angelo venuto dal cielo per condurti là. Parla con lui a cuore aperto, in piena sincerità e schiettezza; manifestagli con chiarezza il bene e il male senza infingimenti e dissimulazione: in tal modo il bene sarà apprezzato e reso più solido e il male corretto e riparato; nelle afflizioni ti sarà di sollievo e di forza, nelle consolazioni di moderazione e misura. Devi riporre in lui una fiducia senza limiti, unita a un grande rispetto, ma in modo che il rispetto non diminuisca la fiducia e la fiducia non tolga il rispetto. Apriti a lui con il rispetto di una figlia verso il padre e portagli rispetto con la fiducia di un figlio verso la madre; per dirla in breve: deve essere una amicizia forte e dolce, santa, sacra, degna di Dio, divina, spirituale»[52].
    Alla fine del periodo trascorso al Convitto ecclesiastico di Torino, don Bosco volle che fosse la volontà di Dio a guidare i suoi passi in ciò che doveva iniziare, e si affidò al giudizio di chi lo conosceva meglio e poteva orientarlo: don Cafasso. Nel breve dialogo con lui che riporto di seguito, don Bosco ci mostra come aveva assimilato pienamente ciò che Francesco di Sales aveva insegnato sull’indifferenza, sulla ricerca sincera e sull’obbedienza nell’accompagnamento. Ci mostra un modo di vivere che anzitutto noi stessi dovremmo mettere in pratica, prima di considerarlo una proposta da rivolgere ad altri.
    «Un giorno don Cafasso mi chiamò a sé e mi disse: “Ora avete compiuto il corso dei vostri studi; uopo è che andiate a lavorare. In questi tempi la messe è copiosa assai. A quale cosa vi sentite specialmente inclinato?”.
    – A quella che ella si compiacerà di indicarmi.
    – Vi sono tre impieghi: vicecurato a Buttigliera d’Asti; ripetitore di morale qui al Convitto; direttore del piccolo Ospedaletto accanto al Rifugio. Quale scegliereste?
    – Quello che ella giudicherà.
    – Non vi sentite propensione ad una cosa più che ad un’altra?
    – La mia propensione è di occuparmi per la gioventù. Ella poi faccia di me quel che vuole; io conosco la volontà del Signore nel suo consiglio.
    – In questo momento che cosa occupa il vostro cuore, che si ravvolge in mente vostra?
    – In questo momento mi pare di trovarmi in mezzo ad una moltitudine di fanciulli, che mi dimandano aiuto.
    – Andate adunque a fare qualche settimana di vacanza. Al vostro ritorno vi dirò la vostra destinazione.
    Dopo quelle vacanze don Cafasso lasciò passare qualche settimana senza dirmi niente; io gli chiesi niente affatto.
    – Perché non dimandate quale sia la vostra destinazione? mi disse un giorno.
    – Perché io voglio riconoscere la volontà di Dio nella sua deliberazione e voglio metter niente del mio volere.
    – Fatevi il fagotto e andate col teologo Borel; là sarete direttore del piccolo Ospedale di Santa Filomena; lavorerete anche nell’Opera del Rifugio. Intanto Dio vi metterà tra mano quanto dovrete fare per la gioventù.
    A prima vista sembrava che tale consiglio contrariasse le mie inclinazioni, perciocché la direzione di un ospedale, il predicare e confessare in un istituto di oltre a quattrocento giovanette, mi avrebbero tolto il tempo ad ogni altra occupazione. Pure erano questi i voleri del cielo, come ne fui in appresso assicurato»[53].
    In conclusione, nel confronto con la spiritualità di Francesco di Sales e con l’esperienza di don Bosco, scopriam, per quanto riguarda l’accompagnamento, che il nostro stile educativo è una “mistagogia spirituale” che si fa carico dell’altro con un’amicizia educativa che illumina, introduce nella vita interiore e genera una relazione con Dio; con uno stile di vita e un rapporto amichevole, gioviale, stretto, non superficiale, ma capace di accompagnare ciascuno in un cammino che conduce all’Amore di Dio. E anche l’accompagnatore salesiano deve avere e coltivare gli atteggiamenti propri di chi vive il sistema preventivo e la carità pastorale[54].

    “Tutto per amore”:
    affinché “siano progressivamente responsabili nel delicato processo di crescita della loro umanità nella fede”.

    Un elemento che attraversa tutta la spiritualità salesiana di Francesco di Sales è il grande valore dato alla preghiera.
    Ho fatto riferimento in queste pagine ad alcune forme di espressione devozionale, come quella al Sacro Cuore, all’atteggiamento fondamentale della fiducia, all’abbandono nelle mani della Provvidenza, alla consapevolezza di avere in noi un “santuario interiore”, all’amicizia con Dio che dobbiamo coltivare, e alla bontà di Dio che non rifiuta mai il suo aiuto a coloro che fanno tutto quello che possono e sono fedeli nelle piccole cose.
    Si può percepire in tutto ciò la fonte e l’espressione dello zelo pastorale di Francesco di Sales, della sua pazienza con tutti, della sua bontà, del suo ottimismo, della sua fortezza d’animo e anche del suo desiderio di comunicare a tutti la buona notizia del Vangelo. Tutto è frutto della sua relazione con Dio, profonda e semplice allo stesso tempo, quotidiana e vissuta come vera amicizia. La sua vita di preghiera è la sua storia personale d’amore con Dio, con i suoi progressi e con gli esercizi per evitare che il suo rapporto con il Cuore del suo cuore, centro della sua vita, si raffreddi.
    Per Francesco di Sales, la preghiera come comunicazione con Dio è il cuore dell’uomo che parla al cuore del Signore. È la forma di preghiera della spiritualità incarnata. Dio non è solo Dio del cuore umano, ma anche “amico del cuore umano”.
    La preghiera ci permette di trovare il cuore di Dio e di conformare il nostro cuore al suo.
    «Uniamo la nostra volontà a Dio per gustare e sentire la dolcezza della sua incomprensibile bontà, perché, dalla cima di questa scala, Dio, chinandosi verso di noi, ci dà il bacio d’amore e ci fa assaggiare i sacri seni della sua dolcezza, migliori del vino»[55].
    Francesco di Sales vive la preghiera come un dialogo di cuori, in cui Dio prende l’iniziativa.
    «Mai un regalo è più piacevole di quando ci viene fatto da un amico. I comandi più dolci diventano aspri se li impone un cuore tirannico e crudele, e ci sembrano molto dolci, quando sono dettati dall’amore. La servitù sembrava a Giacobbe come la regalità, perché veniva dall’amore. Molti osservano i comandamenti come chi prende una medicina, cioè più per paura della morte e della dannazione che per il piacere essere graditi a Dio. Al contrario, il cuore innamorato ama i comandamenti, e quanto più sono difficili, tanto più gli sembrano gradevoli e piacevoli, perché in questo modo piace di più all’Amato, e maggiore è l’onore che gli rende»[56].
    Si tratta di amare la volontà di Dio, di metterla in pratica, di trovare nella preghiera il miglior sostegno per compierla. La chiave di questa spiritualità è il ricorso alla preghiera per stare con Colui che sappiamo che ci ama; per far coincidere il battito del nostro cuore con quello del Maestro, come il discepolo amato, per contemplare – poiché la preghiera non è pensare molto ma amare molto; e per riposare in Lui, come modo per recuperare e ritrovare la forza per continuare ad amare.

    * La carità come misura della nostra preghiera

    La carità è la misura della nostra preghiera, perché il nostro amore per Dio si manifesta nell’amore per il prossimo. Incontriamo qui la “preghiera della vita”, così importante per san Francesco di Sales[57]. Essa consiste nel compiere tutte le nostre attività nell’amore e per amore di Dio, in modo tale che tutta la nostra vita diventi una preghiera continua. Chi fa opere di carità, visita i malati, assiste nel cortile, dà tempo agli altri per ascoltarli, accoglie chi ha bisogno, ... sta pregando. Gli impegni e le occupazioni non devono impedire l’unione con Dio, e chi pratica questa forma di preghiera non corre il pericolo di dimenticare Dio. Quando due persone si amano - conclude Francesco di Sales - i loro pensieri sono sempre rivolti l’uno verso l’altro.
    I mezzi semplici che egli propone per raggiungere l’unione con Dio - tema tanto caro alla nostra spiritualità di figli e figlie di Don Bosco - li riconosciamo nelle pratiche di pietà che don Bosco proponeva ai suoi ragazzi e ai suoi primi salesiani. A coloro che sono occupati nelle cose temporali, consiglia di trovare momenti, anche molto brevi, di raccoglimento per unire il cuore a Dio con brevi sospiri, giaculatorie e buoni pensieri, o per prendere coscienza di Dio nel nostro spirito. Mentre siamo in mezzo a conversazioni o attività, possiamo sempre rimanere alla presenza di Dio. In questo modo, la vera preghiera non trascura gli obblighi della vita quotidiana.
    Chi ha sperimentato tutto questo, riconosce che Francesco di Sales viveva ciò che consigliava e insegnava agli altri. Quello che faceva, lo faceva per Dio e in Dio. Egli considerava questa “preghiera attiva” migliore delle altre. Quando era oberato da compiti e impegni, non dedicava quasi nessun tempo alla preghiera formale: «la sua vita era una continua preghiera»[58].
    Nell’Introduzione alla vita devota, Francesco di Sales presenta i gradi della preghiera, seguendo da vicino lo schema di Santa Teresa di Gesù (preghiera vocale, mentale, contemplativa e silenziosa). Per la nostra pratica quotidiana, varrebbe la pena di approfondire il valore della meditazione per Francesco di Sales, il quale considera che come un orologio è caricato per non fermarsi, così la preghiera e il tempo dedicato al Signore nella meditazione e nell’esame di coscienza, e altre pratiche di pietà, mantengono vivo il nostro zelo, il nostro ardore apostolico e il nostro desiderio di appartenenza a Dio. Conviene trovare momenti per ritirarsi nel proprio cuore, lontano dal trambusto e dall’attivismo, e conversare cuore a cuore con Dio.
    «Un orologio, per buono che sia, bisogna caricarlo e dargli la corda almeno due volte al giorno, al mattino e alla sera, e inoltre, almeno una volta all’anno, bisogna smontarlo completamente, per togliere la ruggine accumulata, raddrizzare i pezzi storti e sostituire quelli troppo consunti. La stessa cosa deve fare chi ha seriamente cura del proprio cuore; lo deve ricaricare in Dio, sera e mattina, per mezzo degli esercizi indicati sopra; deve inoltre ripetutamente riflettere sul proprio stato, raddrizzarlo e ripararlo; e, infine, deve smontarlo almeno una volta all’anno, e controllare accuratamente tutti i pezzi, ossia tutti i suoi sentimenti e le sue passioni, per riparare tutti i difetti che vi scopre. E, allo stesso modo che l’orologiaio unge con olio speciale gli ingranaggi, le molle e tutte le parti meccaniche dell’orologio, affinché tutti i movimenti siano più dolci, e la ruggine abbia meno presa, così la persona devota, dopo aver smontato il proprio cuore per rinnovarlo, deve ungerlo con i Sacramenti della Confessione e dell’Eucarestia. Questo esercizio ti farà recuperare le forze indebolite dal tempo, ti riscalderà il cuore, farà riprendere vigore ai tuoi buoni propositi e rifiorire le virtù del tuo spirito»[59].
    Quando il processo è autentico, la preghiera porta all’azione e viceversa. Il valore aggiunto è che la preghiera è praticata con la semplicità e con l’abbandono insegnato da Francesco di Sales: “nulla chiedere, nulla rifiutare”. Questo atteggiamento aiuta a purificare le motivazioni della sequela, permette di essere guidati da Dio e dispone in noi un’autentica libertà.

    * Maria, la madre di Gesù. Rivolgiamoci a questa Madre, invochiamo il suo amore materno
    Farò solo un breve e sintetico riferimento, ma mi preme sottolineare che la crescita umana nella fede trova un modello speciale in Maria, la madre di Gesù[60].
    San Francesco di Sales stabilì che l’opera della Visitazione, fondata insieme a Giovanna di Chantal, avrebbe avuto come simbolo un cuore trafitto da due frecce, coronato da una croce, circondato da una corona di spine e con i sacri nomi di Gesù e Maria incisi su di esso.
    Innanzitutto Maria appare nella teologia di Francesco di Sales in una forma simile a quella che sarà propria della teologia del Concilio Vaticano II. Maria è nel cuore della Chiesa. E la sua missione è quella di attirare e portare tutti a suo Figlio[61]. Per questo Francesco di Sales incoraggia ad unirsi a Maria, come i discepoli, per ricevere la fonte dell’unità, lo Spirito Santo.
    «Onora, riverisci e rispetta con amore speciale la santa e gloriosa Vergine Maria: ella è Madre del nostro Padre sovrano e perciò anche nostra cara nonna. Ricorriamo a Lei quali nipotini, gettiamoci sulle sue ginocchia con assoluta fiducia; in ogni momento, in ogni circostanza, facciamo appello a questa dolce Madre, invochiamo il suo amore materno e, facendo ogni sforzo per imitare le sue virtù, abbiamo per Lei un sincero cuore di figli»[62].
    Inoltre, la figura di Maria, modello di tutte le virtù, presentata come “rivestita di Cristo”, percorre come suo Figlio il cammino dell’umiltà. Con la sua totale dipendenza da Dio, la sua disponibilità a Lui, Maria riceve abbondantemente la generosità di Dio. Quando canta nel suo Magnificat l’umiltà della serva, è perché ha attirato lo sguardo di Dio.
    Infine, il tratto salesiano della devozione alla Vergine, nostra madre e guida, corrisponde alla fiducia che don Bosco riponeva in Maria come Consolatrice, Immacolata e Ausiliatrice di tutti i fratelli di suo Figlio. Maria coopera al piano di salvezza di Dio e, nelle parole di Francesco di Sales, Dio «ha fatto passare Maria attraverso tutti gli stati di vita, affinché tutti possano trovare in lei ciò di cui hanno bisogno per vivere adeguatamente il proprio stato di vita»[63].
    In lei vediamo ciò che Dio è pronto a fare con il suo amore, quando trova cuori disponibili come quello di Maria. Svuotandosi, riceve la pienezza di Dio. Rimanendo disponibile a Dio, lascia spazio perché Dio compia in lei grandi cose.
    La contemplazione di Maria, con la sua vita e il suo sì a Dio, ci invita ad aprirci anche noi all’amore di Dio, nella consapevolezza che il cuore di Gesù, sull’albero della croce, ci contempla e ci ama. In Maria vediamo completato il vero destino del nostro cuore, unito al cuore di Dio.

    * Francesco di Sales, un umanista cristiano che comunica Dio
    C’è un’altra caratteristica per la quale Francesco di Sales è forse più conosciuto negli ambienti culturali del nostro mondo: è il Patrono dei giornalisti.
    In un’epoca in cui la comunicazione si realizza in tanti modi, con i suoi innegabili vantaggi e difetti, Francesco di Sales si distingue per un valore che dà dignità alla professione giornalistica: la ricerca e la diffusione della verità.
    Quando Papa Pio XI, nel 1923, dichiarò Francesco di Sales patrono dei giornalisti[64], ne indicò le principali caratteristiche di comunicatore. La sua amabile via di santità mostrò agli altri, attraverso i suoi scritti, la via sicura e semplice della perfezione cristiana.
    Mostrare, come fece Francesco di Sales, che la santità è per tutti e che è perfettamente conciliabile con tutti gli uffici e le condizioni della vita civile, comporta anche saper comunicare i contenuti della fede e della religione in un linguaggio semplice, comprensibile e gradevole. E questa è la virtù e la caratteristica salesiana di una comunicazione della verità, con ogni strumento possibile, affinché l’annuncio raggiunga tutti e aiuti tutti a comprendere il messaggio che si intende trasmettere.
    Il desiderio di comunicare la verità del Vangelo era accompagnato in Francesco di Sales da una creatività e originalità senza pari, dimostrate ad esempio con i manifesti che appendeva in luoghi pubblici o che distribuiva sotto le porte, quando non aveva un pulpito per impartire le sue catechesi al popolo di Dio che gli era stato affidato come loro pastore. In questo modo semplice, libero e accessibile egli si rendeva presente.
    Pio XI, nella sua enciclica per il terzo centenario della morte di Francesco di Sales, enuncia i principi fondamentali, tuttora validi e degni di considerazione come modello di comportamento retto, professionale e onesto.
    «Ma vorremmo che da queste solenni ricorrenze [del terzo centenario della morte di Francesco di Sales] precipuo vantaggio ritraessero tutti quei cattolici, che con la pubblicazione o di giornali o di altri scritti illustrano, promuovono e difendono la cristiana dottrina. Ad essi è necessario, nelle discussioni, imitare e mantenere quel vigore, congiunto con moderazione e carità, tutto proprio di Francesco. Egli, infatti, con il suo esempio, insegna loro chiaramente la condotta da tenere. Innanzi tutto studino con somma diligenza e giungano, per quanto possono, a possedere la dottrina cattolica; si guardino dal venir meno alla verità, né, con il pretesto di evitare l’offesa degli avversari, la attenuino o la dissimulino; abbiano cura della stessa forma ed eleganza del dire, e si studino di esprimere i pensieri con la perspicuità [cioè la chiarezza, la trasparenza, l’intelligibilità] e l’ornamento delle parole, in maniera che i lettori si dilettino della verità. Se si presenta il caso di combattere gli avversari, sappiano, sì, confutare gli errori e resistere alla improbità dei perversi, ma in modo da dare a conoscere di essere animati da rettitudine e soprattutto mossi dalla carità. E poiché non consta che il Sales sia stato dato a Patrono dei ricordati scrittori cattolici con pubblico e solenne documento di questa Apostolica Sede, Noi, cogliendo questa fausta occasione, di certa scienza e con matura deliberazione, con la Nostra apostolica autorità diamo o confermiamo, e dichiariamo, mediante questa Lettera Enciclica, san Francesco di Sales, vescovo di Ginevra e dottore della Chiesa, celeste patrono di essi tutti, nonostante qualsiasi cosa in contrario»[65].
    Abbiamo qui un prezioso impegno per la verità e la sua diffusione, per lo stile salesiano della bontà e della dolcezza, per la semplice proclamazione, per la retta intenzione di far giungere l’annuncio della verità a tutti, cercando sempre il bene delle persone.
    L’annuncio e la proclamazione della fede, oltre a ciò che abbiamo appena detto, comporta un altro aspetto importante da considerare, al quale Francesco di Sales fu fedele. Come vescovo di Ginevra, egli si preoccupò sempre dell’evangelizzazione del popolo di Dio e soprattutto della catechesi. Come Famiglia di don Bosco, non possiamo perdere né dimenticare questo valore carismatico. Comunicare il messaggio del Vangelo perché sia vissuto fa parte del nostro carisma. La Congregazione salesiana, la Famiglia salesiana, sono nate da un semplice catechismo[66]. La Chiesa ha recentemente istituito il ministero del catechista[67]. Con queste prospettive ci è offerta una magnifica opportunità per rivitalizzare la nostra dimensione evangelizzatrice.
    Non dimentichiamo che anche Don Bosco, con i mezzi che aveva a disposizione all’epoca, nel corso di quarant’anni anni pubblicò 318 opere, perché come Francesco di Sales era convinto che una buona parola o una ricca lettura potesse operare un grande bene. Tutti gli sforzi non erano nulla per lui al fine di ottenere il bene e la salvezza di una persona.
    Infine, fu sempre intenzione di Francesco di Sales raggiungere tutti e proclamare la salvezza e la liberazione che l’Amore di Dio offre. L’intento divenne realtà nel suo particolare esercizio di amabilità e zelo pastorale, andando a visitare, ad incontrare, cercando e incoraggiando le persone in vari modi. La fondazione dell’Ordine della Visitazione, realizzata insieme a Giovanna de Chantal, ci parla, nel linguaggio del tempo, della “Chiesa in uscita” proposta da Papa Francesco, che va incontro a chiunque voglia ascoltare il messaggio di Gesù.
    L’immagine di don Bosco che visita i ragazzi durante la settimana nei loro luoghi di lavoro, l’immagine di Francesco di Sales che visita i suoi parrocchiani e lascia sotto le porte delle loro case un messaggio di fede e di amore per Dio, l’immagine ispiratrice della Vergine Maria in visita della sua parente Elisabetta, dovrebbero incoraggiarci, entusiasmarci e quasi sfidarci.

    Conclusione

    Anche noi, come Famiglia salesiana, abbiamo bisogno di esplicitare il “carisma della visitazione”, come desiderio che portiamo nel cuore di annunciare, senza aspettare che siano gli altri a venire da noi, andando in spazi e luoghi abitati da tante persone per le quali una parola gentile, un incontro, uno sguardo pieno di rispetto può aprire i loro orizzonti verso una vita migliore.
    Insomma, andare incontro ai giovani, ovunque e comunque si trovino, continua ad essere il nostro tratto più distintivo, che conferma l’intenzione e la volontà di don Bosco di amare ciò che i giovani amano affinché essi amino ciò che noi amiamo, diffondendo lo spirito salesiano, la nostra “opzione Valdocco”, ovunque ci porti il desiderio di stare con i giovani, vivendo un vero “sacramento salesiano della presenza”, e l’impegno a realizzare “piccoli esercizi di carità”.
    Così siamo nati e così vogliamo seguire don Bosco, che ha trovato in Francesco di Sales un modello e uno spirito affine, una sorta di anima gemella.
    L’anniversario che celebriamo quest’anno ci aiuti a continuare a crescere nella dedizione ai giovani poveri e abbandonati con il carisma salesiano di don Bosco intriso dello spirito di san Francesco di Sales.

    PER RILEGGERE E RIFLETTERE, E LASCIAR RIPOSARE NEL CUORE

    Termino questo commento alla Strenna 2022 riportando alcuni pensieri di san Francesco di Sales, di don Bosco, di Papa Francesco e anche qualche riga di ciò che ho scritto. Sono scelti per aiutare a rileggere e a riflettere sulla Strenna e perché, lasciandoli riposare nel cuore, portino frutto nella nostra vita.

    La carità e la dolcezza di San Francesco di Sales mi guidino in ogni cosa.
    “Niente per forza” è una bella proposta, un invito da accogliere come una preziosa regola di vita personale.
    Come vescovo tridentino, promotore della riforma cattolica, educato nella lotta contro la tiepidezza della fede, scelse la via del cuore e non quella della forza. E non ha fatto altro che contemplare e vivere l’atteggiamento di Dio.
    Dio, con la sua grazia, agisce con forza, ma non per obbligare o costringere, ma per attirare il cuore, non per violare, ma per amare la nostra libertà.
    Dio, come amava dire Francesco di Sales, ci attira a sé con la sua gentile iniziativa, a volte come una vocazione o una chiamata, a volte come la voce di un amico, come un’ispirazione o un invito e a volte come una “prevenzione”, perché sempre anticipa. Dio non si impone: bussa alla nostra porta e aspetta che gli apriamo.
    Non riteniamo possibile educare senza il sacro rispetto della libertà di ogni persona. Dove non si rispetta la libertà dell’individuo, Dio è assente.
    La forza dell’attrazione di Dio, potente ma non violenta, sta nella dolcezza della sua attrazione.
    La mistica salesiana, questo amore di Dio di cui parliamo, lungi dall’escludere l’amore per gli altri, lo richiede.
    L’essere umano, il giovane, ogni persona, tutti noi, portiamo iscritto nel nostro essere il bisogno di Dio, il desiderio di Dio, «la nostalgia di Dio».
    Dio è presente e si rende presente ad ogni persona in quei momenti della sua vita che solo Dio stesso sceglie e nel modo che solo Dio conosce.
    Sia Francesco di Sales che don Bosco fanno della vita quotidiana un’espressione dell’amore di Dio, che viene ricevuto e anche ricambiato. I nostri santi hanno voluto avvicinare la relazione con Dio alla vita e la vita alla relazione con Dio. Questa è la proposta della “santità della porta accanto” o della “classe media della santità”, di cui Papa Francesco ci parla con tanto affetto. «Mi piace vedere la santità nel popolo di Dio paziente: nei genitori che crescono con tanto amore i loro figli, negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati, nelle religiose anziane che continuano a sorridere. In questa costanza per andare avanti giorno dopo giorno vedo la santità della Chiesa militante. Questa è tante volte la santità “della porta accanto”, di quelli che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di Dio, o, per usare un’altra espressione, “la classe media della santità”».
    Dio non ci ama perché siamo buoni, ma perché Lui è buono.
    Il compimento della volontà di Dio non si raggiunge attraverso sentimenti di “indegnità”, ma con la speranza nella misericordia e nella bontà di Dio. Questo è l’ottimismo salesiano.
    Francesco di Sales risponde all’amore di Dio con l’amore.
    Io ti amerò, o Signore, almeno in questa vita, se non mi sarà dato di amarti nella vita eterna; almeno ti amerò qui, o Dio, e spererò sempre nella tua misericordia.
    La crisi di Francesco di Sales ha rivelato la parte più profonda del suo essere: un cuore innamorato di Dio.
    La convinzione che l’amore di Dio non si basa sul sentirsi bene, ma sul fare la volontà di Dio Padre, è il centro della spiritualità di Francesco di Sales e deve essere il modello per tutta la Famiglia di don Bosco.
    Fare un cammino dalle consolazioni di Dio al Dio delle consolazioni, dall’entusiasmo al vero amore
    Passare dall’innamoramento al vero amore per gli altri.
    Fare tutto per amore, niente per paura, perché è la misericordia di Dio, e non i nostri meriti, che ci spinge ad amare.
    Se sant’Agostino diceva che «il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te», seguendo il pensiero di Francesco di Sales, potremmo dire con von Balthasar, che è «impaziente il tuo cuore [Dio] finché noi non riposiamo in te, e tempo ed eternità sprofondano l’uno nell’altra».
    Don Bosco vuole che l’amore per Cristo ci porti all’amore per i giovani, caratteristica salesiana della nostra vita e sfida permanente per la Famiglia di Don Bosco oggi e sempre.
    La sua vita di preghiera è la sua storia personale d’amore con Dio.
    Per Francesco di Sales, la preghiera come comunicazione con Dio è il cuore dell’uomo che parla al cuore del Signore. È la forma di preghiera della spiritualità incarnata.
    La preghiera ci permette di trovare il cuore di Dio e di conformare il nostro cuore al suo.
    La carità è la misura della nostra preghiera, perché il nostro amore per Dio si manifesta nell’amore per il prossimo.
    Questa è la “preghiera della vita”: compiere tutte le nostre attività nell’amore e per amore di Dio, in modo tale che tutta la nostra vita diventi una preghiera continua.
    Conviene trovare momenti per ritirarsi nel proprio cuore, lontano dal trambusto e dall’attivismo, e conversare cuore a cuore con Dio.
    In lei [Maria] vediamo ciò che Dio è pronto a fare con il suo amore, quando trova cuori disponibili come quello di Maria. Svuotandosi, riceve la pienezza di Dio. Rimanendo disponibile a Dio, lascia spazio perché Dio compia in lei grandi cose.

    NOTE

    [1] G. Bosco, Memorie dell’Oratorio di San Francesco di Sales, in ISS, Fonti salesiane. 1. Don Bosco e la sua opera. Raccolta antologica, LAS, Roma 2014, 1214.
    [2] Cf. MB V, 9.
    [3] Prosegue san Francesco: «Vi lascio lo spirito di libertà, non quello che esclude l’obbedienza, che è la libertà del mondo, ma quello che esclude la violenza, lo scrupolo, l’ansia. Se tu ami fortemente l’obbedienza e la sottomissione, vorrei che, se arrivasse la giusta e amorosa occasione di lasciare qualche tuo esercizio, esso sia una specie di obbedienza, e che questa assenza sia sostituita dall’amore» (Lettera CCXXXIV. Alla Baronessa di Chantal, OEA XII, 359. La lettera porta la data del 14 ottobre 1604). Per le citazioni di san Francesco di Sales, farò riferimento, per quanto possibile, all’edizione completa in 27 volumi basata sugli autografi originali e le edizioni a cura delle religiose della Visitazione del primo monastero di Annecy, Oeuvres de Saint François de Sales, citata con l’acronimo OEA (“Oeuvres Edition Annecy”), che indica il volume e la pagina dell’edizione. A volte citerò solo la fonte secondaria. Esiste, per facilitare la consultazione e la lettura, una magnifica biblioteca digitale con tutte le opere di san Francesco di Sales, disponibili in vari formati digitali: https://www.donboscosanto.eu/francesco_di_sales/index-fr.php.
    [4] In ISS, Fonti salesiane. 1. Don Bosco e la sua opera. Raccolta antologica, LAS, Roma 2014, 971.
    [5] G. Bosco, Memorie dell’Oratorio di San Francesco di Sales, in ISS, Fonti salesiane. 1. Don Bosco e la sua opera. Raccolta antologica, LAS, Roma 2014, 1176.
    [6] Lettera a Giovanna di Chantal (OEA XIV, 111).
    [7] Cfr. M. Wirth, San Francesco di Sales, 76: «Dio ci ha mostrato in così tanti modi e con così tanti mezzi che vuole che tutti noi siamo salvati, che nessuno può ignorarlo. Con questa intenzione ci ha fatto a sua immagine e somiglianza con la creazione, e si è fatto a nostra immagine e somiglianza con l'incarnazione, dopo la quale ha sofferto la morte, per salvare l’intera razza degli uomini e salvarli», Cfr. Trattato dell’amore di Dio, VIII, 4.
    [8] Cfr. M. Wirth, San Francesco di Sales. Un progetto di formazione integrale, LAS, Roma 2021, 76-77.
    [9] Cfr. Sermone sulla conversione di Sant’Agostino (OEA IX, 335), in M. Wirth, San Francesco di Sales, 76.
    [10] Cfr. M. Wirth, San Francesco di Sales, 140.
    [11] Trattato dell’amore di Dio, II, 12: «Le chiamate divine ci lasciano in piena libertà di seguirle o di non accettarle».
    [12] Cfr. F. Vincent, Saint François de Sales, directeur d’âmes. L’éducation de la volonté, 264 in M. Wirth, San Francesco di Sales, 140.
    [13] Cfr. Trattato dell’amore di Dio, I, 18: «Ma se non possiamo naturalmente amare Dio sopra ogni cosa, perché abbiamo questa inclinazione naturale ad esso? Non è una cosa vana che la natura ci inclini ad un amore che non può darci? Perché ci dà la sete di un'acqua così preziosa, se non può darcene da bere? Ah, Teotimo, quanto è stato buono Dio con noi!».
    [14] Cfr. Gaudium et spes, 22: «In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo […] E ciò vale non solamente per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia. Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola, quella divina; perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale».
    [15] I commentatori di san Francesco di Sales suggeriscono che la profondità di questo principio è ben espressa da una frase a lui attribuita: «Chi ama farsi temere, teme farsi amare».
    [16] Cfr. M. Wirth, San Francesco di Sales, 145.
    [17] Cfr. M. Wirth, San Francesco di Sales, 130: nel manoscritto del corso di filosofia del mese di marzo 1586 aveva ricopiato in grossi caratteri questa frase latina di sant’Agostino: «Fecisti nos ‒ inquit ‒ Domine, ad te, et inquietum est cor nostrum donec revertatur ad te». La si ritrova anche in una predica del 1594 (OEA VII, 189).
    [18] Cfr. OEA XV, 28, in M. Wirth, San Francesco di Sales, 29.
    [19] Introduzione alla vita devota I, 1.
    [20] Introduzione alla vita devota, I, 3.
    [21] LG, 11.
    [22] J. Malègue, Pierres noires. Les classes moyennes du Salut, Paris 1958, in Francesco, Gaudete et exsultate, 7.
    [23] Francesco, Christus vivit, 291.
    [24] Mons. Jean Pierre Camus, vescovo di Belley e amico personale di Francesco di Sales, nel suo libro sullo spirito del beato Francesco di Sales, parlando del suo zelo per le anime, loda il distacco del santo dai beni materiali, la sua preoccupazione puramente pastorale e mette sulle sue labbra la preghiera rivolta al Signore: «da mihi animas, coetera tolle». Per il prolifico scrittore, queste parole esprimono l'ardente zelo pastorale che ha sempre guidato tutte le sue imprese. Cfr. J. P. Camus, El espíritu de San Francisco de Sales II, Balmes, Barcelona 1947, p. 339, in E. Alburquerque, Don Bosco y sus amistades espirituales, CCS, Madrid 2021, San Francisco de Sales. Afinidad y convergencia espiritual, 11-27.
    [25] Cfr. M. Wirth, San Francesco di Sales, 156: «San Francesco de Sales si ispira a maestri spirituali che furono allo stesso tempo predicatori, pastori e direttori spirituali, come san Filippo Neri, fondatore dell’Oratorio a Roma. Le sue fonti principali sono opere di spiritualità che avvicinano la perfezione cristiana alla condizione comune del cristiano nel mondo».
    [26] Ibid.
    [27] G. Bosco, Vita del giovanetto Savio Domenico, allievo dell’Oratorio di S. Francesco di Sales, in ISS, Fonti salesiane. 1. Don Bosco e la sua opera. Raccolta antologica, LAS, Roma 2014, 1059.
    [28] Introduzione alla vita devota I, 3.
    [29] Lettera 308. Alla Baronessa di Chantal, 8 settembre 1605, consultabile nell’edizione digitale, p. 83/321, OEA XIII, 92 e citata in Eunan McDonnell, God Desires You, DeSales Resource Center, Stella Niagara, N.Y., 2008, 56.
    [30] Ad esempio: «Molti biografi dicono che aveva un temperamento collerico, forte, impaziente, tipico della sua stirpe, un vero savoiardo. A causa di ciò, la rabbia spesso ribolliva nella sua testa, era avvilito da un linguaggio insolente o da azioni sconsiderate, era interiormente irritato dal disordine, il suo volto cambiava colore e diventava rosso per un contrasto. Tuttavia, la lotta costante contro queste tentazioni, la vigilanza, lo sforzo ascetico, la padronanza di sé e l’aiuto della grazia, lo portano a quella squisita dolcezza che lo rende un’immagine vivente di Cristo. Non dobbiamo quindi parlare di una dolcezza naturale in Francesco di Sales, ma piuttosto del frutto di una lotta vittoriosa». Cfr. E. Alburquerque, Espíritu y espiritualidad salesiana, Editorial CCS, Madrid 20217, 105-12.
    [31] Cfr. Eunan McDonnell, God Desires You, p. 56-67.
    [32] Cfr. Pio XI, Lettera Enciclica Rerum omnium perturbationem, del 26 gennaio 1923. Papa Benedetto XV intendeva scrivere un’enciclica per il terzo centenario della morte di san Francesco di Sales. Il desiderio fu realizzato nel 1923 dal suo successore Pio XI, il quale sottolineò la dolcezza della santità di Francesco e la sua accessibilità a tutti: la gentilezza d’animo del Santo traspariva, e si può dire che fosse la sua virtù caratteristica.
    [33] G. Bosco, Lettera da Roma alla comunità salesiana dell’Oratorio di Torino-Valdocco, in ISS, Fonti salesiane. 1. Don Bosco e la sua opera. Raccolta antologica, LAS, Roma 2014, 451.
    [34] G. Bosco, Memorie dell’Oratorio di S. Francesco di Sales dal 1815 al 1855, in Istituto Storico Salesiano, Fonti salesiane. 1. Don Bosco e la sua opera. Raccolta antologica, LAS, Roma 2014, 1176-1177.
    [35] Cfr. J.-P. Camus, L’Esprit du bienheureux François de Sales, partie I, section 3, in M. Wirth, San Francesco di Sales, 97. Mons. Jean Pierre Camus, parlando della personalità del Santo, mette in evidenza le espressioni che usava nei confronti dei suoi oppositori e avversari, che riflettono bene la sua disposizione umile e la sua mitezza. Parlava di fratelli, figli della Chiesa “a disposizione”, fratelli nella speranza nella stessa vocazione alla salvezza, e chiamava sempre i fedeli della sede di Ginevra “miei poveri” o “miei cari”, termini di compassione e di amore.
    [36] Cfr. A. Giraudo, o.c. p. 3-5: «Abbiamo tre quarti voti. Secondo i vari aspetti: la bontà, il lavoro, il sistema preventivo» (p. 70). Cfr. il commento di A. Alburquerque, Espíritu y espiritualidad salesiana, “El cuarto voto salesiano”, e A. Caviglia, Conferenze sullo Spirito Salesiano, Istituto Internazionale Don Bosco, Torino 1953, 107.
    [37] G. Bosco, Lettera da Roma alla comunità salesiana dell’Oratorio di Torino-Valdocco, in ISS, Fonti salesiane. 1. Don Bosco e la sua opera. Raccolta antologica, LAS, Roma 2014, 444-445.
    [38] Cfr. Francesco, Messaggio di sua Santità Papa Francesco ai membri del CG28, in ACG 433, “Quali salesiani per i giovani di oggi?”. Riflessione postcapitolare della Società di San Francesco di Sales, Roma 2020.
    [39] Carta di identità della Famiglia salesiana, n. 32.
    [40] Cfr. Eunan McDonnell, God Desires You, 57.
    [41] OEA XXII, 19-20.
    [42] Cfr. Eunan McDonnell, God Desires You, p.18.
    [43] Trattato dell’Amore di Dio, X, 1.
    [44] Agostino di Ippona, Confessioni, I, 1.
    [45] Cfr. H. U. von Balthasar, Il cuore del mondo, Jaca Book (= Jaca Reprint), Milano 2016 in Eunan McDonnell, God Desires You, p. 30.
    [46] Pio IX pubblicò vari documenti sull’Ufficio della Messa del Sacro Cuore, eresse numerose confraternite, concesse indulgenze per molte pratiche devozionali, ed inoltre beatificò Margherita Maria Alacoque (19 agosto 1864). Alcuni di questi importanti motivi si riflettono nella Basilica del Sacro Cuore nel Castro Pretorio a Roma: il quadro dell’altare maggiore è una tela commissionata da don Bosco al pittore Francesco de Rohden e rappresenta la terza apparizione del Sacro Cuore di Gesù a Santa Margherita Alacoque nel 1687. La composizione è stata ideata dallo stesso don Bosco: Cristo è posto al centro con un cuore fiammeggiante in mano. Intorno a lui c’è una moltitudine di angeli. Nella parte inferiore c’è una predella con due tondi che rappresentano san Francesco di Sales e santa Margherita Alacoque. Nella parte superiore, un cherubino tiene una pergamena con la citazione dal Libro dei Proverbi: “Praebe, fili mi, cor tuum mihi” (Prov. 23,26): “Figlio mio, dammi il tuo cuore”.
    [47] Benedetto XVI, Deus caritas est, 12.
    [48] G. Bosco, Memorie dell’Oratorio di S. Francesco di Sales dal 1815 al 1855, in ISS, Fonti salesiane. 1. Don Bosco e la sua opera. Raccolta antologica, LAS, Roma 2014, 1234-1235.
    [49] Lo studio dell’accompagnamento ha conosciuto un rinnovato interesse negli ultimi anni, e non mancano opere che presentano interessanti proposte di approfondimento. Nel nostro ambiente salesiano, cfr. F. Attard – M. A. García (a cura di), L’accompagnamento spirituale. Itinerario pedagogico spirituale in chiave salesiana al servizio dei giovani, Elle Di Ci, Leumann (Torino) 2014 e anche J. Crespo-Bueis, (coord.), Acompañar a los jóvenes, CCS, Madrid, 2021.
    [50] Introduzione alla vita devota, I, 4.
    [51] Cfr. G. Bosco, Memorie dell’Oratorio di S. Francesco di Sales dal 1815 al 1855 in ISS, Fonti salesiane. 1. Don Bosco e la sua opera. Raccolta antologica, LAS, Roma 2014, 1234.
    [52] Introduzione alla vita devota, I. 4.
    [53] Cfr. G. Bosco, Memorie dell’Oratorio di S. Francesco di Sales dal 1815 al 1855 in ISS, Fonti salesiane. 1. Don Bosco e la sua opera. Raccolta antologica, LAS, Roma 2014, 1240.
    [54] Cfr. A. Giraudo, Direzione spirituale in san Giovanni Bosco. Connotazioni peculiari della direzione spirituale offerta da don Bosco ai giovani, in: F. Attard – M. A. García (a cura di), L’accompagnamento spirituale. Itinerario pedagogico spirituale in chiave salesiana al servicio dei giovani, Elle Di Ci, Leumann (Torino 2014), 160: «Don Bosco è un modello: tende a identificare in se stesso l’educatore, il confessore e il direttore spirituale; insiste sull’accoglienza affettuosa, la gentilezza, la magnanimità e la cura delle persone, l’intensità dell’affetto dimostrato, in modo che i giovani abbiano fiducia e confidenza, e collaborino all’azione formativa con un’obbedienza disponibile e cordiale».
    [55] Trattato dell’amore di Dio, XI, 12, con evidente riferimento a Ct 1,2.
    [56] Ibid., VIII, 5.
    [57] Cfr. M. Wirth, San Francesco di Sales, 160.
    [58] Cfr. M. Wirth, San Francesco di Sales, 160. In nota, Wirth fa riferimento a questo fatto nella lettera della madre di Chantal a Dom Jean de Saint-François, in Jeanne-Françoise Frémyot de Chantal, Correspondance, t. II, 305.
    [59] Introduzione alla vita devota, V, 1.
    [60] Eunan McDonnell, God Desires You, 127-135.
    [61] Cfr. OEA XXVI, 266 in Eunan McDonnell, God Desires You, 128.
    [62] Introduzione alla vita devota, II,16.
    [63] OEA IX, 342 in Eunan McDonnell, God Desires You, 134.
    [64] Pio XI, Lettera enciclica “Rerum omnium perturbationem” su San Francesco di Sales, Roma 26 gennaio 1923.
    [65] Ibi. I corsivi sono miei.
    [66] L’incontro con Bartolomeo Garelli nella chiesa di San Francesco d’Assisi, l’8 dicembre 1841: «Mi alzai e feci il segno della santa croce per cominciare, ma il mio allievo nol faceva perché ignorava il modo di farlo. In quel primo catechismo mi trattenni a fargli apprendere il modo di fare il segno della croce e a fargli conoscere Dio creatore e il fine per cui ci ha creati. […] Questo è il primordio del nostro Oratorio, che benedetto dal Signore prese quell’incremento, che certamente non avrei potuto allora immaginare». Cfr. G. Bosco, Memorie dell’Oratorio di S. Francesco di Sales dal 1815 al 1855 in ISS, Fonti salesiane. 1. Don Bosco e la sua opera. Raccolta antologica, LAS, Roma 2014, 1237.
    [67] Cfr. Francesco, Lettera apostolica in forma di «motu proprio» “Antiquum ministerium” con la quale si istituisce il ministero di catechista, Roma 10 maggio 2021.


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